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Autore: Sottopelle    30/06/2015    0 recensioni
"Falene sugl'occhi" rappresenta la solitudine di una persona la cui vita viene man mano consumata dai vizi ed i peccati che ormai fanno parte della nostra routine quotidiana; è un viaggio che analizzerà il mondo odierno attraverso gli occhi di chi è nato e cresciuto nel degrado della città dei nostri giorni, fatta di apparenze piacevoli ma che nascondono verità ben più drammatiche, al limite del tragico. Un pellegrinaggio interiore che probabilmente, e lo dico con sincerità, non ha un capolinea preciso, ma non è forse l'ignoto a rendere l'esplorazione più emozionante?
Genere: Introspettivo, Satirico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Ingrid mi parla del cane del vicino che ha un tumore ai testicoli ed a me non interessa. Le sue parole entrano dal mio orecchio destro ed escono da quello sinistro, così velocemente che non riesco ad afferrare il senso logico delle sue parole, soggetti, verbi, complementi, ma da quel che riesco ad afferrare giungo alla conclusione che Ingrid ha la erre moscia. La mia soglia di attenzione, stasera, è pari a zero.
Cerco vie di fuga con lo sguardo, ma sono ben poche: potrei saltare dal parapetto e sfracellarmi al di sotto, fingere un violento attacco di gastroenterite e fuggire, tornare al Dixie improvvisando delle pseudo-convulsioni per confondermi con la massa, rimanere su quella panchina ed aspettare che Ingrid si stufi di parlare credendo che le sue storie mi interessino. Anche se quest’ultima non è propriamente una fuga. In tutto ciò, con Ingrid che blatera e la mia tachicardia che comincia a farsi più insistente, alzo lo sguardo di nuovo e guardo la neve. Ha un qualcosa di troppo puro, per poter cadere proprio qui. Per finire tra le pieghe dei vestiti di Ingrid. Per incastrarsi tra i miei capelli. È un contrasto che fa quasi ridere, la neve con il suo bianco puro comparata allo sporco cupo delle strade, le case, le persone. Come se, nel suo cadere, la neve cercasse di redimere i peccati dell’uomo e le sue creazioni. O se non altro, nasconderle col suo manto. Per un momento, mi sento in pace con l’universo, come se quegli spruzzi bianchi sui vestiti e in testa potessero rendermi parte attiva di un’ipotetica salvezza del mondo, come se potessi diventare pura, così all’improvviso. Mi viene quasi da ridere, al pensare alle stronzate che penso sempre. Mi viene quasi da ridere, nel vedere una cosa così candida come la neve cadere in questi luoghi di degrado, su queste facce devastate da vite folli e malate. L’uomo non si merita certe meraviglie della natura. Quindi chiudo gli occhi, ed inspiro, stasera mi sento fortunata ad essere partecipe a questa scena ma allo stesso tempo indegna, per cui decido di terminare la mia contemplazione del mondo e le sue regole  e di porre fine alla mia elevazione ad uno stadio più elevato di spiritualità.
Quando la mia mente decide di tornare al presente e i miei occhi iniziano a visualizzare i capelli sporchi di Ingrid, la sento la sua voce acuta parlarmi della sua nuova ricetta per preparare la salsa greca. Mi lascio sfuggire un sospiro quasi esasperato, che però non viene colto dalla mia interlocutrice. Mi tremano le gambe per il freddo, per l’ansia, per il mio bisogno di accendermi un’altra sigaretta e di perdermi ancora una volta nei miei pensieri.
Hai freddo?, chiede Ingrid.
Uno spiraglio di luce mi illumina la mia via di fuga più sicura.
Un po’, dico. La voce tremolante.
Ed è così che mi alzo e, senza nemmeno salutare la donna-cimice, torno a farmi sanguinare le tempie a ritmo di musica.
Una folata di aria calda mi investe e si fa sentire la mia voglia di scappare veramente. Ma nonostante la mia mente mi inciti ad andarmene, le mie gambe si muovono verso quel forno chiamato “Dixie” ed io mi addentro in quella che sembra una giungla di corpi bollenti. E poi, vedo lei.
Anna balla. Gira su se stessa tra l’orda di corpi sudati ed appiccicosi. Anna balla e io la guardo. Sembra quasi un’allucinazione girata in una qualche telenovela spagnola degli anni ’90. Anna balla, una bambolina di porcellana che ruota su stessa, prima veloce, poi sempre più lenta. Quando si ferma, cade a terra in frantumi. Così, mentre prima vedo i suoi capelli giallo-paglia tracciare cerchi nell’aria pesante tra le luci degne di attacco epilettico, ora vedo quello stesso cespuglio finire a terra, inerme. Anna si spezza, ma io non sento il cozzare della porcellana ormai infranta, non sento l’incrinarsi delle sue ginocchia che cedono, non sento niente oltre la musica martellante, non sento niente mentre la guardo caduta a terra, non sento l’istinto di correre da lei, non sento l’istinto di chiamare aiuto, non sento niente. Io sono di passaggio, come anche lei lo è, solamente io e lei abbiamo tempi di staticità diversi e si è trattenuta in questo posto meno di me.
Fuori ha ripreso nevicare e l’aria notturna sembra prendermi a schiaffi. Sento la pelle del viso tirare, ormai secca per il trucco vecchio di due o tre nottate altrettanto frenetiche e per il vento che tira. La neve non ha più quel suo candore malaticcio ma ora è blu. Ora bianca. Ora blu. Ora bianca. Ora blu. Non c’è più musica di sottofondo, solo voci.  Voci di chi “che è successo?”, voci di chi “cazzo c’è la polizia, mi sono fatto una canna/una striscia/ho trenta grammi di eroina nascosta nelle mutande”, voci di chi “ora la serata è rovinata”, voci di chi “fuori fa freddo, fateci rientrare nel locale”.
Johan si fa spazio a suon di spinte e appoggia una mano sulla mia spalla con gli occhi annebbiati, che è successo?, dice.
Ogni parola inizia a essere di troppo e a me gira la testa. Sento pulsare le vene sul collo, i polsi, ovunque. Anche la mia ansia è transitoria.
Che cazzo è successo?, dice ancora Johan e a me ancora le parole sembrano sfuggire.
È a terra, dico. I miei occhi si perdono nella folla, il respiro nei polmoni che sembrano incapaci di contrarsi.
È stata la prima a crollare, dico.
Johan ride.
Credevo di essere io quello messo peggio, dice.
Anna ha perso la scommessa, dice.
C’è da fare una piccola parentesi a riguardo: si debba sapere che noi siamo soliti fare una scommessa, quando usciamo ad annientarci i neuroni. Il primo che cede, e dunque collassa, che sia per alcol o droga, è costretto ad offrire agli altri da bere il giorno dopo. È un nostro rito.
Ora tocca a lei offrire da bere, dice.
Un telo bianco fa a pugni con la pelle gialla e malsana di Anna. Un telo bianco che non può coprire gli occhi aperti ed ormai secchi di Anna, circondati dal trucco mezzo colato per via del sudore. Un telo bianco che sancisce la fine della transizione di Anna in questa dimensione.
Johan, dico.
Mi viene da ridere e non so il perché. Mi viene da piangere e non so il perché. Non ho né tempo né spazio per i legami se tutti, qui, sono solo di passaggio.  Nella mia mente si fronteggiano queste due necessità opposte ma il mio volto è una maschera di ferro impassibile.
Anna non offrirà da bere domani, dico.
Johan mi guarda con la sua espressione da ebete ubriaco fradicio.
Anna non tornerà.






Aggiorno con molto, molto ritardo e me ne rendo conto. Purtroppo questo periodo non me lo sono passata assai bene: ho avuto una serie di esaurimenti nervosi, fasi depresse, attacchi d'ansia che praticamente mi hanno devastata. E la mia ispirazione è andata a barsi benedire maledire. Tuttavia, per ora le cose sono più o meno stabili, cerco di riprendere in mano la mia vita anche se questi crolli ancora avvengono. Cerco comunque di fare del mio meglio. 
Parlando della storia, questa è la prima svolta drammatica, ovvero la morte di Anna. Da qui, si inizierà a delineare la psicologia del personaggio protagonista in maniera più approfondita. Infatti, il fatto che il personaggio si cerchi di convincere, ripetendosi spesso, il concetto di transitorietà della vita stessa, è un modo per dare un senso all'apatia ed indifferenza che gli appartiene. L'apatia è uno dei, per così dire, sintomi della depressione; ho cercato di identificare me in quella che è la protagonista, ma calcando la mano su alcune reazioni (posso assicurarvi che non sarei indifferente di fronte al collasso di una persona a me cara!) È infatti caratteristica mia anche il perdermi coi pensieri in una maniera pressoché assoluta, e l'ho voluta rendere anche caratteristica del personaggio. Ribadisco, però, che questi tratti sono in gran parte esagerati, chi più, chi meno.
Rinnovo ancora una volta, a chi legge, di lasciarmi una recensione. Magari anche solo per parlare dei temi trattati, vorrei stabilire un qualche dialogo, insomma, non necessariamente per parlare della mia storia. Mi piacerebbe avere un confronto con voi, le vostre esperienze, magari, i vostri punti di vista. Mi farebbe piacere. 
Ecco, quello che dovevo dire, l'ho detto, ma comunque non obbligo nessuno a fare niente che non voglia. Auguro a tutti una buona giornata, alla prossima!

 
  
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