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Autore: lindadrei12    26/06/2015    0 recensioni
Ma ciao gruppo di pandacorni glitterati! Come state? Io bene, ma tanto non frega a nessuno.
Stelline se leggete la mia storia mi farebbe piacere leggere le vostre stupende recensioni. Okay patatine fritte con ketchup?
Premetto che non è una fanfiction ed è tuuutto inventato dalla sottoscritta.
Detto questo, ciao biscotti ricoperti di cioccolato al latte❤
Emily, una ragazza di sedici anni, potrà mantenere un segreto più grande di lei?
Cicatrici profonde solcano il suo cuore, difficile da guarire. Un cuore di freddo ghiaccio, circondato da una prigione di indifferenza verso tutto e tutti. Un cuore difficile da sciogliere.
Ma forse qualcuno riuscirá ad aprire le porte di quella prigione di isolamento, forse qualcuno riscalderà il suo cuore, forse qualcuno sanerà le sue ferite, forse qualcuno la salverà.
Dovrà combattere.
Dovrà amare.
Dovrà mentire
Dovrà distruggere.
Dovrà scegliere.
Le sorti di due mondi sono nelle sue mani.
Non sarà più la stessa.
Non sarà più una comune adolescente come tutte le altre.
Non sarà più la Emily fragile di una volta
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era notte fonda, le nuvole coprivano la luna, facendo piombare Londra nell'oscurità più assoluta. Ogni parte della città era avvolta da un'ombra gigantesca e un temporale era in arrivo. Le imposte erano tutte chiuse, e mi svegliai in un bagno di sudore. Mi stropicciai gli occhi e mi guardai attorno spaesata, come mi svegliavo quasi tutte le notti, da una settimana a questa parte. Il sogno era lo stesso che mi tormentava da tempo. Ero sempre da sola, in un campo di grano rosso. La testa, dopo qualche minuto cominciava a girarmi, e cadevo prendendomela tra le mani per fermare le fitte. Poi le piante mi circondavano e creavano una macabra prigione. Mi svegliavo sempre poco dopo avere sentito dei rumori provenire da chissà dove e il sogno non cambiava mai. Era di una monotonia inquietante. Avrei quasi pensato che fosse un sogno premonitore, ma poi... non so cosa non mi permetteva di prendere in considerazione questa idea. Una vocina dentro di me mi dava della stupida e io ascoltavo sempre le voci che avevo dentro. Il mio istinto non sbagliava mai. Mi alzai dal letto bruscamente, il che mi provocò il solito giramento di testa, poi aprii la finestra e respirai l'aria della notte. Fuori non si vedeva niente, ma gli altri sensi percepivano quello che mi stava attorno. Le fronde degli alberi si muovevano a ritmo con il forte vento e l'odore della pioggia battente mi inondò le narici. Faceva freddo e c'era vento, l'aria viziata che si era creata nella mia enorme stanza sarebbe sparita velocemente come si era creata. Il mio letto era completamente bagnato, bene, si sarebbe asciugato. E poi non avevo più sonno ormai quindi che senso aveva starsene a oziare sul letto. Avevo bisogno di lavarmi, puzzavo di sudore. Cercai a tastoni la porta del bagno, ma inciampai su una delle tante pile di libri che tenevo nella mia camera. Mentre mi rialzavo presi un libro a caso dalla pila rovesciata. L'avrei rimessa a posto più tardi. Non permettevo mai a nessuno di sistemare la mia camera. Non mi piaceva che chiunque potesse invadere la mia riservatezza e ficcare il naso nelle mie cose a piacimento. La mia stanza era disordinata, sì, ma io nel mio disordine mi ci trovavo bene. La mia vita era disordinata, perché non la mia camera? Trovai la maniglia dopo essere inciampata un'altra ventina di volte e la abbassai. La finestra era spalancata e il vento e la pioggia avevano dato il loro contributo per riuscire ad inondare tutta la stanza. Eppure ero sicura di averla chiusa... mi avvicinai lentamente e serrai i battenti. Presi degli asciugamani e asciugai il pavimento quasi completamente bagnato, poi li buttai in un angolo della stanza. Li avrei lavati più tardi. Accesi la stufetta elettrica della stanza assicurandomi che sotto di essa il pavimento fosse asciutto. Faceva troppo freddo e per quanto amassi il gelo, non avevo voglia di congelarmi quando c'era ancora la luna nel cielo. Aprii il rubinetto della vasca da bagno e aspettando che l'acqua si riscaldasse mi sedetti davanti alla stufetta senza sapere che fare. Ero sola in casa. Questa era una di quelle settimane in cui mio padre, a causa del cancro ai polmoni, era costretto ad andare in ospedale per le solite crisi respiratorie e ci restava per alcuni giorni, lasciandomi senza compagnia. Volevo essere indipendente e non avevo bisogno di una babysitter, sapevo cavarmela e papà si fidava. I medici dicevano che stava migliorando, che la chemio funzionava e io ci credevo, volevo crederci. L'acqua ormai doveva essere abbastanza calda dato che il bagno era pieno di vapore... non me n'ero accorta... Lo spreco d'acqua equivaleva a soldi in più da pagare per le bollette e non si può proprio dire che io e papà navigassimo nell'oro. Presi il libro, che avevo appoggiato sul lavandino e mi immersi nella vasca. Controllai l'orario sul mio orologio da polso. Erano le 2.30 del 15 ottobre. Cominciai a leggere mentre cercavo di rilassarmi in acqua ma qualcosa non mi permetteva di stare tranquilla. Mi si era formato un nodo allo stomaco e mi sentivo il cuore pesante come un sasso, il che non prometteva niente di buono. Il mio istinto era infallibile e i groppi allo stomaco significavano problemi, problemi grossi. Il nodo non intendeva districarsi, così mi cominciai a lavare. Mentre prendevo lo shampoo sentii il telefono di casa squillare. Chi diavolo era alle 2.40 di notte? Non sarebbero dovuti essere tutti a letto a quell'ora? Sbuffai e aprii la valvola di risucchio della vasca. Uscii e mi infilai l'accappatoio. Il telefono non accennava a smettere di squillare, ma mi precipitai al piano di sotto comunque, con il cuore a mille e il nodo allo stomaco che andava ingigantendosi mano a mano che scendevo le scale. Raggiusi il telefono e tirai su la cornetta. -Pronto, chi parla? Mi rispose una donna con una voce triste e flebile -È la signorina Emily Baker? -Sì... di...dica- Stavo balbettando, il che non succedeva mai... ero troppo agitata, dovevo assolutamente calmarmi un po', ma la donna parlava in un modo che mi inquietava... La voce della mia interlocutrice si incupì -Chiamo dal Christie Hospital, è per suo padre, Philip Baker.- Sentire il nome di mio padre a quell'ora e assieme al nome dell'ospedale in cui era ricoverato non mi tranquillizzava affatto. La testa mi girò e mi dovetti sedere sul bordo del divano. Cominciai a mangiucchiarmi le unghie come facevo spesso quando ero nervosa. La donna doveva essere un'infermiera -Che... che è successo? Papà sta bene vero? La prego mi dica che sta bene. -Emily...- la voce della infermiera si incrinò un poco -mi dispiace tanto. La malattia è degenerata, non si sa per quale motivo. Tuo padre non ce l'ha fatta... devi essere forte e...- Non finii di ascoltare quello che aveva da dire. La cornetta del telefono mi cadde di mano, la lasciai andare. Mio padre era morto. Non avrei sopportato di perdere anche lui, non dopo la mamma. Un senso di vuoto cominciò a insinuarsi nel mio cuore. Ma perché? Perché doveva succedere? La chemio stava funzionando, dicevano. Si riprenderà, dicevano. Tornerà quello di prima, dicevano. Erano tutte bugie. Bugie inventate per tenermi buona, per fingere che tutto andasse per il verso giusto, ma niente andava. Sentivo la voce dell'infermiera chiamarmi dall'altro capo del telefono ma non risposi. Non ce la facevo. Riattaccai. Gli occhi e le narici mi bruciavano e mi accasciai a terra, rannicchiata ai piedi del divano, lacrime salate mi sgorgarono dagli occhi come un fiume in piena. Urlai fino a quasi rovinarmi le corde vocali. Presi un cuscino e lo abbracciai premendo la faccia contro di esso e soffocando le mie grida di dolore. L'unico pensiero che avevo in mente era il fatto che mio padre non ci sarebbe più stato. Tutte le speranze che avevamo sempre riposto nella chemioterapia erano state inutili. Le ferite che quella notizia aveva provocato al mio cuore erano profonde e enormi. Non sarei mai più stata me stessa. Non avrei più potuto parlare di tutto con mio padre, confidargli i miei segreti più grandi, non avrei più riso con lui, non avrei mai più scherzato con lui. Mio padre, il mio papà, il mio migliore amico,era l'unica cosa bella che avevo nella mia vita e ora mi aveva lasciato. Non c'era più. In quale modo sarei andata avanti senza una guida, senza un appoggio? Mi alzai di scatto, con un' idea disperata in testa e mi diressi verso il bagno. Trovai uno specchietto e lo ruppi lanciandolo a terra, poi presi un pezzo di vetro tagliente e lo avvicinai al mio polso. Premetti forte il frammento sulla pelle e un dolore lancinante mi attraversò il braccio. Qualcosa mi impedì di compiere il mio atto disperato. Sentii una lieve pressione sulla spalla, come il tocco di una mano, come le carezze di mio padre... Alzai lo sguardo e nello specchio mi sembrò di intravedere un ombra, ma non c'era nessuno, come poteva essere... guardai il mio riflesso, guardai me stessa e ripensai a quello che stavo facendo, a tutto quello che mi aveva sempre detto papà, a tutto quello che aveva sempre desiderato per noi... per me. Ma che cosa stavo facendo? Che schifo di persona ero? La mia vita sarebbe dovuta andare avanti, ma infondo nessun ragazzo della mia età sarebbe stato capacè di sopportare tutto quello che era successo a me. Però io avrei rappresentato l'eccezione, per una volta. Non avrei ceduto. Lasciai andare il pezzo di vetro che tintinnò al contatto con le piastrelle del pavimento del bagno e valutai la ferita... si sarebbe cicatrizzata, ma sarebbe rimasto un solco profondo. Dovevo nasconderla, non potevo far vedere a tutti quelli che avevo cercato di fare... Quella ferita sulla pelle si sarebbe sbiadita fino quasi a sparire. Le ferite del mio cuore invece, sarebbero rimaste aperte e sanguinanti... per sempre. Mi trascinai lentamente alla cassetta del pronto soccorso e presi il disinfettante. Urlai quando il liquido entrò in contatto con la ferita e urlai quando dovetti bendare il braccio. Il bruciore mi passò solo dopo un paio d'ore, ma non contrastò quello che avevo al petto. Corsi di sopra e mi lanciai sul letto, piangendo e tempestando di pugni il cuscino con la mano illesa. Senza ormai energie mi accasciai sopra le coperte e nonostante fosse freddissimo mi addormentati tra le lacrime. Dormii per due giorni e il 17 ottobre mi risvegliai, alle dieci di mattina, con la consapevolezza che nessuno sarebbe venuto a buttarmi giù dal letto ridendo la mattina, nessuno mi avrebbe più dato il buongiorno come faceva papà, nessuno mi avrebbe più dato il bacio della buonanotte. Prima eravamo un noi, ora ero solo io. Non meritavo tutto questo, ero sicura di non avere fatto niente di male e allora perché? Addormentarmi piangendo mi aveva provocato una faccia gonfia e occhiaie profonde, ma non me ne importava niente oramai. Scesi a fare colazione e sulla segreteria telefonica c'erano un miliardo di messaggi di condoglianze... Ascoltai solo quello di 'Zia Orlanda', un amica fidata di mio padre che annunciava che quel giorno ci sarebbe sarebbe stato il funerale alle 11:50. Dovevo andarci anche se non volevo... dopo avere fatto colazione mi feci una doccia veloce e mi vestii, ma optai per un vestito giallo, non nero. Avrei rotto una tradizione ma non me ne fregava niente. Il giallo era il colore preferito di mio padre e io dovevo rendergli omaggio in qualche modo. Avevo paura che una volta arrivata al cimitero sarei scoppiata a piangere, avrei ceduto alla tristezza, ma papà ora era in un posto migliore assieme alla mamma,forse, e io dovevo essere forte per loro, perché potessero essere fieri della loro bambina. A pensarci bene avevo dormito due giorni... nessuno si era preso nemmeno la briga di venire a vedere come stavo... che tristezza... le persone a volte sono così insensibili. Non mi truccai, perché non ne avevo la forze e la voglia e scesi le scale non appena fui pronta. Erano le 11:45, una macchina davanti a casa mia suonò il clacson. Uscii e feci un cenno con la mano, poi mi incamminai verso l'auto. Alla guida c'era Orlanda, ovviamente vestita di nero, che mi squadrò dalla testa ai piedi non senza criticare il mio abbigliamento. Certe volte le persone sono così stupide... Sbuffai un'imprecazione e salii in macchina. Arrivammo al cimitero dopo dieci minuti, non distava molto da casa mia. Una piccola folla era radunata davanti alla bara di mio padre, pronta ad essere calata nella tomba. Alla sua vista mi si inumidirono gli occhi... lì dentro c'era l'uomo che mi aveva fatto crescere, l'uomo che mi aveva fatto credere nelle fiabe, l'uomo che mi aveva fatto imparare le cose belle della vita, l'uomo che mi aveva insegnato a creare un mondo a parte con la lettura, l'uomo che mi aveva amata più di ogni altro. Trattenni le lacrime, non avrei pianto davanti a quelle facce estranee, che sembravano lì per caso e chiacchieravano tra loro come se niente fosse, come se a nessuno importasse davvero. La veglia funebre c'era stata il giorno prima, aveva detto Orlanda durante il viaggio. Io non c'ero andata, ero a letto apparentemente priva di vita e angosciata al massimo. Non era importato a nessuno, come sempre. La funzione durò un'oretta, poi la bara fu calata nella fossa. Fissai la terra che cominciava a ricoprire la tomba di papà e non ressi. Corsi via e tornai a casa a piedi. Nessuno mi seguì, come se non me lo aspettassi. Entrai sbattendo la porta, correndo per le scale e accasciandomi sul mio letto. La tristezza mi attanagliò il cuore. Ero sola e lo sarei stata per sempre.
   
 
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