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Autore: Tizia_Qualsiasi    28/06/2015    0 recensioni
Sono trascorsi dieci anni da quando Elliot Edwards e Claris Sinclair entrarono nella Night Dimension per la prima volta. Le loro vite sono cambiate da quell’incontro. Da allora si sono conosciuti meglio, fino a innamorarsi l’uno dell‘altro. Dopo il matrimonio, arrivò la figlia Aria. La ragazza, ormai sedicenne, vive una vita tranquilla, anche se tormentata dall’ansia e dalle mille insicurezze dell’adolescenza, ma per lei le cose si complicano quando comincia a sognare lo stesso incubo ogni notte. Vivrà un’avventura indimenticabile, che condividerà con una misteriosa ragazza.
Intanto, nella Night Dimension, l’inquietudine regna sovrana su tutto. Da quando Wizeman è stato sconfitto il potere è entrato nelle mani di Reala, deciso a continuare ciò che il suo creatore aveva iniziato.
E questa volta fermarlo sarà molto più difficile e pericoloso...
---ATTENZIONE---
-Anche se i Nightmaren sono asessuati, in questa Fanfiction ognuno di loro ha un sesso specifico.
-Gli umani menzionati nella Fanfiction, esclusi Elliot, Claris, Will e Helen, sono di mia invenzione; tutti gli altri personaggi appartengono alla Sonic Team.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuori dal letto con un balzo, una lavata di faccia veloce, panni presi a caso dal guardaroba, giù per le scale di fretta, dritta in cucina, un cornetto al volo, ed ecco che Aria Edwards spalancava il portone.  

Questo si richiuse alle sue spalle mentre lei correva a perdifiato verso il pullman. La strada sembrava non finire mai, ma, quando Aria sentì il rumore dei motori che si accendevano, fece uno scatto improviso. I muscoli delle sue gambe imploravano pietà, ma in quel momento l’unico pensiero che le passava per la testa era:"Non posso perderlo. Non di nuovo." Riuscì a salire un momento prima della chiusura degli sportelli. Riprese fiato, ma non ebbe neanche il tempo di fare un sospiro di sollievo che una voce per niente amichevole la interruppe. «Biglietto prego.» La ragazza guardò in alto: si trattava di Stanley, il controllore più antipatico dell’intero universo, almeno secondo lei. Alto quasi due metri, con i capelli biondi e scompigliati e delle sopracciglia piú scure che gli davano uno sguardo minaccioso. Era meglio non fare arrabbiare quella specie di vichingo. Il suo tono brontolone le rimbombò nelle orecchie e bastò per farle ricordare che nella fretta si era dimenticata di comprare un biglietto.



«Uh...io...io n-non... » Riusciva solo a balbettare, fulminata dallo sguardo severo di Stanley. Stava per entrare nel panico, quando all’improvviso vide una chioma di capelli ricci e neri alzarsi da uno dei sedili e avvicinarsi a loro, porgendo un biglietto al controllore. «Ecco, tenga. La mia amica sapeva che sarebbe arrivata in ritardo, così prima mi ha telefonato, chiedendomi di comprare il biglietto per lei.» Disse con una vocina melodiosa. Il Vichingo in Incognito annuì con indifferenza e fece passare Aria, che bisbigliò all’amica: «Psst. Grazie Marina, mi hai tolto da un bell’impiccio. » «Ringrazia il fatto che io abbia sempre un biglietto di riserva per le smemorate come te!» Le diede un colpetto sulla testa, poi le due ragazze si misero a sedere e il pullman finalmente partì. Marina cercava di domare i suoi capelli ribelli con una coda, mentre si guardava intorno con gli occhi della stessa tonalità del cielo all’alba. Aria la osservava affascinata. Di certo i suoi capelli rosei dovevano essere terribili in quel momento, tutti appiccicati alla fronte sudaticcia a causa di quella corsa estenuante. Decise di prendere spunto dall’amica e di farsi un codino. Marina sospirò. Con uno sguardo preoccupato osservò la sua compagna di sedile, che intanto si era voltata per contemplare le strade frenetiche di Twin Seeds dal finestrino. «Pensavo che neanche oggi l’avresti preso.» «Hmm?» L’amica si girò a fissarla con gli occhi assenti. Marina rabbrividì alla vista di quelle occhiaie pesanti che prima non aveva notato. «Aria, sono tre giorni che perdi il pullman, e in classe sei sempre così assonnata. Si può sapere cosa ti sta succedendo?»

«È da una settimana che sto soffrendo d’insonnia, te l’ho già detto.» «...Ehi, pensa positivo, tra non molto potrebbero prenderti per il cast di The Walking Dead. Pensaci bene, faresti un sacco di soldi!» «Spiritosa...ma se fossi nella mia stessa situazione non credo che lo troveresti tanto divertente.» Ribatté sbadigliando. «Scusami, non ho saputo resistere! Volevo solo risollevarti il morale...ma, in effetti, dopo sette notti in bianco, neanche io avrei tanta voglia di ridere. Come mai non riesci a dormire?» Ma Aria non rispose. Sembrava essere entrata in uno stato di trance. «...Prooonto, Aria?»Marina la scosse e lei si riprese. «Oh, io...non lo so.» L’amica la guardò con fare indagatorio, poi disse: «Sarà la tua solita ansia. Dovresti smetterla di essere così nervosa.» Aria annuì, ma non trovò alcun conforto nelle parole di Marina. Sembrava facile dire certe cose ad una persona ansiosa, quasi quanto pugnalarsi al petto e ordinare alla ferita di smettere di sanguinare. Non era così che funzionava, magari fosse stato così semplice. Sapeva che la signorina Chioma Folta ci teneva davvero all’amica e voleva solo aiutarla, ma non ci sarebbe mai riuscita, perché non erano né l’ansia né il nervosismo il problema. Del resto, nessuno l’avrebbe presa sul serio se avesse rivelato che la causa di quelle notti insonni era un sogno angoscioso, e che Aria cercava intenzionalmente di non addormentarsi, sperando così di non rifare lo stesso incubo che l’aveva tormentata per una settimana.



 Ad ogni calare delle tenebre si ritrovava in un luogo a lei sconosciuto. Era una grande metropoli, simile a Twin Seeds, ma lei sembrava essere l’unica abitante. La prima volta che fece quel sogno decise di esplorare, ma, per quanto girasse la città, entrando in negozi, abitazioni private, ogni edificio che le si parasse davanti, non c’era un’anima viva. Nessuna macchina, motorino o veicolo di alcun genere infestava le strade riempendole di smog. Tuttavia Aria sapeva di non essere sola: dopo aver camminato senza meta per chissà quanto tempo, sentì una voce femminile. Un leggero sussurro che piano piano si trasformò in un disperato e confuso grido d’aiuto. Quel suono angosciante rimbombò nella sua testa come una campana. Sapeva che una persona era in pericolo e avrebbe voluto aiutarla, ma non riusciva a raggiungerla. Per quanto cercasse di avvicinarsi alla voce correndo da un quartiere all’altro, quella sembrava provenire da tutte le parti.

Poi, per fortuna, si svegliò. All’inizio Aria non fece molto caso a quell‘incubo, del resto non era la prima volta che le capitava di sognare avvenimenti strani. Non avrebbe mai immaginato che, a partire da quella notte, ogni sogno sarebbe stato la continuazione del precedente.

Nelle notti successive, la ragazza finì per ritrovarsi ancora nella grande metropoli, ad avanzare tremando e con il cuore in gola, a piccoli passi lenti, accompagnata da quel grido che le perforava le orecchie. Sembrava aver perso il controllo del proprio corpo, facendosi guidare da una strana energia verso il grattacielo più alto della città. Durante l’ultima notte,  finalmente Aria raggiunse l’edificio possente e maestoso e, guardandolo, si sentì solo una minuscola e insignificante formichina.

Non sapeva esattamente il motivo per cui quella forza misteriosa che l’aveva controllata nelle notti precedenti l’avesse portata fino a lì. A lei, quella grande bestia di metallo non trasmetteva una bella sensazione...

All’improvviso, il grido che l’aveva accompagnata fino a quel punto si tramutò in un pianto sempre più leggero, ritornò ad essere un sussurro...e poi ne seguì il silenzio.

Il sole calò in fretta, le luci dei lampioni e delle insegne si affievolirono sempre di piú e l’oscurità inghiottì completamente la città. Aria continuò ad osservare il grattacielo per qualche minuto, indecisa se entrare o meno, ma quando sentì, dei sospiri sinistri alle sue spalle, a pochi passi da lei, un brivido le corse lungo la schiena. Non ebbe il tempo di voltarsi che venne attaccata da un’orda di creature nere. Urlò terrorizzata, colta alla sprovvista, mentre si dimenava per scacciare via i suoi aggressori, ma, per quanto cercasse di difendersi e di spingerli lontano da lei, pugni e calci trapassavano i loro corpi. Aria capì che i suoi colpi non stavano funzionando, così decise di cambiare tattica e provare a fuggire. Non ebbe il tempo di guardarsi intorno, quindi ritenne che il grattacielo lì vicino fosse il riparo migliore, pur non sapendo se quella soluzione si fosse rivelata efficace o meno.

Aria avanzò verso il grattacielo, circondata dalle ombre, che intanto emettevano uno stridio strziante e le giravano intorno, dandole la sensazione di trovarsi nel bel mezzo di un tornado. Quando gli spettri capirono il suo piano cominciarono a graffiarle braccia e gambe. Per quanto il dolore fosse lancinante, Aria continuò a camminare.

Benché fosse solo un sogno, tutta quella sofferenza sembrava talmente reale che se si fosse fermata avrebbe giurato di rimanerci secca. Vedere cosa avesse davanti era impossibile in mezzo a quella nube oscura, quindi protese la braccia in avanti sperando di potersi aggrappare a qualcosa. Quando le sue mani toccarono il portone dell’edificio, tirò un sospiro di sollievo. Non sapeva se il suo piano avrebbe funzionato. Forse tutta quella fatica non le sarebbe servita a niente, forse gli spettri l’avrebbero seguita e aggredita anche una volta entrata. Ma conservava ancora un briciolo di speranza dentro di lei e avrebbe provato a sopravvivere fino alla fine. Con questo pensiero in testa tirò goffamente la maniglia, spalancò il portone e lo richiuse velocemente alle sue spalle.



Si concesse un minuto per riprendere fiato, accasciandosi contro il portone e aspettando che il suo respiro affannoso tornasse normale. Intanto si accorse che lo stridio infernale di quelle creature si era placato. Forse quei mostri si erano allontanati, ma non ebbe il coraggio di affacciarsi e controllare. Si guardò intorno e osservò il suo riparo con attenzione. A giudicare dalla reception e dai carrelli portabagagli, Aria si trovava in un hotel. La sala era enorme, calda e accogliente, fornita di un grande camino, dei tavolini e delle poltrone rosse dall’aspetto molto comodo. Il pavimento era coperto da una soffice moquette arancione che le faceva il solletico alle gambe. Piano piano, la vista di Aria si offuscò dalle lacrime, solo allora si rese conto che aveva iniziato a piangere. Il motivo? Non lo sapeva. Forse la paura per ciò che le era successo prima, o forse la gioia per essere sopravvissuta.

Ancora scossa dal caos di qualche minuto fa, cercò di alzarsi da terra, ma le sue gambe le facevano così male da farle girare la testa. Zoppicando, riuscì a raggiungere il camino e a sedersi accanto al fuoco. I graffi le avevano provocato delle ferite, alcune di esse erano molto profonde e perdevano sangue. Aria sapeva che avrebbe dovuto fermare il flusso in qualche modo, ma, in quel momento, tutto ció che voleva fare era riposare un po‘ al caldo. Si lasciò viziare dalla morbidezza della poltrona, desiderando che quel momento durasse in eterno, ma, appena si riprese, cominciò a fare mente locale e a ripensare a tutto ciò che le era successo. Dunque ora sapeva di non essere sola in città, c’erano quelle deliziose creature demoniache comparse dal nulla a farle compagnia! Perfetto. E la ragazza che gridava aiuto? Aveva smesso di urlare proprio nel momento in cui erano comparse quelle...cose. Probabilmente non è stata cosí fortunata da sopravvivere, e Aria si sentiva dannatamente in colpa per questo. Forse sarebbe riuscita a trovarla e a salvarla se si fosse ribellata a quella strana energia che l’aveva condotta all’hotel, o sarebbero morte entrambe nel tentativo.

In effetti aveva la sensazione che, chiunque o qualunque cosa l’avesse controllata in quel momento, stava cercando di salvarla. Ma perché aveva scelto di portarla proprio in quell’albergo, quando poteva nascondersi benissimo un edificio qualsiasi, anche piú vicino? Osservò il camino e le lingue di fuoco ipnotiche che la riscaldavano. «Oh...aspetta un momento.» Pensò tra sé e sé, mentre si rendeva conto che il camino non poteva certo essersi acceso da solo, ed era improbabile che fossero stati gli spettri, quindi forse, lì nell’hotel, c’era qualcun altro con lei.

Delle enormi carte da gioco erano appoggiate sul tavolino più vicino a lei, ricoperte dalla sporcizia. Ne prese una e, osservandola, notò l’impronta di un dito. Aria pensó subito alla ragazza e il suo cuore si riempì di gioia. «Deve aver avuto la mia stessa idea, questo significa che è sopravvissuta! Forse posso trovarla, se è ancora qui.» Ma la sua espressione sollevata scomparve subito dopo aver esaminato la carta più attentamente, e si trasformò in un volto terrorizzato. Confrontandola con il suo indice, notò che si, quella era l‘impronta di un dito, ma due volte più grande del normale.



Qualunque cosa fosse, non poteva essere umana. Probabilmente si trovava ancora tra le mura dell’albergo, e lei era lì, ferita, indifesa e spaventata. Deglutì e strinse la carta in un pugno, stropicciandola, mentre tutto nella sala diventò incredibilmente sinistro, dalle poltrone rosso sangue, alla moquette pungente, dai tavolini antichi e lugubri al camino e le fiamme sempre piú fievoli. Tutto sembrava volesse inghiottirla di nuovo nell’oscurità. Da un momento all’altro quei mostri sarebbero tornati, ci avrebbe scommesso. Presa dal panico, non si accorse neanche che aveva ripreso a singhiozzare tra le lacrime, mentre barcollava per cercare un rifugio dietro il bancone della reception. Non sapeva neanche da cosa si stesse nascondendo, ma sentiva di non essere al sicuro in quel posto. Sarebbe voluta uscire e scappare via, ma anche fuori il pericolo la stava aspettando, pronto ad accoglierla a suon di grida stridule e graffi. Si sentì una completa idiota quando alzò la cornetta del telefono, nella speranza di poter chiamare soccorso. Era ovvio che, qualsiasi numero avesse composto, non avrebbe risposto nessuno. Fù per questo motivo che si sorprese nel sentire una voce dal telefono, anche se diversa da quella della ragazza. Ad Aria venne la pelle d’oca quando, ascoltando più attentamente, capì che si trattava di un ghigno.

Poi, il caos. Quella folle risata maniacale riecheggiò tra le pareti della sala, facendo vibrare tutto. Le vibrazioni, forti come scosse di un terremoto, fecero cadere tutti i quadri giganteschi appesi alle mura. Le poltrone si capovolsero e i vasi colorati sui tavoli caddero e si ruppero. Da lontano, nella cucina dell’albergo, si riusciva a sentire il rumore dei piatti e dei bicchieri che si frantumavano in mille pezzi, assieme al frastuono metallico delle posate che cadevano. Il rumore, però, non era che una dolce melodia se paragonata a quel sogghigno malefico e interminabile che perforò i timpani di Aria. La ragazza, riparata sotto il bancone, era terrorizzata e implorava singhiozzando che tutto finisse in fretta. «Non ne posso più, basta! Non voglio morire, non voglio...»

In un attimo, Aria aprì gli occhi e si mise a sedere, riprendendo a respirare affannosamente. Si guardò intorno e notò con sollievo che si trovava nella sua cameretta dalle inconfondibili pareti color lavanda, sul suo letto caldo e comodo. Osservò l’orologio: le cinque del mattino. Era così contenta che quello fosse solo un brutto sogno, almeno finché non sentì qualcosa che le pungeva la mano. Aprendola, rabbrividì. C’era ancora la carta da gioco stropicciata che aveva tenuto con sé nel sogno. Non osò accendere la lampadina per guardarsi braccia e gambe. Le bastò toccarsi la coscia per scoprire che le ferite non le facevano piú male e si erano cicatrizzate. Questo significava che ogni cosa successa nel sogno era...reale? Forse era diventata pazza, o stava avendo delle allucinazioni. Magari il sogno era così intenso che lei stessa si era graffiata mentre dormiva, ma questo non spiegava la carta da gioco nella sua mano. La osservò e si convinse che probabilmente il sogno era più vero di quanto immaginasse. Non poteva smettere di chiedersi se sarebbe mai riuscita a svegliarsi nel caso fosse morta a causa di quelle creature. Questo pensiero la tormentò per ore, soprattutto perché sapeva che la notte successiva sarebbe tornata in quell’albergo, e che quell’incubo infernale sarebbe continuato per chissà quanto tempo. Non avrebbe potuto sopportarlo, doveva fare qualcosa. Fù in quel momento che decise di prendere delle pillole anti-sonno di nascosto, e combattere contro ogni minimo desiderio di dormire. Non poteva permetterselo, non dopo tutto quello che le era successo.



«Aria? Aria! Ci sei?!» La voce di Marina la ripescò da quel tuffo nel passato, riportandola sul sedile logorato del pullman. «Si, si...mi sono solo incantata per un po‘» «Non è una novità dopotutto, vero? Su, stiamo per arrivare alla nostra fermata, comincia ad alzarti, Bella Addormentata.» Le disse la signorina Chioma Folta ridacchiando. Aria annuì accennando un sorriso. Poi, una volta scese dal pullman, le due ragazze si avviarono verso la scuola, Marina che si sistemava lo zaino sulle spalle e Aria che, con le mani in tasca, stringeva ancora quella misteriosa carta da gioco stropicciata.
Beh, eccoci arrivati alla fine! Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto, spero di riuscire ad aggiornare presto. 
Intanto, se vi va, lasciate una recensione, mi farebbe molto piacere! c:

 
  
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