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Autore: tp naori    29/06/2015    0 recensioni
Questa storia parte dalla mia voglia di descrivere la notte giovane, di studiarla, di viverla anche. Questa storia è anche frutto della mia immaginazione, i personaggi, i luoghi sono totalmente inventati o ripresi dalla realtà. Questa storia è ciò di cui vado sinceramente fiero. E siccome non è la mia maniera di scrivere, quella in cui quasi devi seguire una trama, perché qualcuno te lo impone. Accontentatevi di queste poche righe.
p.s. se trovate errori grammaticali non esitate a contattarmi, se trovate che la mia storia faccia schifo; astenetevi dal dirlo vi prego!! (sto scherzando naturalmente)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Popolo della Notte.

1.
 
Ricordo come fosse ieri, quando entrai per la prima volta al Mirrors. Le stanze oscure, segrete, le fate nel parco sul davanti di una villa che si estendeva su tre piani, di cui uno interrato. Una lussuosa facciata sormontata da finestre, disegnava un semicerchio che poi proseguiva nella linea quadrata della pianta della villa, l’entrate erano divise da due scale, correvano affianco alla facciata, marmo era presente dovunque nelle rifiniture delle scale, perfino negli stessi scalini, colonne reggevano il tetto in tegole rosse, il parco sul davanti era colmo di statue di un bianco splendore, raffiguravano succinte dee coperte da veli che ne armonizzavano i lineamenti dei seni e dei bacini.
Gente, ragazze, ragazzi ben vestiti si accalcavano verso l’entrata, l’altra era di servizio, macchine nel retro ruggivano per un parcheggio. Cappotti scuri, camicie, gonne corte, vestitini cromati, luccichii erano sparsi ovunque, qualche bella chiacchiera laggiù colmava quel silenzio asfissiante, quello che aleggia sopra le teste prima che queste, si svuotino e selvagge si lasciano andare. Gruppetti in disparte fumano le loro amabili sigarette, sfilate proverbialmente da pacchetti quasi vuoti, benché siano ancora le nove. Le ragazze ridono, lanciando sguardi a certi tipi che sinceramente se ne fregavano altamente.
Si va a ballare per un solo motivo, quello di dimenticarsi per qualche ore chi siamo, cosa facciamo, come viviamo? Sono domande che perdono senso una volta entrati, è liberazione quasi, puoi respirare senza doverti preoccupare del buco dell’Ozono, di tutte queste guerre, delle carestie e dei Orsi Polari che non sanno più dove riposare. C’e attesa e non solo nei occhi della gente, i buttafuori oscuri scrutano la notte come fari, controllano ogni movimento, arrivano perfino dei poliziotti in borghese, col loro tentativo inutile di omologarsi nella folla, non basta un camicia e un paio di jeans per fregarci. Alcuni ragazzi rumoreggiano alla loro vista. Finché l’attesa non è più definitiva, si entra ragazzi; le dolce gioie della notte assumono sembianze di cubiste e alcoolici di vari gusti.
Ed ecco che entro, pago il mio obolo e lascio il cappotto sganciandone un altro, poco m’importa perché si sa la libertà non ha prezzo. Dapprima tutta una folla concitante acclama le sue bevute, bariste e baristi volteggiano dietro il bancone, Capiroska alla fragola, Sex on the Beach, Corona, Martini eccetera eccetera.. Sale viene sparso sul bordo dei bicchieri, due cubetti di ghiaccio e puoi sentire l’armonia discendere nel tuo fegato. S’inizia cosi la serata, il primo drink va consumato prima di scatenarsi con le danze, per darsi la carica necessaria ad assorbire tutta quella musica rimbombante.
Camminavo in quelle stanze, drink alla mano, studiandone le caratteristiche, l’elemento presente sui soffitti sono specchi, sono un’po ovunque anche nelle pareti dietro i cubi, le luci girano, si spengono e si accendono a tempo, laser completano questo safari coinvolgente, molto meno di queste ragazze certo.
Ne adocchio un paio di sfarzosa bellezza, se ne stanno in disparte attente ad attirare più sguardi possibili. Alte colonne facevano parte della prima stanza oltre l’ingresso, il pavimento assomigliava molto a una scacchiera, i pezzi si stavano già disponendo per darsi battaglia, dal secondo piano potevi affacciarti sulla pista da ballo, quel luogo era adibito hai divanetti ove potevi distenderti e fare un’po di tutto. Marmo ricopriva i corrimani di tale luogo, drappi poi coprivano le finestre per creare riservatezza. Il piano interrato era un luogo piuttosto angusto se non fosse per tutte quelle luci, e la palla stroboscopica piazzata in centro a mo’ d’immenso lampadario. Altri vetri ricoprivano qui e là le pareti e il soffitto, cubi erano stati piazzati hai lati della pista da ballo quadrata, il centro nevralgico era ancora vuoto, se non per qualche spauracchio di personaggi alquanto sudici e già ubriachi. 
La musica inizia a pompare verso le nove e mezza, i balli si fanno più forsennati, chi alza le mani al cielo, chi ondeggia sulle gambe e piega i gomiti per darsi arie, chi salta sui cubi e si crede d’essere uno spogliarellista con molta esperienza, risate si scatenano anche se sono coperte per lo più dalla musica, sparata da immense casse a mo’ di bastioni, sparse per tutta la sala. Mani che si lasciano andare, vestiti che dovrebbero coprire, ma alla fine rivelano bordi di intimo ricamato di farfalle e fiocchi.
Di spazio non vi è mai in abbondanza, si sta nella ressa e ci si diverte sudando forse l’anima. Mentre la musica inizia a colpire i timpani, scaldando l’atmosfera già assomigliante a una specie di fornace infernale.
Ritmo stupendo, ritmo coinvolgente, cerco di non pestare i piedi a nessuno e mi lascio andare, sfogandomi con movimenti del collo e delle gambe, mi piego in avanti sorseggio il mio drink fino a farlo scomparire nel mio essere, qualcosa si scalda all’interno e il sangue riaffiora nel cervello, filtra e scambia materia dando ossigeno all’istinto, e pesante anidride carbonica hai pensieri raggelandoli.
Come il tempo scorre infinito, in luoghi dove gli unici orologi sono hai polsi di qualche ragazzo che proprio non può fare a meno di mostrare il suo nuovo Rolex da mille e passa euro.
Danzo da solo anche se sono in compagnia, gli improbabili amici sono spariti nei bagni, ove bhè si sa che genere di scambi ci siano la dentro, spero di non essere io quello che si deve controllare per la strada del ritorno, perché Dio amo lasciarmi andare. Dj con immense cuffie, donando ritmo all’atmosfera, essi scambiati per Dei danno molto più che semplice musica, danno la possibilità d’essere piuttosto spensierati, divelgono il senso di tempo e lo trasformano a loro piacimento, rimpolpano, mischiano, frammentano pezzi di questo secolo e non. Creando arie in quartetti senza fiato ne corde, il sole scende tramontando, onde sulla pista da ballo, cerchi magici nella notte, flou ovunque in braccialetti e collane, danziamo selvaggi, scapestrati giovani in questo inferno di mondo.
Ballo, tengo il tempo variando posizione ogni tanto, cosi da dare occhio a chi mi sta attorno, alcune ragazze attirano la mia attenzione, finché una in particolare mi fa quasi sussultare.
Esile di fisico, sebbene sia alta quanto me portando hai piedi scarpe col tacco, pantaloncini cortissimi neri, una cintura con piccoli zirconi incastonati sulla fibbia, la maglietta che indossa e semitrasparente sui fianchi, sembra quasi pizzo ma non lo è, un ricamo spesso le corre dall’ombelico oscurandolo sino alla fine dei seni, lasciando le spalle semivisibili, noto le spalline del reggiseno e la chiusura in mezzo alle scapole, finché gli occhi non scendono verso quello in cui, sono sicuro al cento per cento, sia il culo più bello che abbia mai visto. Non è esagerato, ne ha mandolino, e bombato ma ha quel che di piccolo sui fianchi, curve perfette, è quasi arte in movimento. Ne sono colpito, affascinato non riesco a toglierli li occhi di dosso a quel capolavoro di madre natura. E ondeggiando rivela quanto sia mobile è sodo, le gambe discendono per poi risalire sempre ondeggiando, le mani sui capelli si posano mentre disinibita come facesse all’amore chiude gli occhi, si porta i capelli all’indietro, mentre la sua amica nota quanto io sia preso dal suo sedere. Prima d’essere beccato in quella posa da demente, evitando fra l’altro di fare la più grande figura di merda al mondo, volto le spalle e me ne vado. Non ne sono sicuro, ma penso d’aver perfino sbavato. Il che è sintomo di quanto era stupendo quel sederino succulento.
Forse la sua amica bionda, mi indica, o li fa notare che prima c’era un ragazzo che sbavava alle sue spalle. Non so, sta di fatto che mentre guadagno l’uscita, i suoi occhi nocciola mi seguono, me ne accorgo quando mi fermo sul primo gradino della scala, mi faccio da parte per far passare un terzetto di ragazze, e lì incontro i suoi occhi nocciola chiari come i miei. Distolgo subito lo sguardo, forse spaventato da quell’aria che aveva nel viso, simile a una dama con dignità e cipiglio austero.
Al primo piano c’e differente musica come tradizione vuole, e per creare un certo svago differente, o questo andirivieni dalle due sale. Per l’appunto c’e sulle scale un cartello eloquente “non sostare sulle scale”. Si creano altre file hai banconi dei bar, io devo ancora smaltire l’ultimo drink, trovo un angolino e mi metto ancora a ballare, sia perché mi piace sfogare la frustrazione giornaliera a quel modo, sia per dimenticare ciò ch’era successo un attimo fa.
Si inizia a cantare a squarciagola, ritornelli celebri di hit del momento, le ragazze cantano a memoria I Need Your Love. I ragazzi un’po di tutto, per essi basta solo farsi vedere, scatenarsi e magari pomiciare il più possibile per poi scambiarsi tali esperienze in domeniche pomeriggio spente ma piene di ricordi.
Uomini della sicurezza si aggirano nelle sale, tentando di sedare sul nascere risse per futili motivi. Camerieri brancolano nel buio alla ricerca dei bicchieri che non vengono riportati al bar, una volta svuotati, ogni tanto senti il tipico suono di vetri infranti. Poi certo ci sono anche le feste di compleanno, lo spazio adibito e quella specie di semicerchio sulla facciata davanti della villa, tavolini e molte sedie sono sparse qui e là, chiuse da un debole cordoncino rosso, che per la verità e facilissimo da scavalcare, non si può entrare solo per quei due enormi bestioni che ne sorvegliano l’ingresso, e quelli sono molto furbi da non farti passare con facilità.
Il rumore si fa più estremo, non sentivo nemmeno ciò che mi dicevano i miei amici ad un palmo dal naso, sentivo però un forte odore di alcool e altre sostanze che si intravedevano come rivoli bianchi sotto il naso.
“Sei sporco!” gridai indicando una certa narice.
“Oookk” rispose il mio amico, pulendosi con la manica della camicia.
Poi strafatto mi spinge in mezzo alla folla, concentrandosi sulla prima ragazza che li capitava a tiro. Tale burlone da quinto stadio e folle, molto folle rispondeva al nome di Al, abbreviativo di Antonio, il nomignolo deriva dalla simpatia del medesimo al film Al, John e Jack, essendo amante di Aldo, Giovanni e Giacomo anch’io non faccio commenti sulla scelta di tale nome. Seguendo questa linea di pensiero, io dovrei chiamarmi, come possiamo dire in arte? John o Jack, ma non amando molto i nickname, mi chiamo semplicemente Claudio. Il che è un bel nome certo, forse meglio di Al o Antonino. L’altro componente del nostro trio che poi sfociava in un sestetto niente male, rispondeva al nome di Marco, o Marc, o Marcolino dipende dalla confidenza che avevi con tale ragazzo. Un genio che studia giurisprudenza come tutti di questi tempi, dunque se Al era diciamo il più simpatico, e Marc il più sveglio, io di certo ero o quello più ritardato, il più strambo, o quello che teneva in piedi questa specie di gruppo a mo’ di colla, senza aver un particolare talento.
Anche se invece me la cavo molto bene con l’osservare con profonda attenzione qualsiasi scena, o ciò che mi circonda per poi riportarne ogni particolare su fogli di carta, sparsi molto amabilmente nella mia stanza, per la gioia di mia madre s’intende.
“Hai sentito della storia del proprietario di questo locale?” mi domando Marc, quando c’eravamo rincontrati fuori sul retro ove un gazebo riparava dal freddo della dolce notte là fuori.
“Dicono che abbia ereditato questa villa da una lontana parente..”
“No, no io intendo tutte quelle storie su di lui che va in Africa ha cacciare Leoni, dicono che la sua auto sia tutta ricoperta di pelle di coccodrillo..Dio, questo tizio è un pazzo” 
“Alcuni dicono che sia un figlio di un pentito della mafia” s’intromette nella discussione questa  ragazza in carne, che ovviamente aveva adocchiato Marc.
Egli onestamente parlando era il più bello del gruppo, fisico slanciato, quel principio di bicipiti e addominali niente male, il sorriso seducente e una chioma bionda curata a completare l’opera.
“Anche questa l’ho sentita..potremmo finire in una sparatoria per un regolamento di conti, ti rendi conto Claude” 
Nickname che odiavo fra l’altro, ma Marc è Marc e su questo potevo anche sorvolare.
“Sai è il sogno della mia vita, finire in prima pagina al telegiornale” scherzai amabilmente.
“Si come no..e io potrei farti un autoscatto avvolto nel sacco nero per i cadaveri” segui ha ruota Marc.
“Potremmo mandarlo ha mia madre, li verrebbe un colpo”
“Sicuro! Dobbiamo organizzarlo per il prossimo pesce d’Aprile..”
La ragazza che ora ci guardava piuttosto allibita dal macabro scherzo che attuammo qualche mese dopo, rinuncio ha conoscere meglio Marc, forse spaventata dalla risata folle che fece dopo la sua battuta.
“Onestamente non era molto brutta” li feci, ben capendo l’origine della risata forzata.
“Onestamente?! E come se mi chiedessi di accontentarmi, dimmi: dovrei forse accontentarmi?”
“Era solo per dire” scrollai le spalle “E poi tu stai con Michelle”
“Bruftt, siamo solo conoscenti” sbruffo Marc.
“Avessi io la tua fortuna, non ci sputerei in bocca” mormorai.
“Cosa?” chiese distrattamente Marc, attratto da una bionda dalla gambe lunghe stile top model.
“Andiamo ha ballare bavoso, voglio scaldarmi”
“Bavoso ha chi?!” mi insegue Marc, e molto allegramente mi strattona sino alla pista da ballo ove mi prende e mi sbatte un braccio attorno al collo, chiamando con l’altra mano il fotografo che sorridendo servizievole ci inquadra e fa una foto, che ancora oggi fa parte dei miei ricordi.
La serata è oramai senza alcun controllo, prende il largo e trascinata dalla corrente va alla deriva. C’e chi usa i divanetti come letti, c’e chi si lascia palpare in mezzo alla ressa, chi si bacia con molto squallore su quei vetri che oramai condensano dal caldo. Il romanticismo non è in queste stanze, semmai lo si trova all’esterno, ove luna e stelle destano subbuglio nel loro clamore iridescente.
Mi ritrovo solo, Marc e con la bionda dalle gambe lunghe, Al e su quei divanetti o almeno intravedo un suo braccio avvinghiato a delle gambe scoperte. L’unica cosa che puoi fare in questi momenti e andare ha prendere l’ultimo drink della serata, scatenarti per qualche mezz’ora e poi andartene a casa, prima delle cinque di mattina; è la regola base.
Dirigendomi al bancone, intravedo la dea dal bel sederino vicino al cubo danzare con la sua amica anch’essa bionda, non so se hanno ballato per tutta la sera ma poco ci manca. Attesi qualche minuto prima che il barista mi rifila l’ultima mia consumazione, e vagando tenendo d’occhio quell’ondeggiare sensuale, accende in me una certa voglia incontenibile, trovo posto in un divanetto occupato da un uomo sulla trentina, elegante nella sua camicia e cravatta firmata e pantaloni lisci in raso, scarpe in pelle col tacco. Le intravedo solo perché ha le gambe accavallate, come un gentil’uomo d’altri tempi, quando prendo posto mi volge un cenno amichevole, e poi concentrato ritorna ha guardare la pista da ballo, dondolando il piede a tempo di musica, muovendo ogni tanto la testa quando il ritornello spinto parte. Non mi preoccupo del mio compagno di seduta, anzi dopo un’occhiata sommaria al suo aspetto me ne disinteresso totalmente, preso com’ero da quel bel sederino che spariva a tratti per poi riapparire dietro due paia di gambe mascoline.
Ora, la mia supposizione che Ella fosse una Dama era azzeccata, solo per un piccolo particolare, la sua dignità dava più alla figura di una Regina, dal come guardava chi ci provava con lei, o meglio chi si avvicinava ha una distanza troppo eccessiva, ecco che attorno ha lei e alla sua amica si creava un certo cerchio, nemmeno le altre ragazze osavano entrarci, affascinate forse dal suo contegno, e quello sguardo che si, sapeva giudicare molto spregevolmente ma era anche, in qualche modo, benevolo nel sorriso che rivolgeva alla sua amica quando ci parlava. Il suo dito riluceva illuminato dalla sfera e dai laser, si muoveva faceva di no, a tutti coloro che ancora ci provavano, scuoteva persino il capo, distraendosi un attimo per poi ritornare ha ballare forse più sensuale di prima.
Spompava il mio cuore, vedere tale armonia cosi succinta, mi faceva girare la testa, o forse era la somma dei due drink. Piegavo il capo perfino per prendere un’ottima inquadratura su quella curva del bacino, Dio quanto vorrei strapparle di dosso quei pantaloncini  e vedere meglio cosa ci sia sotto, pagherei qualsiasi somma per sapere che mutandine porta, perizoma forse, no, sembra più una culottes, o un semplice Tanga? No, no, decisamente culottes ne intravedo la forma, tanto quei pantaloncini sono aderenti.
Oh poi la schiena perfetta con la sua onda, i palmi voltati quando si scopre il collo dai capelli, baciarla lì, baciarla in altre parti non citabili. I polsi piccoli, le spalle dritte, di una magrezza non troppo eccessiva. Danza, danza, mia regina, lasciami destare perfino l’anima, cosi impegnata nella tua giga, io sudo e sbavo al cospetto tuo.
Senza farmi vedere mi  alzo, lascio il bicchiere vuoto sul tavolino affianco al divanetto, tanto ci penserà qualcuno ha portarlo al bancone. Scivolo nell’oscurità ora non più opprimente, ma amica fedele, circumnavigo la colonna ove lei vicinissima balla, mi appoggio con la mente totalmente svuotata da ogni pensiero, perfino emozione, contava solo in quel momento non togliergli li occhi di dosso. Assuefatto quasi mi appoggio alla colonna, incrociando le braccia, seguo ogni sua mossa e siccome li sono a una giusta distanza non temo che possa dirmi di no e farmi allontanare. Baci nell’aria senza rumore, la musica copre e lenisce ogni cosa, l’oscurità poi discende e da pace hai cuori forse un’po vuoti ora.
Sto per non so quanto tempo piantato alla colonna, quasi sembra la stia reggendo io. Ecco che lei improvvisamente si volta, seguendo un certo ritmo stupendo, coglie il mio sguardo per un futile momento, prima di proseguire nella sua danza, non perdendo il ritmo, prende il posto della sua amica e mi fissa con recriminazione, quando una regina recrimina si deve chinare il capo, voltare i tacchi e andarsene. Ma non ci riesco, sono cosi impressionato dall’aria del suo volto, che la fisso con fare innocente, muovendo le labbra formo la parola “Scusa” che lei coglie, perché mi sorride accettando il mio sguardo un’po da pervertito diciamocelo. Voltandosi e riprende il posto della sua amica che non capisce nulla, sembra volermi far contento; ecco, la benevolenza di cui parlavo.
La sua amica mi guarda sorride divertita, e parlotta molto vicino alla dea di cui mi sono oramai invaghito. Sono scarsamente interessato di cosa stanno parlando, al momento sono interessato ad altro. Eppure, vuole punirmi in qualche modo, danza più selvaggia di prima e ammiccando col bacino nella mia direzione si piega in avanti verso la sua amica sporgendo il sederino, capisco due cose in quel momento la prima: che qualcosa la sotto si sta muovendo fremendo, la seconda e che sa tenere magnificamente il tempo, lo capisce e lo usa ha suo vantaggio. Quasi scivolo dalla colonna, riprendo l’equilibrio dopo un istante, ma oramai la figura lo fatta, e la sua amabile amica ride divertendosi come una matta. Anche lei sorride voltandosi dalla mia parte sembra dirmi “te lo sei meritato” un’po recriminando forse il mio spropositato interesse al solo suo didietro.
Accetto la recriminazione chinando il capo, non mi avvicino, anche se i tempi sono oramai maturi, perché so che non me lo permetterebbe. Quel suo chinarsi era solo una provocazione, l’unica che mi avrebbe concesso di vedere. Consapevole che dovrei accontentarmi di ciò che ho ottenuto, saluto lei e la sua amica con la mano, come si fa quando si saluta gli amichetti del parco a pomeriggio inoltrato.
E me ne vado, lei sembra però sorpresa dalla mia azione, quando due ragazzi un’po fradici le si fanno vicini, lei interrompe la sua danza fa no col suo solito dito, e mi segue fuori.
Io non la vedo, ne mollare la sua amica a quei due, ne seguirmi all’aria aperta. La vedo solamente quando mi si piazza davanti con cipiglio quasi arrabbiato.
“Perché te ne sei andato?” mi domanda ha una voce melliflua, o forse me la immagino vaneggiando nella mia fantasia amorosa.
“Credevo tu volessi questo” le rispondo sorpreso che mi abbia seguito fuori.
“Cosa te lo ha fatto credere?” domanda ancora curiosa.
“Ah..quel giochetto di prima”
“Era solo un incitamento” dice.
Sgrano gli occhi, non credendo a quello che ho sentito.
“Perché?” le domando incerto.
“Sei il primo che non mi si avvicina da tutta la serata, eppure mi hai spogliato coi occhi in tutto questo tempo, sei diverso dagli altri” il suo parlare e come delle piccole esplosioni solari, gesticola il necessario, quando mi si avvicina sedendosi sul parapetto in marmo al mio fianco.
“Pensavo che non fossi interessato a me” le rispondo sinceramente, l’ho pensato sul serio.
“Come puoi pretendere di saperlo con certezza assoluta, se non ti sei mai avvicinato?” mi chiede, credo ami i dibattiti.
“Certe cose ti sono chiare al solo osservarle”
“Che intendi?”
“Che c’e una certa differente bellezza fra te e me”
“Ohh, com’è tenera questa notte” sussurra soave della sua battuta.
“Dico solo il vero, tutti quei ragazzi non si sarebbero avvicinati se non fossi una bella ragazza, o almeno ci hanno provato a farlo”
“Non sopporto l’idea di dover infilare la lingua nella bocca di un estraneo, mica devo seguire per forza questa condizione sociale”
“Quindi non ti piacerebbe?” le chiedo, forse osando troppo.
“Non ho detto questo” risponde indugiando maliziosamente sul mio volto.
“E tu, cosa ti piacerebbe fare?”
Tossisco forte, inequivocabile è il suo cipiglio riguardo ha ciò che intende con quella domanda, specialmente con chi.
“Ballare” rispondo.
“Andiamo allora” salta su allegra, discendendo dal parapetto con molta grazia. 
Porgendomi la mani, mi invita ad andare con lei, ed io contento come il più fortunato ragazzo al mondo, gliela stringo lasciandomi trascinare ancora dentro.
Torniamo dalla sua amica impegnata al momento in un sandwich con due gemelli. Io e lei, prendiamo posto in una porzione di spazio, la regina è tornata i suoi sudditi li fanno spazio.
E danziamo tenendo il tempo stupendamente, sento il suo corpo attaccato al mio, il suo sedere indugiare sul mio basso ventre, andando su per poi discendere ondeggiando, le poso una mano sulla vita ho la sensazione divina di sentire il suo battito cardiaco, la gabbia toracica dilatarsi, mentre balla appiccicata a me, col le solite mani sui capelli quando il ritmo scalpitante arriva alle nostre orecchie, ci dirige, ci da un altro scopo, altri valori, sudo ma non me ne importa, fremo di sfiorarle il sedere cosa che faccio, quando so che me lo permetterebbe di farlo. So con certezza che non vuole un bacio da me, se fosse un’altra ragazza avrei fatto in modo d’ottenerlo. Intravedo dietro una colonna un certo Marc, che mi guarda un’po fatto non riconoscendomi all’istante, riscuotendosi da una gomitata ad Al li affianco, entrambi alzano i pollici in aria e ululano come due cretini, per fortuna la musica copre quelle insulse grida. Lei si volta mi danza nei occhi, si appende alle mie spalle e volteggia rapida da questo suono pazzesco, io le sto dietro, tengo il tempo specialmente alla sua guida, ne seguo ogni movimento, non alzo le mani al cielo le tengo suo sul corpo, e lei me lo lascia fare solo perché lo vuole. Mi sussurra il suo nome “Carola” e io il mio di rimando “Claudio”.
C’e un certo brillio ora nei suoi occhi, quando li alza su di me, fa un certa richiesta che percepisco al volo. La bacio; precisando che è stata lei ha chiedermelo. E mai più serata fu più epica per me. Anche le lingue danzavano, lo sapevate? Io no, non ne ero sicuro, ma ora, ora, bhè lo so e vorrei far questo come lavoro. La musica si ovatta, in quell’istante anche se il suo corpo continua ha ballare unito al mio, la sua pelle è liscia sembra seta d’oriente, di quella più pregiata, aria le filtra nei pori, e la massima espressione del romanticismo in un luogo che ne ha visto poco. Ci fanno una foto, e anche quella la conservo con molta premura.
Dopo tale bacio, la condizione sociale vorrebbe che io la dovevo portare sui divanetti al piano superiore. Ma non lo faccio, troppo concentrato nella danza, finalmente ho la possibilità di scatenarmi con qualcuno. E Carola sembra cosi felice che per un momento, fa entrare i sudditi nel suo cerchio. La sua amica oramai è lontana, totalmente concentrata su di me, inizia ha ballare con più impegno e mi guarda come volesse sfidarmi a fare altrettanto, accetto di buon grado, e mi lascio andare svariando i movimenti, seguendo per sempre il ritmo. Danzo come mai ho fatto, ne ricordo con esattezza tutto quello che ho fatto, di una cosa vado immensamente fiero; non le ho pestato i piedi.
Non so per quanto mi sia scatenato, anche perché non ballavano solamente, ogni tanto cedevamo alla libidine delle nostre labbra, strusciandosi coi copri, sentivo i suoi seni premere contro il mio petto, le sue braccia attorno al collo, i capelli lucenti odorare di sudore femminile e un profumo floreale, come dire essenza di Carola con qualche spruzzo di rose. La notte per quanto dolce sia, deve avere una fine.
Il sole sta tornando, lo si sente, e lo si vede perché il locale inizia a svuotarsi, ben presto rimangono poche persone, le poche che ancora rimangono sono quelle che non sono in grado di camminare da sole. E ovviamente Carola e io, in mezzo alla pista da ballo. 
Almeno finché la sua amica necessita d’andare ha casa con uno dei gemelli, Carola mi guarda, mi sta mettendo ancora alla prova, ivi per cui le dico:
“Ho passato una notte come mai non ne ho passate nella mia vita, di questo ti ringrazio”
“Non avrei saputo trovare parole migliori” mi sussurra baciandomi prima sulla bocca e poi sulla guancia.
Veleggia via la mia Dea nelle spire del suo cappotto, affianco la sua amica, le sorrido nel vuoto che ora mi inghiotte, e la guardo sparire, vorrei correrle dietro e gridarle “Rimani”, ma non è quello che vorrebbe lei. Magari sarà per un’altra volta, non roviniamo questo momento solo per dover cedere al desiderio sessuale, tutto questo sfarzo coinvolgente perderebbe tutto il suo valore. Per cui lo conservo nel cuore, e su questo foglio che riporta esattamente come sono andati i fatti. Continuo a sognare ancora quel sederino muoversi ha tempo di musica, nonostante ne abbia visti degli altri, sono fermamente convinto oggi più di prima che quello di Carola sia il più bello che ho visto.
I giorni passarono senza eventi degni di nota, il solo cazzeggio con gli amici al parco e roba di poco conto, anche perché ci si sfotte, ci si burla e si fuma, nient’altro. Sembra impossibile divertirsi realmente finché il sole non discende quando è sabato specialmente.
La storia di questo proprietario m’incuriosì o meglio la sua leggenda misteriosa, un uomo venuto su dal nulla, o un uomo che aveva ereditato una ricca somma da un parente mafioso, ed era vero che avesse un’intera macchina foderata di pelle di coccodrillo. Tutte queste ipotesi non facevano altro che alimentare altre finte leggende, creando ulteriore mistero a questa figura protetta forse dalle tenebre. Nemmeno si conosceva il volto di questo proprietario, si sapeva solo il nome: Enea. Il fatto che poi non solo fosse proprietario del Mirrors e di altri locali della notte, aggiungeva un certo fascino al personaggio. Me lo immaginavo come un nuovo Gatsby, preso dalla mondanità delle sue feste, gli invitati semplicemente arrivavano, non aveva nemmeno bisogno d’invitarli, bastava che aprisse le porte di uno dei suoi locali. La Caverna Paradiso o Il Land of Sweet e ancora il Ghost, L’ermitage, Le Pleiadi, i Giardini, il celebre Kaya’s e altri ancora citarli tutti riempierebbe il foglio, alcuni avevano nomi esotici, altri prendevano spunto dalla realtà, altri davano un certo fascino e senso alla notte. C’e infondo poesia in queste notti, il sole che scende, ho bisogno del tuo amore, perfino la nostalgia di bei momenti romantici passati nell’assoluta oscurità, c’e scambio di vedute, scambio di salive senza dover per forza dire che tutto ciò non abbia un certo senso, che sia amore o no poco conta, e la dolcezza della notte, la sua complicità, la sua compagnia ci unisce, ci somiglia, in questo decrescendo di follia.
Il senso di queste notti non è il solo ballare, e il trovare altri fratelli, altre sorelle negli occhi dei estranei, notare quel luccicare vivo, che ci fa comprendere tutto. Le nefandezza di questo mondo debellate, come le vecchie malattie basta un vaccino, un qualcosa che fomenti gli anticorpi. Tutta questa intrinseca apatia e tristezza, diviene romantica, glaciale quasi in quelle sale aleggia sulle teste vuote di gente che danza e se ne fotte semplicemente.
Ci sono storie infinite nella notte, romanzi che prendono il là, poesie che strappano lacrime hai venti, e il sospirare di una ragazza lontano. Vi è questo nella notte, i pali della luce tristi, i fili, le rotonde, la magica strada che congiunge, ci unisce e porta lontano, i fari della auto che tracciano ombre sull’asfalto, le stelle, le ruote che lasciano i segni di una frenata piuttosto azzardata, il vociferare di ragazzi, lo squillante tono delle ragazza, le loro risate al riparo dal freddo pungente, c’e odore di Estate perenne nei sabati sera, poi perfino sentir il mare col suo lento respirare, la sabbia nei piedi, la salsedine nell’aria, puoi volare in queste notti, puoi piantare i piedi a terra e volare con la fantasia, altri mondi, altre realtà divine, senza più questa cenere negli occhi. Questa è la notte insonne, quella che passi con i tuoi amici e qualche bella ragazza, la notte epica, la notte lunga tutta una vita, la notte coinvolgente, la notte divertente, la notte divina, la notte romantica, patetica e smielata.
Andai a ballare ancora due settimane dopo, cambiammo locale anche se io avrei voluto ritornare al Mirrors, per mie ragioni serissime. Poco conta che Al e Marc, mi presero per il culo per tutto il tempo.
“Oh qui qualcuno si è innamorato!”
“Andate affanculo” sicché rispondevo, beccandomi fra l’altro molte pacche dovunque.
I motorini filavano per la strada, mi portava Al, Mar viaggiava davanti a noi indicandoci la strada a mo’ di Stella Polare, i Giardini ci attendevano, le prevendite le aveva raccattate il propositivo Al da un amico di un suo amico, un tale che si chiamava Roberto o forse Alberto non ricordo. La novità di quel cambio stava in un trio di ragazze conosciute dio solo sa dove da Marc. Al nostro arrivo le tre ragazze non erano ancora arrivate, e già una nutrita folla attendeva d’entrare.
I Giardini erano molto diversi dal Mirrors, per prima cosa erano a cielo aperto, assomigliava molto a un giardino di quelli antichi, con vasi per le rose, fontane per gli uccelli, colonne e paraventi qui è là, un piccolo canale ove scorreva acqua correva attorno alla pista da ballo, sormontata dalle solite luci e laser immancabili, divanetti erano stati ricavati all’esterno della pista da ballo, fra siepi, e nicchie floreali, un posto magico oserei dire, se dovrei definirlo usando un altro termine userei quello del patio, perché molto aveva a che fare con un giardino all’interno, tranne per la mancanza del tetto, o meglio c’era ma era quello primordiale risalente alla notte dei tempi. Oh quante milioni di puntini lassù, illuminati, riflessi, ardevano per millenni lasciando una traccia indelebile proveniente dal passato, la luna col suo pallore rivelava la superba imperfezione del suo lato più in vista, piccole macchie grigie indicavano i celebri crateri.
L’aria era più deliziosa, con questo continuo spirare di Zefiro, soffiava lento e costante. Tale umore lo riscontravo in tutti i presenti, una sorta di condivisione estrema, fra quei fiori poi amori crescevano sbocciando eterei. Efebo ero ancora, eppure già m’affaccendavo a richiamare questa aria in fogli che furono andati persi. Poi ritrovati nell’immane compito di rimettere in ordine la mia stanza, non numerati fu realmente difficile dare una certa sequenza alla storia.
Della serata ricordo i balli ovviamente, e di quei baci, il protendersi verso la tua dama e sentir il suo respiro infrangersi peccaminoso sul tuo viso perlaceo. Sentir la seta dei capelli come drappi al richiamo del vento, che ti accarezzavano il collo. La musica seguiva un certo stile, quasi vi fosse un pentagramma da qualche parte e un direttore d’orchestra, oh dove sei mia Isotta. Vaghi in questa notte affliggendo queste lacrime per me soltanto? Riesumi vecchi ricordi tragici, perché sei spirata via da me? Mi hai lasciato solo, con che coraggio, quale pensiero e arbitrio ti ha distorto dalla scelta di rimanere.
E continuare a struggersi nella notte, bevendo e lasciandosi andare, è anche questo la notte e luogo ove s’incontrano cosi tante emozioni da non poter elencarle tutte, ed è cosi rapido questo cambio che non ti accorgi d’essere passato per la gelosia fin all‘abbattimento profondo o alla gioia piena, nel giro di pochi minuti. Discordanti erano questi pensieri, il voler farsi questa ragazza dietro una fontana non era da me.
Volerla spogliare di quel vestito, e dar gioia all’istinto sessuale, dargli uno sfogo che rimandavo da tanto di quel tempo. Astinenza credo sia la parola giusta, ma tornando indietro dovrei raccontarvi almeno come io l’abbia conosciuta.
Giunti sul posto e infognati i motorini in una via senza uscita, cercammo certi amici di Al, ci aggregammo a loro all’ingresso, le tre ragazze che poi si sarebbero aggiunte facevano parte di quel gruppo esteso. I ragazzi per quanto mi riguarda avevano li stessi visi, li stessi modi d’agire e di parlare, gesticolando forte e facendo battute col doppio senso annesso, fumavano tutti, peggio dei turchi, e di conseguenza mi presero per il culo perché non fumavo. Il fatto è che avevo visto mio nonno morire di cancro hai polmoni, precisamente ne aveva tre, e vi assicuro non è bella cosa vedere una persona amata fare la chemio, il vomito, la perdita di capelli, perfino i denti, il loro sentirsi stanchi sempre, il loro sputar sangue e poi morire. Non vorrei mai trovarmi in quella condizione, far soffrire non solo il mio corpo ma anche gli altri per un meschino vizio.
“Lasciatelo in pace, ognuno è libero di fare quello che più li aggrada” intervenne Marc, lui ovviamente sapeva la verità sul perche fumavo, e devo dire che anche lui tentava di darci un taglio dopo il tragico evento di mio nonno. Non ho potuto nemmeno salutarlo un’ultima volta, visto ch’ero in gita con la scuola per tre giorni in Francia. Solo quando tornai mia madre mi diede questa notizia, i funerali c’erano già stati quella stesso giorno, ogni tanto vado alla sua tomba un’po per rimpiangerlo e un’po per cercar conforto nella foto che campeggia sulla lastra ove il nome era ricamato in grandi lettere, quei suoi occhi acquosi di un blu che nessuno in famiglia a preso, il riso comprensivo, l’affetto eterno per i suoi nipoti, ricordo che i più bei regali a Natale e al Compleanno erano i suoi, e che mi portava con lui in campagna ove era nato, ci prendavamo assieme cura dell’orto che aveva..
La notte scalpita a fame vuole conoscere altri volti, studiarli e dirigerli verso il loro destino, la luna e l’unico grande giudice di quella corte, campeggia in alto sopra le nostre teste, come una vecchia amica con la falce in mano.
Quindi entriamo, c’e drink a volontà, i divanetti nelle loro nicchie sono già occupati da gente che non vuole attendere l’inutilità delle condizioni sociali. Altri come spesso accade fumano in bella vista, altri ancora scambiavano qualche chiacchiera col Dj o lo staff, i fotografi vennero presi d’assalto per le foto di rito, Marc e Al mi tirarono a forza verso una donna piuttosto vivace con macchina fotografica appesa al collo, ci mettemmo in posa e i nostri visi vennero impressi per sempre in pixel multicolori, con la speranza che rimarremo per sempre cosi, non solo giovani, ma anche arguti e in qualche modo belli, affascinanti nelle nostre camicie e jeans firmati, nelle nostre sneakers celebri. Giovani nella forma di pensiero, nel turbinio di emozioni, nella voglia di far saltar su e smadonnare, nella voglia d’amare senza particolar restrizione. Nella voglia di passare per questa vita è essere ricordati, sarebbe bello il non dover dimenticare ogni viso, ogni sedere, ogni seno che io abbia incontrato in questa vita, le risate, gli odori vari dei profumi, le sfumature dei capelli, gli acquerelli delle pupille, il dover amar per sempre un’eterna fanciulla col suo viso lindo, e il vestito in flanella, scrivere per lei poesie di rarefatta bellezza, arieggiare con lei le stanze della casa che potremmo condividere, fare dei bambini e non vederla rovinarsi nell’inseguire quei marmocchi birichini, lei per sempre giovane che si sveglia al mio fianco, con rugiada sulle sue guance e nella fronte al posto del sudore, baciarla e in quella posa sciogliere i muscoli; questo vorrei, lo vogliono tutti ma, ahimè bisogna dar spazio hai nuovi uomini che avanzano. Bisogna lasciar un messaggio e poi morire, strappare consigli, viaggiare finché il corpo te lo concede, vedere e catalogare ogni cosa conservandola magari per i prossimi nipoti, possibilmente facendoli dei regali azzeccati a Natale o al compleanno, e apprezzarli per ciò che sono.
Le tre ragazze si chiamavano Gloria, Matilde e Annalisa. Erano carine, per Marc erano:
“Tutto sommato scopabili” e al suo seguito Al che disse: “In tempi di guerra non si butta via niente”
Che poi quelli non erano tempo di guerra, importa assai poco.
“La bellezza va ricercata non è evidente, non indossa un evidenziatore o un cartellone con mille luci attorno” feci risoluto, altre pacche energiche sulla schiena più una gomitata in pieno costato.
“Qui qualcuno si è fatto qualcosa di pesante, che ti sei fumato!?”
“Quello che hai nel Grinder nascosto nel tuo comodino” li risposi sarcastico.
“Noo, e ora cosa ci fumiamo..sei un coglione”
“Al, stava scherzando” intervenne Marc.
“Tu piuttosto te ne sei fatto qualche tiro? Ho sbaglio?”
“Prima di venire qui si, ma c’e ne ho ancora, ci basta per fare su qualcosa di buono”
“Oh per un attimo credevo che questa serata andasse persa” recitai la parte di un perfetto disperato, che fece sganasciare tutti dalle risate.
Perfino le tre ragazze che s’erano aggiunte alla combriccola che s’era creata, in minoranza rispetto all’altro sesso le tre mostravano un tale coraggio nel non temere nulla accerchiate da noi ragazzi, cinque in tutto escludendo noi tre. Tale disparità costrinse Al e Marc a cercare un posto privato ove farsi qualche tiro buono. I cinque che rimasero sei con me, cercarono di imbastire dei discorsi più o meno accettabili, il risultato furono solo vaghe dicerie e leggende metropolitane che già avevo sentito, da molti anni oramai, tanto che quell’interesse provato non appena apparvero le tre ragazze, scemo e mi costrinse a seguire i miei amici, invitai per buona educazione quel gruppo, ma solo Annalisa disse:
“Perché no”
Fra gli sguardi sospettosi e troppo a mio dire giudiziosi delle sue amiche. Gli offri il braccio e scopri che Annalisa era molto più socievole dei suoi amici.
“Quelli non sono nemmeno miei amici, gli ho conosciuti tramite Matilde e Gloria..”
“Che hanno comunque, sembrano fuori luogo”
“Inizialmente non volevano venire, ma io volevo cosi tanto andare a ballare che alla fine le ho convinte, forse mi terranno il muso per tutta la sera, ma dopo il secondo drink nemmeno ricorderanno di dover portare rancore”
“E un piano molto astuto” ammisi ridendo.
“Oh si bhè tu non glielo dire, potrebbero prenderla più a male”
“Sarò muto come un pesce al riguardo” li promisi benevolo.
Non so perché mi piaceva cosi tanto la sua compagnia, forse erano i capelli ricci al naturale, di chi si è appena svegliato, eppure la sua femminilità era ben visibile, se si sapeva dove guardare certo. Per non parlare del suo essere solare e simpatica, la sua risata che partiva bassa per poi spegnersi lasciandoti un certo vuoto, riconducibile alla voglia che non smettesse mai di ridere. Ci provai per tutta la serata, mi fu facile quando aspirammo dalla canna di Al, mi disse che si trattava di Oppio. Feci forse due o tre tiri, poi persi il conto, Al ci andò giù pesante rimase per tutta la sera a dondolarsi su un divanetto reggendosi le gambe e ginocchia al mento. Marc sparì con una delle amiche di Annalisa, il suo fascino alle volte sapeva essere cosi diretto che non li si poteva dire di no.
Non ho ballato per tutta la sera, mi sono concentrato su Annalisa, i nostri discorsi erano cosi senza significato che ci trovammo a ridere per qualsiasi cosa anche per un “Ciaoo” o “Miaoo” farfugliavamo più che altro, mentre le ultime tirate che rimanevano finirono dalle mani tremanti di Al alle mie poi a quelle di Annalisa. 
“Si..si, i fantasmi torneranno dalla terra dei vivi” continuava ha blaterale Al dondolandosi sinistramente a quel modo.
“Che dice il tuo amicoo?” domando Annalisa piegandosi verso la mia spalla.
“Sta nel suo mondo” fu la mia risposa.
“E tu che mondo vorresti?”
Certe discussioni più o meno impegnate, escono fuori solo quando le menti non sono bloccate dalla realtà, dai cliché, e da ciò che credono i vecchi di noi adolescenti.
“Non so dire solamente migliore sembra una cazzata, perché cos’è migliore per me o per te, o per gli altri? Direi più nostro, senza restrizioni inutili, senza questo bisogno di frontiere e divisioni religiose che poi sfociano in patetiche guerre, senza il dover essere schiavi dei soldi, un mondo così sarebbe ideale”
“Sarebbe Utopia” disse Annalisa risoluta, per quanto fosse fatta come me del resto.
“E non sarebbe dolce poter crederci almeno per un momento..chiudere gli occhi e immaginare città sopraelevate o abissi ove si possa vivere” li dissi perso nella disperazione di questo sogno irreale, seppur fantastico.
“Chiudiamo gli occhi allora, tu mi dirai cosa vedi e io ti dirò cosa vedo io” propose Annalisa, abbandonandosi alla mia spalla definitivamente chiudendo gli occhi.
Lo feci anch’io, immaginai una città negli abissi, grattacieli che si stagliavano nell’Oceano, fari, luci artificiali, e un milioni di pesci, perfino un Capidoglio s’aggirava furtivo fra un grande grattacielo, tubi in plastica collegavano tutti quei grattacieli, statue mastodontiche rilucevano intagliate in scogli millenari, negozi, stazioni, mercati, ristoranti, colonne, musei, piazze chiuse in bolle di plastica resistenti, il metallo riluceva, dei miliardi di viti con qui era costruita, tutti laggiù, fra le alghe e bolle che a spirale salivano lassù ove il sole albeggiava. Vidi questo e in quella visione provai eccitamento, apri piano gli occhi affascinato da quella visione, Annalisa al mio fianco aveva ancora gli occhi chiusi persi nel vuoto delle sue Utopie non terrene. Fu forse quell’eccitazione, o quello stordimento un’po eccessivo, ma provai un senso d’impotenza davanti a quella bellezza, quindi come contadino che agognando un pozzo ove dissetarsi, cercai le sue labbra riconoscente come il celebre dei poveri, mi fu data la grazia a quel modo, ciò che più desideravo l’apporto di altre labbra che sapessero dar conforto e ricambiare tale slancio forse un’po fasullo, rividi per un momento la folle città rilucere nei suoi occhi.
Ivi per cui la portai dietro una fontana al riparo e demmo via al svuotar l’anima in un solo colpo.
Non ricordo più nulla, solo il viaggio di ritorno in motorino, forse non guidavo io, e l’arrivo a casa in gran fanfara, m’accascio sul letto e poi il vuoto..
Al risveglio era tutto molto peggio, mia madre che mi fa la ramanzina per essere tornato cosi tardi, mio padre borbotta il suo spalleggiare ha mia madre. Faccio una colazione veloce ed esco, vado alla ricerca dei miei amici. Tento di chiamarli ma so già in anticipo che è solo tempo sprecato, sono appena le undici, quei due non si svegliano cosi presto, specialmente quando non c’e scuola. Vago per le strade, finché mi venne in mente un’idea stramba. E se andassi hai Giardini a dare un’occhiata? Saltai sul primo pullman che passava e già ero per strada.
Bastano venti minuti scarsi per giungere sul luogo del crimine, secondo i miei genitori. Con la luce del sole, noto di più il suo splendore, luce riflessa si espande dal colonnato, le fontane zampillano acqua limpida, le statue risaltano fra cornici di fiori che coi loro petali colorano l’ambiente. La pista da ballo e uno schifo bicchieri vuoti, sputi, cicche di sigarette, m’affaccio oltre la ringhiera per vedere meglio le donne delle pulizie affaccendarsi sotto un sole caldo. Il tavolo ove suona il Dj, è occupato da una figura in giacca e cravatta egli è seduto su quella specie di banco, sembra osservare come procedono i lavori. Più in là giardinieri controllano i cespugli, sfoltendoli ove era necessario. La visione mi sembro quanto meno strana, forse egli era il proprietario? O era solamente il responsabile dei lavori di pulizia? In entrambi i casi non ho mai visto un capo ditta, o un capo ufficio interessarsi di ogni minima cosa. Di solito queste figure se ne stanno nei loro bei uffici a mettere croci su fogli e fogli.
Mi appoggiai al muretto di cemento in punta di piedi, per poterlo osservare meglio, all’inizio non seppi perché provassi cosi tanta curiosità verso colui che dirigeva..scopri dopo qualche giorno che la mia era solo la curiosità che sta dietro a una storia, ovvero ero in cerca di pettegolezzi per farmi bello hai occhi dei miei amici. Che razza di stronzo ero.
L’uomo aveva capelli scuri ben curati e tirati all’indietro con dosi di gel, gli occhiali scuri celavano gran parte del volto, erano dei Ray Ban di quelli che andavano di moda in quei anni, il naso era curvilineo ma ben proporzionato, un accenno di barba s’intravedeva da quella distanza. Oramai il mio viso era fra una sbarra e l’altra della ringhiera, tanto che temetti per un momento d’essermi incastrato, peggio di un clown da circo cercai di sgusciare via dalle sbarre, temo d’essere stato talmente comico che il mio piccolo problema venne notato da un giardiniere straniero, che fischio al suo amico li affianco per farsi beffa della mia situazione. Con uno sbuffo e un’altra tirata forte, riuscì a liberarmi, con la giusta dose d’imprecazioni che servivano in quei momenti. Tale spettacolino ahimè era stato visto dall’uomo sul tavolo rigorosamente in bianco, scivolo con facile grazia giù e si diresse con passo festoso verso me. Che ancora rosso in viso per la figura fatta un attimo fa, e per il fatto d’essere stato beccato cosi goffamente, arretrai di qualche passo dalla ringhiera. Gesto che non sfuggi all’uomo in questione.
“Sei tu Michele?” mi domando, con voce giovale.
“Scusa non ho capito?” li feci di rimando.
“Sei tu quello che chiamano Michele, quella fontana mi si è bloccata..temo che qualche simpaticone ci abbia infilato dentro qualcosa..” trovava molto divertente la cosa.
“No, non sono Michele” sembro poco dispiaciuto del fatto che non fossi Michele, sembrava non preoccuparsi affatto di niente.
“Bhè allora perché non entri, ti faccio fare un giro” mi disse dopo un’po, fra la sorpresa mia e quella dei suoi subalterni.
“Ok” mi ritrovai a dirli, senza pensarci su, mi accompagno oltre la ringhiera verso il cancello, lo apri per me e mi strinse la mano. Come fossi un amico o un parente lontano, sembrava prendere tutto poco sul serio come fosse un gioco infinito.
“Mi chiamo Enea a proposito” si presento porgendomi la mano senza calli.
“Claudio” risposi presentandomi al suo stesso modo.
Non mi chiese del perché ero incastrato alla ringhiera del suo locale, ne cosa ci facevo li a quell’ora, mi trascino per tutto il suo locale a cielo aperto raccontandomi aneddoti su quel luogo.
“Lì una volta un ubriaco si volle lanciare di faccia nella fontana e come vedi l’acqua è molto bassa, per fortuna che ci sono i miei uomini della sicurezza..gli affiderei tutto, pure la mia vita se potrei. Ma poi diverrei dipendente da loro, e non mi piacciono particolarmente le restrizioni, tu che ne pensi?”
Fu la prima domanda che mi rivolse, escludendo quella in cui mi chiedeva se mi chiamavo Michele.
“Nemmeno a me piacciono molto, tutti questi divieti, queste barriere invalicabili se continuano cosi la libertà sarà solo mera fantasia” li risposi, forse volli fare una bella impressione, senza il forse, anche perché ora si stava arrivando alle domande che definivano il nostro modo di pensare.
“Il problema d’essere contro il sistema e che è troppo facile insultare, ma più difficile è fare qualcosa, cambiare il mondo spetta veramente ha noi giovani? Temo di si”
“Perché temi?”
“Forse non siamo ancora maturi per farlo, abbiamo chinato il capo hai potenti e guarda il risultato il coraggio e solo sventare una rapina per poi essere arrestato” rispose con poca rabbia nella voce.
Aveva ragione, riflettendoci. Per non parlare di quel fatto che oramai era su tutti i telegiornali, che senso ha avere una casa se non la si può difendere dai tentativi di rapina o di farsela portar via sotto il naso da abusivi che sì ne hanno bisogno, ma se ci fosse un giusto uso dei palazzoni comunali, il riutilizzo di vecchie opere pubbliche forse non si sarebbe arrivati a questo punto. Ma come disse Enea, è troppo facile insultare e aspettarsi che qualcun altro faccia qualcosa. Dovremmo agire noi, scendere in campo, lasciarsi trascinare in progetti folli ma che portati a termine cambieranno il mondo, quanto bello sarebbe, poter dire ha mia madre di non temere più abusivi, e a mia nonna di non tenersi stretta la sua borsa, hai miei futuri figli di non temere di veder la loro casa venduta all’asta giudiziaria.
“Dovremmo iniziare passo dopo passo” dissi quasi sussurrandolo.
“È un’ottima idea, ma da dove iniziare..dove?” sembrava stesse prendendomi in giro, solo poi scopri che tutte queste domande erano state fatte per capir meglio chi ero.
“Da qui, dalla provincia eccetera eccetera”  anche se m’intendevo scarsamente di politica.
“Potrebbe essere una soluzione, sai..”
Venne interrotto dal giardiniere il quale li disse che Michele era arrivato.
“Scusami..torno subito” disse da gran padrone di casa.
Nel suo completo firmato mi ricordo quell’uomo sul divanetto in pantaloni di raso, certo! era lui, stessi capelli gelati all’indietro, stesse scarpe in pelle, stesso modo da gran signore. E lo fu quando parlo col l’idraulico, gentilmente li strinse la mano e li spiego la situazione, tale idraulico era, bhè senza voler offendere nessuno. Un barile ben piazzato sulle gambe tozze e corte. La classica salopette in tela era sporca di una sorprendente quantità di macchie dai vari colori, un paio erano nere, altre erano gialle, altre marroni e altre perfino bianche, ricoprivano l’intera ampiezza del pancione del tizio, dei baffi molto corti completavano il faccione flaccido e già sudato benché non avesse ancora iniziato.
Il padrone di casa torno da me, lasciando l’idraulico al suo lavoro. La fontana in questione raffigurava due rondini che volando a spirale, si sfioravano i becchi ove l’acqua avrebbe dovuto zampillare.
“Qui è molto bello” li dissi geloso di quel luogo.
“Già fu una gran donna ha idealizzarlo..” la voce li si spense, persa nel ricordo di qualcuno d’importante.
“Ci sono sempre loro dietro volente o nolente, qual è il nostro ringraziamento?” borbottai più a me stecco che ha egli.
La mia frase lo sorprese, si tolse gli occhiali da sole e li pianto sul mio volto con cipiglio stupito.
Alzando le sopraciglia prosegui:
“Sai credo di non aver mai parlato con qualcuno come te, la vediamo alla stessa maniera su molte cose”
Il che li sembro talmente strano che mi propose:
“Che fai questo sabato? Potresti venire con me nel mio girar notturno”
La proposta fu cosi allettante per me, che andavo in cerca di qualcosa su cui basare la mia prossima storia che accettai di buon grado.
“Ci vediamo sabato alle nove alle Pleiadi, ti farò vedere un altro capolavoro di una gran donna” mi disse congedandosi con una stretta di mano frettolosa, la sua attenzione era richiesta da un’altra parte.
Senz’altro da fare usci chiudendomi il cancello alle spalle, montai sul primo pullman che passava e solo allora mi resi conto ch’era mezzogiorno passato, la possibilità di far incazzare i miei genitori era oramai prossima allo scatenarsi, dovevo correre a casa.
Mamma non si arrabbio più di tanto, forse contenta che fossi tornato a casa sano e salvo, la punizione comunque ci fu, visto che stetti gran parte del pomeriggio a riordinare la mia stanza, attendendo il prossimo sabato con entusiasmo febbricitante.
   
 
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