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Autore: SalvamiDaiMostri    30/06/2015    1 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lestrade bussò alla porta.
“Sherlock, posso?” Attese educatamente una risposta, ma, come previsto, non ne ricevette una. Perciò, dopo qualche secondo, si fece comunque strada da solo all’interno della camera. Trovò il consultive detective che, avvolto in una leggera vestaglia verde scura, gli dava le spalle seduto davanti ad una specchiera, con le mani giunte sotto al mento e gli occhi chiusi. L’ispettore subito credette che Sherlock fosse immerso nel suo palazzo mentale e pensò di andarsene per non disturbarlo, ma, non appena fece per indietreggiare, Sherlock lo fermò:
“Dimmi Gavin...”
L’ispettore sospirò ed entrò nella camera chiudendosi la porta dietro di sè:
“E’ mai possibile che un uomo con le tue capacità mnemoniche non sia in grado di imparare il nome del proprio testimone di nozze? Nonchè amico da... Che saranno, sette? Otto anni?” Sherlock si limitò a rispondere con un’altra domanda senza nemmeno aprire gli occhi:
“Che cosa vuoi?” avvertì quindi il passo di Lestrade che si avvicinava a lui:
“Il tuo anello. Dovrò poi consegnarveli io durante la cerimonia.” Sherlock aprì gli occhi e, nello specchio, vide l’amico alle sue spalle: vestiva un completo grigio non eccessivamente elegante con un gilet grigio, camicia e cravatta color panna e una sobria, piccola boutonniere di pratoline bianche, foglioline e steli verdi avvolti in un piccolo corno verde all’occhiello. Ben pettinato, Lestrade era evidentemente molto felice ed eccitato per la cerimonia e Sherlock sorrise nel vederlo.
“Oh, certo.” rispose voltando il capo verso Greg. Mentre l’ispettore estraeva dalla tasca interna della giacca un astuccio ricoperto di raso verde, Sherlock si sfilò l’anello che John ormai sei mesi prima gli aveva regalato; quindi glie lo porse.  Lestrade lo aprì e, preso l’anello, lo depose nel morbido interno bianco della scatola, accanto a quello di John che già  vi era stato riposto. Nel vedere la fede di John, anche se fu solo per un istante, Sherlock avvertì una scossa lungo tutto il corpo e si sentì inondato di gioia: nel trasporto di tale emozione, si lasciò sfuggire un breve, ma chiaro sorriso che nascose immediatamente, sperando di non essere stato scoperto. Lestrade non aveva detto nulla, ma aveva visto chiaramente la sua espressione: di quel giorno conservò soprattutto quell’istante, un ricordo segreto che sarebbe stato solo suo, di un momento di intimità e spontaneità di quello che era uno degli uomini che più stimava sulla faccia della Terra. Come se nulla fosse, il testimone chiuse l’astuccio e lo ripose accuratamente nella tasca e, una volta sistemata, sorridendo, ci diede due colpetti con il palmo come per dire ‘sono al sicuro’.
“Dovresti prepararti. Sei l’unica persona al mondo perfettamente capace di sposarsi in vestaglia, ma, per il bene di John, indossa il tuo vestito Sherlock. Tra mezz’ora voglio trovarti pronto.”
“Non preoccuparti.” Lestrade uscì quindi dalla stanza aggiungendo:
“Come se non ti conoscessi abbastanza.”
 
Non appena la porta si chiuse, Sherlock scattò in piedi e si avvicinò al letto nella stanza. Sopra all’elegante trapunta bordeaux era stato adagiato il vestito che avrebbe dovuto indossare: era molto simile a quello di Lestrade, differiva solo nella cravatta che era impreziosita da ricami floreali dello stesso colore del tessuto. A lato di esso era delicatamente riposta la boutonniere: anch’essa avvolta in un corno verde, racchiudeva una piccolissima orchidea bianca dall’interno spruzzato di giallo e rosso, accompagnata anch’essa da steli e foglioline verdi. A terra le scarpe nere e lucide. Osservò l’insieme per qualche istante, poi afferrò l’abito per la gruccia e lo osservò con sguardo di sfida:
«Lo sto facendo davvero?»
Quella era la sua ultima occasione: lo aveva prestabilito.
O adesso o mai più: poteva ancora fuggire, non sarebbe stato difficile. La stanza si trovava al primo piano, ma l’edera rampicante che ricopriva la parete esterna dell’edificio era abbastanza resistente da poter sostenere il suo peso (aveva controllato) e, se si fosse calato da quella parte, sarebbe stato lontano dallo sguardo indiscreto di invitati e personale dato che la sua stanza si trovava al di sopra di un salone in disuso. Aveva anche provveduto a fornire una lauta mancia ad un suo fidato collaboratore senzatetto che lo stava aspettando in un’auto accuratamente parcheggiata in mezzo a quelle del personale pronto a portarlo via nel caso avesse deciso di fuggire. Scappare e sparire una volta per tutte dalla vita di quell’uomo meraviglioso del quale si era innamorato e risparmiarlo da quanto l’essere se stesso e la sua malattia avrebbero comportato in futuro.
Nonostante le sue formidabili capacità intellettive, Sherlock non era in grado di concepire un futuro senza John. Non desiderava altro che trascorrere ogni suo istante insieme a lui, al suo fianco, per sempre. Perchè lo amava, lo amava disperatamente. Ed era solo per questo che aveva accettato di arrivare fino a lì, fino al punto di avere tra le mani un abito da indossare al proprio matrimonio.
Ma era ancora in tempo per tirarsi indietro: finchè non avesse indossato quell’abito da cerimonia, avrebbe ancora avuto la possibilità di cambiare il suo destino e quello di John.
Gettò quindi nuovamente il vestito sul letto e si portò le mani al viso: nello sfregarsi la faccia con i palmi, gesto che sapeva di compiere più volte al giorno per trovare la lucidità, notò una differenza in quel contatto. Si guardò quindi le mani nude e realizzò di non avere più la fede al dito.

(Flashback)

John e Sherlock sedevano sul letto in pigiama. Sherlock cingeva le spalle del fidanzato con il braccio sinistro e appoggiava la testa sulla sua in un momento di silenzio e tenerezza. John all’improvviso gli prese la mano destra e la osservò adornata da quell’anello che gli aveva comprato il giorno prima: non aveva ancora avuto occasione di farlo e temeva di aver fatto una scelta sbagliata in gioielleria: Sherlock non aveva mai portato gioielli in vita sua perciò si era sforzato di provare ad indovinare i suoi gusti, adattandoli al proprio portafogli. Aveva optato infine per una coppia di fedi larghe in cobalto lucide con i bordi diamantati a stella, o così almeno le aveva descritte il commesso che glie le aveva caldamente consigliate. Sorrise:
“La trovo decisamente sexy...” concluse soddisfatto. Sherlock, poco convinto, storse la bocca e osservò a sua volta la propria mano alzandola leggermente verso l’alto:
“Dici?”
“Già.” confermò.
“E tu?” domandò Sherlock.
“Io?”
“Non ho idea di come funzioni, ma... Insomma, se ci sposeremo anche tu ne porterai uno... No?”
“Certo, non vedo l’ora...” disse stringendosi teneramente a lui.
“Non vuoi metterla subito, come me? Perchè io si e tu no?” domandò Sherlock in una perfetta via di mezzo tra un tono romantico e il tono di un bambino che sa di non capire le cose dei grandi, ma ci prova lo stesso.  John si rese conto di non sapergli rispondere e lo guardò in viso, confuso:
“Ah, non saprei... Non ci avevo pensato... Insomma, di norma, un uomo regala un anello di fidanzamento ad una donna e fino al matrimonio nessuno dei due indossa una fede, ma lei indossa l’anello di fidanzamento...”
“Mi stai dando della donna?” lo interruppe Sherlock con fare ironicamente stizzito. Risero entrambi:
“No, coglione... Ma insomma, ho sempre e solo visto fare così...”
“Naturalmente si tratta di una sciocca tradizione misogena per la quale una donna è vincolata al fidanzato sin dal fidanzamento ancora prima delle nozze e l’uomo invece no... Ma il nostro è un caso decisamente diverso: non vedo perchè piegarsi a tale sciocca tradizione.”
“Mi pare legittimo...” commentò John facendo spallucce. Sherlock inclinò la testa e lo guardò sorridendo:
“Dunque? Hai la gemella da qualche parte?” nel vederlo sorridere a quella maniera, con quello sguardo e sentendolo dire quelle cose, John non potette fare a meno di arrossire. 
“Sì, nella giacca...” rispose allora lui con un filo di voce.
Sherlock rise e con uno scatto balzò giù dal letto e con passo veloce di allontanò dalla stanza per poi tornare qualche attimo dopo con l’anello stretto nella mano. Si avvicinò al letto dal lato di John e si inginocchiò accanto a lui: John non potette trattenere l’entusiasmo sfoggiando un sorriso da orecchio a orecchio; non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere, eppure una parte di lui, nascosta nel suo profondo, lo aveva desiderato in silenzio da anni.
“Tutto questo è terribilmente superfluo e eccessivamente romantico e costruito sia per i miei gusti che per i tuoi, ma non ti priverò di questo gesto che abbiamo la possibilità i compiere l’uno per l’altro solo una volta nella vita. Perciò confermami, John Hamish Watson, vuoi sposarmi?”


Era sciocco, terribilmente sciocco. Ma Sherlock, guardando quella sua mano spoglia di quell’anello dopo quei pochi mesi che l’aveva tenuto, non riusciva a pensare ad altro che a riaverlo. Desiderava ardentemente che John glie lo rinfilasse al dito dicendo quelle frasi che avevano provato la settimana prima per poi non toglierlo mai più, per nessuna ragione al mondo. Senza quell’anello si sentiva incompleto, nudo. Lo rivoleva, e lo rivoleva per sempre. Così come non avrebbe potuto fare a meno di  John e sapeva che era del tutto e per tutto una cosa reciproca.
E sì, avrebbe sposato John  perchè sì, voleva dannatamente essere suo marito.
E mentre pensava tutto questo, Sherlock si era già infilato i pantaloni e parte della camicia.
 
 
 
John stava rileggendo ancora una volta le promesse seduto sul letto quando sentì bussare alla porta della stanza che gli era stata assegnata ed andò ad aprire:
“Che splendida visione!” esclamò “Signora Hudson, Signora Holmes entrate, prego...” disse facendo segno di entrare alle signore elegantemente vestite che si erano presentate alla porta. La signora Hudson vestiva un tailleur viola con un ampio cappello abbinato, mentre la futura suocera vestiva pantaloni e giacca di lino bianco con uno scialle celeste ricamato in blu, mentre i capelli li portava raccolti in uno chignon decorato da fermagli e fiori dello stesso colore dello scialle.
“Volevamo venire a vedere come stavi... Eccitato??” chiese la signora Hudson con una voce ancora più stridula del solito, in quanto preda all’entusiasmo.
“Beh, di certo molto molto agitato...” disse grattandosi la testa imbarazzato.
La signora Hudson fu la prima ad essere messa al corrente del fidanzamento: c’è chi dice di aver sentito le sue urla di gioia e trionfo sino a Piccadilly Circus e da quel giorno in avanti ripeté talmente tanti ‘io lo avevo detto subito’ che giunti a 647 il tredicesimo giorno, Sherlock smise di contarli.
“Ma non è dolcissimo il mio futuro genero??” disse la madre di Sherlock pizzicando una guancia dell’uomo, la signora Hudson rispose annuendo energicamente. La signora Holmes gli accarezzò il viso: “Già... Il più dolce... Il mio bambino non poteva finire in mani migliori...” lo guardava intensamente e gli si avvicinò poco: “Tu lo sai che sei tutto per lui, non è vero?” John annuì. “Te lo affido, prenditi cura di lui.” Nonostante tutto, John fu sorpreso da quelle parole; prese le mani della signora con entrambe le sue e le strinse forte guardandola negli occhi azzurri:
“Per sempre signora, promesso.” le sorrise e lei si commosse, John rise e le accarezzò le spalle. Anche la signora Hudson si era commossa:
“Che bel quadretto... Oggi diventerete una famiglia...”
“Forza signore! Non è questo il momento per le lacrime...” cercò di rincuorarle “Signora Hudson, grazie ancora per aver accettato di accompagnarmi all’altare...” la signora Hudson scosse la testa avvicinandosi a lui:
“Sciocchezze, sciocchezze... Sai che sei come un figlio per me John.” lui annuì “Vorrei solo che la tua mamma fosse qui per godersi il momento. Sarebbe fiera di te...”
“Oh, io non ne sarei così sicuro se fossi in lei...” John si incupì “Ma sì, avrei voluto che anche lei fosse qui oggi...” calò qualche istante di silenzio che furono poi interrotti dalla signora Holmes:
“Ho visto che tuo padre alla fine è riuscito a venire: che bella notizia, non è vero?”
“Già, è davvero incredibile... Hanno già provveduto a presentarvi?”
“Oh sì, uomo incredibilmente affascinante... Gli somigli molto.” John annuì. Si rivolse poi alla signora Hudson:
“Le hanno detto tra quanto dobbiamo scendere?”
“Il detective Lestrade non fa che correre su e giù per i corridoi... Credo che ormai manchi poco...”
“Uh, ha poco da agitarsi!” interruppe la signora Holmes “Trattandosi di mio figlio, sono certa che i ritardi non mancheranno.” John sorrise:
“Non si può certo dire che io sia stato puntuale...” disse indicandosi. John infatti indossava ancora soltanto i pantaloni, una canotta e le scarpe.
“Oh sì! Ora ti lasciamo, così puoi finire di prepararti.” disse la signora Hudson prendendo sotto braccio la signora Holmes e trascinandola verso l’uscita: “Noi vi aspetteremo all'entrata della sala, a dopo!” e così uscirono dalla stanza e John richiuse la porta alle loro spalle.
 
 
 
Dopo mezz’ora che l’ispettore se n’era andato, qualcuno bussò nuovamente alla porta.
“Entra Lestrade.” rispose Sherlock, ma un’altra voce rispose all’invito:
“Sono Mike, posso?” entrò. Sherlock stava cercando di annodarsi la cravatta guardandosi allo specchio. Vedendolo in difficoltà, Mike si fece avanti “Aspetta, ti aiuto io.” gli si mise davanti e delicatamente prese le due parti della cravatta che gli pendevano dalle spalle per annodargliela decentemente. “Nervoso?” domandò.
“Sciocchezze. E’ che io non indosso le cravatte.” rispose con tono altezzoso.
“Come no, come no...” rise Mike. “Lestrade mi manda in sua vece a controllare che tu non sia ancora in vestaglia e a scortarti di sotto quando sarai pronto. Lui si sta occupando di accogliere gli invitati. Sappi che sei in ritardo...” Sherlock sorrise:
“John mi sta già aspettando?” Mike scosse la testa:
“No, è ancora nella sua stanza: torno or ora dall’assicurarmi che sia tutto a posto.”
“Come l’hai visto?” Sherlock tirava leggermente indietro la testa così da non ostacolare i gesti di Mike che non aveva ancora finito di sistemare la cravatta. Si dava il caso che fossero sette giorni che non si vedevano: era stato più che altro per soddisfare il capriccio della signora Hudson che aveva insistito fino a ridurre all’esasperazione entrambi finchè non ottenne il risultato che voleva. ‘Gli sposi devono trascorrere un ultimo periodo separati prima del grande giorno’ diceva ‘Serve a rafforzare il rapporto, a chiarire i dubbi e a rendere ancora più speciale il grande giorno!’. Alla fine di una lunga e snervante negoziazione, giunsero ad un accordo secondo il quale avrebbero trascorso una settimana senza vedersi: Sherlock al 221b e John ospite del proprio testimone di nozze. Si erano mancati molto e, giunti a quel punto, Sherlock smaniava all’idea di rivedere il suo John in quel giorno tanto speciale, e il dolo pensiero di lui in una stanza di quell’edificio che si stava preparando al grande momento gli dava alla testa. La Hudson, come sempre, aveva avuto ragione.
“Nervoso, certo, ma tanto felice. Gli stai facendo un regalo immenso, lo sai?”
“No Mike, lui lo sta facendo a me... Lui lo sta facendo a me.”

(Flashback)

“Io davvero non saprei chi scegliere...”
“Immagino che dovrebbe essere il tuo migliore amico...”
“Sherlock, sei tu il mio migliore amico...”
“Ok... Infondo è sufficiente che sia un uomo del quale ti fidi, no?”
“Avevo pensato a Lestrade... Più che altro perchè è stato il primo a sapere di noi... Poi è un caro amico ed è parte fondamentale del nostro lavoro e della nostra vita, ma forse sarebbe più adatto come tuo testimone visto che vi conoscete da tutto questo tempo...”
“Io so perfettamente chi vorrei come testimone, e non è Lestrade.”
 
Sherlock lo aspettò fuori dal St Barth una volta concluso l’orario di lezione, seduto su una panchina nei pressi della sua auto in modo tale da essere certo di vederlo quando sarebbe uscito. Quando lo vide arrivare, si alzò: Mike indossava il solito trench beige e portava la sua ventiquattrore in pelle come ogni giorno. Gli andò in contro. Quando Mike lo vide, lo salutò sorridendo e agitando il braccio, come sempre:
“Holmes! Quanto tempo!” Sherlock lo raggiunse e gli strinse la mano.
“Salve Stamphord, come stai?”
“Tutto bene grazie, solite storie con gli studenti... Vita noiosa la mia... Tu piuttosto...” disse indicando l’anello alla mano destra “Vedo che hai notizie delle quali mettermi al corrente!”
“Eeh già...” rispose Sherlock. Mike rise e gli tirò tre veloci e sonore pacche sulla spalla dicendo:
“Congratulazioni amico mio, congratulazioni...”
“Grazie... Senti, ce l’hai un minuto?”
“Certo, dimmi...”
“Ebbene... Vorresti farmi da testimone?” Mike sgranò gli occhi stupito: “So che è una richiesta non del tutto consueta, ma sei un caro amico di entrambi e... Insomma, mi sono ritrovato molto spesso a pensare che se non fosse stato per te, io e John non ci saremmo mai incontrati. Quello che siamo, quello che saremo, lo dobbiamo soltanto a te... Perciò-”
“Certo che ti faccio da testimone Sherlock.” sorrise “Molto volentieri, non servono troppe spiegazioni: se hai scelto me, mi sento onorato e accetto con gioia.” Sherlock rimase piacevolmente sorpreso e ricambiò a sua volta sorridendo.
“In effetti Mike... Mi rendo conto solo ora di non averti mai ringraziato come si deve in tutto questo tempo.” Sherlock lo guardò negli occhi “Con John, io ho scoperto una felicità nuova che mi ha letteralmente cambiato la vita, ed è merito tuo.”
“Sherlock Holmes, stai dicendo cose assurde. Mi attribuisci un merito che non ho: all’epoca pensai solo che sareste potuti andare d’accorto... Anche se qualcosa mi diceva che in qualche modo avevate bisogno l’uno dell’altro. Non avrei saputo dire cosa con certezza, ma aveva dannatamente ragione... Non è così?” Sherlock rise:
“Illogico e assurdo, ma senza dubbio è così.” sospirò “Comunque sposerò l’uomo che mi hai presentato tu e perciò non posso che sentirmi in debito con te: fammi sapere se mai avrò l’occasione di estinguerlo.”
“Essere tuo testimone sarà una ricompensa più che valida.” Mike lo abbracciò: Sherlock si sentì a disagio per un attimo, ma anche lui desiderava tanto abbracciare Mike e dirgli ancora mille volte grazie e grazie ancora. Si separarono “Fammi sapere allora...”
“Non mancherò, a rivederci Mike!”
“Ciao Sherlock.”


Mike infilò il fiore nell’occhiello della giacca:
“Pronto?”gli domandò. Sherlock rispose annuendo. “Alla battaglia!” esclamò il testimone, ma Sherlock lo interruppe alzando un dito e puntualizzando:
“Non è una battaglia, Mike, sto andando a sposarmi.” e così dicendo gli fece un occhiolino uscendo per primo dalla stanza. Mike rise e uscì dopo di lui.
 
I due percorsero un corridoio illuminato da varie finestre che davano sullo splendido giardino: entrambi poterono notare che fuori era una splendida giornata di prima primavera e il verde dominava i campi che circondavano quel casolare che avevano scelto per le nozze. Prima di accorgersene, giunsero alle scale. Scesero. Ad ogni scalino, la voglia di rivedere finalmente John e l’ansia crescevano esponenzialmente combattendo una cruenta battaglia nello stomaco di Sherlock e nella sua mente. Appena girato l’angolo, i suoi occhi lo cercarono immediatamente; e immediatamente lo trovarono. Sorrise. Era splendido: non lo aveva mai visto in divisa prima d’ora. Pantaloni neri con una banda rossa l’ungo il lato esterno di ogni gamba, la giubba anch’essa nera portava tre medaglie variopinte appuntate sul cuore. La decoravano dei bottoni in oro, così come il grado di capitano sulle spalle e la fibbia rotonda della cintura bianca dalla quale pendeva una spada fine dall’elsa dorata. Bianchi erano anche i guanti: quello destro stringeva il berretto morbido dello stesso colore della divisa, l’altro guanto rivelò per un istante lo spasmo che aveva ogni tanto quando era davvero agitato. Ben pettinato, ben rasato, John sfoggiava uno splendido sorriso mentre conversava con Lestrade e la signora Hudson in un angolo dell’atrio. Finalmente anche lui si accorse di Sherlock e il suo viso si illuminò: smise di parlare e si avvicinò lentamente a lui sorridendo. Il mondo intorno a loro sembrò sparire.
“Sei splendido...” commentò John un attimo prima di dargli un bacio fugace. Si presero permano e, ad occhi chiusi, si sorrisero fronte contro fronte. Intanto Lestrade e le due accompagnatrici decisero di spostarsi per lasciare alla coppia ritrovata qualche momento di privacy.
“Ma come fai?” sussurrò Sherlock.
“Mh?”
“Mi hai fatto innamorare ancora un po’ di più di te.” mormorò “Un minuto fa non lo avrei creduto fisicamente possibile...” si abbracciarono “Mi sei mancato tantissimo...”
Lestrade fu costretto ad interromperli bussando contro lo stipite della porta:
“Ragazzi, se siete pronti, è ora di cominciare...” entrambi gli annuirono, lui sorrise e si allontanò nuovamente. Sherlock guardò John negli occhi:
“Lo facciamo davvero? Ci sposiamo?” John sorrise ancora:
“Cazzo sì!” Sherlock rise e rispose:
“Forza allora...” ma prima di avvicinarsi all’ingresso della grande sala, là dove li stavano aspettando soltanto più la madre e la padrona di casa che li avrebbero accompagnati attraverso alla navata, Sherlock gli sussurrò nell’orecchio: “Per la cronaca, sei uno schianto in divisa.” e, mentre lui si fece tutto il serio e l’indifferente, John tentò di soffocare una risata.
 
Sotto esplicita e più volte ribadita richiesta di Sherlock, la cerimonia fu breve e sobria.
La sala era stata arredata da panche in legno scuro decorate da composizioni floreali molto semplici con tanto verde e fiorellini bianchi.
Sherlock e la signora Holmes, l’uno sottobraccio all’altra, precedettero John e la signora Hudson nell’attraversare la navata, accompagnati da un quartetto d’archi formato da conoscenti di Sherlock molto lieti di animare la funzione. Lungo la marcia, i futuri sposi trovarono i propri padri, Mycroft e Harry, Molly, Angelo, Sally, il maggiore Sholto e tutti coloro i quali Sherlock e John amavano, seduti nella sala, accorsi con gioia per assistere all’evento. Alla fine della navata li attendeva un’officiante e i due testimoni.
Il momento del ‘Sì, lo voglio’ e lo scambio degli anelli (prontamente porsi da Lestrade, molto fiero del suo ruolo) arrivò piutosto in fretta, l’officiante dichiarò dunque i due uomini uniti in matrimonio e li invitò poi a baciarsi davanti ai loro cari.
 
Il ricevimento si tenne in una grande sala attigua a quella dove si era svolta la cerimonia: una parte di essa era stata adibita alla pista da ballo mentre il resto era stato arredato da tavoli rotondi con le sedie rivolte al fondo del salone dove era stata preparata una tavola più lunga per gli sposi, i loro genitori e i testimoni. Una volta terminata la cena, fu il momento dei discorsi; entrambi i testimoni parlarono poco e allo scopo di divertire gli invitati parlando del particolare rapporto che li legava ai novelli sposi e facendo non poche referenze ai due a dir poco inconsueti addii al celibato che avevano organizzato. Sia Lestrade che Stamphord ricordarono qualche aneddoto divertente su John e Sherlock e terminarono il loro discorso con i loro migliori auguri, un bel brindisi ai novelli sposi e conseguente applauso da parte degli invitati. Sherlock e John, come tutti, ascoltavano commossi i loro amici tenendosi stretti per mano e ridendo alle battute.
Passò diverso tempo prima che Sherlock si alzasse per ottenere l’attenzione di tutti: John rimase esterrefatto dal vederlo in procinto di fare un discorso... Davvero non se lo aspettava. Quando tutti ebbero fatto silenzio, Sherlock si schiarì la voce e prese a parlare:
“Non vi nascondo che ho fatto molta fatica a scrivere questo discorso. E, se sono riuscito a giungerne a capo, devo ringraziare l’ispettore Lestrade che da amico leale si è precipitato a casa per aiutarmi a farlo. Portandosi dietro elicotteri e forze speciali, tra l’altro... Scusa ancora per il malinteso.” Lestrade rise ancora al ricordo della pessima figura che aveva fatto nello smuovere le squadre speciali credendo che Sherlock gli stesse chiedendo aiuto perchè in grave pericolo; le urla dei suoi superiori ancora risuonavano nella sua testa. Sherlock riprese: “Immagino che nessuno di voi si sorprenderà nel sentirmi dire che, da quando ho accettato la proposta di matrimonio di John, non ho fatto altro che associare quella che sarebbe stata la giornata  di oggi al tedio e ad ogni sorta di sofferenza fisica e mentale.” un velo di perplessità e imbarazzo si diffuse tra gli spettatori “Insomma, mi conoscete: essere costretto a dimostrare affetto a parenti di entrambe le parti, amici e persone che non volevo rivedere, facce sorridenti ovunque, centinaia e centinaia di ipocrite frasi di complimenti e congratulazioni prefabbricate con annessi baci e abbracci e pacche sulle spalle alle quali dover rispondere cortesemente, fingere di non essere annoiato e infastidito,   sopportare il rumore, la musica, la festa...” Sherlock capì dagli sguardi spauriti del pubblico che stava divagando e esagerando, perciò si fermò e riprese dopo qualche secondo guardando verso il basso, malinconico: “Quello che cerco di dire è che... Io sono il più sgradevole e maleducato degli ignoranti, lo stronzo più irritante che si possa avere la sfortuna di incontrare. E mai mi sarei potuto immaginare di poter essere un giorno scelto da qualcuno. E di certo non dall’essere umano più coraggioso, gentile e saggio che abbia mai avuto la fortuna di conoscere.” a tale affermazione, ognuno dei presenti fu colto dalla commozione ad occhi umidi e sgranati. John, tremante, non riusciva a credere a ciò che vedeva e sentiva. Sherlock sospirò e guardò di nuovo verso al pubblico e, sorridendo, riprese nuovamente: “Gavin mi ha consigliato di cercare spunti nel blog di John per ravvivare il discorso...” disse estraendo dalla tasca della giacca il proprio cellulare: “Questa è la documentazione del nostro tempo insieme. Certo, John tende a romanticizzare un po’ tutto, ma, lo sapete, lui è un tipo romantico. Abbiamo avuto casi strani, casi frustranti, commoventi... E, spesso, l’elemento più interessante di essi era John che, mentre io provavo a risolvere un omicidio, salvava una vita. Ci sono misteri che vale la pena risolvere e storie che vale la pena di raccontare... E l’uomo migliore e più coraggioso che io conosca è, come se non bastasse, davvero capace... Tranne che per pianificare matrimoni e tovaglioli, con quelli è negato.” gli invitati, John in particolare, risero di gusto, ma Sherlock non ne comprese la ragione e proseguì. “Io posso capire la scena di un crimine come lui può capire un essere umano e a buon intenditor poche parole: se vi servissero i nostri servizi, io risolverò il vostro omicidio, ma servirà John per salvarvi la vita. Credetemi, io lo so: mi ha salvato così tante volte e in così tanti modi...” si fermò qualche istante, preda dei ricordi. “Questo blog è la storia di due uomini e le loro sinceramente ridicole avventure di omicidi, misteri e confusione... Ma, da ora in poi, ci sarà una nuova storia. Un’avventura più grande...” si rivolse a John e lo guardò intensamente dall’alto verso al basso: “John, io sono un uomo assurdo.” John annuì energicamente in tono ironico, ma intanto cercava di nascondere le lacrime che ormai riusciva a stento a trattenere “Mi riscattano solo il calore e la costanza della tua amicizia. John, tu hai patito guerre, ferite e tragiche perdite, perciò oggi sappi che sei seduto accanto all’uomo che hai salvato e hai reso tuo marito, in breve la persona che più ti ama a questo mondo e voglio prometterti che non ti deluderò mai e ho una vita per dimostrartelo.” Fu solo detto questo che Sherlock si rese conto che aveva praticamente ridotto in lacrime tutti gli invitati; in particolare la signora Hudson e sua madre singhiozzavano con i fazzoletti al naso. Persino Mycroft, l’uomo di ghiaccio, nel vedere il suo fratellino aprire il suo cuore in quel modo, si commosse (certo nessuno lo notò). Ormai John si era arreso e lasciò scorrere le lacrime lungo il viso, senza curarsi di essere in pubblico: sorrideva e piangeva di gioia e commozione e, forse solo in quel momento, si rese davvero conto di essere davvero finalmente suo marito. Ormai erano una cosa sola, non soltanto per loro stessi, ma davanti alla legge e davanti ai loro cari. Sherlock intanto non riusciva a comprendere la reazione di coloro che lo circondavano e, spaesato, si abbassò verso John per chiedergli a bassa voce: “Perchè-? Ho forse detto qualcosa di sbagliato?” John rise davanti alla sua innocenza e alzandosi rispose:
“No.” si asciugò una lacrima con il polso “No, vieni qui.” gli disse aprendo le braccia e lo abbracciò tremante. Pretendere che Sherlock partecipasse attivamente a quell’abbraccio davanti a tutti e dopo tutto quello che aveva detto, sarebbe stato davvero troppo e John lo sapeva: si limitò ad abbracciarlo con forza e gli disse nell’orecchio tra i sospiri “Grazie, grazie Sherlock... Ti amo, ti amo tantissimo..”
 
Nell’assistere all’intera scena, Mycroft aveva mantenuto una posa ieratica ed impassibile, ma i suoi occhi, se osservati con attenzione, avrebbero rivelato la sua terribile afflizione.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma ciò che più premeva a Mycroft era proteggere suo fratello; era una missione che a poco a poco si era insinuata nel suo cuore sin dai primi giorni di vita del piccolo Will (così lo chiamavano un tempo) e, da allora, aveva sempre fatto quanto in suo potere per tenerlo al sicuro. Nell’udire quel discorso, Mycroft non poteva fare a meno di ricordare tutte quelle volte che aveva brutalmente fallito nella sua segreta missione; primeggiava fra tutte quella volta in cui Sherlock era fuggito per poi essere ritrovato sull’orlo di un’overdose nonchè sieropositivo: i suoi sforzi nel cercare di evitare che accadesse una cosa del genere erano stati del tutto vani e, da allora, oltre all’essere dipendente da uno stile di vita che non di rado lo metteva in pericolo, Sherlock aveva una nuova incombente minaccia da fronteggiare, davanti alla quale il suo ricco e politicamente fondamentale fratellone non poteva assolutamente nulla. Ecco, nel vedere Sherlock aprire il suo cuore, esporsi terribilmente a quel modo, Mycroft si sentì di nuovo impotente e inutile come quella volta in ospedale: era davvero così emotivamente coinvolto nella relazione con John? Non lo aveva mai realizzato pienamente. Questo era grave, molto grave. Sherlock era così felice in quel momento, seduto accanto all’uomo che aveva sposato, ma anche solo pensare all’ipotesi che quella felicità sarebbe potuta costare atroci sofferenze al suo fratellino lo atterrava. Come poteva essere così ingenuo da non rendersene conto?? Se Sherlock fosse rimasto ferito ancora da questa vita, non ci sarebbe stata più alcuna speranza per lui.
A tale pensiero Mycroft rabbrividì.
Si rese conto di non poter e voler sopportare oltre quella situazione. Dunque si alzò, prese il cappotto e, senza dire una parola, si allontanò dalla sala.
John, mentre chiacchierava con dei colleghi, con la coda dell’occhio lo vide allontanarsi: subito interruppe la conversazione e gli corse dietro. Una volta uscito nel cortile, lo cercò nel buio della sera e lo trovò mentre si avvicinava alla propria auto. Lo chiamò:
“Mycroft!” l’uomo che gli dava le spalle si fermò e così fece quindi John a circa sei o sette metri di distanza da lui “Non vorrà privarmi del gusto di chiamarla ‘cognatino’ almeno un paio di volte prima di andarsene.” Mycroft non si voltò, ma rispose:
“John, sia gentile, porga i miei saluti a mio fratello e ai miei genitori. Io devo lasciare la festa.”
“E’ davvero ciò che vuole?” John intanto si era avvicinato diversi passi. Mycroft non rispose e aprì la portiera della macchina e si sedette sul sedile anteriore. Poi disse:
“Sa John, la dottoressa Tietjens è una persona che si sta occupando di mio fratello e lo fa nel modo migliore che ritiene, non ne dubito, ma se commettesse un errore sarebbe subito rimossa dal suo incarico e sostituita.” John lo guardò confuso “Mi auguro, John, che lei si renda conto che lo stesso non può valere per lei: lei non è mai stato sostituibile, e ora lo è meno che mai. Sherlock ha scelto lei e lei solo per condividere la sua vita, la sua malattia; lui si fida ciecamente di lei e a questo non c’è rimedio.” si fermò qualche istante “Non lo deluda. Mai. Non tradisca la sua fiducia. Mi giuri che si prenderà cura di mio fratello.” John, all’udire tali parole, rimase di stucco: erano un ordine, una minaccia e allo stesso tempo una supplica disperata. Si ricompose e rispose:
“Quello di oggi non è stato un mio capriccio né tanto meno una messa in scena, sia ben chiaro: amo suo fratello e resterò al suo fianco fino alla fine dei miei giorni qualunque cosa accada. E no, non lo deluderò mai.” Mycroft annuì soddisfatto e fece per chiudere la portiera dell’auto, ma John con uno scatto fu addosso alla macchina e bloccò la portiera a cinque centimetri dal chiudersi con un rapido gesto secco e, guardandolo dritto negli occhi, con un ringhio aggiunse furente: “E questa è l’ultima volta che mette in dubbio la mia totale devozione verso Sherlock.” e, solo una volta detto questo, lasciò che Mycroft chiudesse la porta. Il cognato accese dunque l’auto con atteggiamento noncurante e, senza rivolgere a John ulteriori sguardi, si allontanò in direzione della capitale.
 
 
Le danze furono inaugurate dal primo ballo degli sposi: un valzer composto da Sherlock appositamente per l’occasione, eseguito dallo stesso quartetto d’archi che aveva accompagnato l’intera giornata con melodie morbide e serene. I novelli sposi danzarono divinamente davanti ai loro ospiti:
“Sei felice?” domandò Sherlock mentre danzavano
“A dir così, pare che ci siamo sposati solo per fare un piacere a me.”
“Non ho affatto insinuato questo. Ti ho chiesto se sei felice.” John rise:
“Certo. Certo che sono felice Sherlock.” John appoggiò il viso al petto di Sherlock senza smettere di ballare “Più che mai in vita mia.” Sherlock sorrise “E tu, sei felice?” Sherlock inclinò il viso per baciargli la testa sulla linea in cui i capelli incontrano il viso, qualche centimetro sopra all’orecchio e così rispose:
“Dannatamente felice.” Alla fine del valzer si baciarono ancora tra gli applausi degli invitati che a loro volta cominciarono a ballare. “A proposito, chi ti ha insegnato a ballare così bene?” John gli regalò un mezzo sorriso:
“Sei stato tu.”
“Quale miglior insegnante.”
“Oh, sta zitto...”
“Oppure cosa?” 
“Oppure ti sposo.” al chè Sherlock rispose con una sonora risata, e anche John rise di gusto..

Fu presto chiaro che Sherlock non era più in grado di tollerare i ritmi della serata: la giornata intensa lo aveva affaticato molto (così come tutta la settimana precedente) e, anche se era ancora molto presto, si sentiva terribilmente stanco. Non disse nulla al riguardo, non volendo guastare la festa a John, ma lo sguardo attento del medico non ebbe bisogno di molto tempo per accorgersene da solo. Con sguardo dolce gli consigliò di sedersi e di lasciar perdere gli ospiti per un po’, ma nel vedere che questo non era sufficiente, dopo qualche minuto gli domandò se forse non preferiva andare a distendersi nella sua camera al primo piano. Sherlock non voleva lasciare solo John, non in qualle serata importante, ma davvero ormai non riusciva a nascondere la sua debolezza. John quindi insistette e lo accompagnò fino in cima alle scale, dicendogli che doveva rimanere ancora un po’ con gli invitati e sistemare ancora un paio di cose con il personale prima di congedarsi a nome di entrambi e raggiungerlo in camera più tardi: di certo Lestrade era in grado di gestire la festa fino al suo termine e mandare gli ospiti a casa a poco a poco anche da solo. Così fecero e circa mezz’ora dopo, John raggiunse Sherlock: lo trovò disteso sul letto, addormentato sopra alle coperte, con ancora  pantaloni sbottonati addosso. John non accese nessuna luce e nel cambiarsi fece più piano possibile e con delicatezza si coricò accanto a lui. Sherlock si destò nell’avvertire il materasso muoversi e, senza aprire gli occhi disse:
“Che pessima prima notte di nozze... Mi dispiace...”
“Shh, shh... Dormi Sherlock, abbiamo una vita davanti.” rispose John accoccolandosi a lui: infondo anche lui era stanco morto giunti a quel punto.
“Buonanotte marito...”
 

 


[Buona sera carissimi! Spero che vi sia piaciuto questo nuovo capitolo di Positive.. E’ decisamente diverso da quelli che l’hanno preceduto e che lo succederanno: mi sono lasciata prendere la mano dal fluff (prima volta in vita mia! L’ultima per questa ff) anche se non faceva affatto parte del mio piano originale, ma è andata così u.u Confesso che mi sono persa nello scrivere del matrimonio di John e Sherlock perchè PORCA MISERIA almeno nella mia testa volevo vederlo almeno una volta, eccheccavolo. Non è un caso che io abbia scelto di citare testualmente il secondo episodio della terza stagione, così come non è un caso che il capitolo venga pubblicato in una settimana tutta dedicata ai diritti degli omosessuali, soprattutto legati al matrimonio. Forse ho esagerato con le sdolcinatezze, ma non fateci l’abitudine ;) Intanto siamo andati avanti di altri 6 mesi... Siete curiosi di vedere come proseguirà la nostra storia??
Io, come sempre, vi invito a recensirmi in quanto per me è di fondamentale importanza la vostra opinione e, durante il (spero breve) periodo di attesa del prossimo capitolo, a leggere qualcun’altra delle mie ff e a fornirmi la vostra opinione anche su quelle! Io vi ringrazio infinitamente dal profondo del cuore per aver letto fino a qui <3 Al prossimo capitolo! Un saluto, _SalvamiDaiMostri]
 
   
 
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