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Autore: Danail    29/06/2015    1 recensioni
E' da un po' che i due Team di Hoenn si sono riappacificati, e tutto sembra andare per il verso giusto. Fino a quando Max non si prende qualche strana malattia di cui i farmaci stanno solo a Unima. Così inizia quello che sarà un lungo viaggio via mare, comandato da Alan e supervisionato da Ottavio e dai loro Team, costringendo i due a confrontarsi una volta per tutte e appianare definivamente le loro rivalità.
Una nuova fanfic a due autrici, Danail e Lily di Komadori.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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03 If I Had A Heart Siamo arrivati, siamo arrivati!
Mi ripeto questa frase da quando siamo sbarcati ad Austropoli,  anche se siamo ancora lontani dalla destinazione finale, per ora non devo più soffrire il mal di mare. Un problema in meno. Ah, Unima... è da anni che non tornavo qui.Avevo sentito le notizie alla radio e visto i telegiornali riguardo alla regione e, soprattutto, riguardo il Team Plasma, ma sembra che alla fine le acque si siano calmate. Giusto prima che Max si ammalasse. Sono molto preoccupato per lui, temo che, con la salute che si ritrova, possa peggiorare. Rossella mi ha assicurato che non permetterà una cosa del genere, e dopotutto è una tipa affidabile. Ho notato, e penso che anche quel testone di Alan se ne sia accorto, che Ada si era improvvisamente interessata a lei. So già come andrà a finire, Ivan aveva posato gli occhi su Max allo stesso modo, e dopo poco ecco il risultato. E' solo questione di tempo, prima che Rossella si renda conto della realtà. Non che mi dispiacesse, odio ammetterlo ma Ada è una donna capace, una degna rivale. Non mi stupisco che sia Vice, perlomeno so che Ivan ogni tanto fa scelte sensate.
Ora che ci penso, lo zingaro e Max stanno insieme. Ben presto anche le nostre due tenenti, se le mie congetture si rivelano esatte. E poi? Manchiamo io e Alan.
Guardo il mio ex rivale, ora collega forzato. Ci siamo fermati a un bar a far colazione, siamo sbarcati presto, e Alan ha pensato di scendere immediatamente per "conoscere meglio il terreno". L'idea non è poi così male, così siamo scesi con i nostri costumi improvvisati. Lui si è creato adirittura una nuova identità, mi chiedo se riuscirà a ricordarla.
Un artista... non ce lo vedo per niente, anche se alcune sere fa l'ho visto scrivere non riesco proprio a figurarmelo come un intellettuale. Forse perchè, mio malgrado, lo conosco bene, so che non ha poi così tanta cultura da permettergli di essere un artista in tutti i sensi. Ma se è contento così...
Ora ci siamo fermati al "Linoone Rosso" un piccolo ma grazioso locale vicino al mare. Hmpf, dovevo aspettarmelo da Alan. Ma pazienza, non voglio lamentarmi per qualsiasi cosa. Lui sorseggia una bibita, io rimescolo il mio caffè per poi cominciare a berlo poco dopo. Alan sembra ignorarmi completamente, assorto com'è. Guarda il mare con espressione assente, mi chiedo a cosa pensa. Quando gli ho chiesto cosa avrebbe risposto se qualcuno gli avesse chiesto che genere di artista era e cosa componeva, lui mi ha risposto che scriveva poesie. A quella risposta, avevo aggrottato la fronte.
"Poesie?"
"Sì, dopotutto lo faccio veramente... quindi l'identità che mi sono creato in parte corrisponde al vero!"
"Che genere di poesie scrivi?"
"Eh... chissà, forse un giorno te ne farò leggere una, se te lo meriti".
Sa essere così irritante... mi ha incuriosito, il maledetto, sa che certe cose mi attraggono. E sono sicuro che non resisterò e ne leggerò qualcuna, giusto per farmi un'idea. E se mi scoprirà, mi prenderà in giro sicuramente. Cosa che ormai fa sempre. Ho imparato a farmi scivolare le parole degli altri addosso, come se non avessero alcun peso per me.
Fin da quando ero piccolo ho dovuto difendermi dagli altri non con la forza fisica (che non avevo e che non ho tutt'ora) ma con la forza delle parole. Ero piccolo, gracile, abitavo in una delle zone meno ricche di Fiordoropoli e sicuramente con le persone più miserabili al mondo. Mio padre non c'era mai, aveva sempre degli impegni da portare a termine, lavorava come marinaio su una nave mercantile. Pian piano i suoi "impegni" aumentavano sempre di più, diceva, e gli occupavano sempre più tempo. Come se una moglie e un bambino non fossero già un impegno. Lui non mi ha mai voluto, e questo penso che lo abbia saputo fin dall'inizio. Un giorno, quando avevo appena sei anni, uno di questi suoi impegni se lo portò via per sempre. Forse la nave di turno era affondata trascinandoselo dietro. E' quello che spero, non volevo e non voglio più rivederlo. Mi bastavano i lividi che ogni volta lasciava a me e a mia madre ogni volta che tornava e si ubriacava. Bastava una qualsiasi cosa per farlo infuriare. Forse si è rifatto una famiglia al di là del mare. Ma non ho mai desiderato scoprirlo.
Di contro, lei era relativamente più dolce nei miei confronti. Ma soprattutto dopo che mio padre scomparve che lei cambiò. Era un'artista. Vera. Suonava il violino, ricordo. Mio padre non accettava mai che si esibisse, nè tantomeno che mi insegnasse. Non voleva che suonasse se non quando era sola. Alcune volte la sentivo eseguire piano un brano mentre lui dormiva. Mi rannicchiavo davanti alla porta della stanza in cui si rifugiava per sentirla.
Per lui, era una vergogna che suo figlio si dedicasse a qualcosa di tanto "femminile", trascinandosi in un'accesa discussione con mia madre. Io m'immobilizzavo per il terrore, ricordo. Sapevo come andava a finire, mia madre aveva sempre la peggio, e se capitavo a tiro finivo per essere picchiato, anche se apparentemente non avevo colpa. Fu un sollievo quando se ne andò, sebbene avevo ancora il terrore infantile che tornasse. Lei rimase sola con me, era ovvio che ce la mise tutta a insegnarmi qualcosa. M'insegnò a suonare, cosa che avevo sempre sognato. M'insegnò a leggere, a scrivere, ad amare la conoscenza. Ma questo non bastò, io rimanevo sempre debole rispetto agli altri. Imparai ben presto a difendermi con le parole, manipolando gli altri, e poco a poco m'indurivo. Imparai anche i trucchi per ferire fisicamente anche in modo grave qualcuno ricorrendo a trappole. Imparai a rubacchiare semplicemente per perfidia, portando a casa il bottino. Non si sapeva mai, non eravamo ricchi, e da quando papà scomparve la situazione economica peggiorò, e ogni tanto un pò di cibo gratis non guastava. Dicevano che ero diventato cattivo e perfido, e forse è pure vero.

Mia madre morì quando avevo dodici anni per malattia, e solo dopo il funerale mi resi veramente conto di essere rimasto solo. Solo, con l'unica compagnia della mia mente e di quel vecchio strumento. All'orfanotrofio, ero conosciuto per il mio essere vendicativo. Tutti sapevano chi ero, di conseguenza mi disprezzarono da subito. Io non chiedevo altro che esser lasciato da solo con me stesso e quel violino che tenevo nascosto in una scatola. Non avevo una famiglia, un gruppo con cui stare, nessuno voleva la mia compagnia e io non volevo altro che la solitudine. Forse è per questo che mi sono unito al Team Magma. Max, freddo e imparziale da bravo scienziato che era, mi accettò subito al suo fianco quando divenni maggiorenne, permettendomi anche di suonare il mio amato strumento, a volte ascoltandomi adirittura, ma senza esprimere alcun giudizio al riguardo. Semplicemente, rimaneva in silenzio. Poi c'era Rossella, entusiasta come tutti i giovani. Mi prese subito in simpatia, le piacevano tantissimo i brani che eseguivo. Le mie dita scorrevano veloci sulle corde, per quei pochi minuti mi sembrava di essere solo io e la musica, il violino era solo un'estensione del mio essere. Avevo appena diciannove anni. Mi sembrava di aver trovato una casa, qualcuno che mi apprezzasse e mi volesse bene. E per questo mi prodigai per il bene del Team. Ma mi sbagliavo. Me ne resi conto quando tu, Alan, e il resto del Team Idro non s'infilò nei nostri piani d'espandere le terre per mandarli all'aria e favorire le acque. Ma non erano tanto le vostre idee, seppur assurde, che mi spinsero ad odiare te e i tuoi amici marinai. Era il fatto che, per la prima volta, compresi com'era fatta una vera famiglia. Voi eravate e siete ancora adesso così uniti... Max mi apprezza, anche Rossella mi rispetta, ma non avrò mai la loro amicizia, il loro amore. Tu... per Ivan e Ada non sei solo un tenente, sei un fratello per loro. E questo io non l'accettavo. Sono veramente così malvagio da non meritare affetto? Probabilmente ora mi prendi in giro per vendetta, per quello che ti avevo fatto da giovane. Sì, mi rendo conto di averti ferito. E sì, ero invidioso, invidioso di qualcosa che tu avevi e io no, un qualcosa che non avevo e non avrei mai avuto. Forse ora mi odierai per questo, e forse non merito altro che odio.

Guardo la mia tazzina di caffè, ormai vuota. Questi pensieri non mi fanno bene, non ora che mi devo concentrare sulla missione, anche se è difficile quando c'è qualcuno che te li riporta a galla. Uff, questo viaggio si sta rivelando più tortuoso del previsto. Mentre Alan chiede il conto, sposto lo sguardo verso un gruppo di ragazzine che ridacchiano, indicandoci. O meglio, indicando Alan.
"Ehm, Al... Yves?" gli sussurro, correggendomi all'ultimo.
"Sì?" fa lui, ignorando l'errore che stavo per commettere. Gli indico con un cenno le ragazze, lui si gira e gli sorride, alzando i pollici. Le ragazze arrossiscono di colpo e scoppiano a ridere, parlottando velocemente fra loro. Alan si rigira verso di me, raggiante.
"Ho già fatto colpo" sorride lui, tutto contento.
"Ricordati cosa dobbiamo fare..." sbuffo, esasperato.
"Avanti, Ottavio, rilassati. Dopotutto nessuno sospetta di noi. Ah, ecco il conto".
La cameriera, una giovane donna che assomiglia vagamente ad Ada da giovane, ci raggiunge con lo scontrino.
"Oggi pago io" sorride Alan, progendo alla donna alcuni spiccioli. Lei li contò e, dopo averli contati, ci sorrise e se ne andò.
Mi alzo, Alan guarda la giovane allontanarsi per poi alzarsi a sua volta con me. Stiamo per andare via, quando qualcuno ci chiamò.
"S-scusate!". E' la cameriera.
"Che succede? Il mio amico ha sbagliato a pagare?" dissi, fulminandolo con un'occhiata.
"No... ecco... se non sono indiscreta, vorrei chiedervi una cosa..."
"Sì?" la invitiamo a continuare, non possiamo fermarci troppo.
"Ma voi due state insieme?"
A quella domanda mi sento avvampare, io e Alan siamo talmente diversi. Noto che anche il mio collega è imbarazzato, decido di prendere in mano la situazione, che sta prendendo una brutta piega.
"No, veramente io e lui siamo solo capitati nella stessa nave, lui è un artista, e io non ho potuto fare a meno di notarlo. Sa, scrive... Alla fine ci siamo conosciuti e ho deciso di accompagnarlo in giro per Unima, lui non la conosce bene, mentre io ci sono stato varie volte. Mi piace avere artisti attorno. Siamo amici, ma..." lancio una breve occhiata ad Alan, che sorride.
"... ma non stiamo insieme" completa lui, sempre accennando un sorriso.
"Come non detto, scusatemi" mormorò, per poi scapparsene via. Alan ridacchiava, per poi dirigersi verso le strade di Austropoli.
"Su, piccolo Makuhita, andiamo"
"La smetti di chiamarmi così?" ribatto seccato.
"Ma è divertente!"
"Non per me".
Che bel modo di cominciare il nostro viaggio nell'entroterra. Prima pensano che stiamo insieme. So che ormai le coppie dello stesso sesso sono diventate una cosa normale, ma io e Alan siamo a stento colleghi.
Poi Alan si fa una nuova identità in un giorno e la mattina dopo se la dimentica. Glielo avevo detto io, di non fare qualcosa di troppo elaborato! Ma il testone mi ha ascoltato? Ovviamente no. Ma cosa devo fare con lui? Quest'idea del camuffamento non mi piace gran che, ma so che è necessaria per passare inosservati, e quindi non mi lamento. Anche se la convivenza con il bestione qui vicino a me è un'idea assai peggiore. Preferisco di gran lunga Ada, con me è più gentile e sicuramente è molto più intelligente di tutto il Team Idro. E' un peccato che sia con loro, le sue capacità sono sprecate... nel Team Magma sarebbe un'ottimo elemento, e penso che a Rossella una collega come lei faccia più che bene. Ma so che è impossibile, è talmente affezionata a Ivan e Alan... cosa ci troverà di tanto speciale in loro? Me lo chiedo da quando ho saputo che il Capo si era messo insieme a Ivan. Come possono due tipi con caratteri così opposti amarsi così profondamente? Max è un tipo freddo, rigido, calcolatore, che non lascia mai spazio alle emozioni, che ragiona con la logica. Come può provare amore per un uomo così impulsivo, emotivo e... solare? Max ha sempre respinto coloro che avevano queste caratteristiche, ha odiato Ivan così tanto, e adesso la situazione si è ribaltata completamente. Non è accaduto così velocemente, dopo le catastrofi con Groudon e Kyogre tra i nostri due Team si è instaurata una tacita tregua, che pian piano si è trasformata in qualcos'altro. Ora, per quello che abbiamo fatto, dobbiamo lavorare a servizio della Regione di Hoenn per un periodo a seconda delle nostre capacità, Ivan e il suo Team ha scelto di collaborare come flotta navale (ammetto che sono dei marinai eccellenti, l'unica cosa che manca alle reclute è l'autodisciplina) e noi lavoriamo insieme agli scienziati. E' in quel periodo che Max ha cominciato gradualmente a cambiare, lo vedevo distrarsi, cosa che non gli accadeva mai. Quando Ivan mancava, vedevo che tra una relazione e l'altra lanciava lunghe occhiate alla finestra dell'ufficio che condividiamo, come se il pirata comparisse lì davanti da un momento all'altro, magari sorridendogli e salutandolo con quella sua faccia allegra. Ma se prima Max mi trasmetteva una sorta di malinconia, ora sembra... non so, felice. Da quando sta con Ivan, sembra ringiovanito e sorride più spesso. E' bello vederlo così. Forse gli mancava qualcosa che prima di Ivan non aveva, qualcuno che lo amasse. Mi chiedo cosa ne pensa Alan della loro relazione, glielo chiedo.

"Cosa penso di quei due?" ripete, ridendo.
"Bhè, il Capo non è molto cambiato, a dir la verità. Sembra che abbia un obiettivo in più, ora. Non so, è più motivato. Ma perchè me lo chiedi?"
"No, niente..."
"Stavi pensando a loro due, dimmi la verità!"
"Hmp, ok, lo ammetto..."
"Ah-ha! Lo sapevo io!" ridacchiò lui.
"Senti, Ottavio, pensavo..."
"Alan, quando pensi mi preoccupi".
"Perchè?"
"Non lo fai mai..." mormorai sorridendo, lui mi spinge di lato.
"Ehi!" ribatto, fingendomi irritato, anche se per poco non prendo alcuni passanti. Cerco di spintonarlo per vendicarmi, lui si discosta un appimo dopo, ridendo. Uff, fa caldo, e ora devo pure giocare ad acchiapparella con lui.
"Dai, Makuhita, non riesci a prendermi?" grida lui, in tono sferzante. Il mio gesto è improvviso, dettato dall'istinto. Comincio a correre, cercando di acchiappare quell'uomo che si è sempre divertito a prendermi in giro. Ma, stranamente, non sono animato da odio. Non in questo momento. Magari i passanti ci vedono come due persone normali che corrono per non perdere l'autobus, anche se Alan ride come un pazzo e io lo chiamo con quel nome che si è inventato, Yves. Che poi, non gli si adatta per niente.
Continuo a correre, dimenticando per un attimo tutto il rancore.

Lo ritrovo dopo qualche minuto di corsa appoggiato a un muretto, cercando di soffocare le risate senza successo. Sembra un artista, sì, ma un pò fuori di testa. Solo ora mi accorgo di come gli stanno bene i vestiti che ha scelto. Mi avvicino a lui, ansimando.
"Ora puoi anche uccidermi" ride lui.
"Fammi riprendere fiato. Poi ti sistemo". Ma non riesco a trattenermi, la sua risata è contagiosa.  Mi appoggio alla sua spalla per non crollare sul marciapiede, non mi pare decoroso. Sembriamo due amici di vecchia data che s'incontrano dopo tanto tempo e riportano alla memoria episodi passati. Cerco di ricompormi, ma Alan non perde tempo.
"E come fai? Eh? Usi Pesobomba su di me?" ridacchiò, tirandomi piano una guancia. Uff, a quanto pare la cosa è diventata un'abitudine.
"Quando la smetterai di prendermi in giro? Sei monotono" ribatto. Mi sono stufato di sentire sempre le stesse tiritere. Sono un pò cicciotto. Lo so. Non c'è bisogno che me lo ricorda. Lui alza gli occhi al cielo.
"Va bene... niente più battute sulla verità...". Socchiudo gli occhi, per poi sospirare e sorvolare. Devo avere una pazienza infinita, se sono riuscito a sopportarlo fino a quà.
"E poi smettila di chiamarmi Makuhita e tirarmi le guance. Mi dai fastidio" continuo, ma forse è chiedergli troppo.
"Ah, no. Il soprannome non te lo leva più nessuno. E poi, le tue guanciotte sono così morbide" dice deliziato, mentre passa le dita affusolate di nuovo sulla mia faccia. Ecco, lo sapevo, credo che sia più forte di lui. All'improvviso mi sento avvampare, si è avvicinato troppo. Non so perchè, ma quando me lo ritrovo così vicino o generalmente in situazioni così intime mi sento a disagio...
Come ieri quando eravamo nella stiva, e me lo sono praticamente ritrovato davanti con addosso solo le mutande. Lui mi ha sorriso come se fosse normale. Volevo ricambiare, ma non mi aspettavo di ritrovarmelo davanti senza quasi nulla addosso. Non che mi dispiacesse, ha un corpo niente male. Poi si è messo quel completo strano, che lo fa sembrare di Kalos. Si è ripromesso di imitare un poco l'accento della regione, ormai sembra che gli viene naturale e spontaneo. Io non provo nemmeno a modificare la mia parlata, ormai mi sono abitutato al dialetto di Hoenn, sopprimendo con piacere quello di Jotho. Non amo ricordare la mia infanzia, ho cercato di eliminare tutto quanto di quell'epoca. Sembra quasi che io sia nato quando ho conosciuto Max. Non voglio ricordare altro. Mi tengo solo quel vecchio legno, anche se continua a richiamare ricordi che dovrebbero essere sepolti. Ma non posso separarmene, è come separarmi da una parte di me.
"Dai, continuiamo" gli mormoro, togliendomi da dosso quelle mani callose e avviandomi, seguito da Alan, divenuto di colpo silenzioso.

Arriva la sera. Siamo appena usciti da Austropoli e abbiamo affittato una camera in un piccolo Bed&Breakfast vicino al percorso. Nonostante le modeste dimensioni, la camera è accogliente. E' costituita da un salotto, una camera da letto e un bagno. Il salotto è semplice, ha un'unica grande finestra che dà sulla strada, un tavolo con quattro sedie e un televisore un pò antiquato appoggiato su un mobile, di fronte c'è anche un divanetto verde. Il bagno è ancora più semplice, ha il minimo indispensabile.
"Penso che non c'entri nella doccia".
"Alan, cosa avevamo detto?"
"Uff, ok, scusa... comunque se non riesci ad uscire, non chiamarmi subito. Voglio godermi lo spettacolo".
Sto proprio aprendo il mio bagaglio, per fortuna che almeno i Crobat che avevamo con noi potevano trasportarli. Appena sento quelle parole gli tiro addosso la pantofola che avevo in mano. Gli prendo la schiena, si è tolto gilet e camicia, per cui sta a torso nudo. Spero di aver tirato abbastanza forte.
"Ahio, ma perchè?"
"Se non c'entro io, figuriamoci tu".
"Vogliamo provare?" chiede con un tono lievemente malizioso. Lo guardo malissimo.
"Come non detto".
Si stiracchia, per poi sdraiarsi sul letto. Si è cambiato semplicemente i pantaloni, spero che non dorma così. Per sfortuna, la camera ha un unico letto matrimoniale, quindi io e il mio amico pompato non solo dobbiamo condividere la camera ma anche il letto. Alan non si fa troppi problemi, per lui basta che sia comodo. Cerco di mettere da parte l'imbarazzo, non c'è tempo per contestare dettagli simili. Anche se per me sono cose considerevoli (avanti, dormire appiccicato a quello che fino a poco tempo prima era il tuo più grande rivale non è una bella cosa per nessuno), c'è Max che è malato e che aspetta a Hoenn il nostro ritorno con la medicina. Chissà come starà ora. Sono preoccupatissimo, ma cerco di non far trapelare nulla. Temo che peggiori in qualcosa di irrimediabile, e se gli succedesse qualcosa non me lo perdonerò mai.
"Sai qual'è un tuo difetto, Ottavio?"
"Quale?" sospiro, mentre frugo nella mia borsa alla ricerca di un pigiama.
"Pensi troppo e non condividi mai nulla con nessuno. Sei turbato, puoi parlarne, se no rischi che scoppi. Già stai rischiando..."
"Alan. Smettila. E poi con chi dovrei parlare, con te?". Lui fa spallucce.
"Perchè no".
"Scordatelo". Esco fuori dalla stanza per cambiarmi senza farmi vedere da lui, mi sono messo qualcosa che non indosso mai. Rientro, e ancora non si è messo niente a parte i pantaloni.
"Bhè, neanche una canottiera?"
"Ottavio, io dormo sempre così. Tranquillo, non puzzo".
"Hmpf, lo spero". M'infilo sotto le coperte, spengo la luce. Mi assale un dubbio.
"Alan, mi auguro che tu non russi".
Ci giriamo l'uno verso l'altro, lui sorride ambiguo.
"Chi lo sa. Lo scoprirai fra un pò. Buonanotte!"
Si sistema un pò e chiude gli occhi. Di lì a poco s'addormenta. Per fortuna non russa. Decido di addormentarmi, domani ci aspetta una lunga giornata.

...Alan dorme già da un pezzo. Sono stanchissimo, ho sonno. Ma non riesco ad addormentarmi. Mi alzo a sedere, Alan grugnisce nel sonno e si gira dall'altra parte. Sta sognando qualcosa, spero che sia qualcosa di bello. Sospiro piano, chissà che ore sono. Mi alzo e vado in salotto cercando di non far rumore, se sveglio il mio collega solo Arceus sa quanto potrebbe irritarsi. E non voglio un Alan arrabbiato proprio ora. Appena sono nell'altra stanza accendo una lampada per vederci meglio, ho una sete tremenda. Mi verso un pò d'acqua in un bicchiere che ho trovato nella credenza, mentre bevo il mio sguardo cade su un'agenda consunta posata sul tavolo. E' la stessa agenda che avevo visto giorni fa nella cabina di Alan, è lì dove lui scrive le sue poesie. So che non dovrei, ma la curiosità è troppo forte, mi siedo e comincio a sfogliarla. Ha praticamente scritto tre quarti del quadernino. La maggior parte è dedicata a Ivan, ad Ada (citando a volte anche Rossella) e al mare. Non riesco a leggerle completamente, ha una scrittura a tratti illegibile.
Hanno un loro perchè, sono piacevolmente sorpreso nel constatare che sono ben sviluppate e con un significato profondo. Sorrido, provo ad immaginare come suonerebbero se Alan le leggesse ad alta voce accompagnato dal suono del mio violino. Vedo anche il suo vecchio mangianastri infilato nella sua borsa di traverso con ancora inserite le composizioni di Yann Tiersen, forse l'ho sottovalutato e giudicato troppo in fretta. Lancio un'occhiata alla camera, lui dorme ancora, ignaro. Forse è meglio che torni a dormire. Sto per alzarmi quando noto l'ultima pagina scritta. Ci sono solo due parole: "Per Ottavio", ma la pagina è vuota. La fisso perplesso, questa è la prima volta che scrive il mio nome. Probabilmente non ha avuto il tempo di scrivere altro, o forse non sapeva cosa comporre. Peccato, ero proprio curioso di sapere cosa aveva in mente di dedicarmi. La chiudo e torno in camera. Osservo Alan dormire, è ancora girato su un lato, il volto è completamente rilassato, sotto le palpebre gli occhi si muovono piano. Sogna ancora. Ha un che di tenero, anche se tenero lui non lo è proprio, o almeno con me non lo è mai. M'infilo di nuovo sotto le coperte, voglio provare a fare una cosa di cui certamente domani mattina me ne pentirò amaramente. Non so neanche perchè lo voglio fare, dopo tutto quello che mi ha detto. Faccio scorrere un braccio attorno alla sua vita, sfioro i muscoli del ventre, sembra strano che anni fa era più cicciottello, ormai sono più abituato a vederlo così. Lui mi chiama nel sonno, per poi rannicchiarsi s sè stesso, avvolgendosi sul mio braccio, immobilizzandolo. Sono certo che domani me la farà pagare in qualche modo, ma sento che non m'importa, per una volta. Chissà se potremo diventare amici, un giorno.
Se avessi un cuore, potrei amare.
   
 
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