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Autore: germangirl    02/07/2015    13 recensioni
Prima o poi, ogni donna cade vittima della sindrome da crocerossina. Anche il detective Beckett non ne è immune…
Ambientata nella quarta stagione, dopo “Lynchpin”
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Lanie Parish, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Capitolo 3 – You’re not alone in this

Con un paio di minacce ben formulate e supportate dalle occhiatacce alla Beckett, quelle che sarebbero in grado di incenerire anche un ghiacciaio eterno, Kate costringe Rick ad ingoiare qualche cucchiaiata di brodo di pollo e a sgranocchiare un paio di cracker, così da poter assumere un altro antipiretico visto che la febbre non vuole dargli tregua. Quest’influenza sembra non volerne sapere di lasciarlo in pace. Se continua così, domani dovrà rivolgersi al medico curante.

Nel giro di pochi minuti Castle ronfa di nuovo e Beckett, dopo aver sistemato la cucina, si ritrova a pensare a come organizzarsi per la notte. La camera degli ospiti, così come le stanze di Alexis e Martha sono al piano di sopra e teme di essere troppo lontana da lui, tanto da rischiare di non sentirlo qualora avesse bisogno di aiuto. Decide pertanto di sistemarsi sul divano nel soggiorno. Il loft è caldo e confortevole e le basterà una coperta per stare bene.

Si toglie gli abiti, indossa la sua mise notturna – quella rassicurante, non certo il completino aggressivo proposto dalla sua amica Lanie –, si lega i capelli in una treccia morbida e dopo aver fatto un passaggio nel bagno del piano superiore, per non attraversare di nuovo la stanza di Rick, si mette comoda sul sofà, si avvolge nel plaid e accende la tv. Le è anche venuto in mente di leggere qualcosa, ma la libreria si trova nello studio di Castle e le parrebbe di invadere il suo spazio, quindi quel pensiero è stato subito accantonato. La fatica della settimana e la mancanza di programmi interessanti (ma non c’è mai una maratona di film? Magari di John Woo? The bloodier, the better?) la fanno piombare presto in uno stato di sonnolenza, così che afferra il telecomando e spenge il televisore, addormentandosi quasi subito.

Poche ore più tardi, un mugolio sofferente la sveglia. E’ un suono appena percettibile, ma il detective Beckett è un poliziotto: è sempre in allerta, 24 ore su 24. Aprendo gli occhi, ha bisogno di qualche secondo per realizzare dove si trova, però poi riconosce la voce e parte a razzo, in direzione della stanza di Rick.

Entra nella camera e lo vede che si sta agitando: ha la fronte imperlata di sudore, le mani stringono con forza il lenzuolo, mentre gira la testa a destra e a sinistra e ripete frasi sconnesse, di cui Kate riesce solo a percepire brandelli: “Io… ho provato a fermarla… ma non ci sono riuscito… lo so, l’accordo era chiaro… niente più indagini… ma no… vi prego… non uccidetela… NOOOOO… Kate… Don’t leave me, please. Stay with me. Ok. Kate, I love you. I love you Kate.”

Eccole, quelle parole.

Quelle parole che la riportano a un momento terribile e meraviglioso.

Quelle parole che, paradossalmente, l’hanno spaventata a morte e le hanno dato la forza di continuare a vivere.

In questo momento la inchiodano sulla porta, mentre Rick continua a dimenarsi e a respirare in modo sempre più affannato, finché Beckett si scuote dal suo torpore e si avvicina a lui.

“Rick” prova a chiamarlo, ma dalla gola le esce solo un flebile sussurro, ancora sconvolta dalla portata di quella dichiarazione.

Si siede sul letto e gli afferra le mani, ripetendo il suo nome: “Rick, you’re not alone in this, I’m here. Svegliati…”

Castle apre gli occhi a fatica e le rivolge uno sguardo confuso. “Kate? Stai bene?”

“Dovrei essere io a chiederlo a te, non pensi?” gli domanda, stupita ancora una volta dal modo in cui lui la mette sempre al primo posto.

“Perché?” replica perplesso.

“Castle, non ero io a lamentarmi. Hai avuto un incubo?” prova a indagare, ma lo vede assumere subito una posizione di difesa.

“Sssssì” risponde a fatica.

“Ti va di parlarne?” gli domanda, accarezzandogli il volto. Per verificare che la febbre non sia salita troppo. Certo, Kate, continua pure a raccontarti delle balle.

“Magari un’altra volta… ehy, stai rabbrividendo. Perché non entri qui sotto?” la invita, sollevando la coperta. Gesto di fronte al quale Kate, invece, solleva un sopracciglio. “Non fraintendere, Beckett, è solo che fuori fa freddo e non vorrei che poi ti ammalassi anche tu. Non riesco a spiegarmi il motivo ma stranamente non vado a genio al capitano Gates. E se dovesse anche rinunciare alla sua migliore detective per colpa mia, Iron non me lo perdonerebbe!” Ottimo, Rick, grande mossa: mettere di mezzo il suo capo. E’ scritto su tutti i manuali del corteggiamento.

Resta indecisa per qualche secondo, poi fa il giro del letto e scivola sotto il piumone, tenendosi a debita distanza da Castle, ma voltandosi verso di lui. Rick si mette su un fianco e la guarda intensamente, per quanto glielo permetta la penombra della stanza, rischiarata solo dalla luce proveniente dallo studio.

“Sai Kate, sei una continua sorpresa.”

Lei aggrotta la fronte davanti a questa affermazione, così Rick si affretta ad aggiungere: “Ti stai occupando di me, mi fai prendere delle medicine cattivissime e per compensare mi hai persino preparato uno squisito brodo di pollo. Te l’ho già detto, ma te lo ripeto. Penso che non riuscirò mai a svelare il tuo mistero, a scoprire tutti i so many layers to the Beckett onion” le sussurra con voce dolce.

You’re not so bad yourself, Castle, nemmeno in queste condizioni” gli risponde sorridendo. “E adesso perché non provi a dormire? Ti ricordo che hai un febbrone da cavallo.”

Annuisce e risponde, con le palpebre già cariche di sonno: “Until tomorrow, detective Beckett.

Until tomorrow is more hopeful, le ha detto anni fa, spiegandole il motivo per cui preferisce quel saluto. Ha sempre adorato la sua smisurata fiducia nel futuro, il suo approccio fanciullesco alla vita. Una volta ce lo aveva anche lei.

Ma questo era prima.

Prima di Johanna.

Prima del muro.

Anche se… quel muro si sta sgretolando, giorno dopo giorno. Grazie proprio all’uomo che sta dormendo accanto a lei. Un momento, è nel letto di Castle? E perché non si sente a disagio? Anzi, perché si sente sicura, accolta, insomma… a casa? Come se lei appartenesse a quel luogo e a quell’uomo? Come se fosse finalmente nel posto giusto e accanto alla persona giusta? Troppe domande per quest’ora della notte. Meglio godersi questa sensazione confortevole e dormirci su.

Qualche ora più tardi, quando Kate si sveglia, la prima cosa che vede sono due occhi sorridenti che la osservano. Da vicino. Molto vicino. Eppure le sembrava di essersi addormentata assai più distante, tanto al limite da rischiare di ruzzolare giù dal letto. E invece adesso il suo volto è a pochi centimetri da quello dello scrittore e la sua mano è appoggiata sul suo petto. Un momento, che ci fa la sua mano sul petto di Rick? Non riesce a formulare una spiegazione razionale per questo avvicinamento perché il suo ragionamento mentale viene interrotto dal proprietario di quelle due iridi azzurre che afferma: “Beckett, continuiamo a dormire insieme ma non facciamo mai sesso. Dobbiamo rimediare!”

In your dreams, Castle. Magari facciamo una cosa a tre come sognavi qualche tempo fa?” ormai è talmente abituata alle sue uscite svalvolate che non le prende nemmeno più sul serio. Un po’ come si fa con gli psicopatici, quando li si lascia blaterare senza interromperli e anzi si dà loro corda perché alla fine sono divertenti. Senza considerare che da tempo non riposava così bene e adesso si sente piena di energia. Che lo scrittore funga da sonnifero? Meglio non dirglielo, sarebbe un colpo troppo duro per la sua virilità.

“No, nei miei sogni siamo solo noi due. Ci svegliamo nudi e facciamo l’amore. Nel sesso mattutino sono imbattibile! Oppure alcune volte sogno che veniamo destati dai nostri figli che saltano sul letto. Tre, per la precisione. Non ho ancora pensato ai nomi, ma non mi dispiacerebbe che uno dei maschietti si chiamasse Cosmo. E la bambina sicuramente avrà il nome di tua madre” dichiara serio.

Di fronte a queste parole Beckett rimane totalmente senza fiato e riesce solo a sussurrare: “Rick…”

“Ehy, è l’influenza. Sto delirando. Non sono in grado di intendere e di volere, pertanto ciò che dico non potrà essere usato contro di me” minimizza Castle.

Kate si poggia sul gomito, solleva la mano dal suo petto e gliela pone sulla fronte per verificare se sia ancora caldissima come la sera precedente, lasciandola scivolare lungo la sua guancia e indugiando forse più a lungo del dovuto.

E’ il suo modo per dirgli grazie.

Grazie per esserle sempre stato accanto, rispettando i suoi tempi e i suoi spazi, e regalandole dei momenti di assoluta e impagabile serenità.

Grazie per averle permesso di dormire senza incubi e senza nemmeno ricorrere a qualche medicinale.

Grazie per essersi gettato su di lei, quel giorno, rischiando di beccarsi una pallottola al suo posto.

Ma a parlare non sono mai stati bravi. Nemmeno lui che con le parole ci lavora. Così si limita a guardarlo dritto negli occhi per qualche secondo. Finché, scuotendo la testa, commenta: “Spiacente, scrittore, la febbre è passata. Forse hai bisogno di una doccia per schiarirti le idee e… frenare i bollenti spiriti?”

“Vieni con me?” le chiede, con un misto di sfrontatezza, speranza e dolcezza. Proposta davanti alla quale lei solleva gli occhi al cielo, anche se dentro di sé sente l’ennesimo mattone del muro crollare. Anzi, le pare quasi di udire il tonfo della terracotta che si sgretola a terra. Ma non è ancora completamente pronta a donarsi a lui. Lui si merita una donna migliore.

Un momento, precisiamo.

Lui si merita una versione migliore del detective Beckett, non qualcun’altra. Non ha alcuna intenzione di farselo portare via da una Serena Kaye. O da un’altra musa, stile Sophia Turner, tanto per citarne due. O da qualunque altra donna affascinante o semplicemente disposta a farlo divertire senza drammi.

E’ per questo che sta continuando le sedute con il dottor Burke. Ed è sempre per questa ragione che non ha interrotto nemmeno la fisioterapia. Vuole essere in forma, nel corpo e nello spirito. Per lui e per sé stessa. Per loro due, insomma.

“Vediamo se riesci a stare in piedi da solo, altrimenti ti preparo un bagno. E ti lascio in ammollo nella vasca mentre mi dedico alla colazione, ok?” gli domanda. Naturalmente lui le fa il broncio per trasmetterle la sua profonda delusione ma prova ad alzarsi, mettendosi dapprima seduto sul letto e poi cercando di assumere la posizione verticale, con l’aiuto di Kate che si è precipitata al suo fianco, pronta a sorreggerlo. Gli gira un po’ la testa, ma tutto sommato non sta male. Anzi, rispetto a due giorni prima, gli pare di essere fresco come una rosa. Sì, la detective Beckett ha delle indubbie qualità taumaturgiche. Dovrà inserire una scena simile anche nel prossimo romanzo di Nikki Heat. Con un risvolto assai più piccante, that goes without saying. Il pensiero gli fa comparire un sorrisino malizioso sul volto. Rassicura Kate sulle sue condizioni e si avvia verso la doccia.

Lei invece si reca in cucina, con la ferma intenzione di preparargli una colazione sostanziosa. Mentre sta armeggiando con lo spremiagrumi e le padelle, lo sente canticchiare. Drizza le orecchie, cercando di riconoscere la melodia e sorride: Frank Sinatra, “I’ve got you under my skin”. Solo ora si accorge di quanto quel testo rispecchi la sua vita:

I said to myself: this affair never will go so well.

But why should I try to resist when, baby,

I know so well I’ve got you under my skin?

Ha provato a resistergli, Dio solo sa con quale cocciuta tenacia si sia impegnata a negare di provare un sentimento profondo per lui, ma ormai lui le è entrato nel cuore, è diventato una parte di lei.

A sua volta, sotto la doccia, mentre canta la strofa centrale, Rick ripensa al suo legame con Kate e a quel patto che ha stipulato con Smith:

I’d sacrifice anything come what might

For the sake of havin’ you near

In spite of a warnin’ voice that comes in the night

And repeats, repeats in my ear:

Don’t you know, little fool, you never can win?

Già, nell’incubo che ha avuto la notte precedente, un sogno terribile che gli ha avvelenato il sonno più di una volta negli ultimi mesi, quella voce nell’oscurità gli ha ribadito che non ha vinto. Non vince mai. Anche stanotte non è riuscito a salvarla dall’ennesimo cecchino. E ancora una volta, in punto di morte, le ha ripetuto quanto la amasse.

Un momento, stanotte c’era anche lei quando si è svegliato.

Chiude il rubinetto della doccia e si rende conto che questa volta deve averlo sentito.

E non può averlo dimenticato.

Questa volta non c’è stato alcun evento traumatico che possa giustificare l’amnesia. Allora perché non gli ha detto niente? Forse perché non ricambia i suoi sentimenti? Eppure eccola qui che ha rinunciato al suo tempo libero per curarlo. Benedetta donna, è the most challenging, maddening, frustrating person che abbia mai incontrato! Si avvolge nell’accappatoio e guardando la propria immagine nello specchio, offuscata dall’alone del vapore, si dice: “A noi due, detective Beckett: è il momento della verità.”

 

 

Nota dell’autrice

Un incubo nel cuore della notte fa sentire di nuovo a Kate quella straziante dichiarazione d’amore, mentre Rick, dopo un piacevole risveglio in compagnia della sua musa, si rende conto che questa volta non può non aver udito le sue parole.

Ahi ahi ahi, è giunto il momento della verità!

Grazie per aver letto anche questo e a giovedì prossimo per la resa dei conti!

Deb

  
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