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Autore: Lizhp    27/06/2015    5 recensioni
-Tutti prima o poi devono venire a patti con il proprio passato- iniziò Andy, incatenando le iridi color cioccolato alle sue.
-Come?- sussurrò Mika, rivolgendo ad Andy la domanda che si era posto per tutta la giornata.
-Come hai sempre fatto- e portò le mani di Mika sui tasti del pianoforte, poi si alzò, recuperò un foglio e una matita e li appoggiò di fronte al ragazzo.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correva lungo il corridoio di una scuola che gli sembrava infinito. Aveva il fiatone, sentiva i polmoni comprimersi sempre di più, rendendogli sempre più difficoltosa la respirazione. Più cercava di allontanarsi da quel posto infernale, da quelle persone infernali, più in realtà gli si avvicinava. Ogniqualvolta cambiava direzione, si ritrovava comunque a correre incontro a qualcuno da cui voleva invece allontanarsi il più velocemente possibile.
Sentiva la divisa scolastica comprimerlo ogni secondo di più, come una morsa che stringeva la presa sempre più forte.
Improvvisamente, lo scenario cambiò: non era più un bambino che scappava per i corridoi di una scuola, ma un ragazzo. Un ragazzo che indossava vestiti fin troppo colorati rispetto alle persone che lo circondavano. E poi un viso, in lontananza, che si avvicinava sempre di più a lui e chiamava il suo nome. Cercò di nuovo di mettersi a correre tanto veloce quanto le sue gambe glielo avrebbero permesso, eppure non riuscì a muoversi di un millimetro. Era fermo, bloccato, così come tutte le altre persone che lo circondavano: ferme, a guardarlo con occhi riprovevoli, mentre quella figura si avvicinava sempre più a lui…
 
Mika aprì improvvisamente gli occhi e con uno scatto improvviso si mise a sedere sul letto. Respirava affannosamente, proprio come nel sogno; si prese il volto tra le mani, sospirando, accorgendosi così di essere completamente sudato.
Uno sguardo al di là della finestra gli fece capire che, almeno per quella mattina, il cielo londinese aveva deciso di dare agli abitanti della capitale britannica una tregua, permettendo anche a loro di osservare e sentire sulla propria pelle i caldi raggi del sole.
Uno sguardo al lato destro del letto, invece, gli ricordò amaramente che in quel momento del bel tempo non poteva fregargliene proprio nulla.
Con il cuore che ancora cercava di uscirgli violentemente dal petto, Mika si prese qualche secondo per osservare il vuoto accanto a sé, che gli faceva compagnia ormai da numerosi risvegli, sempre puntuale ad augurargli malignamente una buona giornata.
Sospirò e si lasciò cadere molto poco delicatamente con la schiena sul materasso, affondando nuovamente il viso tra i cuscini.
Cuore e polmoni stavano tornando a svolgere il loro dovere ad una velocità adatta, mentre la mente di Mika ritornò al sogno che era stato la causa di un risveglio tanto brusco quanto solitario; non era la prima volta che, tra i suoi sogni, facevano capolino i suoi vecchi compagni di scuola o la sua ex insegnante. Ma quell’ultima figura che era apparsa, quando lo scenario era andato a modificarsi, era un ragazzo a cui non pensava davvero da molto tempo. Chissà come mai il suo inconscio aveva deciso di riproporglielo proprio quella mattina.
Non era tanto il ricordo di quel ragazzo, una delle sue storie finite male, ad infastidirlo quanto le sensazioni che quel ricordo si portava appresso, sensazioni che Mika inizialmente aveva fatto di tutto per rimuovere e che poi, con il passare del tempo, erano andate scemando senza che lui facesse più niente.
Tuttavia l’incubo aveva portato con sé anche tutto ciò che quel ragazzo ai tempi gli aveva riversato addosso, compresa quella sensazione di ordinarietà e di conformità a tutto ciò che veniva considerato normale nel mondo.
Cercando di scacciare quei pensieri, il riccio allungò una mano verso il comodino per prendere il suo cellulare, con l’intento di chiamare l’unica persona che avrebbe potuto colmare quella sua forte sensazione di vuoto, ma poi si ricordò del fuso orario e del fatto che Andy sicuramente si trovava già al lavoro, pronto a catturare qualche piccolo dettaglio della sua terra d’origine.
Rassegnatosi ormai a quel suo repentino risveglio, uguale a chissà quanti altri nel mondo in quel momento, il ragazzo si decise ad alzarsi dal letto e a raggiungere, camminando lentamente, il bagno, seguendo una routine che quella mattina sembrava infastidirlo più del solito.
Si lavò i denti e poi il viso, desideroso di non sentire più le goccioline di sudore che ancora imperlavano la sua fronte; gli sarebbe piaciuto scacciare via così facilmente anche il ricordo di quel sogno e tutto quello che aveva riacceso in lui.
Ritornò in camera e spalancò le finestre, cercando di far entrare ancora più luce. Svogliatamente, si avvicinò al letto, iniziando a risistemare le lenzuola. Aveva appena finito di rassettare le coperte, quando Melachi, probabilmente appena svegliata, saltò sul letto, rovinando in parte il lavoro che il riccio aveva appena portato a termine.
Sospirò, ma non disse niente alla cagnolina, dirigendosi invece verso le scale per raggiungere la cucina e preparare il caffè: chissà, forse svegliarsi del tutto avrebbe anche allontanato la sua mente dall’incubo. L’acqua gelida in volto non era servita, forse un caffè sarebbe stato più di aiuto.
Quando arrivò in fondo alle scale, si fermò ad osservare la sua figura riflessa nello specchio, sbuffando sonoramente: era un disastro. Portò entrambe le mani tra i suoi capelli, cercando di domare, con scarsi risultati, la folta chioma di riccioli che contornavano in quel momento un viso fin troppo abbattuto.
Dio solo sa cosa avrebbe dato, quella mattina, per non risvegliarsi da solo.
Quando finì di lavare la tazzina in cui aveva bevuto il suo caffè, si guardò intorno, con aria spaesata.
Cosa ne avrebbe fatto di quella giornata, iniziata in modo così poco consono alle sue aspettative?
L’idea di mettersi al piano in quel momento non lo allettava per niente; di cosa avrebbe parlato, di incubi?
Sbuffando, si diresse in sala e si avvicinò all’imponente scaffale che conteneva tutti i suoi innumerevoli cd musicali; li osservò uno per uno con sguardo attento, irritandosi leggermente di fronte alla confusione che regnava tra le varie mensole. Improvvisamente, decise avrebbe passato la giornata a riorganizzare quello scaffale: forse ragionare sulla musica avrebbe riportato tutto a girare per il verso giusto.
Le sue iridi castane si posarono su Let it all out di Nina Simone: il titolo dell’album sembrava essere stato ideato proprio per lui.
Si avvicinò al lettore e inserì il cd, alzando il volume al massimo: chissà, forse l’incredibile voce della cantante americana avrebbe messo a tacere i suoi tormentati pensieri.
Tornò poi allo scaffale, iniziando a togliere tutti i cd dalle mensole e appoggiandoli a terra, pronto a riorganizzarne la disposizione, mentre la sua voce si univa delicatamente a quella della donna proveniente dal lettore cd.
 
Quando Mika appoggiò l’ultimo cd nell’ultimo spazio libero dello scaffale, l’ora di pranzo era ormai superata da un po’ e Let it all out era stato seguito da altri tre dischi, sempre di Nina Simone.
Si fermò per qualche secondo ad osservare il lavoro che aveva appena fatto, ma appena la sua mente fu libera, il ricordo del sogno tornò ad appropriarsene bruscamente.
I suoi pensieri furono però interrotti, in modo altrettanto brusco, dal suono del suo cellulare. Nutrendo la speranza che fosse una chiamata internazionale, si precipitò in camera, dove aveva abbandonato il telefono. Appena lesse il nome sul display però, il suo entusiasmo si spense. Era sì una telefonata internazionale, ma il mittente non si trovava ad Atene, bensì a Milano.
-Giulio?- sospirò, rispondendo al cellulare.
-Ciao, Mika! Tutto bene?-
Il suo manager non gli diede nemmeno il tempo di rispondere: Mika poteva avvertire quel tono frettoloso che l’uomo utilizzava sempre quando aveva qualcosa da dirgli ma non aveva troppo tempo.
-Hai un’intervista a Radio Deejay prima della finale, ok? Passo a prenderti io per il solito orario-
Il riccio sospirò: certo, tra tre giorni sarebbe dovuto ripartire per Milano, per le ultime prove con Mario prima della finale di X Factor. Il talent italiano era ormai giunto al termine, mentre quello francese era appena iniziato: impegni su impegni che lo avrebbero portato ad avere ancora numerosi risvegli solitari simili a quella mattina.
A cosa stava pensando mentre Giulio attendeva una risposta?
-Mika?- la voce dell’uomo infatti si fece sentire al di là del telefono.
-Sì, scusa. Va bene, la farò- snocciolò in italiano, scuotendo la testa e portandosi una mano tra i capelli.
-Tutto a posto?- chiese di nuovo Giulio, questa volta attendendo la risposta.
Mika fece un leggero sospiro, sperando che non si fosse udito al di là della cornetta: andava tutto bene? No. Ma raccontarlo o meno a Giulio, cosa avrebbe cambiato? Assolutamente niente.
-Sì, tutto bene. Ci sentiamo quando arrivo a Milano, allora- disse infine, chiudendo poi la chiamata con un colpo secco.
Il suo I Phone non gli segnalava nessun nuovo messaggio e uno sguardo veloce alla piccola sveglia posizionata sul comodino gli fece capire che da Atene non avrebbe avuto segnali ancora per minimo un paio d’ore.
Non gli restò altro da fare se non appoggiarsi con i gomiti al davanzale della finestra e osservare la vita dei londinesi che attraversavano la strada in cui si trovava la sua abitazione.
Mentre osservava ora le macchine, ora le persone a piedi o in bicicletta, Mika rifletté su quella strana giornata: quel pizzico di rischio, originalità e diversità che cercava ogni giorno nella sua vita era totalmente venuto meno.
Certo, non era la prima volta che gli capitava di trascorrere la giornata da solo all’interno di quelle quattro mura, ma quel giorno tutto sembrava avere un sapore ancora più aspro: si sentiva più ordinario, più comune del solito.
Tutto, ne era certo, era partito da quel sogno che aveva deciso di scombussolargli la giornata senza preavviso. Quasi come se fossero mosse da un burattinaio che ne teneva i fili, le sue gambe lo portarono nella stanza accanto, quella del pianoforte.
Si sedette sullo sgabello e, senza pensare, iniziò a suonare. Avrebbe messo tutte quelle sensazioni in una canzone, come faceva sempre; gli tornarono in mente i pensieri che quella mattina lo avevano tenuto lontano dal pianoforte. Non avrebbe parlato di incubi, no. Avrebbe semplicemente lasciato che la musica compisse la sua magia: prendere tutto quello che aveva dentro e trascinarlo fuori, liberandolo di quel peso che sentiva comprimerlo senza ritegno da troppe ore ormai.
I woke up this morning
Just like every man does
Walked to the bathroom
Just like every man does
Made my bed
Just like everone must
Nursed my head
Just like everyone must
Spent the day playing Nina Simone
Reorganised every record I own
Ripetizioni che rispecchiavano l’andamento della sua giornata: aveva fatto tutto come lo facevano tutti. Era ritornato a quell’ordinarietà da cui era tanto fuggito anni prima, proprio quando qualcuno aveva cercato in tutti i modi di convincerlo che lui era semplicemente uno dei tanti, che era uguale a tutti gli altri. Ma non di un’uguaglianza giusta; un’uguaglianza riduttiva, quasi distruttiva. Un’uguaglianza che alla fine nascondeva un significato che trascinava a terra molte persone: quello di non essere nessuno, quello di non essere importante per nessuno. Si perdevano così le proprie peculiarità, il proprio valore.
Aveva superato quel periodo, eppure quel giorno i ricordi gli erano ricascati addosso, cogliendolo di sorpresa: forse era successo solo perché era giunto finalmente il momento in cui sarebbe riuscito a parlarne.
Just like a king who’s loosing his worth
I’m like a snob who’s falling to earth
Everyone thinks that
I’m staying the same
Are they secretly happy
That I am in pain
Iniziava a sentirsi più leggero: la musica lo stava salvando, gli stava tendendo nuovamente una mano che lo avrebbe risollevato dal baratro in cui era caduto e lui doveva solo coglierla. Mika non esitò un attimo a lasciarsi trasportare ovunque la musica avesse in programma di portarlo.
Does it mean that I’m a regular man
Nota as special as I think that I am
As for you all that I want to know
Did you stay up as I tumbled so low
Prese un foglio e iniziò ad appuntare le parole, velocemente, per non perdere l’ispirazione. Con la mano destra scriveva, mentre con la sinistra continuava a pigiare alcuni tasti del pianoforte, secondo un ordine ben chiaro e definito nella sua mente.
Stava funzionando.  
Quattro ore più tardi, la stanza era cosparsa di fogli di carta appallottolati e abbandonati sul pavimento, la punta della matita era ormai ridotta al minimo, tanto che il suo tratto era diventato troppo spesso, e i rimasugli della gomma che aveva usato per cancellare passaggi che non lo convincevano erano sparsi sul pianoforte.
Davanti a sé, però, Mika aveva il testo e la musica di un’altra canzone in cui, ne era consapevole, si era mostrato chiaramente e senza maschere, esattamente così come lui era.
 
 
Quando finì di riordinare la stanza, buttando tutta la carta che aveva sparso in giro nel cestino, scese le scale, accorgendosi che forse scrivere quella canzone non aveva risolto del tutto i suoi problemi: che fosse la prima volta che buttare tutti i suoi pensieri nella musica non lo avesse aiutato?
Il suono del suo cellulare lo riportò con i piedi per terra. Prese il telefono e sbarrò gli occhi di fronte a sette chiamate perse e tre messaggi.
Quando aprì la lista delle chiamate, notò di aver ignorato la telefonata che tanto aveva aspettato da che si era svegliato quella mattina e ad accoglierlo aveva trovato solo un freddo cuscino da troppo tempo inutilizzato.
I tre messaggi lo intimavano di richiamarlo appena avesse potuto.
Senza esitare, il riccio digitò quel numero che ormai sapeva a memoria.
-Mika, ciao. Non ho molto tempo- la voce del suo ragazzo, per quanto frettolosa, lo fece sorridere lievemente.
-Non hai tempo?- lo interruppe Mika, perplesso, riflettendo sul fatto che in teoria in quel momento Andy si sarebbe dovuto trovare a casa, in Grecia, a cucinare qualcosa per cena.
-Per questo ho cercato di chiamarti prima- spiegò il biondo –Ho finito il mio lavoro qui. Torno a casa-
Il cuore di Mika fece un balzo. Si era ormai rassegnato al fatto che, ancora per qualche settimana, non avrebbe avuto occasione di vedere il compagno, quindi quella notizia era un’incredibile sorpresa, soprattutto in una giornata come quella.
-Quando?- gli chiese quindi Mika, in un sussurro.
-Sto per salire sull’aereo-
Il sorriso sul volto di Mika si allargò ancora di più: massimo tre ore e sarebbe stato da lui.
-Ti aspetto allora-
 
 
Quando Andy raggiunse finalmente la porta di casa, questa venne spalancata ancora prima che lui avesse il tempo di appoggiare la mano alla maniglia. Due secondi dopo, fu costretto ad abbandonare a terra valigia e zaino, perché due lunghe braccia lo stavano già stringendo in una dolce morsa.
-Ehi- sussurrò il biondo, portando le mani, adesso libere, attorno alla schiena di Mika e affondando il volto tra i suoi riccioli. Quando si allontanarono, Andy fece scorrere i suoi occhi sul ragazzo: riccioli in disordine, pantaloni della tuta blu e maglietta bianca, un accenno di barba e due stanche iridi color cioccolato circondate da occhiaie, in cui però in quel momento si poteva scorgere un barlume di felicità.
Andy ci mise poco ad intuire che la giornata non doveva essere stata delle migliori per il compagno.
Afferrò nuovamente valigia e zaino e, sorridendo, iniziò a camminare in avanti, costringendo Mika, al contatto con il suo corpo, ad indietreggiare. Il biondo si fermò solamente quando fu dentro casa: abbandonò le sue cose in un angolo appena dopo l’ingresso e poi prese il volto del compagno tra le mani, avvicinandosi per lasciargli un dolce bacio sulle labbra.
-Bentornato- gli disse Mika quando si allontanarono leggermente, soffiando quella parola sulle sue labbra.
 
 
Finché attendeva il ritorno del compagno, Mika aveva apparecchiato la tavola e aveva iniziato a preparare da mangiare, di modo che Andy, probabilmente stanco dopo il viaggio, avrebbe già trovato tutto pronto.
Si sedettero così a tavola, ma il biondo notò immediatamente che ai suoi lunghi discorsi e racconti di quelle settimane trascorse in Grecia, corrispondevano risposte monosillabiche e sorrisi lievi.
Andy iniziò quindi a chiedersi cosa affollasse tanto la mente del compagno da renderlo così diverso dal solito. Non chiese niente però: sapeva che Mika, prima o poi, avrebbe parlato da solo. Di qualunque cosa si trattasse, cercò comunque di continuare a parlare e a coinvolgerlo nel dialogo, per cercare di distrarlo.
Quando però raggiunse la sala e si avvicinò allo scaffale dei cd per prenderne uno da mettere nel lettore, si accorse che il disco che stava cercando non era più al suo posto. Un rapido sguardo agli altri cd, gli fece capire che quell’angolo di casa era stato completamente rivoluzionato.
-Ehm, Mika?- chiamò quindi, con voce incerta.
-Sì?- chiese il riccio, raggiungendo anche lui la sala e sedendosi sul divano.
-Che hai combinato?- chiese Andy, curioso, voltandosi verso di lui e indicando con il pollice lo scaffale.
-Oh, li ho sistemati oggi- spiegò Mika, alzandosi dal divano e raggiungendo il compagno.
Iniziò ad indicare varie parti dello scaffale, spiegando a Andy la nuova organizzazione dei dischi: -adesso sono divisi per genere, vedi? Musica classica, rock, jazz, pop… e poi all’interno di ogni genere ci sono gli artisti, li trovi in ordine alfabetico, e i cd sono ordinati in base alla data di uscita-
Andy si voltò lentamente verso il compagno, mordendosi il labbro inferiore e alzando le sopracciglia, riservandogli uno sguardo a metà tra il perplesso e il preoccupato.
-È andato tutto bene oggi?- si decise infine a chiedere.
-Sì, sì… certo- rispose Mika, grattandosi la testa e tornando a sedersi sul divano –Perché me lo chiedi?-
-Perché avrai passato come minimo quattro ore a mettere i cd in ordine alfabetico in base al cognome del cantante- spiegò semplicemente Andy, che ben sapeva che quando il compagna si gettava così assiduamente in lavori inutili era solo per allontanare la mente da pensieri troppo pesanti per lui.
Si sedette quindi sul divano accanto a Mika, appoggiando i gomiti alle gambe e scrutando i profondi occhi del compagno.
Mika si lasciò andare ad un leggero sospiro, puntando i suoi occhi al pavimento: non voleva che i pochi giorni che avevano a disposizione prima della sua partenza per l’Italia fossero rovinati dal suo stato d’animo, così aveva tentato di nascondere in tutti i modi al compagno quello che per lui aveva significato quella giornata. Come sempre, però, aveva fallito miseramente. Avrebbe dovuto smetterla di tentare di nascondersi da Andy, lui riusciva sempre e comunque a leggergli dentro.
-Ti ascolto- gli disse infatti il biondo, come a fargli capire che ormai era stato scoperto.
-Aspetta qui- disse quindi il riccio, dirigendosi a grandi passi su per le scale: recuperò da sopra il pianoforte il testo della canzone che aveva scritto quel pomeriggio e che, aveva deciso, si sarebbe chiamata Ordinary Man.
Ritornò poi sul divano verde scuro e passò il foglio al compagno: niente meglio di quel testo poteva riassumere la sua giornata ed era sicuro che Andy sarebbe stato in grado di leggere tra le righe di quelle parole.
E così infatti successe: il biondo lesse con calma e con attenzione la canzone che Mika aveva deciso di condividere con lui. Conosceva Mika e conosceva la sua storia, il suo passato, così non ci mise molto a capire a cosa fossero riferite quelle parole. Una volta, anni prima, il riccio gli aveva raccontato di quella storia finita male, in cui lui si era sentito meno di zero e che aveva segnato una tappa importante della sua vita, contribuendo a renderlo la persona che era oggi. In effetti, sempre perché lo conosceva, Andy si era chiesto spesso come mai quella fase particolare della vita di Mika non aveva ancora preso vita in uno dei suoi capolavori, ma non aveva mai domandato niente: c’era sempre un momento in cui ci si sentiva pronti per raccontare qualcosa e quel momento, a quanto pare, era arrivato.
-Ripensare a tutto questo è stato il problema?- iniziò quindi  il biondo, cercando di far parlare il compagno, ben consapevole che l’unico modo per aiutarlo a lasciar da parte quel suo stato d’animo era lasciarlo sfogare.
-Beh, sì, forse…- rispose il riccio, iniziando a torturarsi le mani –non tanto gli avvenimenti, quanto… le sensazioni, credo- e fece una pausa, durante la quale Andy appoggiò il testo della canzone sul tavolino che stava davanti a loro, tornando poi ad osservare Mika che, pensieroso, stava per continuare la sua spiegazione.
-L’ordinarietà, l’inutilità, l’essere considerati pari a zero…- fece un’altra pausa, durante la quale i suoi occhi si puntarono in quelli del compagno –ma oggi non è più così- aggiunse con un lieve sorriso –sono solo… ricordi, riportati alla mente da un incubo- concluse infine, scuotendo leggermente la testa.
Andy allungò una mano, inserendola tra quelle di Mika, impedendo così al ragazzo di continuare a tormentarsele. Iniziava a capire quello che era successo in quella giornata in cui lui non era potuto essere presente.
Senza dire una parola intrecciò le dita della sua mano sinistra alla destra del compagno e lo costrinse ad alzarsi. Curioso, Mika si lasciò condurre da Andy su per le scale della loro casa, fino a quando il biondo lo fece sedere sullo sgabello di fronte al pianoforte, mettendosi accanto a lui.
Andy alzò lo sportello che faceva da copertura ai tasti e ne schiacciò uno bianco: più di una volta Mika aveva tentato di insegnargli una melodia ma lui aveva sempre fallito miseramente. Schiacciò quindi un tasto a caso, lasciando che il suono di quella nota si espandesse per la stanza.
Poi tornò ad osservare Mika.
-Tutti prima o poi devono venire a patti con il proprio passato- iniziò Andy, incatenando le iridi color cioccolato alle sue.
-Come?- sussurrò Mika, rivolgendo ad Andy la domanda che si era posto per tutta la giornata.
-Come hai sempre fatto- e portò le mani di Mika sui tasti del pianoforte, poi si alzò, recuperò un foglio e una matita e li appoggiò di fronte al ragazzo.
-Hai passato tutta la giornata a ragionare su quello che hai provato tu- disse poi Andy, allungando una mano sulla guancia di Mika per fare in modo che lo guardasse –prova a guardare le cose da un altro punto di vista- e non aggiunse altro, non volendo indirizzare la mente di Mika verso orizzonti già predefiniti.
Si avvicinò a lui e gli lasciò un leggero bacio a fior di labbra, sorridendogli lievemente.
Poi si diresse verso la porta, chiudendosela alle sue spalle, lasciando il compagno con il solo strumento che lo avrebbe aiutato in quel momento: la musica.
 
 
Mika rimase per un attimo nella posizione in cui Andy l’aveva lasciato, con le mani sui tasti del suo pianoforte. Senza schiacciarne nemmeno uno, fece scorrere le dita su di essi, riflettendo sulle parole del compagno.
Andy aveva sempre saputo quello che era meglio per lui in ogni situazione: doveva fidarsi.
Un altro punto di vista, così gli aveva detto il compagno. Quale altro punto di vista poteva esserci, se non quello della persona che lo aveva fatto soffrire, andandosene senza nessuna spiegazione?
Improvvisamente, Mika si rese conto che lui, non più tardi di quattro anni prima, aveva fatto la stessa identica cosa con Andy.
Psicologicamente a pezzi di fronte all’incidente di sua sorella, aveva raccolto in fretta tutte le sue cose ed era fuggito a Montréal, lasciando Andy senza preavviso, senza salutarlo, senza una spiegazione. La voglia di fuggire, di lasciarsi alle spalle un peso troppo grande per lui, lo aveva spinto ad agire irrazionalmente, ferendo la persona a lui più vicina.
Andy si era sentito di contare meno di zero per lui? Aveva provato sulla sua pelle tutto quello che Mika aveva sentito anni e anni prima, alla fine di quella relazione che quel giorno lo stava tormentando? Probabile. E, nel caso di Andy, Mika ne era stata la causa.
Quando Andy, ai tempi, aveva deciso di perdonare Mika per la sua fuga, gli aveva detto che era finalmente riuscito a capire perché lo aveva fatto, era riuscito a mettersi nei suoi panni. Non lo giustificava, ma poteva comprendere cosa lo avesse spinto a compiere tale gesto. Il riccio non poté fare a meno di chiedersi se Andy, suggerendogli di vedere le cose da un altro punto di vista, avesse cercato di portarlo a compiere lo stesso processo che ai tempi aveva compiuto lui, ben sapendo che avrebbe funzionato.
Decise allora di seguire il consiglio di Andy: nella sua mente iniziò a pensare alle motivazioni che avrebbero potuto spingere quel ragazzo ad andarsene. Non le conosceva, ma poteva immaginarle. E se fossero state simili a quelle che avevano spinto irrazionalmente lui ad andarsene?
Finalmente, fece pressione con le dita sul pianoforte, iniziando a suonare una melodia ben diversa da quella che aveva preso vita quella mattina: più ritmata, più allegra.
Oh here I go again
I wake up every morning to this
Groundhog Day
Thinking about the list of things that I’ve
done wrong
Can’t even count, it gooes on too long
Un po’ di invenzione, un po’ di quello che aveva sentito lui quando era partito, lasciandosi tutto alle spalle, senza pensare alle conseguenze o agli effetti che quel suo agire d’impulso avrebbe provocato alle persone che più amava.
Fuggire spesso diventa sinonimo di arrendersi, nella vita; più di una volta l’aveva sperimentato su se stesso. Ma non sempre le persone fuggono per questo motivo: semplicemente, di fronte a queste situazioni, il mondo inizia a pesare un po’ troppo sulle loro spalle.
It doesn’t mean I’m not a fighter
It’s just that I wanna be a little lighter
Spent so long fixing things I’ve done
I’ve got holes in all my pockets
Even those holes, they’ve got pockets
Hiding things that I sure want to live
Il desiderio di fuga: quanto era davvero importante il posto? Meno di zero. L’importante era allontanarsi il più possibile da tutte le cose che opprimevano talmente tanto da dare la sensazione di non riuscire a respirare.
Trovare un nuovo equilibrio e, perché no, anche un altro se stesso. Cambiare andando lontano, diventare se stessi cambiando.
I’m taking off, going to Rio
I’m getting lost to find an alter-ego
It could be Paris or Berlin
I don’t care what state I’m in
Gonna leave it all behind
Fece una pausa, osservando il foglio bianco davanti a sé senza nemmeno vederlo. Poi, tornando a schiacciare i tasti del pianoforte, aggiunse un’ultima frase.
Maybe I’ll be myself when I’m somebody else.
Un sorriso spontaneo si aprì sul volto di Mika: stava funzionando. Ancora una volta, Andy aveva avuto ragione, ancora una volta aveva capito cosa fosse meglio per lui.
Era in grado di distinguere i momenti in cui Mika aveva bisogno solo di lui e della sua capacità di fargli dimenticare ogni cosa, dai momenti in cui invece aveva bisogno di altro. In questi ultimi momenti, era comunque sempre in grado di indirizzarlo. Non sapevo come faceva, ma lo ringraziava immensamente per questo.
Con una nuova energia in corpo, si alzò dallo sgabello e spalancò la porta dello studio, andando alla ricerca del compagno. Lo trovò disteso sul letto, con la musica nelle orecchie e gli occhi fissi al soffitto: con un piede, batteva il ritmo di chissà quale musica e non aveva notato il suo ingresso in camera.
Ridendo, Mika prese la rincorsa e si gettò sul letto, atterrando direttamente sopra Andy che non ebbe il tempo di reagire; il riccio catturò in un attimo le sue labbra, osservando la faccia stupita che il biondo aveva esibito pochi istanti prima di lasciarsi trasportare da quel bacio.
Quando si allontanarono, Andy tolse le cuffie dalle orecchie, appoggiando l’I Pod sul comodino accanto al letto, osservando con sguardo compiaciuto il grande sorriso che il compagno gli stava rivolgendo.
-Come sapevi che avrebbe funzionato?- gli domandò Mika in un sussurro, appoggiando la testa sul cuscino di Andy, vicino al suo volto, e portando un braccio attorno ai fianchi del ragazzo.
Il biondo sospirò, giocherellando con un ricciolo che ricadeva sulla fronte del compagno.
-A volte, trovare un senso ad un gesto che ne è apparentemente privo, è l’unico modo per superare un grande dolore-
Si guardarono negli occhi, ben consapevoli che la mente di entrambi stava ripercorrendo gli stessi avvenimenti della loro storia. Andy gli rivolse un leggero sorriso, allontanando per un attimo gli occhi da quelli di Mika, puntandoli in basso: certe cose si superano ma non è mai bello ricordarle, dopotutto.
-È tutto a posto?- chiese poi Andy, spostando la mano dai capelli alla guancia del suo ragazzo.
-Adesso sì- rispose sinceramente Mika sorridendo raggiante e, avendo intuito i pensieri di poco prima del biondo, tornò ad avvicinarsi a lui sfiorando le sue labbra, in quello che voleva essere un grazie silenzioso per averlo preso per mano anche quel giorno e averlo trascinato fuori dal labirinto oscuro in cui si era perso.
 
 
 
Beeeeeeeeeeeene, eccomi qua, di nuovo.
Mi sa che in questi giorni ho un pochetto intasato efp, ma quando l'ispirazione c'è meglio coglierla al volo. 
Ok, come avete potuto leggere, la storia si ispira a Ordinary Man e Rio, due canzoni che, come detto da Mika stesso, rappresentano le due diverse versioni di uno stesso avvenimento. Sono partita da questo e come al solito mi sono lasciata prendere un po' la mano, ah!
Beh, penso di non aver altro da aggiungere! 
Sbizzarritevi come al solito nelle recensioni! 
Buona giornata :)
   
 
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