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Autore: Akemichan    26/06/2015    2 recensioni
Marco allargò le braccia. Non era da lui fare ipotesi basate su così poco, ma davvero non gli veniva in mente nient'altro, nessun altro che avrebbe potuto essere così importante per Ace come la sua ciurma o suo fratello. Ed era proprio lì che si nascondeva il suo errore.
Sabo si lasciò andare a una risata, per la prima volta con una nota di divertimento, e scosse la testa. «Sono suo fratello» rivelò infine.
E, in quel momento, Marco ebbe la rivelazione del secolo. Sì, Ace l'aveva nominato, una volta. Ma gliene aveva parlato in un modo e in una maniera, che difficilmente aveva potuto collegarlo a quel ragazzo biondo che adesso aveva di fronte.

[4° Classificata al Contest "Quello che non ci hanno detto" indetto da vibbs88]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Sabo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ace's favourites blondes
 

Nonostante avessero preso tutti strade diverse dopo la morte del loro capitano, c'era un giorno in cui si potevano vedere radunati assieme almeno tutti i comandanti, quelli rimasti. Non era una data particolare, l'avevano decisa quasi casualmente, solo per ritrovarsi e, per un attimo, fingere che le cose fossero ancora come un tempo.
Il legame che avevano costruito era rimasto intatto, dopo tutta la sofferenza che avevano affrontato.
Quella volta, i primi ad arrivare erano stati Marco e Izou. In realtà, nel caso di Marco, sarebbe sbagliato sostenere che era "arrivato" perché in realtà non si era mai mosso da quell'isola. Per concessione di Shanks, aveva stabilito la sua dimora all'interno dei territori da lui controllati, per custodire le tombe di Ace e Barbabianca.
Izou, al contrario, era tornato alla sua isola natale con la sua flotta, Wanonuki. Era un momento molto delicato per quel regno, attaccato dalla mire espansionistiche di Kaido, per cui Izou era preoccupato e aveva preso la visita alle tombe e ai suoi fratelli come una boccata d'aria fresca.
«Buongiorno, Marco» lo aveva salutato. Lui era seduto a terra, voltato verso le due tombe e aveva alzato la testa a guardarlo solo quando aveva sentito la sua voce.
«Buongiorno, Izou.»
Izou aveva appoggiato il suo mazzo di fiori a fianco di quello già presente, proprio in mezzo alle due lapidi, quindi si era accomodato al suo fianco, sistemando al meglio il suo elegante kimono.
«Come sta andando a Wano?»
«Non bene» ammise Izou.
«Kaido sa che abiti lì?»
«Non credo, ma comunque dubito gliene importerebbe molto.»
Marco annuì, ma aspettò che continuasse.
«Temo sia solo una questione di tempo» spiegò allora Izou. «Kaidou sta ampliando la sua sfera sempre più e, al momento, non c'è nessuno con abbastanza interesse a fermare le sue mire su Wano.»
«Forse qualcuno arriverà» disse Marco gentilmente. Con la testa fece un cenno al giornale che era stato appeso alla lapide di Ace, la prima pagina che chiaramente titolava sul ritorno di Cappello di Paglia e della sua ciurma dopo due anni di sparizione. Se c'era qualcosa di Marineford che avevano custodito con piacere, era stato proprio incontrare Rufy.
Izou, suo malgrado, non poté che sorridere al pensiero. E, indubbiamente, poteva benissimo vedere Rufy contrastare Kaido senza nemmeno pensarci. L'unica preoccupazione era se ne avesse avuto la forza, questa volta.
E fu in quel momento che notò la cassa, con sopra tre tazzine da sakè e una bottiglia vuota. «Gli altri sono già arrivati?»
«No» rispose Marco, con un sorriso. Aveva visto dove il suo sguardo si era posato. «Queste le ha portate il fratello di Ace.»
«Cappello di Paglia è stato qui?!»
Marco scosse la testa e ridacchiò fra sé. «No. Non Rufy.»
 
Ace aveva molti amici. In qualunque isola andasse riusciva a farsi benvolere da tutti - ad eccezione dei cuochi dei ristoranti, ovviamente.
Per questo motivo Marco non si era particolarmente stupido quando aveva visto quel ragazzo dai capelli biondi, a lui completamente sconosciuto, farsi strada lungo il sentiero costeggiato di spade per raggiungere la sua lapide, e poi crollare sulle ginocchia, piangendo. Sapeva già che la sua morte aveva intristito tutti coloro che lo conoscevano veramente.
No, quello che lo stupiva era altro. Innanzitutto, il fatto che quel ragazzo fosse davvero riuscito a raggiungere l'isola. Marco la sorvegliava perché temeva che i pirati avversari potessero sbarcarci quasi per sbaglio e profanare le tombe, ma sapeva che era un luogo difficile da trovare e per di più di proprietà di uno dei quattro Imperatori. Arrivarci significava non essere uno qualunque, ma Marco non ricordava di averlo visto in qualche avviso di taglia.
Inoltre, aver fatto tutta quella strada e tutta quella fatica solo per portare i propri rispetti sulla tomba indicava che Ace doveva essere, effettivamente, qualcuno che aveva una grande importanza nella sua vita. Cosa che, tra l'altro, era testimoniata a sufficienza dalle sue grida.
Marco aveva visto molte persone piangere per Ace e per il Babbo. Cavoli, lui era uno di quelle che aveva esaurito tutte le sue lacrime! Eppure, mentre osservava quel ragazzo da qualche metro di distanza, percepiva tutti i brividi di un dolore che pareva non avere fine. I singhiozzi erano alti e acuti, come il pianto di una gatta a cui il padrone ha ucciso i gattini. Lui era sulle ginocchia, la testa chinata in avanti quasi a toccare la terra, ma era indubbio che le sue guance fossero zuppe di lacrime.
Era uno spettacolo straziante, da macellaio, eppure Marco non riusciva a smettere di guardarlo. Continuava a chiedersi chi potesse essere quel ragazzo, che provava un dolore così troppo simile al suo, al punto da risvegliare sensazioni che sperava di aver in qualche modo nascosto in un recesso della sua mente.
Non sapeva dire quando la scena fosse durata, ma non distolse lo sguardo nemmeno per un attimo. Solo quando il ragazzo smise finalmente di singhiozzare, più perché aveva finito il fiato che per altro, si avvicinò, per vedere meglio che allungava una mano verso la lapide e la sfiorava, quasi con la paura di essere scottato.
«Posso offrirti qualcosa da bere?» gli domandò dolcemente. Sapeva bene quanto il piangere lasciasse distrutti fisicamente e psicologicamente.
Il ragazzo sobbalzò, evidentemente inconsapevole della sua presenza fino a quel momento, e si voltò verso di lui balzando in piedi, ma poi parve rilassarsi dopo essersi accorto di chi era, o del fatto che Marco fosse comunque a distanza, senza intenzioni ostili.
Lo fissò per un attimo, quindi annuì lentamente, solo dopo aver scoccato un'ultima occhiata alla lapide.
«Vieni con me.» Marco si voltò e riprese il sentiero, sentendo i passi del ragazzo che lo seguiva, seguendo il suo stesso ritmo, ma senza affiancarsi a lui.
Quella che era diventata la sua casa era in realtà una piccola casupola di legno nascosta in una delle insenature dell'isola, ma gli permetteva di essere abbastanza vicino al mare da ricordarsi quello che per lui aveva significato trascorrere così tanti anni a bordo della Moby Dick. Lo fece accomodare nell'unica stanza, che faceva da cucina, sala da pranzo e anche camera da letto, e gli offrì acqua e pane con salumi tratti da mostri marini, l'unica carne che riusciva a procurarsi in quella zona.
Il ragazzo non sembrò farci caso, ma bevve tutta l'acqua in quello che sembrò un unico sorso e poi divorò anche il resto ad una velocità che, di certo, avrebbe potuto far invidia ad Ace stesso.
Ciò diede a Marco il tempo di osservarlo meglio, più di quanto avesse potuto fare sulle lapidi, quando aveva ancora il viso rigato e reso irriconoscibile dalle lacrime. Era giovane, probabilmente attorno all'età di Ace, ma la grande cicatrice che aveva sul lato sinistro del viso contribuiva a dargli un aspetto più maturo, appena mitigato dai capelli biondi e ricci che gli ricadevano disordinatamente attorno.
Non è che Marco non fosse curioso di sapere chi fosse o, meglio, chi fosse per Ace. Era molto curioso, ma non gliel'avrebbe chiesto perché non era nella sua natura mostrare eccessivo interesse. Certo, si era fatto un paio di idee. Non voleva stare a fare una questione di scala del dolore, perché tutti avevano sofferto, ma quando aveva perso il Babbo e Ace non aveva perso solo un padre e un fratello. Sentiva di comprendere gli altri, ma di essere fuori della loro comprensione.
Quando aveva visto quel ragazzo piangere, ecco, aveva avuto l'impressione che provasse il suo stesso tipo di dolore e si era terrorizzato della sua stessa gelosia. Avevano perso entrambi una persona che amavano, non c'erano vincitori in quella gara.
«Grazie.» Finalmente lo sentì parlare, una volta che ebbe ripreso fiato ed ebbe finito di mangiare. Aveva gli occhi rossi e gonfi, ma pareva essersi ristabilito mentalmente. «Marco la Fenice... è un piacere conoscerti, anche se avrei preferito altre circostanze.» Aveva un sorriso melanconico e parlava in tono molto dolce, elegante. Allungò una mano verso di lui. «Sono Sabo.»
Marco ricambiò il saluto, con perplessità. Dal tono con cui aveva parlato, era chiaro che si aspettava di essere conosciuto, riconosciuto. Invece, che Marco ricordasse, non aveva mai sentito Ace nominarlo, per lo meno non così spesso da apparire rilevante anche per lui.
I suoi dubbi dovettero essere chiara sul suo viso, perché Sabo ritirò la mano e commentò: «Non hai idea di chi io sia, vero?»
«No, mi dispiace.»
Sabo scosse appena la testa. «Suppongo di essermelo meritato.»
«Perché?» non poté trattenersi dal chiedere Marco, pentendosi subito dopo della sua curiosità, anche se Sabo sembrò non farci caso.
«Non ero a Marineford» fu la semplice risposta.
«Molti degli amici di Ace non c'erano» disse Marco. «E lui non era nemmeno molto felice che ci fossimo andati noi. Per quanto vale, credo che fosse felice di saperti al sicuro.»
«Avrei dovuto essere lì.» Sabo scosse la testa e Marco pensò che non c'era altro che potesse dire. In fondo, lui c'era. Non aveva potuto fare nulla per Ace, ma c'era, perché non avrebbe potuto essere da nessun'altra parte. Non sapeva per quale motivo Sabo non ci fosse stato, ma era chiaro che la pensava esattamente come lui.
«Ace aveva un sacco di amici» disse allora, facendo passare Sabo da uno sguardo sorpreso ad uno sorriso sincero. «Parlava di loro, ma ne aveva davvero troppi.»
«Già, be', io sono un po' più che un amico.» Era chiaro che Marco non riusciva bene a trovare un modo per consolarlo, anzi, finiva per provare solamente delle fitte di gelosia lui stesso. «Ma, di nuovo, non so nemmeno se me lo merito ancora.»
«Ace non amava parlare dei miei ex, quindi immagino che non parlasse nemmeno dei suoi.» Supponendo che fosse un ex. Supponendo che potesse considerare quello che c'era fra lui e Ace una cosa seria.
«Tu e Ace...?» Sabo lo fissò, per prendersi il tempo di processare la cosa dopo il cenno positivo, ma poi sembrò capire al meglio le implicazioni. «Pensi che sia un suo ex?»
Marco allargò le braccia. Non era da lui fare ipotesi basate su così poco, ma davvero non gli veniva in mente nient'altro, nessun altro che avrebbe potuto essere così importante per Ace come la sua ciurma o suo fratello. Ed era proprio lì che si nascondeva il suo errore.
Sabo si lasciò andare a una risata, per la prima volta con una nota di divertimento, e scosse la testa. «Sono suo fratello» rivelò infine.
E, in quel momento, Marco ebbe la rivelazione del secolo. Sì, Ace l'aveva nominato, una volta. Ma gliene aveva parlato in un modo e in una maniera, che difficilmente aveva potuto collegarlo a quel ragazzo biondo che adesso aveva di fronte. Si maledì mentalmente per non esserci arrivato prima, ma era qualcosa che Ace stesso preferiva dimenticare, per il rimorso.
«Dovresti essere morto...»
Sabo abbassò lo sguardo. «Vero? Non faccio che ripetermelo...»
«No. Non volevo dire quello» lo corresse immediatamente Marco. «Voglio dire... Ace pensava che fossi morto. Ace mi ha detto che eri morto dieci anni fa.»
«Cosa?» Non c'era modo di definire l'espressione incredula sul suo volto.
«Me ne ha parlato solo una volta, perché gli faceva male ripensarci» spiegò allora Marco. «Ma quella s sbarrata sul suo braccio... Non era un errore, era un ricordo. Non c'è un momento in cui avrebbe potuto pensare che eri morto...?» Ovviamente, Marco non aveva dubbi di avere davanti il vero Sabo: nessuno avrebbe potuto fingere quel pianto.
Gli occhi di Sabo si spalancarono sempre di più, nella consapevolezza di quello che probabilmente era accaduto. «Ace credeva che fossi morto... per tutto questo tempo...» E se i singhiozzi in precedenza erano stati qualcosa di acuto, pugnalate psicologiche nel cuore, quello che si sentì adesso era ancora peggio.
Era il rumore del cuore di Sabo che si spezzava in mille pezzi.
Marco pensò ad Ace, che aveva vissuto tutta la sua vita nel rimorso di quello che gli era successo, e che era morto in quella situazione, e ora aveva davanti Sabo, che avrebbe preso quella terribile eredità e se la sarebbe portata come un macigno sulla schiena nel tempo a venire.
D'istinto, lo strinse fra le braccia, e non sapeva dire se lo stava facendo per lui o, metaforicamente, per il ricordo di Ace a cui avrebbe voluto dire quello che aveva ancora scoperto. Sabo non sembrò nemmeno accorgersene, tutto preso dal suo dolore, al punto che Marco non fu più in grado di sopportarlo.
Con un pugno ben assestato, gli fece perdere i sensi e poi lo adagiò lentamente sul futon che solitamente usava per come letto. Nonostante ciò, l'espressione di dolore non aveva lasciato il viso di Sabo e, Marco ne era certo, sarebbe stato difficile da superare.
Ora capiva ancora meglio perché ci fosse quell'insistenza su Marineford. Marco ricordò che Ace gli aveva detto di rimpiangere di non essere andato a salvare Sabo quando poteva farlo, e ora era successa la stessa cosa anche a Sabo. Qualunque cosa potesse dire, qualunque motivo serio avesse avuto per non essere presente, non cambiava il risultato.
Marco lo lasciò a riposarsi, anche se aveva la certezza che non sarebbe stato affatto un riposo, e uscì, accomodandosi su una roccia che guardava verso l'oceano, ad attendere l'alba. Era abituato a dormire poco, dato che sulla Moby Dick si occupava di così tante cose che raramente bastavano ventiquattro ore; inoltre, il suo frutto evidentemente lo aiutava a resistere alla mancanza di sonno.
In quel caso, provava troppe emozioni per riuscire a contenerle tutte e a riuscire a riposarsi. Era stato felice di conoscere l'altro fratello di Ace, così come gli aveva fatto piacere conoscere Rufy, anche se avrebbe preferito altre circostanze. Ma ciò che era successo fra Sabo e Ace era così tremendo, così insopportabile, da rivaleggiare con il suo stesso dolore. Non che volesse davvero stabilire una classifica, ovvio, ma era più tremendo esserci e non poter far altro che veder morire qualcuno che si ama, o non esserci e scoprire tempo dopo che si era creduti morti?
Non c'era una risposta ad una domanda simile, per cui Marco rimase a fissare l'orizzonte, cercando di affondarla in quelle profondità marine prima che lo tormentasse in eterno. Inutilmente, ovviamente. Anche lui aveva il suo macigno sulla schiena.
Fu solo Sabo, svegliatosi, che riuscì almeno a distrarlo un attimo da quei pensieri.
«Mi hai colpito.» Il tono in cui l'aveva detto non era arrabbiato, ma aveva uno sguardo strano, sotto la tesa del suo cappello a cilindro, una tristezza mascherata da rabbia che lo rendeva pericoloso.
Marco annuì, ma prima che potesse spiegarne il motivo, dovette spostarsi di lato per evitare l'attacco di Sabo, che fece in mille pezzi la roccia su cui era seduto un attimo prima. Non che la cosa fosse così sorprendente, considerando chi erano i suoi fratelli.
Marco non combatteva da parecchio tempo, né aveva voglia di farlo, specialmente con Sabo, per cui inizialmente si limitò a cercare di evitare i suoi colpi. Non che fosse facile, perché Sabo dimostrava di essere uno che sapeva il fatto suo.
Ma era chiaro che c'era una disperazione nel modo in cui combatteva, che non era sfuggita a Marco. Era come se si sentisse, per qualche motivo, in dovere di attaccarlo, in dovere di ferirlo e di essere ferito, ma senza senso. Era una furia cieca, anzi, forse non era nemmeno furia.
«Perché?» gli domandò Marco. Aveva trovato un'apertura in quella sequenza di attacchi e ne aveva approfittato, colpendo Sabo con un calcio in pieno petto, che l'aveva fatto precipitare a terra. «Perché stai combattendo?» E poi si diede la risposta da solo, perché gli fu chiaro che era come se gli avesse permesso di colpirlo. «Perché vuoi essere ferito?»
Sabo era rimasto a terra, poi aveva alzato le mani per stringersi il volto, con le lacrime che avevano ripreso ad uscire. «Se Ace fosse qui...» singhiozzò. «Se fosse qui... Mi meriterei tutte le botte che volesse darmi.» Per non essere stato a Marineford, per non aver pensato di contattarlo prima, per tutto. Ma Ace non c'era più.
Marco sorrise dolcemente. «Sì, posso immaginare Ace prenderti a pugni» commentò. «Ma posso anche vederlo poi scoppiare a piangere e abbracciarti ed essere felice. Perché non si è mai perdonato per quello che è successo e ritrovarti... Sarebbe stata la sua seconda possibilità.»
Una seconda possibilità che era stata negata a entrambi. Sabo singhiozzò ancora più forte, ma non fece segno di alzarsi né di voler continuare a combattere.
«Raccontami di Ace.» Marco si sedette al suo fianco, con le gambe incrociate.
«Perché?»
«Perché ci sono delle cose che non so e sentire cose nuove su di lui farà sembrare che sia ancora vivo. E chi meglio di te potrebbe raccontarmele?»
Passarono alcuni minuti interminabili, prima che Sabo si alzasse e si asciugasse il moccio con la manica della sua giacca. «Vale anche per te» commentò, ricacciando il singhiozzo che aveva in gola. «Sono tre anni di Ace di cui non so nulla.»
«Oh, di cose da dire ne ho.» Marco si lasciò sfuggire un sorriso al ricordo. «Chi inizia?»
 
E c'erano stati molti racconti, fra di loro, diluiti nel tempo per conservare il più possibile il ricordo di quella persona che, per un motivo o per l'altro, aveva toccato le loro vite in maniera che non potevano scordare. Ultima era stata proprio l'occasione, per Sabo, di portare con sé il giornale con la notizia su Rufy: ovvio che Ace volesse saperlo subito.
Izou lo stava guardando con gli occhi spalancati. Ace non aveva raccontato a tutti di Sabo, per cui era ovvio che lo sconvolgesse l'idea che ci fosse un altro fratello. A pensarci bene, era divertente. Marco non si trattenne dal ridacchiare apertamente, però poi voltò lo sguardo e allungò la mano verso la lapide, sfiorandola con le dita.
C'era stato un momento in cui si era sentito quasi geloso di Sabo, quasi geloso del suo dolore. Il che era idiota - soprattutto da uno che si definiva il più maturo della ciurma - perché era un dolore praticamente identico, ma si era sentito strano al sapere che Ace avesse avuto un'altra persona così importante. Del Babbo e di Rufy se lo aspettava, Sabo era spuntato improvvisamente a sconvolgerlo.
Era durato un attimo, però.
I racconti che si erano scambiati, le risate intervallate dai lunghi silenzi che ricordavano loro quello che avevano perso, tutto aveva contribuito ad avvicinarli. D'altronde, erano davvero i due biondi della vita di Ace.

***

Akemichan parla senza coerenza:
Volevo scrivere di un ipotetico incontro tra Sabo e Marco da tempo e finalmente ce l'ho fatta XD Non credo sarò tanto fortunata da vedere una scena simile nel manga (mentre mi aspetto un incontro fra Marco e Rufy) e quindi devo rimediare come posso. Scusate, non sono riuscita a resistere a mettere un piccolo riferimento Marco/Ace e lo stesso titolo è un riferimento alle mie due OTP con Ace XD
La storia prende ovviamente spunto dalla cover del manga, ma mi sono anche basata, per la sua struttura, nel fatto che le due volte che vediamo "inquadrate" le tombe di Ace e Barbabianca, ci sono delle leggere differenze, come se dopo Sabo e le sue tazze ci fosse stato qualcun altro. Non è detto che si sia trattato dei pirati di Barbabianca, ma qui ho deciso di immaginarmelo in questa maniera (e forse è anche la mia speranza di rivederli presto).
Spero che la storia vi sia piaciuta.
Come al solito, mi trovate su twitter, su tumblr, su facebook, sul mio blog e su ask

 
   
 
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