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Autore: ina6882    01/07/2015    5 recensioni
Dolce flirt è una rubrica per cuori solitari all'interno del giornale Dolce Amoris; ogni giorno vi arrivano tantissime lettere di persone che raccontano, col cuore in mano, le loro vicende amorose.
Ognuno ha il coraggio di spedire la sua lettera, alla quale prontamente viene data una risposta.
Lexie Marshall cura questa rubrica e anche lei, dopo un matrimonio fallito è un cuore solitario.
Gli amici la sostengono ad andare avanti e grazie al loro aiuto, dopo sei mesi dalla rottura con suo marito Dake, Lexie si è buttata a capofitto nel lavoro, non volendo più avere relazioni serie e accontentandosi piuttosto di occasionali incontri col suo "partner di letto".. ma non sempre tutto va come viene pianificato; dolorosi ricordi del passato riaffiorano, nuovi amori sono dietro l'angolo.. e se poi ci si mette anche una lettera a sconvolgere le carte in tavola?
"Una lettera a Dolce Flirt" è una storia romantica e vivace e se amate gli intrecci amorosi e le vicende caratterizzata da un velo di ironia, entrate pure! Lascio a voi l'incarico di trovare la pazienza di arrivare fino alla fine, spero non ve ne pentirete.. ^-^
In ogni caso vi auguro BUONA LETTURA!
Ina
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Credo che tutto accada per una ragione.
Le persone cambiano perché tu possa imparare
a lasciarle andare via. Le cose vanno male perché tu
possa apprezzarle quando invece vanno bene,
credi alle bugie perché poi imparerai a non
fidarti di nessuno tranne che di te stesso e
qualche volta le cose buone vanno in pezzi
perché cose migliori possano accadere”.
M. Monroe
 
 
PROLOGO
 
 
“ Il Tradimento è una maschera che indossa
chi non sa amare prima di tutto se stesso.
Se ami non tradisci, se ami hai il coraggio di dire
a te stesso e a chi ti sta accanto che una storia è finita. ”
Stephen Littleword
 
 

« Lexie non è come credi, » furono le uniche parole che Dake riuscì a dire, quel giorno, quando lo sorpresi nel suo ufficio con la sua segretaria. 
Lei era distesa sulla scrivania con la gonna alzata e le gambe all'aria, spalancate in modo terribilmente osceno sulle quali spiccavano delle calze nere, con alle estremità delle décolleté rosse, e lui era su di lei, o, meglio dire, dentro di lei.
E io che, come una stupida, ero andata a portargli il pranzo e a vedere come stava.
Avevamo passato un periodo difficile, accresciuto dal suo lavoro che lo teneva costantemente impegnato. In quel momento capì perché...
E pensare che mi ero sempre considerata una ragazza arguta con un sesto senso sviluppato.
Al liceo questa caratteristica mi aveva aiutata molto, tanto che ero riuscita a non incappare in ragazzi dall'ambiguo comportamento, il cui unico scopo era quello di trovare una ragazza da una botta e via. 
Il mio sesto senso si comportava sempre come una perfetta bussola, ma solo allora mi resi conto che si era rotta l'ultimo anno di liceo nel preciso momento in cui lo incontrai. 
Era venuto a trovare suo zio Boris, il mio insegnante di ginnastica, e mi venne addosso mentre mi trovavo nel corridoio che conduceva in palestra. Mi ritrovai scaraventata per terra con le gambe all'aria e mancò poco che sbattessi la testa sul termosifone vicino. Per fortuna riuscì a scansarlo, o meglio, fu lui a trattenermi per un braccio notando la mia brusca caduta.
« Ahi, ma che modi! » , riuscì a dire mentre mi alzavo dolorante da terra.
Lui con un sorriso, poco consono al momento, mi chiese: « Ti sei fatta male? ». 
Sicuramente fu quel prendermi alla sprovvista che non mi fece rispondere per le rime. In altre circostanze, davanti a tanta spavalderia, lo avrei fulminato con lo sguardo e con le parole, ma, ahimè, il caso quella volta non fu dalla mia parte. Anzi, sembrò proprio che quella caduta, oltre a farmi perdere la bussola, mi avesse fatta anche rimbecillire, perché, quando lo guardai con quel fisico scolpito e i capelli biondi legati in un codino, che lasciavano intravedere il suo affascinate viso e i suoi occhi verdi, l'unica cosa che riuscì a fare fu arrossire come una stupida e rispondere balbettando: « N...No, n...non ti pr...preoccupare,  n...on mi sono fatta n...niente » .
La cosa sorprendente era che, nonostante i miei principi e il mio ormai smarrito sesto senso, lo incontrai ancora e questa volta di proposito e, pian piano, diventammo sempre più intimi. 
Fu il mio primo ragazzo, il mio primo bacio, la mia prima volta e in tutto questo mi fece sempre provare emozioni nuove, travolgenti e divertenti che me lo fecero amare sempre più, tanto da mettere in secondo piano gli innumerevoli difetti che lo caratterizzavano, primo fra tutti il suo essere donnaiolo.
Forse a causa del mio egocentrismo femminile, pensavo che con me sarebbe stato diverso, che sarei riuscita a cambiarlo e che non mi avrebbe mai fatta soffrire. 
Eravamo così uniti e, dopo la fine della scuola, quando un pomeriggio mi chiese di sposarlo, accettai senza pensarci su due volte.
Per molto tempo eravamo stati una bella coppia insieme, finché lui non aveva deciso di rovinare tutto, tradendomi con quella poco di buono della sua segretaria. 
Nel momento in cui spalancai la porta si bloccarono di colpo ed entrambi guardarono nella mia direzione con i volti accaldati. Il sacchetto del pranzo che avevo in mano mi cadde per terra. Ero disgustata. Provai una rabbia incontenibile e un forte dolore al petto. Mio marito, l'uomo con il quale contavo di passare il resto della mia vita era lì di fronte a me, nudo come sua madre lo aveva fatto a divertirsi tra le gambe di una semi-prostituta.
Lei cercò immediatamente di coprirsi il seno con il quale fino a un attimo prima lui stava giocherellando e lui rimase con la bocca aperta finché non riuscì a dire: « Non è come credi... ».
In quel momento avrei voluto urlare e lasciare libero sfogo alle lacrime che mi pizzicavano negli occhi, ma non so cosa riuscì a farmi mantenere impassibile. Non volevo dargli nessuna soddisfazione. Non volevo fargli vedere quanto mi sentissi distrutta, quanto poco donna e moglie mi sentissi in quel momento. Se lui aveva cercato uno svago tra le gambe di un'altra donna forse la colpa era anche mia. Ma cosa potevo avere di sbagliato a soli ventiquattro anni? Mi ero sempre occupata di lui, mettendo in secondo piano le mie esigenze. Era lui la mia priorità e cercavo di renderlo felice, facendo tutte quelle cose che una moglie può fare per suo marito. Lavoravo a tempo pieno, tenevo in ordine la casa e, nonostante molte volte la sera mi sentissi distrutta non gli negavo mai di fare l'amore. Non mi trascuravo, anzi, curavo molto il mio corpo e il mio aspetto e lui mi aveva sempre detto che ero bellissima, ma forse non abbastanza da non tradirmi. 
Dake si fece avanti verso di me, dopo essere riuscito a recuperare le mutande, ma non lo feci neanche continuare e, anche se non riuscivo a mantenermi in piedi, voltandomi, uscì dalla stanza sbattendo la porta alle mie spalle, mentre lui, riaprendola, mi seguì cercando di alzarsi i pantaloni.
Avevo le gambe che tremavano, il battito accelerato e la testa che girava vorticosamente. Mi sentivo debole e mi sembrava di svenire da un momento all'altro. 
« Aspetta. Lasciami spiegare, » aveva anche osato continuare quando non c'era assolutamente nulla da spiegare. Era già tutto così evidente e chiaro. Mi aveva tradita e lo avevo preso con le mani nel sacco. Cosa c'era da dire ancora? Nulla.
La cosa sorprendente è che avevamo appena terminato di provare ad avere dei figli. Lui all'inizio non era d’accordo, ma dopo le mie insistenze si era convinto e avevamo passato gli ultimi mesi a provare e riprovare, senza riuscirci mai. Eravamo stati da molti dottori ed ero stata sottoposta a una marea di esami perché quella stupida di sua madre aveva anche osato insinuare che fossi io la causa di tutto e che avessi problemi alle tube di Falloppio. Per fortuna gli esami erano usciti negativi, ma quando il mio ginecologo iniziò a fare domande anche a lui, il suo umore cambiò.
Quel giorno mi aveva trascinata fuori dallo studio del dottor Chalt e, mentre eravamo in auto si era messo ad urlare sostenendo che quel dottore da strapazzo lo avesse accusato di essere sterile.
« Ti rendi conto? Quel bastardo del dottore Chalt ha osato insinuare che sono io quello che non funziona in questa faccenda ».
Cercai di rassicurarlo, ma sembrava non ascoltarmi.
« Cazzo Lex » , continuò tirando due pugni sul volante, « ma l'hai sentito? Io non ho niente che non va e non ho bisogno di fare controlli, » e dopo un attimo di silenzio disse lentamente: « Credo che dovremmo smettere anche di provarci. Non ci fa bene tutta quest'ansia. Dovremmo essere più calmi e sono sicuro che accadrà quando meno ce lo aspettiamo » .
In quel momento gli diedi ragione, ma poi realizzai che usò quella scusa per liquidarmi, visto che, quando meno me lo aspettavo, lo presi con le mani nel sacco.
Ecco perché non voleva avere figli con me, non mi amava abbastanza.
Attraversai il corridoio e, dopo aver notato che l'ascensore era occupato, mi avviai per le scale del grande palazzo dove si trovava il suo ufficio e scesi velocemente, mentre lui continuava a rincorrermi.
« Lexie ti prego non fuggire. Lasciami spiegare. Lo sai quanto ti amo »; a mano a mano che parlava sentivo montare una rabbia feroce dentro di me.
Fuggire? In quel momento mi chiesi se  avesse davvero qualche problema al cervello. Io non stavo affatto fuggendo. Anzi. Stavo finalmente facendo qualcosa per la mia vita e cioè andare dall'avvocato a chiedere le pratiche del divorzio. 
Forse Dake era talmente rintronato da non rendersi conto di quanto tutto apparisse così semplice ai miei occhi e che, nonostante il dolore, mi era tutto perfettamente chiaro. 
Tutto quel tempo pieno di bugie. Chi sa da quanto se la spassava con quella e poi la sera tornava da me per cercare di avere il nostro bambino. 
Forse era destino che non ne dovessimo avere. Un figlio è il frutto dell'amore e come poteva da noi nascere un frutto quanto non c'era l'amore. 
Con quale coraggio continuava a dirmi che mi amava quando, invece, non era affatto vero. Un uomo innamorato non tradisce la sua donna, per di più moglie con la quale sta provando ad avere una famiglia. No, lui, in realtà, non la desiderava affatto una famiglia, non desiderava un figlio, non voleva invecchiare accanto a me per prendere, un giorno, in braccio i nostri nipoti.
Come avevo potuto pensare che anche lui desiderasse le mie stesse cose? 
Ma allora per quale motivo mi aveva sposata? Avrei voluto sputargli in faccia tutte quelle domande, ma sapevo che, nel momento in cui avessi aperto bocca, non sarei più riuscita a controllare le lacrime e avrei finito per piangere a dirotto. No, non volevo fargli vedere quanto soffrissi, quanto mi sentissi lacerata dentro. 
Sapevo solo che era finita e che non sarei più riuscita a fidarmi di un uomo del genere. 
Altro che bussola smarrita, forse quella era stata una giusta punizione per essermi fidata troppo, ma avrei imparato sì, avrei imparato da quell'errore e sarei riuscita ad andare avanti, solo che non sapevo ancora come e soprattutto non sapevo dove avrei trovato la forza necessaria a superare tutto.
« Cazzo Lex fermati. Per l'amor del cielo, » disse ancora lui fermandosi di fronte a me sulle scale e guardandomi intensamente negli occhi. Aveva ancora la camicia sbottonata, ma era riuscito ad allacciarsi i pantaloni. I capelli erano leggermente scompigliati e aveva il fiatone. 
Lo guardai senza far trapelare un solo cambiamento sul mio viso. Ero immobile e lo fissavo in silenzio mentre lui mi prese per le spalle e continuò a ridire le stesse cose che aveva detto cinque minuti prima nel suo ufficio arricchendole con altre fesserie. 
« Non è come pensi. Non c'è niente tra noi. È stata lei a saltarmi addosso, io neanche la calcolavo... ».
Lo guardai ancora senza parlare. Ma che andava blaterando? 
Nonostante non parlassi, dentro di me ero un mare in tempesta e lo maledicevo per le menzogne che stava raccontando con quella presunzione stampata sul viso, data dalla certezza che mi sarei bevuta tutto.
Ma che cosa credeva che fossi, una stupida?
Non è come pensi? Non pensavo assolutamente nulla. Anzi sì, a una cosa pensavo, al divorzio. Non volevo assolutamente più avere a che fare con un individuo del genere. 
Lo avevo scoperto in flagrante e aveva anche la faccia tosta di mentirmi e inventare balle. 
Nel momento in cui ero entrata nel suo ufficio e lo avevo scoperto sopra la sua segretaria, mentre si dava da fare alla grande, mi era parso più che evidente che non fosse stata lei a saltargli addosso, magari, conoscendolo, ero sicura fosse stato il contrario. 
Aveva ragione Rosalya, la mia migliore amica, quando diceva che con lui non sarei mai stata felice, ma non l'avevo ascoltata. Quando lo avrebbe saputo sarebbe andata su tutte le furie, non solo con Dake, ma anche e soprattutto con me.
« Lex possiamo risolvere tutto insieme, » continuò lui cercando di convincermi carezzandomi il viso e sfoderando la sua voce suadente. 
Serrai i pugni. Avrei voluto spingerlo giù dalle scale. Già immaginavo la scena mentre lui rotolava pericolosamente sui numerosi scalini. Non mi importava cosa mi fosse accaduto dopo. In quel momento mi sentivo capace di fare una cosa del genere e non so cosa mi trattenne dal non commettere un omicidio. 
Lui continuava a guardarmi e notai sul suo viso una sicurezza assoluta che divenne più evidente quando proseguì dicendo: « Aspetta qui, prendo le chiavi dell'auto e torniamo insieme a casa a chiarire questa faccenda ».
Chiarire questa faccenda? Mi sentì il mondo crollare addosso. Era così che lui vedeva la nostra unione? Una faccenda da risolvere al più presto. 
Non si trattava di un affare, ma del nostro matrimonio che, da come stavano le cose, ormai da tempo non funzionava più e non riuscivo a capire come riuscisse a mantenere i nervi saldi in quella situazione in cui era nettamente in svantaggio, quando io, invece, mi sentivo uno straccio vecchio e logoro usato e riutilizzato una marea di volte. Per di più continuava a guardarmi con quel sorrisetto sulle labbra e questo mi faceva imbestialire. Mi veniva voglia di tirargli un pugno con tutte le forze che avevo in corpo e spaccargli il setto nasale. Sicuramente non avrebbe più sorriso se gli avessi rovinato il suo bel faccino immacolato.
Finsi di rimanere immobile sulle scale mentre lui saliva nel suo ufficio a prendere le chiavi, ma appena fui certa non mi vedesse, scesi velocemente e uscì dal palazzo. 
Avevo il fiatone e le gambe molli come la gelatina che minacciavano di cedere da un momento all'altro. 
Chiamai Rosalya dando finalmente libero sfogo alle lacrime, misi in moto la mia auto e sfrecciai via il più veloce possibile, lontano da quello schifo, lontano dal mio matrimonio ormai finito, lontano da lui.

   
 
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