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Autore: child_of_the_revolution    01/07/2015    5 recensioni
Il Barricade Day, 5 Giugno 1832, raccontato dal punto di vista della madre di Enjolras.
"In cuor suo lo sa che Enjolras non scapperà mai.
Libertà o morte.
Il terzo rimbombo le strazia l’anima.
E la barricata cade."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Combeferre, Courfeyrac, Enjolras, Grantaire, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Slipping Through My Fingers… All The Time.

Sophie è una giovane donna di trentadue anni quando la mattina del 5 giugno 1832 suo figlio le bacia la fronte, con indosso una giacca rossa e i muscoli trepidanti per l’attesa. Non gli chiede dove sta andando, lo sa già. Vede la coccarda repubblicana appesa sul cuore e vorrebbe strappargliela via e pregarlo di rimanere con lei, minacciarlo, che se lo vedesse suo padre sarebbe nei guai. Sophie lo sa che né le suppliche, né le intimidazioni, sortirebbero alcun effetto, non quando suo figlio ha quello sguardo così fiero negli occhi e quegli ideali per cui grida nelle piazze, così marchiati a fuoco nella mente. E’ troppo tardi per fermarlo. Può solo pregare, Sophie, pregare che il suo bambino torni a casa quella notte.
“Enjolras” lo chiama, quando è oramai sull’uscio, un piede già fuori. Lui si irrigidisce per un istante, poi si volta e la guarda, un timido sorriso stampato sulle labbra. “Torna…” gli sussurra.
Enjolras non risponde, né annuisce, perché sa che non può promettere, perché crede in quello che fa, crede che la gente si solleverà, che Parigi sarà invasa da barricate e da gente che lotterà per la libertà ancora una volta, ma conosce anche il destino a cui molti sono andati incontro già una volta.
“Ti voglio bene, mamma” le sorride di nuovo e con un passo è fuori.
~
La sera del 5 Giugno Enjolras non torna. Suo marito è furioso. Sono arrivate notizie sulle bandiere rosse apparse al funerale del Generale Lamarque e sul successivo scontro tra manifestanti e Guardia Nazionale, si dice che circa una quarantina di studenti abbia alzato una barricata in Rue Chanvrerie e che tuo figlio, donna, tuo figlio, sia a capo di questa stupida sommossa. Un brivido percorre la schiena di Sophie, mentre porta le mani alla bocca e sente gli occhi pizzicare.
Tutti i suoi timori, tutte le sue paure sono diventate realtà. Enjolras è dietro una barricata, che sventola bandiere rosse (come il sangue che sarà versato per le strade), che incoraggia studenti, uomini, ragazzini come lui a combattere per una Parigi, una Francia, un mondo migliore.
La Guarda Nazionale non avrà pietà, non vedrà in quei visi ragazzi di vent’anni con dei genitori a casa ad aspettarli, vedrà dei rivoluzionari, dei nemici, qualcuno da abbattere, qualcuno che gli è stato ordinato di uccidere, che non merita la vita. Sophie trema e una lacrime sfugge al suo controllo.
“Andrè, Andrè ti supplico, devi andare a prenderlo, ti prego” supplica, allungando un braccio verso suo marito e aggrappandosi alla manica della sua giacca. Le lacrime le rigano il viso, mentre la consapevolezza si fa strada nel suo cuore.
“Può anche essere morto, non m’importa! Ha tradito la sua famiglia seguendo quelle idee da bastardo che gli hai messo in testa facendogli leggere i tuoi stupidi libri! Piangi adesso. Piangi! Perché, che sopravviva o meno, non metterà mai più piede in questa casa!”
Sophie trattiene il fiato, mentre stringe più forte il braccio del marito e alza la testa, fiera, ribelle. “E’ tuo figlio, Andrè, come puoi dire questo di tuo figlio!”
Con un gesto violento Andrè si libera della presa della donna, lo strattone è così forte e inaspettato che Sophie perde l’equilibrio e cade in ginocchio. Andrè esce dalla stanza senza neanche rivolgerle un’ultima occhiata, senza neanche accettarsi di come stia. Non la consola, non la tira su. La lascia a terra, il volto piangente tra le mani e la testa che vaga tra le strade di Parigi, fino alla barricata, dove i ragazzi hanno respinto il primo attacco.
~
Sophie non chiude occhio quella notte, il pensiero di coricarsi non le sfiora la mente nemmeno per un istante.
Rimane alla finestra, una candela – un mozzicone di cera, ormai – posata sul davanzale che diffonde un debole alone di luce che avvolge la sua figura. Non ha fatto altro che guardare il crocicchio della strada, come se da un momento all’altro potesse vedere un ragazzo riccioluto, con una giacca rossa, scendere da nord e tornare a casa.
Inutile specificare che nulla di questo accade mai. E la morsa che le stringe il cuore si fa sempre più opprimente, man mano che la luna sorge a colorare d’argento le strette strade di Parigi. Sophie ha un rosario tra le mani. Prega tutta la notte. Supplica per il suo bambino, il suo piccolo ragazzo che non merita di morire, è così giovane, così giovane.
Non sono nemmeno le tre quando la cameriera entra in camera.
“Il popolo non si è sollevato” porta le notizie che circolano per le strade, tra la gente incuriosita dal tumulto di quella mattina, spaventata da cosa sarebbe potuto accadere.
“Cosa?”
“Sono l’ultima barricata rimasta. In Rue Chanvrerie. Tutte le altre sono cadute o non sono state erette.”
Un senso di nausea la invade. Quaranta ragazzini. Cosa possono quaranta ragazzini contro guardie armate e cannoni? Sarà un massacro.
~
E’ un massacro.
La prima cannonata rimbomba in tutta Parigi.
La seconda fa affiorare le lacrime sul volto segnato e stanco di Sophie. Ha gli occhi arrossati, la crocchia disfatta, i segni delle unghie nelle palme delle mani. Prega ancora. Farfuglia parole confuse. Ripete il nome di suo figlio una, due, tre volte, quasi come un canto, quasi come una ninna nanna.
Non sa se sperare di sentire ancora il rombo dei cannoni, perché vorrebbe dire che la barricata non è ancora caduta, che forse potrebbero avere il tempo di scappare.
In cuor suo lo sa che Enjolras non scapperà mai.
Libertà o morte.
Il terzo rimbombo le strazia l’anima.
E la barricata cade.
~
Rue Chanvrerie è una pozzanghera rossa. La barricata è sventrata nel mezzo, detriti e pezzi di legno giacciono in mezzo a giovani cadaveri. Alcuni sono morti nei pressi delle porte delle case, una mano sul legno nella speranza che qualcuno aprisse, che qualcuno gli desse rifugio, il coraggio svanito tutto d’un tratto e solo un urlo nella mente: non voglio morire, non voglio morire.
Altri cadaveri sono riversi con la faccia sul lastricato, davano le spalle alla barricata, scappavano, ma questo non li ha salvati dai proiettili nella schiena.
Sophie non vede Enjolras. Non è tra quelli per strada. Continua a camminare, la lunga veste nera sfiora l’acciottolato, macchiandosi, ma non le importa, non le importa più nulla ormai. Vuole solo vedere suo figlio, solo questo.
I cadaveri sono allineati per terra. Il suo sguardo sfiora quei volti e, ogni volta, la paura che il prossimo viso abbia dei biondi riccioli e l’espressione angelica si fa più scura e opprimente. Vede un ragazzino, un bambino con lunghi capelli biondi, è così piccolo, cosa ci faceva con loro? Perché l’hanno colpito? Dov’era la sua famiglia?
Non avrà mai una risposta.
C’è anche una ragazza.
Sophie trattiene un singhiozzo quando vede Courfeyrac e Combeferre. Li ha visti spesso in compagnia di Enjolras, ridevano.
Sale le scale per il secondo piano. E’ l’istinto a spingerla, come se sapesse.
Enjolras è lì, semidisteso.
Quando il suo corpo è scivolato lungo il muro al quale lo avevano inchiodato i colpi di baionetta, la testa è rimasta sollevata, appoggiata contro il muro.
(C’è un altro corpo accanto al suo, è un ragazzo con i capelli scuri, Sophie non l’ha mai visto.)
Un grido le risale la gola, non cerca neanche di fermarlo, mentre copre la distanza che la divide da Enjolras con passi affrettati, in corsa, per gettarsi ai piedi del ragazzo, in ginocchio.
Prende il viso di suo figlio tra le mani, lo accarezza.
Svegliati, ti prego, svegliati. E’ tutto quello a cui è in grado di pensare, anche se gli otto tulipani di sangue sul petto di suo figlio raccontano che non c’è nulla da fare, non può svegliarsi, non sta dormendo, anche se il suo volto è ancora così sereno e altero che sembra solo assopito. C’è un sorriso disegnato sulle sue labbra. Sophie si chiede a cosa abbia sorriso nei suo ultimi istanti: alla morte? No, forse al compagno rimasto al suo fianco anche nella dipartita.
Sophie gli bacia la fronte febbrilmente.
Il mio bambino, il mio bellissimo bambino.
Gli accarezza i capelli, pulisce il suo viso dal sangue e dallo sporco della polvere da sparo. Mentre compie quei gesti con infinita dolcezza, con tutto l’amore di cui una madre è capace, mormora una nenia francese che gli ha cantato fin dalla nascita. Le lacrime le scorrono sul volto incontrollabili. Quando le sue mani si fermano posa l’ultimo bacio sulla fronte del ragazzo e gli accarezza il viso.
Come hanno potuto sparare a un fiore.
Volta la testa di scatto, si morde il labbro, stringe le palpebre e trattiene le lacrime. Quando riapre gli occhi è il cadavere accanto a quello di suo figlio a riempirle la visuale. E’ giovane quanto lui, anche se i suoi tratti meno delicati lo fanno sembrare più adulto. Fa per lui quello che ha fatto per suo figlio. Senza un apparente motivo. Forse lo fa per quella madre che non vedrà suo figlio tornare a casa, che non lo rivedrà più, come lei non rivedrà mai più il suo Enjolras sorridere, dirle che le vuole bene, che non importa se la pensa diversamente sulla libertà, sulla giustizia, sulla repubblica, ma che lei è pur sempre sua madre. E’ la donna che ama, che ha amato, di più al mondo.
Il dolore è una voragine che tutto consuma nel suo petto.
Un solo pensiero la consola:
suo figlio non è morto solo.
  
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