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Autore: Shakechan    02/07/2015    1 recensioni
Non c'è niente di peggio di innamorarti della persona giusta per te.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ti innamori tutto cambia. Una volta le persone mi elogiavano per la capacità nel riuscire a rimanere sempre calmo. A guardarmi ora non si direbbe proprio. Le mani continuano a tremarmi mentre con il pettine do colpi forti e decisi tentando di sistemarmi i capelli. Una volta terminato il lavoro mi fisso allo specchio; non sono del tutto convinto del risultato, ma lei è sempre piaciuta quella parte di me che non riuscivo a tenere sotto controllo.
Strofino le mani sui pantaloni, mi sudano per il nervosismo. Tutto ciò mi ricorda la prima volta che le chiesi di uscire. All’inizio non riuscivo a parlare poi non riuscimmo più a staccarci gli occhi di doss, lei era stupenda con quella camicetta floreale e gli orecchini di madreperla. Sorrido al ricordo e controllo l’ora. C’è ancora un po’ di tempo.
La sto finalmente per rivedere e non voglio di certo darle l’impressione di essermi trascurato durante la sua assenza.
Mi spruzzo del profumo sul collo. Mi fa impazzire che dopo un abbraccio lei affondi il viso sulla mia spalla e sospiri complimentandosi per il buon odore.
Mi allaccio con fatica le scarpe. Le mani continuano a tremarmi per l’agitazione.
Mi guardo allo specchio. I vestiti mi vanno un po’ larghi, durante la sua assenza ho perso un po’ troppo peso, probabilmente mi rimprovererà anche per le profonde occhiaie sotto gli occhi. Eppure al pensiero di poterla rivedere, non sono più riuscito ad addormentarmi. Sono sicuro che quando glielo dirò sorriderà e mi accarezzerà la guancia con delicatezza, come ogni volta che non riesce proprio ad avercela con me. Riapro gli occhi e mi accorgo di essermi appoggiato una mano sulla guancia. Rido. Finalmente la sto per riabbracciare.
Afferro il mio zaino ed esco di casa, assicurandomi di aver chiuso tutto per bene.
Aspetto l’autobus alla fermata. Le ho dato appuntamento al terrazzo che a lei piace tanto, quello che si affaccia sulla scogliera. Mi spiegò che da bambina suo padre le aveva raccontato che le sirene adoravano sdraiarsi sugli scogli e pettinarsi per ore i loro lunghissimi capelli. Così lei per un intero mese passò le giornate sulle scogliere tentando di catturarne una. Me lo raccontò ridendo. Lei era fatta così: ti coinvolgeva nella sua vita senza neanche che te ne accorgessi.
Rido piano, strofinandomi nervosamente le mani. Arriva l’autobus e aiuto a salire una signora con delle buste pesanti. Mi ringrazia e mi chiede se sto bene.
Deve aver notato il mio nervosismo o forse il mio aspetto sciupato.
Le spiego che sto per incontrare la donna che amo, che non la vedo da molto tempo e non vedo l’ora di riabbracciarla. La signora mi chiede se siamo fidanzati. La domanda mi evoca nella testa la prima volta che le chiesi di metterci insieme, mi rispose a bassa voce di sì, come se avesse paura che qualcuno ci potesse ascoltare e rubare quel momento che era destinato solo a noi due. Non faccio in tempo a rispondere, scendo e saluto frettolosamente la signora.
Le mie gambe si muovono in automatico, portandomi lentamente verso la mia destinazione. Ho la testa svuotata, sento tutto il corpo freddo e rigido. Continuo a stringere le mani a pugno, sono troppo nervoso.
Arrivo alla terrazza, ma lei non c’è. Guardo le onde infrangersi sugli scogli sotto di me, mi dà l’impressione di una continua e devastante danza.
Improvvisamente mi calmo, il mio nervosismo sparisce come le onde su quei massi appuntiti.
Il vento mi scompiglia i capelli mentre con delicatezza accarezza la pelle e rimuove quella sensazione di stanchezza con cui da tempo ho imparato a conviverci.
Intorno a me non c’è nessuno. Sono davvero poche le persone che vanno al mare d’inverno.
Mi arrampico sopra il bordo del balcone e mi godo lo spettacolo del tramonto per l’ultima volta.
Il rosso era il suo colore preferito, le donava tanto anche perché aveva una pelle davvero molto chiara.
Mi accorgo di essermi rivolto a lei utilizzando il passato.
Sento le lacrime uscire dagli occhi ma non smetto comunque di sorridere.
Allargo le braccia come quando lei mi correva incontro per abbracciarci.
Mi lascio cadere in avanti e anche se ho la vista appannata per il pianto e il vento che mi ferisce gli occhi la vedo distintamente seduta sugli scogli, come le sirene a cui aveva dato la caccia. È bella come l’ultima volta che l’ho vista. Non faccio in tempo a salutarla che sono già tra le sue braccia.
  
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