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Autore: RiverWood    27/06/2015    2 recensioni
"Da quando sono nata mi sveglio ogni giorno in un corpo diverso. Per un giorno, solo per uno, prendo in prestito la vita di qualcun altro. Nuova famiglia, nuovi amici, nuova casa e nuova scuola. La mia vita? Quella non esiste. E' una mera illusione cui ho smesso di credere."
Quando però, L, conosce Camila, tornare a vagare nella propria esistenza diventa impossibile. Per la prima volta scopre cos'è l'amore e cerca di combattere la propria condizione; e Camila a sua volta s'innamora della profondità dell'anima di L.
L'unica cosa che non sparisce dopo ogni giorno, l'unica cosa che resta sempre la stessa.
Nel tentativo di poter stabilire un contatto con lei, L inizia a lasciare frammenti del suo passaggio nella vita degli altri.
Un lusso che non si è mai potuta permettere e a qualcuno non passa inosservata...
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Camila Cabello, Lauren Jauregui
Note: AU, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1.2
 
Camila è ancora con me. Alcuni dei suoi particolari di questa mattina, intendo. Molti invece derivano dalla memoria di Austin. Piccole cose, come la piega naturale dei suoi capelli, quel modo di torturarsi le unghie, la sua voce carica di arrendevolezza e determinazione al tempo stesso.
Altri dettagli casuali.
La vedo ballare con il nonno di Austin, che aveva chiesto di poter danzare con una bella ragazza; la vedo coprirsi gli occhi durante un film dell’orrore e sbirciare attraverso gli anfratti delle dita per godersi comunque i brividi della paura.
Sono i ricordi belli, appuro. Non voglio guardare gli altri.
Prima dell’ora di pranzo riesco ad incrociarla soltanto una volta ed è un incontro frettoloso in corridoio. Lei si avvicina, io mi ritrovo a sorriderle, Camila ricambia e abbassa appena lo sguardo.
Semplice e complicato, come gran parte delle cose vere.
Mi trovo a desiderare di vederla alla fine di ognuna delle ore successive e sento di non essere davvero padrona dei miei istinti.
Voglio vederla. Semplice e complicato.
 
A metà giornata sono esausta, vuoi per colpa del poco riposo di Austin, vuoi perché i pensieri che affollano la mia mente non mi danno pace.
Aspetto Camila all’armadietto e sento suonare la campanella due volte.
Lei non c’è. Forse non era esattamente questo il luogo dell’appuntamento. Forse Austin l’ha dimenticato e neanche accedere in lui mi servirebbe.
Ma quando ormai sono sul punto di rinunciare, è lei a trovarmi, dev’essere abituata alla sbadataggine del suo ragazzo.
 
Camila si avvicina più di quanto non abbia fatto la prima volta.
 
<< Ehi >> dico.
<< Ehi >> ripete lei.
 
Mi studia come se fosse in attesa di qualcosa ed è lì che capisco: è Austin a prendere l’iniziativa, lui a decidere per entrambi, lui a saper sempre cosa fare.
Non riesco a fare a meno di pensar che sia altamente deprimente. L’ho visto succedere troppe volte, davvero.
La devozione incondizionata verso quella persona, perché non possiamo farci nulla, è vero… tollerare la paura di essere con la persona sbagliata per non affrontare quella di essere soli.
Una speranza colorata dal dubbio e viceversa.
 
Nonostante riconoscere un simile sentimento sul viso di qualcuno mi sconforti, i lineamenti di Camila non comunicano semplice delusione. Riescono anche a trasmettere dolcezza, una di quelle che Austin non arriverà mai a cogliere e apprezzare.
Per me si riflette come acqua limpida, ma nessun altro sembra notarla.
 
La frazione di tempo di posare i libri nell’armadietto e le vado incontro, le appoggio la mano con delicatezza sul braccio. Non sto riflettendo sulle mie azioni, mi limito ad eseguire ciò che gli impulsi comandano.
 
<< Andiamo da qualche parte. Dove hai voglia di andare? >> chiedo improvvisamente dal nulla.
 
Sono abbastanza vicina da notare che Camila ha gli occhi color del cioccolato intenso e sono ipnotici; abbastanza vicina da rendermi conto che nessuno si avvicina mai abbastanza da notarlo.
 
<< Non lo so >> risponde incerta.
 
La prendo per mano.
 
<< Andiamo via da qui >> replico.
 
Adesso non sono irrequieta o tormentata da pensieri: adesso sono solo avventata.
Camminiamo mano nella mano, poi corriamo, ci abbandoniamo alla sensazione vertiginosa di tenere ilPASSO dell’altro. Il mondo attorno a noi non è altro che una ripetizione d’immagini fuori fuoco.
Lasciamo i libri di Camila nel suo armadietto e continuiamo a correre, è solo una breve pausa.
Finalmente la sento ridere per la prima volta, c’è allegria in quel suono e ho immediatamente voglia di sentirlo ancora.
Fuori la giornata è calda e il sole ci picchia addosso riscaldandoci. Respiriamo a pieni polmoni e tutto sembra meno opprimente.
Saliamo a bordo dell’auto di Austin ed è in quel momento che inizio ad infrangere tutte le regole, partendo dalla chiave inserita nel quadro di accensione.
 
<< Dico davvero Camz, dove ti piacerebbe andare? >> domando di nuovo.
 
Non mi accorgo nemmeno di aver utilizzato un diminutivo, ma Camila lo fa. Mi guarda con sorpresa negli occhi e mi studia per qualche secondo, so che sta cercando di cogliere cosa ci sia di diverso, da dove provenga questo mio comportamento improvviso.
Il punto è proprio questo: è mio. Non di Austin. Mio.
Mi mordo il labbro inferiore e mi ritrovo a pensare quanto tutto dipenda dalla sua risposta: se dicesse, andiamo al centro commerciale o portami a casa tua o, ancora, che non vorrebbe perdere la lezione della sesta ora, mi disconnetterei all’istante.
Non è la prima volta che mi capita di sbagliare nella considerazione di una persona, ma percepisco anche quanto sarei irrimediabilmente dispiaciuta se Camila si dimostrasse tale.
 
Lei scrolla le spalle e distende le labbra in un sorriso sincero.
 
<< All’oceano. Portami all’oceano >> risponde dopo quella che sembra un’eternità.
 
Eccola la connessione che aspettavo tra di noi.
 
Impieghiamo un’ora per arrivare e nel frattempo ci godiamo semplicemente il panorama nei dintorni, è quasi autunno ormai.
Lascio che sia Camila ad occuparsi della radio e nuovamente la mia libertà concessa le appare nuova. Non voglio davvero riascoltare nemmeno per un attimo la pessima stazione preferita di Austin, e ho la sensazione che per Camila sia una gratificazione altrettanto grande.
La melodia inizia piano ed è una canzone che conosco. Canticchio sottovoce.
 
“Mom and dad, did you search for me?
I’ve been up here so long I’m going crazy!”
 
Camila passa dalla sorpresa al sospetto. Oh. Austin non canta mai.
 
<< Che ti prende? >> chiede osservandomi a lungo.
<< È la musica >> le rispondo, perché davvero, anche volendo, che altra risposta potrei dare?
<< Oh >>.
<< Dico davvero >> cerco di essere più convincente.
 
Sento il suo sguardo scavare sulla mia pelle, poi mi sorride ancora. È così bello vederla sorridere, con gli occhi che si assottigliano sotto le palpebre e l’espressione rilassata. Vorrei che Austin potesse rendersene conto in questo momento, vorrei che la sensazione di guardare Camila sorridere s’imprimesse in lui. Vorrei che la facesse sorridere più spesso.
Me ne ricorderei di qualcosa di simile, ma nella memoria di Austin sembra non esserci traccia.
 
<< Se lo dici tu >> commenta, prima di cambiare stazione trovare un’altra canzone.
 
Questa la conosciamo entrambi, e presto ci ritroviamo a cantare a squarciagola con i finestrini abbassati e il vento che ci scompiglia i capelli.
Ogni tensione semplicemente si rilassa. Camila smette di pensare a quanto sia strano questo momento e si concede piuttosto di farne parte.
Voglio davvero regalarle una bella giornata, solo una bella giornata.
Per la prima volta dopo tempo avverto la sensazione di avere uno scopo, è fugace e magari effimera, ma la sento: Camila. Questo è il mio scopo.
Ho a disposizione una sola giornata, perché non renderla memorabile? Perché non condividerla con lei? Perché non lasciarmi rapire dalla musica e vedere quanto un attimo può essere realmente lungo?
Il vento che ci investe ci da la sensazione che l’auto non esista: noi siamo la velocità, noi siamo questa stessa corsa.
Quando parte un’altra canzone, afferro con delicatezza la mano di Camila. Il contatto mi dona tranquillità ed è piacevole; continuo a guidare così per diverse miglia, ponendole qualche domanda di tanto in tanto. Come stanno i suoi, come va la sua sorellina più piccola a scuola, cosa ne pensa lei in proposito.
Spesso le sue risposte sono vaghe, ma non appena qualche secondo dopo inizia ad articolarle meglio.
Mi dice che vorrebbe finire presto il liceo e al tempo stesso la prospettiva del college futuro un po’ la spaventa. Mi chiede come la vedo io e mi limito a stringermi nelle spalle.
 
<< Ho deciso che è meglio vivere semplicemente giorno per giorno >> ed è la verità. Meglio, l’unica verità che posso concedermi.
 
Riprendiamo a cantare e siamo attraversati dallo stesso senso di abbandono, senza fare troppo caso alle note o alle parole giuste. Siamo noi. Il mondo, adesso, siamo noi. Ci guardiamo diverse volte lungo il tragitto e scopro che anche questa è una forma di conversazione: gli occhi di Camila riescono a dirmi così tanto. Puoi capire molto su di una persona dal modo in cui canta, in cui ti guarda, in cui racconta le sue storie.
 
Camila intreccia le sue dita con le mie non appena nota la mia mano posata sul cambio e mi spiega la strada per arrivare all’oceano; lei sembra quasi sentirlo quel richiamo.
 
Parcheggiamo e ci incamminiamo verso la spiaggia. Non è estate, né un weekend e nessun altro ci sta andando, così ci ritroviamo presto immersi nella sabbia.
 
Stamattina, quando ci siamo incontrati, Camila sembrava nervosa, sulle spine, mentre adesso sembra muoversi su un territorio più tranquillo, più suo, più accogliente.
So di star correndo un grosso pericolo; è palese che Austin non si comporti nel migliore dei modi con lei. Se accedo ai brutti ricordi, quelli che ho tentato di relegare in un angolo lontano per tutta la mattinata, posso vedere lacrime, litigi e qualche momento decente.
Lei è sempre stata lì per lui e Austin lo apprezza, così come apprezza che Camila piaccia ai suoi amici, alla sua famiglia. Ma non si tratta di amore, nemmeno una minima traccia.
Camila è rimasta aggrappata alla speranza tanto a lungo da non accorgersi che ormai c’è ben poco in cui sperare.
È come se insieme non condividessero momenti o silenzi, soltanto chiasso e freneticità. In particolare quelli di Austin; e se mi sforzassi, potrei scendere in profondità nelle loro discussioni da disseppellire i frammenti che Austin ha collezionato dopo averla ridotta in pezzi molte volte.
Io non sono lui, so bene che lei non è a conoscenza di questo, ma non sono Austin. Non sopporterei di gridarle in faccia che in lei c’è qualcosa che non va, di distruggerla, di rimetterla a posto. Non ci riuscirei proprio.
 
<< Divertiamoci e basta >> esordisco.
<< Andata >> replica lei. << Non sai quante volte ho desiderato farlo >>.
<< Sgattaiolare via dalla scuola senza che nessuno ti vedesse? >> domando scherzosa.
<< No, scemo >> mi tira un pugno debole sulla spalla. << Desiderato di scappare… e finalmente lo sto facendo. Per un giorno non sto guardando le cose al di là del vetro ma ci sto correndo in contro >>.
 
C’è molto di lei che vorrei ancora sapere e mentre continuiamo a parlare ho anche la sensazione che Camila abbia qualcosa che conosco già, e quando capirò di che cosa si tratta, allora io e lei ci rincontreremo. Ci riconosceremo. Lo so.
Ci siamo sfilate le scarpe e mentre mi chino per arrotolare un po’ i jeans, con i piedi nudi immersi nella sabbia, Camila scappa via.
Sollevo lo sguardo di scatto, preoccupata da quel movimento improvviso e la vedo più lontana che scalcia la sabbia, ride e mi fa cenno di raggiungerla.
Camila è così felice in questo istante che non posso fare a meno di fermarmi e ammirarla ancora e ancora. Cerco di impormi di ricordare. Di non dimenticarla. Voglio poterlo testimoniare.
 
<< Avanti, vieni! >> grida.
 
Non sono chi credi che io sia, vorrei dirgli. Davvero. Ma come posso dirglielo? Come potrei anche solo spiegarglielo? È ovvio che non ci sia un modo.
 
La spiaggia è tutta per noi, così anche l’oceano è tutto per noi. Lei è tutta per me ed io sono tutta per lei.
Insieme ritroviamo quella parte infantile celata in noi, mentre corriamo sulla battigia con il primo schiaffo d’acqua gelida contro le caviglie, per poi tuffare le mani in acqua e raccogliere delle conchiglie prima che la corrente le trascini via con sé.
Io e Camila stiamo esplorando questo nuovo mondoPASSO dopoPASSO, come rinchiuse in una bolla. Allarghiamo le braccia come se volessimo acchiappare il vento. Camila mi schizza per gioco ed io la ricambio allo stesso modo. Pantaloni e magliette sono più bagnati che asciutti, ma non importa. Non abbiamo alcun pensiero a preoccuparci.
Vuole che l’aiuti a costruire un castello di sabbia, quando mi inginocchio affondando nel manto umido, mi racconta di lei e della sorellina più piccola, Sofia; al mare insieme fanno sempre tantissimi castelli di sabbia, ma Sofi prega Camila di renderli sempre più alti, come se fossero le vere dimore delle principesse con cui ama giocare, e Camila l’accontenta, salvo poi trovarsi ricoperta di sabbia quando quelli crollano. Ma anche in quel frangente non le importa.
Colgo un eco della vita passata di Camila, mentre vedo le sue mani schiudersi piano facendo affiorare le torrette.
Nei miei ricordi non c’è traccia di castelli di sabbia ma la mia memoria deve conservarne una vaga idea, perché ho la netta impressione di sapere come farne uno.
 
Dopo aver finito, torniamo all'oceano per risciacquarci le mani, le nostre impronte che si fondono sulla riva come se fossero una sola.
 
<< Che succede? >> Camila nota la mia espressione persa.
 
Come posso spigarglielo? Forse c'è un modo. Un unico modo per dirglielo.
 
<< Grazie >>.
 
Mi fissa colta di sorpresa, come se per la prima volta sentisse questa parola.
 
<< Grazie per cosa? >> domanda.
<< Per tutto questo >> faccio un cenno a tutto ciò che ci circonda.
 
“Grazie per la fuga, per le onde, per il mare, per te.” Continuo a ripetermi nella mente.
È come se avessimo fatto unPASSO fuori dal tempo, come se potessimo sfiorare una dimensione che probabilmente non esiste davvero.
 
Una parte di Camila resta in attesa ed esita, come se si aspettasse che da un istante all'altro questo nostro momento si rovini e la nota felice sparisca dalla giornata.
 
Lo noto e non posso fare a meno di avvicinarmi a lei e sorridere.
 
<< Tranquilla. Va bene essere felici >>.
 
I suoi occhi diventano lucidi e la vedo trattenere le lacrime. La stringo tra le braccia. È una sensazione meravigliosa. È la peggiore e la migliore al tempo stesso.
So che la mia felicità è sempre così effimera che nel mio vocabolario non c'è traccia di questa parola.
 
<< Sono felice >> mormora lei contro il mio petto << Davvero >>.
 
Austin non si sarebbe spinto fino a tanto. Austin probabilmente l'avrebbe schernita tutto il tempo vedendola correre e giocare come una bambina.
Ma io non sono lui. Ne ho abbastanza di non provare emozioni, voglio un contatto tra di noi. Voglio poter essere qui con lei e voglio incarnare, almeno per un giorno, un ragazzo all'altezza delle sue aspettative. Qualcuno che la meriti davvero.
 
<< Guarda >> le dico indicando la distesa azzurra e immensa davanti a noi. << È come se l'oceano stesse suonando una sua musica e il vento stesse mettendo in piedi una danza, per me e per te. Stiamo prendendo parte allo spettacolo >>.
 
Fa per aprire bocca ma le poso un dito sulle labbra.
 
<< Shhh. Non chiederlo >>.
 
Si alza appena sulle punte e prima che possa rendermene conto, mi bacia. Erano anni che non mi concedevo un bacio. Di solito non permetto mai a qualcuno di avvicinarmi così tanto, ma lei è qui ed io sono qui.
Ricambio il bacio con lentezza. Le labbra di Camila sono morbide e delicate come i petali di un fiore, tuttavia sono capaci di un'intensità travolgente.
Lascio che ogni attimo si riversi nel successivo e assaporo la sua pelle e bevo il suo respiro.
Lei tiene gli occhi chiusi, inebriata dal nostro contatto; io li tengo aperti e indugio su ogni particolare del suo viso. Voglio ricordare tutto, voglio l'esperienza per intero. Questa volta non mi basta una singola sensazione.
 
È un bacio. Niente di più, niente di meno.
Camila sembra volersi spingere più avanti, ma io non voglio, così faccio correre le dita lungo il profilo delle sue spalle e lei mi accarezza lungo la schiena. Passo a baciarle il collo con delicatezza, senza lasciare alcun segno su di lei. Lei mi bacia appena sotto il lobo. Non appena ci stacchiamo, ci sorridiamo.
Camila dovrebbe essere a lezione d'inglese ed io di biologia. L'oceano non era affatto previsto. Ci siamo ribellati alla routine che ci aspettava.
 
Iniziamo di nuovo a camminare mano nella mano, i piedi affondati nella sabbia e il sole che lentamente si abbassa nel cielo. Sono così grata di tutto questo. Non potrei desiderare di meglio.
 
<< Dovremmo farlo ogni lunedì e martedì e mercoledì e giovedì e venerdì >> dice lei preda all'entusiasmo.
<< Così finiremmo per annoiarci poi... è più bello una volta sola >> ridacchio.
<< Quindi non lo rifaremo più? >> mette su un broncio adorabilissimo e ho nuovamente voglia di baciarla.
<< Beh, mai dire mai >> scrollo le spalle.
<< Io mai non lo dico mai >>.
 
Non siamo più le uniche persone in spiaggia, alcune coppie di anziani arrivano per fare una passeggiata pomeridiana. Ci guardano, ci sorridono ma non dicono nulla. Non chiedono perché siamo lì o perché non siamo a scuola. E per un momento mi chiedo cosa potrei mai provare ad essere per un giorno nel corpo di uno di loro. Sono soddisfatti della loro vita? Avranno ricordi più belli che brutti o viceversa? Guarderanno ancora la moglie o il marito con gli stessi occhi e proveranno lo stesso amore? I sentimenti degli altri non mi appartengono, non credo che potrò mai saperlo davvero.
 
Il sole cala e inizia a fare freddo, Camila abbandona la mia mano e si strofina le braccia. Corro in macchina e recupero una coperta posata nel bagagliaio di Austin; ho l'impressione di sapere bene a cosa serva e perché la tenga lì, ma non accedo alla sua mente per rievocare ricordi in particolare.
Torno alla spiaggia e Camila si distende accanto a me. La coperta su di noi e il viso rivolto al cielo.
Osserviamo le nuvole indicando le forme buffe che assumono e riesco a sentire il respiro che ci separa. Uno solo. Ce ne riempiamo i polmoni.
 
<< È una delle giornate più belle che abbiamo passato >> spezza il silenzio lei, dopo qualche minuto.
<< Raccontami di altre giornate così >> le chiedo ritrovando la sua mano tra le mie.
<< Non saprei... >>.
<< Avanti, soltanto una. La prima che ti salta in mente >>.
 
Lei scuote il capo però sorride.
 
<< È buffa e alquanto imbarazzante anche >>.
<< Non importa >>.
 
Sembra soppesare l'idea per qualche momento mentre con la mano libera disegna dei cerchi sul mio petto.
 
<< D'accordo, ma devi promettermi che non riderai, okay? >>.
<< Prometto >>.
 
Quando sembra convinta della mia sincerità, annuisce.
 
<< Ero in terza elementare ed era l'ora di pranzo, stavo in mensa con tutti i miei compagni e seduto al mio stesso tavolo, c'era il bimbo per cui avevo una cotta. Io e i miei amici dall'altro lato stavamo giocando a “obbligo o verità” e una mia amica, quando scelsi obbligo, mi disse di frullare insieme i piselli, le carote e la carne che avevo nel vassoio, per poi berlo in una sola volta >>.
 
Aggrotto la fronte.
 
<< Sono sicuro che dev'essere stata la cosa più buona che tu abbia mai assaggiato >>.
 
Mi da un buffetto sulla guancia.
 
<< Se parli di nuovo, smetto di raccontartelo >> mi minaccia scherzosamente con l'indice puntato.
 
Mi alzo di scatto e catturo la sua mano tra le labbra posandovi un bacio sul palmo aperto.
 
<< Continua >> la incito.
<< Beh... l'ho fatto. Voglio dire, ho messo insieme tutte quelle cose, le ho frullate e le ho bevute... per poi vomitare di fronte a tutta la mensa e, soprattutto, di fronte alla mia cotta >>.
 
Mi mordo con forza il labbro inferiore pur di non scoppiare a ridere, ma Camila lo nota e mi schiaffeggia piano, fintamente offesa.
 
<< Ecco. Lo sapevo che avresti riso >>.
<< Non sto ridendo >>.
<< Stai per implodere o giù di lì se non lo fai >>.
 
È in quel momento che scoppio a ridere di gusto. Rido fino a sentire i polmoni che bruciano per la mancanza d'aria. Camila sospira rassegnata e so che non è arrabbiata, anche dopo aver infranto la “promessa”.
Ma non sto semplicemente ridendo per ciò che ha detto, lo sto facendo perché nessuno prima d'ora mi ha mai raccontato una storia. È una sensazione magnifica. Di regola mi limito a scoprirle da sola, quando capita, perché so che se qualcuno racconta una storia, lo fa perché vuole che essa sia ricordata. Ed io non posso offrire una simile garanzia, non posso sapere se una storia rimarrà nel corpo della persona che mi ospita, una volta abbandonato.
Lasciare che qualcuno si fidi a tal punto e poi vedere quella fiducia tradita è davvero crudele. Non posso assumermi una responsabilità di questo tipo, in genere. In genere. Ma Camila è semplicemente irresistibile.
 
Quando le mie risate si placano, lei ha la testa poggiata sul mio petto e l'espressione rilassata.
 
<< Tuttavia la consideri una delle tue giornate più belle, uhm? >>.
 
Annuisce.
 
<< Quando sono corsa in bagno non piangevo, ma avevo gli occhi gonfi di lacrime. Sapevo di aver deciso da sola di compiere quell'azione ma è stato decisamente umiliante; ad un certo punto, dalla porta del bagno, è spuntata Dinah. Mi ha aiutata a ripulirmi e tutto il resto, non ha esitato nemmeno un secondo, è da quel momento che siamo diventate inseparabili. Siamo sempre state l'una al fianco dell'altra >>.
 
Dinah. Dinah... questo nome mi ricorda qualcosa. Accedo alla memoria di Austin e scopro che la conosce. Superficialmente certo. Sa soltanto che è la migliore amica della sua ragazza e ha passato con lei alcuni momenti, ma la presenza di Dinah nella mente di Austin è fugace, quasi fosse un volto come tanti, solo un po' più conosciuto.
Mi scopro quasi a detestare la superficialità di questo ragazzo. Qualcosa che a Camila non appartiene affatto.
Poi mi ritrovo anche a pensare che uno dei motivi per cui non rivelo mai la mia presenza in un corpo è proprio questo: mettiamo il caso che la persona in questione mi creda, mettiamo che inizi a pensare quanto sia figo parlarne alla sua migliore amica o il suo migliore amico, mettiamo che lui o lei inizi a pensare che l'altro è pazzo – nella migliore delle ipotesi -, nella peggiore, la storia inizia a fare il giro della scuola, passando di bocca in bocca e arricchendosi di particolari per lo più non veri.
Caos. Caos. Caos.
No. Decisamente non posso parlarne.
 
Resto confinata nel mio spazio, e davvero, mi basta.
 
<< Non riesco a credere di avertelo raccontato >> dice, incredula di se stessa.
<< Perché? >>.
<< Perché è... ridicolo. È una storia che probabilmente dovrei evitare di dire in giro >>.
<< Non l'hai raccontata in giro, l'hai raccontata a me. È una bella storia >>.
<< E tu? Cosa racconti tu? >> mi chiede.
<< Beh ecco... nella mia umile e modesta vita, non ho mai vomitato di fronte alla mia cotta delle elementari >> rispondo ironicamente.
<< Dai, raccontami una giornata simile a questa >>.
 
Accedo alla memoria di Austin e scopro che si è trasferito in città quando aveva dodici anni, perciò un qualunque avvenimento anteriore, che non coinvolga Camila, non mi esporrà ad alcun pericolo. Potrei prelevare un qualunque ricordo di Austin e condividerlo, ma non mi va. Voglio regalarle qualcosa di mio.
 
<< C’è stato un giorno, quando avevo undici anni, giocavo a nascondino con degli amici e continuavo a guardami intorno per trovare un posto che avrebbe fatto al caso mio. Ci trovavamo nei dintorni di un bosco e, non so bene per quale motivo, pensai che la cima di un albero avrebbe fatto al caso mio. Non mi ero mai arrampicato prima di quel momento e l’albero era alquanto alto, ma non m’importava. Scelsi i rami più bassi ed iniziai a salire. Quando ho superato la linea delle chiome, non me ne sono nemmeno reso conto, mi veniva così naturale, come camminare. Mi arrampicavo e basta, attorno a me non c’erano più alberi. Nella mia testa erano centinaia di metri quelli. C’ero solo io, aggrappato al tronco, lontano dalla terra >>.
 
Con un guizzo, la sensazione torna a pervadermi le membra. Riaffiorano alcuni dettagli: l’altezza, il profilo della città sotto di me.
 
<< Non saprei come altro descriverlo se non… meraviglioso. I miei amici non erano riusciti a trovarmi ma non ci pensavo. Gridavano e correvano, ma io sentivo di poter volare da lassù. Dominavo il mondo, è stata un’esperienza straordinaria. Almeno… fino a quando non sono precipitato >>.
 
Camila si alza a sedere, il volto dapprima sorridente, ora serio in un lampo.
<< Cosa? >>.
<< Sì. Beh, è stata davvero una gran caduta. Non so come faccio ad essere ancora intero, sinceramente >> rispondo ironica.
<< Ma come…? Come è successo insomma? >>.
<< Ero al di sopra di tutto ciò che conoscevo. Ero arrivato lassù da solo, nessuno mi aveva chiesto di farlo o costretto, nessuno mi ci aveva portato. Lo avevo fatto di spontanea volontà. Sentivo di dover restare da solo con me stesso, di dover vedere il mondo dall’altro, ma ho finito per sporgermi un po’ troppo, così sono caduto >>.
 
Camila mi stringe con più forza, quasi a volersi assicurare che io sia lì tutto intero.
  
<< Dev’essere stata incredibile. La sensazione intendo, non la caduta >>.
<< Lo è ancora adesso, se ci ripenso >>.
<< È successo quando eri in Texas? >>.
 
Texas? No. No… dov’ero? Mi sforzo di ricordare.
Oh sì. Carolina del Nord.
Ma dopo aver acceduto in Austin mi accorgo che per lui dev’essersi trattato del Texas.
 
Annuisco.
 
<< Questo giorno mi ricorda il nostro secondo appuntamento >>.
 
Nei ricordi di Austin non vi è traccia di ciò che Camila ha appena menzionato.
Mi sorprendo a pensare che in realtà è proprio questo il nostro primo appuntamento. Quanto puoi essere ridicola a pensare una cosa del genere L.
 
<< La festa a casa di Nela? Quando ancora lui e Dinah stavano insieme… >> tenta Camila.
<< Sì >> rispondo per evitare di farla insospettire.
<< Non so se esattamente poteva considerarsi un secondo appuntamento, ma era la seconda volta che uscivano insieme. Mi sembrava che tu avessi a disposizione tutto il tempo del mondo e che volessi spenderlo con me. Adesso io… sento che sei sempre di corsa, e non che mi dia fastidio, è solo che è bello anche passare dei momenti così. Quella volta mi guardavi per davvero, continuavi a dirmi cose carine e mi facevi sentire il centro del tuo universo. Come se fossi arrivato in cima di quell’albero e beh… avessi trovato me ad aspettarti. Ricordi quella sensazione? Mi sentivo così bella, perché ero bella per te, con te >>.
 
Mi domando a cosa ci porterà tutto questo. Mi domando se Camila si renda conto che adesso è la calda luce del tramonto all’orizzonte a farla risplendere, ed è bellissima per me. Lo è per la prima volta.
 
Non ho il tempo di pensare perché la voglia di baciarla mi coglie all’improvviso. La bacio e ci abbracciamo. La sento. È una vicinanza non soltanto fisica. Una connessione del tutto fuori dal tempo. In quel momento mi terrorizza e m’inebria al tempo stesso: è la sensazione di appartenenza reciproca.
 
Com’è l’attimo in cui ci s’innamora? Come può una frazione di tempo così infinitesimale racchiudere una tale immensità? D’un tratto capisco perché le persone credano nei déjà-vu e nelle vite passate: l’attimo in cui ci s’innamora sembra preceduto da secoli, generazioni, come se l’universo e il tempo fossero stati all’opera da decenni e in quel preciso momento non resta che prenderne atto. Non resta che arrivare dove si era da sempre destinati ad arrivare.
 
Il telefono di Camila suona. Sento dire a sua madre che tornerà presto a casa, ma mantengo gli occhi chiusi.
Quando li apro, l’acqua dell’oceano è ormai scura e il cielo è inchiostrato di blu notte. Le stelle iniziano a spuntare e, per quanto sarebbe bello poter restare a guardarle, raccogliamo la coperta e torniamo in macchina.
Durante il tragitto cantiamo qualche altra canzone, poi Camila si addormenta con la tempia che sfiora la mia spalla. Le permetto di sognare ancora un po’ prima di arrivare al capolinea. Mi costringo a non pensare a quello che accadrà non appena arriverà la mezzanotte.
Imprimo nella mente la visione di Camila mentre dorme; è l’opposto della ragazza che ho incontrato questa mattina, ancora vulnerabile ma sicura al tempo stesso.
Il clacson di un’altra macchina, nella direzione opposta alla nostra, la sveglia e sussulta. Quando mi parla di domani, trovo difficile prestare attenzione alla conversazione. Per me non c’è domani. Non c’è domani con lei.
 
<< So che non potremo rifarlo, ma voglio vederti per pranzo, e magari potremmo inventarci qualcosa da fare dopo la scuola. Nulla di complicato, solo stare con te mi basta >> annuisco.
<< Scusami, ma adesso non riesco proprio a pensare a domani >>.
<< Hai ragione. Domani sarà un altro giorno. Lasciamo che oggi si concluda con una nota felice >>.
 
Già, domani sarà un altro giorno. Chi sarò, io, domani? Dove sarò? A pochi minuti o a chilometri da lei?
 
Vorrei sbagliare strada di proposito e allungare ancora il tragitto, ma non posso. Arrivo di fronte casa di Camila e apro la serratura centralizzata.
Lei si sporge e mi bacia. I miei sensi si riaccendono; il suo sapore, il suo profumo, il calore del suo respiro. Tutto.
 
<< Eccola, la nota felice >> mi sorride e scende dall’auto.
 
Sparisce lungo il vialetto prima ancora che io abbia il tempo di parlare. Di dirle addio.
 
Una volta rientrato a casa, la madre di Austin gli chiede dove sia stato per tutto il giorno, ma sono solo domande di routine mentre sfoglia un libro. Non fraintendetemi, non sto affatto dicendo che non s’interessi del figlio, ma mi sembra tutto così automatico. Meccanico, è la parola giusta.
Chiudo la porta della camera di Austin alle sue spalle e mi rendo conto che dovrei fare i compiti. Non ne ho voglia. Dovrei, magari per una minima parte di lui è importante e dovrei. Ma non voglio.
Il pensiero di Camila non mi da tregua. La immagino convincersi che le cose siano cambiate tra lei e Austin. Non avrei dovuto farlo, ma mi è parso che tutto l’universo si fosse messo in movimento per far sì che accadesse. Che oggi andasse esattamente in questo modo.
 
Non potrò restare in questo corpo, anche se non andassi a dormire. Davvero, ci ho già provato credetemi. Il passaggio avverrà comunque. Una volta credevo che restando sveglia avrei potuto impedirlo, ma ero stata comunque strappata via dal corpo, un vero e proprio strappo: ogni singola terminazione nervosa aveva patito il dolore del distacco e dopo, il dolore, si era amalgamato in qualcosa di nuovo. Da allora vado a dormire ogni notte. Inutile opporsi.
 
La consapevolezza di ciò che ho fatto mi colpisce come uno schiaffo in piena faccia. Non posso lasciarle credere che oggi capiterà ancora. Decido di chiamarla.
 
<< Austin >> risponde dopo un paio di squilli.
<< Camz… >>.
<< Mi piace questo nuovo soprannome >> la sento ridere dall’altro capo del telefono.
<< Anche a me >> mi concedo. Non credo che Austin la chiamerà ancora così, ma a lei piace. A me piace. È l’unica cosa nostra, forse.
<< Grazie ancora per oggi >>.
<< A proposito di oggi >> inizio << Non potrà andare sempre così. Voglio che tu lo sappia >>.
 
Camila non parla. Sospira.
 
<< Sì… ma forse le cose possono migliorare >>.
<< Non saprei. In ogni caso, volevo dirtelo: quello che è successo oggi, è successo oggi. È stato meraviglioso però >>.
<< Lo è stato davvero >> replica.
<< Okay >> dico.
<< Okay >>.
 
Esiste l’eventualità che, in qualche modo assurdo, sia riuscita a lasciare un segno in Austin. Le cose potrebbero cambiare per davvero, ma non mi è dato saperlo. Voglio che Austin la tratti come merita, ma non voglio che lei si crei delle aspettative, a partire da domani.
 
<< Era tutto qui… >> sospiro.
<< Bene, ci vediamo domani allora? >> mi chiede tornando al tono tentennante e insicuro.
<< Sì >>.
 
Prima che possa chiudere la chiamata, la sento parlare e il sangue mi si gela nelle vene.
 
<< Ti amo >>.
 
La sensazione che mi pervade da capo a piedi mi spinge a dirlo a mia volta. Ma non durerà a lungo, solo poche ore ancora.
Scuoto il capo anche se Camila non può vedermi.
 
<< Buonanotte >> chiudo la chiamata.
 
Corro alla scrivania di Austin e scrivo tempestivamente su di un post-it: “Ricordati che ami Camila.”
Lui non ricorderà di averlo scritto, ma deve ricordarlo per lei.
 
Con il computer m’invio i dati di Austin e di Camila nella mia casella e-mail. Cancello la cronologia.
 
Mi distendo sul letto. In genere non ho mai voglia di restare, ma stasera lo desidero con tutta me stessa. Sono tormentata dal fatto che domani Austin sarà qui ed io no.
Il ricordo del sorriso di Camila mi fa scivolare nel sonno. Non resterò, lo so.
 
 
Note conclusive: OKAY. Fermiamoci un momento. Data importante oggi. Perché? Come perché? Ma ovviamente è il compleanno della nostra Lauren!
19 anni. 19 gente. Non posso ancora crederci.
Dunque, avevo in mente di postare il capitolo domani, ma dato che sono riuscita a finirlo in tempo stasera, essendo passata la mezzanotte ho deciso di postarlo come "regalo".
E' decisamente più lungo dell'altro ma di fatto così abbiamo concluso il primo capitolo.
Andiamo con qualche curiosità:
 
1. Cosa succederà ad L? Dove si sveglierà domani? Sarà ancora nel corpo di Austin? Questo non ve lo anticipo, anche se, nel corso del capitolo, lo ripete diverse volte.
2. La canzone che viene menzionata è "Hold On 'Till May" dei Pierce The Veil, ma nel libro originale la canzone è "Running Up That Hill" dei Placebo.
3. La "giornata memorabile" raccontata da Camila è stato un episodio realmente successo. Camila ne parla in un Takeover, precisamente quello dove giocano a "Would you rather" (io ho soltanto aggiunto qualcosina).
4. Non temete... Austin verrà menzionato in altri capitoli ma non sarà più così presente nella storia.
 
That's it!
 
Mo andiamo tutti a twittare #HappyBirthdayLauren e/o #HappyBirthdayLaurenFromItaly :')
  
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