Ogni volta che pubblicano un pezzo su di me e qualche bionda, mi dici che gli articoli più importanti escono la domenica mattina.
E io mi metto a ridere anche se vorrei urlare, perché ti vedo, ogni sabato notte, con gli occhi spalancati sotto le coperte, lo schermo del telefono a illuminare le tue praterie e il buio che copre le mie maree, le mie paure, il mio cuore che batte a mille perché ho il terrore che tu te ne possa andare.
Lo facesti, una volta.
Una sola.
Una minima pressione contro il materasso ed eri fuori, eri fuori dal letto, eri fuori dal mondo, convinto che io stessi dormendo, è più facile lasciarmi quando non ti vedo?
Ci mettesti tre ore e quarantasei minuti a tornare da me, giusto in tempo perché la sveglia suonasse e mi strapazzasse le vertebre atrofizzate, paralizzate, io che per tutta la notte ero rimasto immobile per il terrore, il respiro trattenuto in gola nell'attesa di sentire qualche rumore, il tuo rumore, il tuo odore, il tuo sapore.
Mi dicesti che dovevo alzarmi e io chiusi gli occhi perché non sopportavo le tue mani.
Non sopportavo i tuoi tatuaggi perché a volte è insostenibile, sentirci combaciare, sentirci completare, perché a cosa serve essere interi se poi davanti agli altri ci dobbiamo spezzare.
E come le odio, le telecamere, quando inquadrano le parti sbagliate, quando tagliano i nostri sguardi da centomila parole.
Siamo fuori fuoco, amore, non ti preoccupare, mi puoi baciare.
Siamo fuori onda, non ti preoccupare, puoi sederti vicino a me.
Non ti preoccupare.
Ho voglia di urlare.
Ma io e te siamo addestrati a tacere.
Mi dici che ci odiano e deglutisci piano, guardi in basso, e io so che è un brutto segno.
Detesto vederti piangere perché i tuoi occhi appartengono solo al mio mare; nessun altro, nessun altro li può allagare.
E tu sei in lacrime perché siamo una confezione, siamo dei codici a barre e io non posso farci niente, non ti posso salvare.
Però ti posso amare, anche di nascosto, se per te va bene.
E posso farti ritrovare la rotta giusta, quella che porta qui, in camera nostra, sabato notte alle tre di mattina.
Posso essere la tua ancora, come tu sei la mia, tenerti saldo nel bel mezzo della tempesta, tu che sei la mia rosa, tu che hai le radici piantate nella mia anima.
Ci chiedono se abbiamo intenzione di sposarci e noi tratteniamo i sorrisi e io ce l'ho scritto sulla pelle, il mio sì, me l'hai scritto tu con la tua calligrafia che conoscono tutti - per essere persone che si nascondono siamo terribilmente esibizionisti.
A volte dimentico che ho il porto d'armi, che mi hai lasciato il potere di trafiggerti, di pugnalarti, le lame nelle mie mani e tu ti fidi e io ti amo come nei nostri primi giorni.
Sono passati anni e ci stiamo un po' stretti, in quel letto che non è fatto per due, ma ci stiamo comunque.
Hai spazio sotto la mia pelle, nelle vene, nella carne.
Hai spazio ovunque, dentro di me.
Sono le due e cinquantadue di notte e io rimango paralizzato perché ho il terrore che tu te ne vada.
Respiri, singhiozzi, il buio che pesa sulla nostra stanza.
Sento una tua mano contro la schiena e penso che le mie vertebre preferiscono te a quella stupida sveglia.
Lasci un sorriso umido sulla mia spalla e mi chiedi se il nostro amore uscirà sui giornali la domenica mattina.