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Autore: AuraNera_    28/06/2015    6 recensioni
I Pokémon Leggendari non possono scomparire. I Guardiani devono salvaguardarli. Ma il prezzo potrebbe essere troppo alto.
Dal capitolo uno:
“Tutto in me è bianco. Bianca la pelle. Bianchi i capelli. Bianche i vestiti che indosso. Solo i miei occhi interrompono il monocrome che mi compone. Il bianco è un colore vuoto, per questo mi caratterizza. Ma, come un foglio bianco, spero che anche la mia anima venga colorata con nuove emozioni derivanti da questo viaggio. Un viaggio che mi porterà lontano. Mi chiamo Ayumi Sato. E sono la prima guardiana delle leggende.”
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 22 – Segreti svelati

 
_Amarantopoli_
 
La mente di Fujiko si era come bloccata, congelata. Questo per lo shock e l’assente volontà di elaborare le informazioni.
Di certo era felice di vedere la madre sana e salva, al massimo un po’ sciupata, però capiva che era sbagliato. Non sarebbe dovuto accadere.
Subito, iniziò a elaborare delle risposte che indulgessero il genitore a desistere. Poteva distorcere la realtà di quella donna, scomparire davanti ai suoi occhi e fare in modo che pensasse che la mente le avesse giocato un brutto scherzo, cancellarle la memoria o semplicemente mentire, fingendo di essere una ragazza spaventosamente simile alla figlia. Effettivamente, gli occhi non erano più dello stesso verde di quelli della madre.
Tuttavia, anche tutto quello era sbagliato. Non poteva fare una cosa simile. Non inteso a livello di capacità quanto di rifiuto personale.
Azzardò uno sguardo verso Pure, Rein e Ayumi. La prima era distratta e sorrideva cortese alla donna, senza capire la situazione quasi drammatica; il ragazzo era spiazzato, non si sa bene se per il quadro generale completamente assurdo o perché effettivamente aveva compreso appieno la situazione; Ayumi appariva sorpresa e fu l’unica a ricambiare il suo sguardo.
- Va tutto bene, Fujiko. Agisci come ti sembra più giusto – le comunico telepaticamente. Dopotutto non poteva negarglielo, era un suo diritto chiarire la situazione, ora che non poteva più evitarla. Poteva decidere se mentire oppure no.
Fujiko aveva tre diverse opzioni, nessuna delle quali era totalmente giusta e totalmente sbagliata. Poteva agire sulla sua mente, mentire e, con ogni probabilità, spezzarle il cuore oppure raccontarle la verità, interamente oppure no.
Il silenzio non era un’opzione che si potevano permettere di contemplare, perché rappresentava il punto finale della strada prima delle diramazioni, prima della scelta. E Fujiko pareva bloccata in quel punto, come incastrata nel cemento.
“Mamma” disse fine con tono rassegnato, abbassando gli occhi. Se non sai scegliere, escludi. Così aveva ragionato la bionda. Aveva escluso il primo approccia alla menzogna e alla finzione, inoltre non sembrava ancora intenzionata a distorcere la mante della donna.
“Fujiko, tesoro...” sussurrò ancora la donna. Ayumi vide che in quegli occhi si riaccendeva una luce. Gioia, speranza. L’albina si sentì in colpa già dal momento, poiché sapeva che avrebbero dovuto velocemente soffocare quella scintilla luminosa, prima che diventasse troppo abbagliante.
Illusione.
Quella sarebbe stata la cosa più crudele. Illuderla che la figlia fosse fuori pericolo, che si era assentata per un breve lasso di tempo. No, Fujiko non era libera.
Non ancora, come minimo. Mai lo sarà, il massimo del pessimismo.
“Dove sei stata?” chiese la donna, mentre stringeva stretta tra le braccia la figlia, la quale stava rigida come un palo a fissare un punto vacuo al di là della spalla della signora Ayane.
- Cosa le dico? Cosa posso dirle? Non capirebbe la verità – disse Fujiko allarmata agli altri, facendo prendere uno schioppone al povero Rein che non era abituato alle discussioni telepatiche. Ayumi lo escluse dal flusso.
- Perché non dovrebbe capire? – chiese subito dopo.
- Perché lei è... è una persona... comune – rispose esitante Fujiko.
- Apelle figlio di Apollo, fece una palla di pelle di pollo... – Ayumi escluse anche Pure dal flusso di pensieri, e la ragazza non sembrò farci caso.
- Io non posso aiutarti. Non la conosco. Posso solo... appoggiarti e assecondare le tue scelte, correggendole e semplificandole, se necessario – rispose poi alla bionda.
Nel frattempo, la donna aveva sciolto l’abbraccio e osservava la figlia.
“Sei cambiata” le disse. Un brivido percorse la schiena di Fujiko. Già, lei era cambiata, era diversa. Lo era sempre stata e lo aveva sempre saputo. Lo aveva ignorato, lo aveva sempre fatto fino a circa un mese prima. Quanto poco bastava per cambiare completamente una persona?
“Lo so” disse, piantando i suoi occhi in quelli del genitore. Lo sguardo, simbolo di quel cambiamento, l’elemento più visibile. In secondo luogo il carattere. E poi, ancora più a fondo, il terzo livello, quello irrivelabile.
Fujiko sospirò, passandosi una mano tra i capelli e allontanandosi dalla madre.
“Devo andare mamma” disse solamente. Ayumi si rese conto di essersi sbagliata. Le diramazioni erano più di tre. In quel caso, stava optando per una fusione tra la seconda e la terza. Le spezzava il cuore con la verità
- In questo modo, forse, non vorrà più cercarmi e le verrà più facile scordarsi di me –. La frase della bionda confermò i sospetti dell’albina, che ne percepì l’infinita tristezza. Abbassò il capo, per farle capire che le sembrava una soluzione sensata e che poteva proseguire.
Una soluzione crudelmente sensata.
“Come sarebbe, ‘devi andare’?” chiese la signora Ayane, con un tono infastidito, quasi arrabbiato. La ragazza non rispose, si limitò a fissarla con sguardo serio. Questo fece scoppiare l’ira nell’adulta. “Tu non vai da nessuna parte, signorina! Io sono tua madre e tu devi ubbidirmi!” la sgridò, alzando la voce.
‘La rabbia spesso viene fraintesa. È un sentimento spesso nato dalla trasformazione della tristezza o della preoccupazione’ rifletté Ayumi, osservando la scena. Non ricordava chi le avesse detto quelle parole.
“Io non devo darti ascolto. Io non posso più darti ascolto. Quella che vedi davanti a te non è pienamente tua figlia da un sacco di tempo!” ribatté secca Fujiko, facendo sobbalzare i presenti. A parte Pure, che si stava facendo allegramente gli affari suoi.
Rein seguiva attentamente il discorso, cercando di estrapolare da esso ogni singola goccia del succo. Qualunque cosa che potesse placare la sua sete causata dall’esigenza del conosce e curare il bruciore della paura.
“Ho finto di essere ancora pienamente tua figlia fino a che non ho saputo io stessa la verità. Adesso che la so, non posso più fingere, ho altre priorità. Anche se è pericoloso, anche se ho paura, anche se vorrei abbracciarti e restare con te, io non posso! Quello che custodisco dentro di me attira disgrazie ed è troppo prezioso perché io me ne lavi le mani. Molte... vite... persone e altre creature, contano su di me. Io non sono quella che pensavo di essere... ci ho messo un po’ a capirlo ma... ora è così naturale pensare che io non sono del tutto umana... io non devo darti ascolto, non posso neanche chiamarti ‘mamma’ con tutta sicurezza perché... queste cose... valgono solo per la metà di me, quella parte debole che più di una volta mi ha fatto inciampare. Quella parte la devo sopprimere, soprattutto quando sono qui fuori”.
Fujiko prese fiato e alzò la testa al cielo, le palpebre chiuse che lasciavano fuoriuscire due lacrime gemelle, le quali scendevano lente accarezzandole il viso come a consolarla. La serietà e la velata disperazione delle sue parole colpirono profondamente Ayumi e la signora Ayane, che pur non potendo comprendere la situazione, era rimasta stupita di fronte a ciò che la ragazza, o meglio, la Guardiana era diventata.
Lei non era cambiata. Lei si era semplicemente scoperta per chi era in realtà.
“Se tu non sei mia figlia... o almeno non lo sei per metà... chi sei?”. Il silenzio seguì quella domanda. “Ho il diritto di saperlo” sussurrò allora, stringendo i pugni e tentando di congelare le lacrime che minacciavano di cadere e di non arrestarsi.
“Io... per metà sono Fujiko. Per metà sono Jirachi, un Pokémon Leggendario. Quello che sono... beh, quelli come me vengono chiamati Guardiani. Per cui, lascia che mi presenti a dovere, mamma di una parte di me. Io sono la Guardiana dei Desideri” scandì piano la bionda, quasi con solennità
Stupore, meraviglia, malinconia, disagio, arrendevolezza. Questo esprimeva la madre di Fujiko.
“Anche loro?” chiese, la voce spezzata. Ayumi si prese la libertà di annuire e inserirsi nel discorso.
“Noi ci conosciamo già, signora. Io sono la Guardiana dei Venti Gelidi, Ayumi, Articuno. Vorrei dirle solo poche parole, se mi permette”. La donna annuì, e l’albina continuò. “Quello che sua... figlia... le ha appena rivelato è un segreto che in pochissimi sanno. E un segreto va custodito nel più profondo angolo dell’anima delle persone. Se lei lo racconterà ci metterà in pericolo, metterà in pericolo sua figlia, la sua vera figlia, che rischierà di scomparire”.
La donna sussultò, singhiozzando. “Manterrò il segreto” sussurrò con tono quasi inudibile.
“Bene. Un’altra cosa, ossia quella che ho tentato, nel mio imposto silenzio, di comunicarle quel giorno”. La donna fissò con evidente disperazione gli occhi serissimi di Ayumi, illuminati di un fervore mai visto. “Le assicuro, glielo giuro sulla mia assurda esistenza, che io farò di tutto perché sua figlia si salvi e torni da lei. Anche a costo di prendermi una freccia nel cuore al posto suo, io la proteggerò”.
Un altro urlo di Ho-Oh fece eco alle sue parole.
Fujiko aveva sgranato gli occhi, ma non trovò le parole adatte per esprimersi alla ragazza. Rein aveva levato uno sguardo alla Torre, preoccupato ma consapevole che, chiunque quelle tre ragazze fossero, non lo avrebbero abbandonato. Pure aveva percepito il discorso da lontano, pur non riuscendo a concentrarsi totalmente su esso, e ne era rimasta colpita, sempre a modo suo.
Ayumi si voltò verso gli altri Guardiani.
“Dobbiamo andare” disse semplicemente e gli altri annuirono. Lasciarono il cunicolo e la madre di Fujiko alle loro spalle. La ragazza sfiorò unicamente una mano alla donna, prima di seguirle.
“Non ho saputo salutarla... non conoscevo le parole adatte...” confidò all’albina a mezza voce, il senso di colpa che le stringeva il fegato in una morsa dolorosa.
“So che è difficile, ma hai fatto bene, non sai nemmeno tu come andrà a finire e hai avuto il buonsenso di non illuderla in alcun senso”. Boccheggiò poi appena, come se volesse aggiungere altro ma le parole fossero improvvisamente venute meno. “Sono rimasta molto colpita da quello che hai detto, comunque” sospirò infine.
“Quello che ho detto? Di cose ne ho dette tante” ribatté pacata Fujiko.
“La parte ‘io non sono tua figlia da molto tempo’, tutto quel discorso lì. Mi ha colpito, non l’avevo mai pensata in quel modo”.
“...E?”
“...E hai pienamente ragione. E capisco il tuo stato d’animo... credo. E... grazie per avermelo fatto capire” rispose infine esitante l’albina, lasciando poi spazio al silenzio.
“Non possiamo entrare normalmente nella Torre Campana, ricordi?” disse poi a voce alta Fujiko, con energia, come se tutta la situazione iniziale non fosse mai esistita. L’albina resse il gioco, annuendo.
“Per questo posso aiutarvi io... mio nonno era un Custode della Torre. Mi riconosceranno...” balbettò a disagio Rein.
“Benissimo allora. In caso contrario faremo come l’altra volta” decretò Ayumi, aumentando il passo a un ennesimo strillo da parte del Pokémon Leggendario.
“Speriamo di non perderci come l’ultima volta” rimuginò Fujiko, lievemente preoccupata dal poco tempo che avevano a disposizione.
“Non possiamo prendere una cartina?” chiese innocentemente Pure, che non ottenne altra risposta fuorché le occhiate perplesse e scioccate da parte dei due ragazzi di Amarantopoli.
“Conosco bene anche l’interno della torre. Sono andato fino in cima altre volte” borbottò Rein ancora. Fujiko gli regalò un sorriso smagliante.
“Perfetto” si congratulò. Il Guardiano sbarrò gli occhi a quella reazione. Com’era possibile che fossero così gentili, quando lui non aveva fatto altro che comportarsi da codardo e fuggire da quella che, aveva compreso, era da tempo la sua realtà?
Inoltre, non si capacitava di una reazione tanto naturale da parte della bionda, una creatura che nascondeva sotto la maschera allegra di una semplice ragazza un potere formidabile. Inoltre, la sua gentilezza risultava quasi comicamente fuori luogo con tutto quello che stava accadendo in quel momento.
Perso nei suoi pensieri, andò quasi a sbattere contro Pure, mentre la voce di Ayumi lo riscuoteva.
“Ci siamo” disse semplicemente.
Rein inspirò lentamente, prima di entrare nel piccolo santuario dove i monaci pregavano e accoglievano confessioni e richieste da parte delle persone che ne percepivano la necessità. Ma loro andarono dritti, verso delle scale sorvegliate da un monaco più anziano dalla lunga barba bianca e il volto segnato da una sottile ragnatela di rughe, affiancato da altri due giovani dal portamento serio ed efficiente.
Il volto severo dell’anziano si addolcì quando riconobbe il giovane dai riccioli biondi.
“Mio caro ragazzo, Rein. È da tanto che non ci vediamo... quasi troppo, effettivamente. Dimmi, che cosa posso fare per te e le tue giovani accompagnatrici?” esordì, parlando piuttosto lentamente.
“Sommo monaco, siamo qui per chiedergli di onorarci con il suo permesso per passare attraverso il sentiero Din Don e recarci sulla cima della Torre” disse il Guardiano tutto d’un fiato, chinando il capo in segno di rispetto e umiltà.
“Sacrilegio! – esclamò uno dei due giovani monaci, indignato – Il permesso non è accordato nemmeno ai più talentuosi giovani monaci! Come potete avere la presunzione di poter anche solo richiedere un simile onore?”
“Placati, giovine. Tu non conosci il ragazzo, ma io sì. Lascia queste decisioni a chi ne è competente” lo sgridò pacatamente l’anziano. Il giovane chinò la testa e tornò al suo posto, muto e oltraggiato. “Che cosa ti manda a esplorare la torre in un momento come questo? Sono incredibilmente sorpreso da questa tua scelta, persino io no so cosa questo possa significare” proseguì rivolgendosi a Rein.
“Forse lei può non trovare una logica spiegazione a questo particolare fenomeno… ma queste tre ragazze sanno. E mi aiuteranno a risolvere la situazione” disse, con voce leggermente tremante.
“Come puoi dire con assoluta sicurezza una cosa simile?” chiese il monaco, corrucciandosi a quella particolare affermazione.
“Sono come me. Io le ho viste” rispose Rein con decisione, stringendo i pugni, a disagio. L’anziano assottigliò lo sguardo e fece un cenno ai due ragazzi che stavano con lui; loro abbandonarono immediatamente la stanza.
“Dimostratemelo” ordinò a bassa voce, roco.
Ayumi si irrigidì. Tutto stava sfuggendo dal suo controllo. Non poteva permettere che troppe persone venissero a conoscenza del loro potere. Stava tutto diventando troppo sbagliato, troppo pericoloso.
‘Però... dopotutto il mio compito è di difendere e salvare i Leggendari, non me stessa’ rifletté poi con una punta di amarezza, facendosi avanti e creando sul palmo aperto un cristallo di ghiaccio, mentre la pelle della mano veniva coperta da un sottilissimo strato di brina.
Fujiko sollevò un vaso nelle vicinanze facendolo vorticare attorno alla testa del monaco, mantenendo il contatto telecinetico con un dito, che si muoveva quasi annoiato in modo circolare.
Pure creò una catena d’acqua attorno a sé stessa, in una sorta di cerchio che la circondava sospeso a mezz’aria. Poi, con no schiocco secco delle dita, indirizzò l’acqua dentro al vaso che teneva sollevato la Guardiana dei Desideri, annaffiando la pianta che era costudita all’interno, annuendo poi soddisfatta.
Rein non fece nulla, semplicemente osservò incuriosito i loro poteri, così come il sommo monaco, che scrutava le tre attraverso le palpebre socchiuse.
“Molto bene” disse poi lentamente. “Avete il mio permesso di arrivare fino all’apice della Torre. Tuttavia dovrete mostrare rispetto e pazienza, poiché le Kimono Girl, le personali sacerdotesse di Ho-Oh, sono sulla cima in un tentativo di placare la sua inspiegabile ira”.
A quelle parole, i quattro ragazzi si scambiarono delle occhiate preoccupate.
“Sbrighiamoci” disse solo Ayumi, scattando verso le scale che li avrebbero portati al sentiero.
“La ringrazio” balbettò in fretta il ragazzo per poi raggiungere di corsa le altre tre, tutte perse in pensieri profondi e diversi tra loro. Anche Rein sparì in fretta, inghiottito dalla scalinata sotto lo sguardo rassegnato del sommo monaco.
Un sospiro flebile abbandonò le labbra del vecchio. ‘Non avrei mai voluto che questo giorno arrivasse per te, Rein. Tuo nonno mi ha detto di sapere che cosa significa tutto ciò e so che il destino non sarà benevolo con te d’ora in poi. Spero che Ho-Oh ti protegga infondendoti un po’ del suo fuoco. Spero che ci rivedremo, un giorno’.
 
Le foglie dai colori perennemente autunnali e caldi rivestivano quasi completamente le piastrelle di pietra grigia che lastricavano da secoli quella strada, che pochi sceglievano di percorrere. Molti si fermavano sul portico, accettavano semplicemente la brezza che accarezzava la pelle e le foglie che sfioravano i vestiti, impigliandosi talvolta nei capelli. A diversi bastava una lunga e significativa occhiata per imprimere tutto ciò che c’era da vedere di quel posto, il contrasto tra i colori accesi delle piante e della pietra che, grazie al contrasto, appariva quasi con una leggera sfumatura bluastra.
Alcuni, invece, sceglievano di assaporarsi tutto il tragitto fino a spalancare le porte della torre, facendo oscillare le pupille in armonia con il pilastro centrale che sorreggeva l’imponente struttura. I monaci più anziani e le cinque sacerdotesse lo facevano di rituale, pur piuttosto raramente.
Ma nessuno era come i quattro Guardiani. Loro correvano, non gli importava troppo dell’armonia, anche perché quella era già stata spezzata nello stesso preciso istante in cui la prima striscia di cielo si era colorata di rosso fuoco e le urla del Leggendario avevano iniziato a far tremare il pavimento lastricato antico della città.
A loro, il mondo appariva in tutta un’altra prospettiva. La bellezza andava ammirata da chi ne aveva tempo, e chi non ne aveva doveva correre. E loro correvano.
 
Non trovarono il custode della prima scala al pian terreno. Probabilmente gli era stato detto di allontanarsi per il rischio che, sicuramente, avevano percepito tutti all’interno del santuario.
Non c’era il tempo e la necessità di parlare. Per trovare la strada seguivano Rein e i discorsi non potevano prevenire o proteggerli dal futuro imminente. I pensieri, invece, erano impossibili da fermare, e passavano da una mente all’altra senza necessitare di collegamenti telepatici.
Ogni piano corrispondeva a del calore che, inesorabile, aumentava, grado dopo grado. Per Ayumi, stava diventando tutto molto difficile, mentre Rein quasi non se ne accorgeva. Lo sbalzo termico si avvertiva soprattutto quando venivano sbalzati da una parte all’altra dai teletrasporti.
Le urla del Pokémon si propagavano attraverso tutto l’edificio e il pilastro centrale scricchiolava. Sembrava che l’intera struttura gemesse e urlasse assieme al Leggendario al quale l’intera struttura era dedicata.
Arrivati all’ultimo piano, il calore era visibile, l’aria pareva tremare. Fujiko osservava Ayumi con crescente preoccupazione. Lei era in parte un Pokémon di tipo ghiaccio e il fuoco non era il suo principale alleato. Boccheggiava da qualche minuto e gli occhi apparivano vitrei per la fatica. Lei e Pure iniziavano a sentir la pelle bruciare in modo realmente fastidioso solo in quel momento, mentre Rein era, come ci si poteva aspettare, a suo agio. Gli occhi e i riccioli biondi sfumavano assieme alle fiamme.
Tuttavia, lui era il più spaventato. E Fujiko non poteva dargli torto. Anche lei era spaventata quando era entrata nella piccola dimensione onirica di Jirachi per la sua prova.
Erano ormai all’ultimo piano, e mancavano solo le due passerelle in legno alla scalinata finale.
“Aspetta”. L’albina fermò il ragazzo prima che mettesse piede sul legno. Traballante si avvicinò a lui fino ad affiancarlo e osservò con occhio critico le assi. “Vai piano e presta attenzione. Il caldo potrebbe aver intaccato il legno” disse semplicemente.
Rein annuì sotto pressione e mosse un primo passo. Il legno scricchiolò sotto il suo peso, ma sembrò reggere. Incoraggiato, fece altri due passi più veloci, per poi bloccarsi a un rumore più forte degli altri. Ma il legno era ancora solido sotto i suoi piedi, o almeno quello che bastava a sorreggerlo. Proseguì di altri cinque passi.
Poi, Ho-Oh urlò, e un’onda di energia rovente lo colpì respingendolo indietro di un paio di metri, facendolo atterrare in malo modo sulla schiena.
L’impatto gli mozzò il respiro, facendolo boccheggiare per qualche secondo prima che riuscisse a dare nuovamente aria ai polmoni. Tuttavia, non ebbe il tempo di tirare il fiato, perché sotto di lui, il legno iniziò a scricchiolare minaccioso.
Il ragazzo iniziò ad agitarsi in preda al panico, muovendosi a scatti irregolari e disordinati, peggiorando la situazione.
“Rein. Stai fermo e ascoltami. Devi muoverti lentamente e con calma. Mettiti a gattoni e striscia lentamente verso un’estremità” lo istruì Ayumi, attenta e calcolatrice, pronta ad assumere la Forma Guardiana se necessario, pur indebolita dal calore eccessivo.
Il ragazzo, pur terrorizzato, eseguì e iniziò a percorrere quei due metri che lo separavano dal pavimento sicuro.
Un metro.
Un metro e mezzo.
Quasi due metri. E il legno si spezzò sotto le sue ginocchia.
L’urlo acuto che il Guardiano lanciò fu stroncato fino a trasformarlo in un gemito strozzato dall’impatto di ciò che restava dell’asse contro il suo stomaco. Si teneva su con la sola forza delle braccia, irrigidendo le spalle e impiantando le unghie nel legno scheggiato, frantumandosele e imbrattando i polpastrelli del suo stesso sangue.
Ayumi, vedendolo cadere, aveva assunto la sua Forma Guardiana, ma una nuova ondata di calore le aveva provocato un capogiro che l’aveva disorientata. Fujiko e Pure avevano ritardato di un paio di secondi, prese alla sprovvista, ma entrambe, a quel punto uscirono da quella sorta di trance provocata dallo spavento e dalla tempestività degli eventi.
Pure saltò immediatamente da un tratto di pavimento all’altro, puntando sull’immensa agilità caratteristica di Suicune. Atterrò quasi su una delle mani del ragazzo, che per istinto la ritrasse, perdendo la presa e rimanendo appeso solo con la sinistra. E poi, anche quella mano cedette, prima che la Guardiana dell’Acqua Pura riuscisse ad afferrargliela.
Rein chiuse gli occhi, aspettando di schiantarsi al suolo. Dopo cinque lunghi secondi, riaprì gli occhi, stupito. Stava fluttuando in aria, sorretto dai poteri psichici di Fujiko. La bionda lo poggiò delicatamente accanto a Pure e Ayumi, per poi fluttuare a sua volta dall’altra parte.
Il Guardiano dell’Arcobaleno barcollò appena, sentendosi le gambe molli per lo spavento, il cuore che batteva all’impazzata.
“Non svenirci qui, direi che non te lo puoi permettere in fattore di tempo” borbottò Fujiko con una vena scherzosa nel tono. Pure, sentendola, gli spruzzò un po’ di  acqua sul volto.
“Preveniamo” affermò convinta, per poi girarsi verso Ayumi e ripetere il gesto. “Preveniamo anche con te” concluse, annuendo.
L’albina la ringraziò, per poi girarsi verso le scale, che riflettevano la luce rossa del cielo.
“Andiamo” sbuffò, incamminandosi. Nessuna delle tre era tornata in forma umana.
Solo quel piccolo fatto contribuì ad aumentare l’ansia di Rein, mentre l’acqua sul suo volto si era rapidamente asciugata dal caldo. Ad ogni passo che faceva, sentiva crescere dentro di sé l’impulso di scappare. Ma non poteva.
Lo scenario della cima della torre era terribile. Il monumento centrale e le statue rappresentati il leggendario erano in fiamme e si stavano lentamente disfacendo in sottili polveri nere, che venivano poi trascinate lontano dalla brezza che si muoveva in circolo. Le nubi rosse, cariche di fuoco e fiamme, convertivano al centro dello spiazzo, leggermente in alto, dove stava Ho-Oh.
Il Leggendario sembrava impazzito, aveva gli occhi completamente rossi iride, pupilla e sclera. Le piume erano abbracciate da lingue infuocate che si disperdevano tutt’intorno ad ogni battito d’ala, mangiando e consumando tutto, dal legno all’ossigeno. Ad ogni suo grido, un’onda di aria calda si propagava con forza, facendo bruciare persino le ossa.
Inoltre, a coronare il tutto, ci stavano dieci corpi, ormai appena riconoscibili, anneriti, bruciati, morti.
“Q-quelle sono...” boccheggiò Rein, avvicinandosi. “Le sacerdotesse... e i loro Pokémon” concluse, mentre le loro ceneri si sparpagliavano all’ennesimo urlo del Pokémon Arcobaleno.
“Ha… ucciso delle persone?” sussurrò esitante Fujiko, sgranando gli occhi azzurri inorridita, segno che la risposta le era già chiare e che la sua domanda era puramente frutto dell’incredulità che questa consapevolezza le suscitava.
Pure fissava la cenere assente, distratta, persa nella parte più oscura della sua mente.
“Pure...” la chiamò con il fiato corto Ayumi, poggiandole una mano sulla spella. Lei si voltò con lo sguardo stralunato e un po’ folle. “Cerca di non perdere la testa. Mi serve il tuo aiuto...” continuò Ayumi, fissando negli occhi l’altra.
“Va bene... che devo fare?” rispose la Guardiana dell’Acqua Pura, scuotendo leggermente la testa.
“Crea dell’acqua fredda. Dobbiamo raffreddare l’ambiente.  Io con il vento la butterò in giro. Questo indebolirà Ho-oh” spiegò in fretta e ansimando l’albina. Pure sorrise decisa.
“Aggiungici della grandine. Credo che potrebbe non apprezzarla” consigliò con sguardo furbo, per poi circondare lei e l’altra con diversi anelli liquidi. Ayumi prese fiato e alzò le braccia, circondandosi di vento gelido e piccoli pezzi di ghiaccio acuminati.
Acqua, ghiaccio e vento vorticarono sempre più in fretta, fino a fondersi e venire scagliati in ogni direzione possibile e immaginabile, raffreddando l’ambiente e indebolendo e ferendo leggermente il Leggendario che urlò di rabbia.
Fujiko era rimasta con un atterrito Rein, proteggendolo dal fuoco e dalla grandine.
“Tocca a te” disse semplicemente.
“Come posso fare? La sua furia è immensa!” strillò lui spaventato, gli occhi dilatati e il respiro pesante. Fujiko gli prese le mani, stringendole leggermente tra le proprie e gli trasmise delle emozioni positive. Calma, equilibrio, coraggio, fiducia.
“Non avere paura. Io sono qui, ok? Ti aiuterò io, non temere. Le tue emozioni placheranno Ho-Oh, perché solo tu puoi farlo” gli mormorò con il tono più dolce e rassicurante che trovò.
Lentamente, il Guardiano annuì e ricambiò esitante il sorriso. Poi si voltò e provò a concentrarsi, mentre muoveva qualche passo verso l’adirato Pokémon. Il suo piede urtò qualcosa che tintinnò leggermente. Abbassò lo sguardo.
Era la Campana Chiara, lo strumento usato per allietare e richiamare il Leggendario dell’Arcobaleno. Rein la prese tra le mani, sentendosi improvvisamente molto calmo. Avendo e custodendo dentro di lui mezza anima del Pokémon, beneficiava del suono e del contatto con la campana.
Ma perché con Ho-Oh non aveva funzionato?
Rein mosse il braccio con naturalezza e un suono cristallino e limpido si diffuse nell’aria. Lo sguardo del Leggendario fu subito su di lui. Non esisteva più il resto. Solo i loro sguardi, ormai dello stesso colore.
“Ho-Oh. Quello che fai è sbagliato” disse semplicemente continuando a mantenere il contatto visivo. Il Leggendario si limitò a fissarlo. “Il tuo comportamento, il tuo perduto controllo, hanno spaventato e ucciso delle persone che credevano in te, ti consideravano una guida, un essere puro. Non c’è niente di puro in quello che hai fatto. Tu sei un Pokémon simbolo di vita e ardore e la morte non ti si addice. Ma allora... perché hai fatto questo?” continuò, con voce pacata.
Il Leggendario chinò la testa toccando con il becco la mano tesa di Rein. Gli occhi tornarono normali, il fuoco si estinse, le nuvole rosse scomparvero.
Il sole tornò ad illuminare i volti dei quattro Guardiani. Ce l’avevano fatta.
Ayumi sospirò e si lasciò cadere sulle ginocchia, tornando normale e osservando il cielo azzurro. Pure si sedette vicino a lei e sorrise gioiosa, senza dire nulla. Ancora una volta, le parole erano superflue.
All’albina, per la prima volta, venne naturale rispondere al sorriso, sinceramente. Poi, si sdraiò sul pavimento, respirando la brezza fresca e tentando di ignorare le scottature impresse sulla sua pelle, in quei secondi di pace.
Fujiko si complimentò con Rein, battendogli la mano sulla spalla in un gesto rassicurante. Lui era l’unico che non si era bruciato.
“Andranno via?” chiese, indicando una ferita rossastra che attraversava il volto della ragazza. Lei annuì e sorrise, facendo scorrere lo sguardo da lui a Ho-Oh. Il Leggendario sospirò.
“Che cosa ho fatto...” mormorò triste, guardandosi attorno. “Quelle ragazze... quei Pokémon... io li ho uccisi...” continuò, perso, distrutto anche lui dalle sue stesse fiamme.
“Ma tu... tu non puoi...?” chiese Rein, esitante, ma Ho-Oh scosse la testa.
“Gli umani sbagliano ad affibbiarmi la vita. Io rappresento l’ardore, l’energia, la vitalità, la voglia di vivere. Io rinnovo il mio corpo bruciandomi e rigenerandomi dalle mie ceneri. Ma non so donare la vita” spiegò affranto.
“Non rimproverarti Ho-Oh” disse Ayumi, guardando sempre il cielo. “Non era una cosa che tu potessi controllare”. Si alzò in piedi, osservando tutti i presenti.
“Ora dobbiamo solo tornare. E affrontare il futuro” concluse.
Tutti annuirono, ma Fujiko aveva una domanda.
“Ho-Oh, se tu non hai la vita come elemento... chi ce l’ha?” domandò, curiosa.
“Xerneas è il leggendario della Vita, ma è anche lui limitato. Ha il via libera sulla vegetazione e può salvare chi sta a un passo dalla morte per quanto riguarda Umani e Pokémon. Yveltal è il suo esatto opposto. Ma riguardo alla resurrezione e la condanna a morte con  un solo pensiero... beh... non ci riescono. Nessuno sa spiegarsi il perché, ma è così” spiegò il Leggendario.
“Oh. Ho capito” disse la Guardiana dei Desideri, nel momento in cui Palkia attivava il suo teletrasporto.
Ma le domande alleggiavano nell’aria, rendendola pesante.
 
“Ora ho davvero capito cosa davvero sono e cosa significa. In realtà lo sapevo di già ma ora... ora lo accetto. E sono convinta che questo è il mio destino”.
“Ancora non sono convinto di questa vita. Voglio ancora scappare ma... ho capito cosa posso fare. Però ho paura e questo non cambia”.
 
 
Angolino nascosto nell’ombra
MI SENTO UN GENIO.
Ebbene si gente, questo capitolo mi piace parecchio come è riuscito, a differenza del precedente che mi faceva leggermente schifo. Spero che voi lo adoriate come lo adoro io e, PollaH, sentiti fiera di me e Rein, ja?
Bene. Penso che si inizi a capire un po’ i collegamenti, ma nel prossimo sarà tutto ancora più chiaro. E tutti voi a leggere questo aggiungeranno mentalmente come ‘alle tante’ o ‘alleluia’. Sì, vi do ragione. Ma non pensiate sia finita qui.
Bene. Credo di aver detto più o meno tutto.
Amen, fratelli (?)
 
Aura_
  
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