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Autore: verystrange_pennylane    25/06/2015    4 recensioni
Seduto a cavalcioni sulla finestra, Paul sputò lontano il nocciolo della sua ultima ciliegia. Le gambe, libere e nude, si muovevano a penzoloni nel vuoto, mentre lui rimirava la città davanti a sé, inspirandone a pieni polmoni il profumo: odorava di caffè, erba bagnata e Storia. Quella Storia di cui quasi non ti rendi conto di far parte, ma che sa un po’ di sudore dei turisti e di polvere dei musei. La vista, da quella finestra, era straordinaria: Roma, la città eterna, era avvolta nel silenzio e nella pace più totale.
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In onore del cinquantesimo anniversario dei concerti dei Beatles in Italia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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To Rome with Love





Seduto a cavalcioni sulla finestra, Paul sputò lontano il nocciolo della sua ultima ciliegia. Le gambe, libere e nude, si muovevano a penzoloni nel vuoto, mentre lui rimirava la città davanti a sé, inspirandone a pieni polmoni il profumo: odorava di caffè, erba bagnata e Storia. Quella Storia di cui quasi non ti rendi conto di far parte, ma che sa un po’ di sudore dei turisti e di polvere dei musei. La vista, da quella finestra, era straordinaria: Roma, la città eterna, era avvolta nel silenzio e nella pace più totale. Eppure, le sue luci erano ancora tutte accese, e la coloravano come un meraviglioso dipinto. In lontananza San Pietro faceva capolino e si rendeva ben riconoscibile e visibile nonostante la distanza, e Paul sospirò pesantemente, pensando che avrebbe tanto voluto perdersi in una di quelle vie, cazzeggiare con gli italiani seduti ai tavolini dei bar, assaggiare qualcosa di buono e casalingo. Dio, avrebbe tanto voluto vivere quella meravigliosa città.
Eppure non poteva. Con Brian si erano accordati per stare una sola notte, non di più, non se ne parlava nemmeno. Oh no, scordatelo.
Avevano finito il concerto, quel concerto mezzo deserto, ed erano stati accompagnati nel migliore locale della città, il Piper, dove avevano bevuto qualche birra scadente e un paio di bicchieri di vino. Neanche il tempo di fumarsi una sigaretta, o di cercare un’italiana appetibile, che erano stati riportati in albergo, al sicuro. Ma al sicuro da chi? Fanculo.
Paul si lasciò cullare dal canto dei grilli e permise a quella strana armonia di alleggerire i suoi pensieri per qualche istante, almeno finché un gruppo di ragazzi attraversò rumorosamente la strada, interrompendo così la sua meditazione da quattro soldi.
Avrebbe dovuto ascoltare tutti i discorsi di George sull’ascetismo, dannazione pure a lui.
Con la mano libera si asciugò la fronte imperlata di sudore, e lasciò che una folata di vento entrasse dispettosa sotto la maglietta logora e gli rinfrescasse le spalle e la schiena.
“Ma sono l’unico a sentire così tanto caldo?” gli chiese una voce molesta, rompendo con poca grazia la quiete appena ricreatasi nel quartiere.
Anche se col naso respirava i profumi di una capitale, a Paul arrivò comunque la nota dolciastra del Whisky che John stringeva tra le sue mani.
Si voltò a guardarlo per qualche secondo, nell’ombra della loro meravigliosa camera d’albergo, e scoppiò a ridere, genuinamente divertito dalla scena.
“Dio John, sei così inglese certe volte.”
“Amore, mi vedi forse con una tazza di tè in mano e un cappellino in testa? Avevo voglia di un maledettissimo Whisky.”
Paul si sforzò di non perdersi un secondo di Roma, e si voltò di nuovo per ammirare il paesaggio fuori dalla finestra. Aveva una vita per vedere John in pantaloncini, sandali e canotta, nel perfetto ritratto del turista nordico.
“Anche io ho caldo comunque.” Disse alla fine, muovendo appena la mano libera come un ventaglio, e pensò che al diavolo, in quella nazione facesse fottutamente caldo. Almeno fosse valsa la pena di squagliarsi sotto il sole cocente per cantare davanti a quei pochi cretini che li conoscevano in Italia! Ma niente, la paga era uno schifo, e il pubblico era troppo amorfo per riuscire ad alleggerire con la sua presenza l’afa e il caldo torrido.
Forse qualcosa di fresco era quello che ci voleva, Whisky o vino o birra non importava. E poi all’improvviso sentì una gran sete.
“Me ne dai un goccio, Johnny caro?” disse alla fine, senza voltarsi, spingendo solo il braccio verso l’interno della camera.
“Non ci penso nemmeno. Vai a prenderti del vino o della Grappa o qualche altro liquore italiano dal nome impronunciabile.”
“Dai Lennon, non fare lo stronzo.”
“Non fare lo stronzo, a me lo dice!” John continuò a borbottare qualcosa che non arrivò del tutto alle orecchie di Paul, specie perché da qualche parte un giradischi aveva cominciato a suonare una canzone italiana malinconica e dolce, che parlava di una storia d’amore. Non c’era bisogno di capire il testo, Paul lo sapeva bene: tutte le canzoni italiane parlavano d’amore.
Era come se in quella nazione non riuscissero a pensare d’altro.
La sua attenzione era completamente focalizzata sulla melodia che arrivava, portata dal vento da chissà dove.
Ecco perché quasi cadde dalla finestra del fottutissimo terzo piano quando John si avvicinò a lui.
John, il suo maledetto compagno di camera. Il suo migliore amico.
Il coglione più coglione della Terra, che gli aveva buttato un cubetto di ghiaccio nella maglietta.
Fortunatamente per lui, Paul aveva degli ottimi riflessi, e si era aggrappato con forza allo stipite della finestra, mantenendo ben stabile e ferma la sua posizione precaria.
“Ma che cazzo… John, potevo uccidermi!”
“Oh, quante storie per un cubetto di ghiaccio!”
Paul lo guardò a lungo, con gli occhi carichi di rabbia e terrore, ma poi sbuffando decise di preoccuparsi di altro, o avrebbe ammazzato John Lennon. E poi chi lo sentiva Brian?
Seguì la scia bagnata e dolciastra sotto la maglietta che lo condusse fino al cavallo dei pantaloni, dove una macchia gelata gli fece ben intuire che del cubetto restasse poco o niente. Bene, ora avrebbe puzzato di sudore e Whisky.
Certo, non poteva negare che si fosse rinfrescato, e che stesse decisamente meglio.
Ma il suo cuore batteva ancora come un pazzo, e con delle piccole fitte dolorose sembrava volergli ricordare che sì, aveva avuto un dannatissimo infarto e sì, era ancora molto arrabbiato con John. Con una mano appoggiata al petto e una ben stretta allo stipite, Paul decise di guardare di nuovo fuori, e si perse ad osservare il passo lento e malfermo di un vecchietto, vestito con un frac, che passeggiava per la strada, battendo il ritmo con il suo bastone. Sarebbe stato perfetto per una canzone!
“Oh però che palle che sei stasera, Macca. Sei peggio dei nonni che fissano i cantieri. E dire che io volevo…” La voce di John era passata dallo schiamazzo al sensuale sussurro, e pian pianino si era avvicinato al compagno, fino ad arrivare a pochi centimetri dal suo orecchio, mordendogli delicatamente il lobo. Ma Paul era ancora offeso, o almeno si divertiva molto ad esserlo, e lo allontanò da sé con la mano libera.
“Non è colpa mia se quello che c’è fuori dalla finestra è più interessante di quello che c’è dentro.” Si limitò a dire con un sospiro, mentre si stringeva nelle spalle.
La risposta di John a quel rifiuto non tardò ad arrivare.

John Lennon odiava essere ignorato, e questo era un dato di fatto.
Lo sapevano tutti: lo sapeva Cynthia, lo sapeva Mimi e lo sapeva Paul.
Anzi, se c’era una persona che lo sapeva meglio di tutti, era proprio James Paul McCartney.
Quel James Paul McCartney che lo stava ignorando, per guardare cosa? Roma! Come se non avesse potuto comprarsela, quella città.
Certo, coi suoi occhi ciecati, John poteva dire di vedere molto poco del profilo della capitale addormentata, ma vedeva una cosa ben più interessante, lì davanti a sé.
Vedeva Paul, di nuovo distratto, di nuovo rapito dai mille colori, dai mille suoni e dalle mille storie di quella città, e vedeva il suo profilo illuminato dai caldi lampioni di Roma.
La luce si increspava contro la sua fronte corrugata e fintamente arrabbiata, contro il suo naso sollevato in un’espressione stizzita, contro le labbra arricciate. Ma c’era un punto che catturava sempre l’attenzione di John, un punto in cui ora la luce scivolava in modo perfetto, un punto che gli diede l’idea per la sua vendetta.
Ancora con le mani bagnate e appiccicose dall’ultimo scherzo, prese un altro cubetto di ghiaccio e lasciò che sgocciolasse un po’ sul pavimento, prima di appoggiarlo sulla spalla di Paul. Lo sentì sussultare, stavolta in maniera molto più controllata e meno drammatica, come se in parte si aspettasse una cosa del genere da John, da quel John che non sapeva stare fermo con quelle maledette mani.
“Cosa cazzo?” provò a chiedergli Paul, boccheggiando leggermente, ma tenendo lo sguardo fisso sul panorama fuori dalla finestra. Il solo mantenere gli occhi su Roma doveva richiedergli un gigantesco sforzo, perché tutti i muscoli del collo erano tesi e ben visibili.
John appoggiò l’indice sul cubetto di ghiaccio e con studiata lentezza lo spostò dalla spalla alla clavicola. Lì si divertì molto a vedere il petto di Paul alzarsi ed abbassarsi al ritmo di un respiro frenetico e pesante per l’ eccitazione. Ma, pensò mordendosi il labbro, il meglio doveva ancora venire.
Il cubetto ormai era sempre più piccolo, e John ne approfittò per muoverlo dalla clavicola all’orecchio, lasciando l’ultima scia bagnata lungo tutto il collo. Da lì, piccole gocce dispettose corsero lungo la schiena di Paul, provocandogli altri brividi violenti. Le braccia, lunghe e pallide, si riempirono di pelle d’oca, e le gambe smisero di penzolare con leggerezza, incrociandosi con un moto nervoso e teso.
John si leccò le labbra davanti al collo di Paul, bagnato e imperlato di piccole gocce di acqua gelata, che riflettevano le mille luci della città, facendo sembrare quella dolce curva un piccolo scivolo per il paradiso.
Non l’avrebbe mai ammesso pubblicamente, ma John aveva un maledetto debole per il collo di Paul. Era così morbido, così profumato, così invitante! Ti faceva venire voglia di accarezzarlo, di leccarlo appena con la lingua prima di riempirlo di piccoli morsi.
Un brivido di eccitazione scosse John e lo risvegliò dai suoi sogni, ricordandogli che Paul era lì davanti a lui, il collo perfettamente esposto, pronto come un premio.
Ma non era ancora ora di averlo, l’attenzione di Paul era fissa su Roma, ed era ancora troppo concentrato su quel meraviglioso e maledetto panorama, perché John potesse dirsi pienamente soddisfatto della sua opera.
Non riscontrando alcun tipo di opposizione, e approfittando di una folata di aria calda estiva, John tolse rapidamente la maglietta di Paul, già bagnata, e la gettò infastidito sul pavimento. Oh, lo spettacolo davanti ai suoi occhi stava decisamente migliorando, non c’era che dire. La morbida curva della schiena di Paul lo chiamava a sé, e lui strinse i pugni per non mandare tutto all’aria e farlo girare e prenderlo su quella dannata finestra.
Non era così che dovevano andare le cose. Dunque prese un altro cubetto di ghiaccio, lo leccò appena, bevendo le ultime gocce di Whisky rimaste, e lo appoggiò sull’altra spalla. La reazione di Paul stavolta fu più palese, perché si lasciò scappare un profondo verso gutturale, spaventosamente vicino ad un gemito di puro piacere, e stiracchiò il collo e le spalle verso John come un gatto farebbe contro la mano del padrone.  
E John, che non aspettava altro, ripercorse la soffice curva del collo di Paul, non fermandosi all’orecchio stavolta, ma scendendo lungo la nuca e proseguendo per tutta la schiena.
Le ultime gocce scapparono veloci dentro i pantaloni, e questo fece scappare un altro gemito rumoroso a Paul. Ma, e faceva fatica a nasconderlo ora, anche il respiro di John era affannoso e dannatamente pesante, e l’erezione lottava furiosa nei suoi pantaloni per essere liberata.
Dio, resisti, piccolo Johnny!, si motivò mentalmente.
Si avvicinò a Paul, e seguì con la lingua il percorso fatto dal piccolo cubetto, lasciando che il fresco e il dolciastro del ghiaccio e del Whisky si mischiassero al sapore caldo e salato di Paul, creando una meravigliosa combinazione letale per John.
Fece lo stesso da entrambe le parti, prima succhiando e mordicchiando la clavicola e poi percorrendo tutta la lunga schiena pallida di Paul, che continuava a tremare ed ansimare sotto la sua lingua.
Alla fine John si fermò ad ammirare la sua opera, e forse era il Whisky, forse era l’erba, forse era Roma, ma pensò che non gliene fregasse poi molto se li avessero scoperti o arrestati o mandati in Vaticano a calci nel culo per farsi esorcizzare. Poteva già vedere il Papa corrergli dietro con il suo bastone e tutta la guardia svizzera. Pazzi, sodomiti, pervertiti!
Trattenendo a stento una risata per colpa dei suoi stessi pensieri, cominciò a slacciare il bottone dei pantaloni di Paul, sentendo l’erezione fremere contro la sua mano per essere liberata.
Oh al diavolo, doveva prenderlo in fretta o sarebbe impazzito, già gli girava la testa e tutto il sangue del suo corpo si stava spostando attorno al cavallo dei suoi maledettissimi pantaloni stretti, troppo troppo stretti.
Dopo aver accarezzato lentamente e con desiderio il membro di Paul, con un colpo secco si slacciò la cintura, gettandola sul pavimento vicino alla maglietta del compagno, e abbassò la cerniera dei pantaloni, sfilandoli con fretta e fastidio, e liberando così la propria erezione.
Paul intanto, si era lasciato scappare un sospiro frustrato una volta che le mani di John avevano smesso di toccarlo, ma quando sentì il rumore della lampo che si abbassava, sorrise con un’aria maliziosa, e si leccò le labbra.
Basta giochi di ruolo, basta con la superbia e con i rancori. Era arrivato finalmente il momento di fare sul serio.
Spingendosi con le mani, si girò fino a trovarsi con le gambe al sicuro, dentro la camera, i piedi scalzi ben appoggiati al caldo pavimento di parquet. Finalmente, dopo interminabili minuti passati ad ignorare John, Paul era lì, davanti a lui, a guardarlo fisso negli occhi. O almeno, ci aveva provato a guardarlo per davvero negli occhi… ma poi qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Non che a John dispiacesse questa cosa, chiaramente.
“Finalmente ti sei stancato di stare a guardare Roma, Macca.”
“Sì, qualcos’altro ha attirato la mia attenzione. Qualcosa di più interessante.” E dopo averlo sussurrato, con la voce carica di lussuria, si passò l’indice sulle labbra, prima di sorridere malizioso.
“Non mi dire.”
“Sei stato cattivo con me, John. Ma anche io ti ho ignorato, e so che non ti piace quando lo faccio. Quindi ora è il mio turno di farmi perdonare.”
Inumidendosi leggermente la bocca e dischiudendola appena, Paul cominciò a dedicarsi con la propria lingua all’erezione dell’altro. Non aveva nemmeno lasciato il tempo a John di rispondere, Dio, non che John sarebbe riuscito a dire qualcosa mentre Paul lo guardava con quella faccia da angioletto, con quei maledetti occhi grandi spalancati, le lunghe ciglia che vibravano con innocenza, le guance arrossate. Quell’aspetto meravigliosamente etereo cozzava e allo stesso tempo si combinava perfettamente con il fatto che Paul lo stesse succhiando, mentre languidamente si accarezzava il cavallo dei pantaloni. Era una visione letale quella e al diavolo, rischiava di stenderlo già dopo pochi secondi.
Ma non poteva, doveva resistere, doveva…
Doveva pensare ad altro o sarebbe venuto come un adolescente davanti alla foto in costume da bagno di Brigitte Bardot. Lui aveva già superato quella fase, grazie a Dio!, e ora era un adulto grande e vaccinato, che sapeva darsi un contegno. Nella sua testa aveva in mente di fare sesso con Paul sulla finestra per delle ore e di fargli vedere le stelle, altro che quella cazzo di Roma!
Paul intanto, per colpa forse del caldo o forse delle zanzare, si passò una mano sul collo e sulla spalla con delicatezza ed esasperata lentezza. Era un gesto banale e stupido, che John aveva visto e fatto mille volte. Ma quella semplice e banale carezza che Paul si era riservato, mentre continuava a leccare in tutta la lunghezza il suo membro diede il colpo finale a John, che si riversò nella bocca del compagno senza essere in grado di fermarsi.
Merda. Che figura di merda!
Paul intanto era scoppiato a ridere divertito, tra un colpo di tosse e l’altro, e si asciugò le labbra con il palmo della mano.
“Di già, Johnny caro?”
“E’ colpa di questa città e del caldo. E tua, ovviamente. Piccolo bastardo…”
“Oh, non dare la colpa a me se sei debole.” Sussurrò appena, mordendosi l’unghia del pollice e guardandolo con un’espressione fintamente innocente. Poi, con un sospirò, portò la mano all’inguine, e si massaggiò appena l’erezione pulsante. “Ma sai, qui qualcuno si sta sentendo ignorato. E ora è il tuo turno di farti perdonare, sai?”
“Credo di avere una mezza idea.” Disse John, e la voce gli uscì gutturale e tremante per colpa della rinnovata eccitazione. Lo osservò alzarsi in piedi, e togliersi i pantaloni con un gesto veloce e infastidito, e John si sentì di nuovo pronto per Paul. Coprì velocemente i pochi centimetri che li separavano, facendo scontrare così i loro petti sudati e ansanti, e come a rispondere alle sue voglie, appoggiò la mano sul collo umido e liscio di Paul, percorrendolo con una lunga e lenta carezza.
“Preferisci guardare Roma, Macca?” con un moto possessivo lo afferrò saldamente per il fondoschiena, affondando le unghie nella pelle morbida e calda.
“Mh no, continua a piacermi quello che vedo.”
“E non hai ancora visto il meglio.”

John uscì dal bagno, asciugandosi i capelli con poca attenzione. In realtà li aveva lavati solo perché così sperava di sentirsi un po’ più fresco, ma alla fine aveva risolto poco. Fare le cose più banali lo faceva ricominciare a sudare.
Quando infilò sul naso i suoi occhiali, fu sorpreso di non trovare Paul già addormentato. Era di nuovo seduto alla finestra, stavolta coi piedi ben appoggiati sul pavimento, e anche se il suo orologio da polso segnava le quattro, era ancora intento a guardare Roma, tutto preso dal fumarsi una sigaretta.
John ne approfittò, e gettò per terra l’asciugamano bagnato prima di sedersi accanto a Paul sul cornicione, rubandogli il mozzicone e fumandosi gli ultimi tiri. Solo così vicino vide che il suo compagno stava sì guardando fuori, ma stava anche leggendo un piccolo libricino, dalle pagine ingiallite e rovinate.
“Cos’è?”
Paul non disse nulla, ma chiudendo il libro con un tonfo, si limitò a fargli leggere il titolo, e John lo ripeté ad alta voce, non senza nascondere un tono di scherno.
Poesie d’amore di Valerio Catullo. Sempre il solito romantico, Macca.”
Paul sorrise, alzò le spalle come per giustificarsi, e si avvicinò a John, prima di dargli un piccolo bacio sul naso. Ormai pochi centimetri li separavano, e dio!, John non lo sapeva se era colpa di quella maledetta città, degli italiani o della doccia, ma gli avrebbe tolto in fretta e furia quel fottutissimo accappatoio e avrebbe ricominciato da capo.
Fortunatamente per lui, Paul era preso da ben altri pensieri, e dopo aver accarezzato il libro tra le sue mani, sorrise appena alla città addormentata davanti a sé.
“Ce n’è una che mi piace tanto, non riesco a smettere di leggerla. Dovrebbe essere più o meno così...” Mordendosi il labbro e guardando in alto, in un gesto così semplice che spiazzava John ogni volta, Paul provò a recitarla a memoria. “Quante stelle nella notte silente, spiano gli amori furtivi degli uomini! Questo è il numero di baci che vuole questo uomo, pazzo di te.” Concluse, con uno sguardo incredibilmente fiero e sicuro.
John si trovò a sorridere senza nemmeno rendersene conto, e obbedì alla tacita richiesta nascosta in quella poesia. Lo baciò, lo baciò come se volesse prendersi ogni goccia di amore e razionalità che era rimasta nel corpo di Paul, e lo lasciò stordito, con gli occhi chiusi e il respiro pesante.
“E poi come faceva, Macca?”
Paul sorrise, ma non aprì ancora gli occhi, e corrugò leggermente la fronte mentre cercava di ricordare le parole.
“Mh, mi pare poi dica una cosa come: Dammi mille baci, e quindi cento, poi dammene altri mille e altri cento ancora. E quando ne avremo a migliaia li confonderemo, per non sapere, perché nessuno getti il malocchio invidioso per un così alto numero di baci.”
“Oh, che meravigliosa poesia.” Si limitò a dire John, e strinse istintivamente a sé Paul, incrociando le braccia sulla sua schiena. Affondò di riflesso il viso nel collo e mentre lo faceva un brivido lo percorse, violento, e John si ritrovò a pensare che non faceva poi così caldo.
“Sì beh, pensi di prenderla in parola, mio caro Johnny?”
Tutti e due avevano gli occhi chiusi ora, ma entrambi potevano vedere il sorriso che non sembrava abbandonarli, il respiro lento e tranquillo dato da quella sensazione così famigliare di essere l’uno tra le braccia dell’altro, di essere nel posto giusto.
“Sai cosa ti dico, Paul? Penso proprio di sì.”







Angolo dell'autrice:

Buonasera miei cari lettori! Ve l'avevo detto che sarei tornata, ed eccomi qua. Le mie minacce funzionano sempre, purtroppo.
Ho voluto pubblicare questa fanfiction per tre semplici motivi: 
1) Stiamo vivendo in questi giorni il cinquantesimo anniversario degli unici concerti in Italia dei Beatles, e scusatemi se è poco.
2) Domani partirò per Roma e con Kia85 e con Paperback White parteciperò agli eventi in onore di questo anniversario, e scusatemi se è poco.
3) Perché sto guardando la puntata dell'anniversario con Kia85 sul divano accanto a me. *fa ciao con la manina* 
Vi ho convinti? No? Pazienza.
Scherzo, spero che vi sia piaciuta questa mia schifezza, per cui devo ringraziare due persone: Kia85 e Paperback White.
Paperback White mi ha dato il La, la definizione del profumo di Roma è tutta sua, e io la trovo meravigliosa. Amatela tutti insieme, e andate a leggere la sua fanfiction dai.
Un altro grazie di cuore a Kia85 che l'ha letta e betata e insomma, come al solito mi ha aiutato tantissimo ed è stata preziosissima.
Grazie ragazze mie belle, grazie grazie.
Un bacione a chi la leggerà/recensirà/segnalerà (ecco magari questa ultima no, dai). E un buon anniversario a tutti noi italiani <3
Anya

 
   
 
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