Premessa. Questa seconda storia si ispira anche ai prompt
"Quando la vita ti prende a pugni, tu devi colpirla più forte" e “Fare a botte è roba da duri, non da
femminucce” lasciati da Giraffetta per il
Girotondo di Prompt indetto dal gruppo Facebook “The Capitol”. I
protagonisti della storia sono Aris, già introdotto nella one-shot
precedente, e Posy, la sorellina di Gale. L’amicizia fra i due ragazzini è
stato approfondita nella one-shot “Guerriero”. In questo racconto Aris ha quasi dodici anni, mentre
Posy ne ha nove. Nel periodo durante
il quale è ambientata la storia, Gale condivide le spese di un appartamento nel
Distretto 2 con l’amico Quinn.
Il Principe Pugile
«Se sarai espulso
dal liceo avrai il disprezzo di tuo padre
che magari è un
rispettato avvocato
che pensa alle
brutte compagnie che ti hanno rovinato
e a quando gli hai
urlato:
“Scusa tanto se non
sono come te
io comincerò dal
fondo
e non credo alle tue
favole perché
faccio a pugni con
il mondo.” »
“Ma che cosa ti è successo?”
Il sorriso si arrampicò vispo sulle labbra di Aris, nel momento in cui
riconobbe la vocetta acuta di Posy.
Il ragazzino si intrufolò nell’appartamento dalla finestra, nonostante la
bambina fosse già corsa ad aprirgli la porta. Una volta dentro si lasciò cadere
su una sedia, cancellando con il polso il sudore che gli imperlava la fronte;
aveva una guancia gonfia e arrossata e nuovi segni sulle braccia, ben evidenti
ora che era estate e non li nascondeva più sotto le maniche di una felpa.
“Tuo papà ti ha picchiato di nuovo” constatò Posy, sfiorandogli il volto: sembrava
preoccupata e i suoi occhi minacciavano già di farsi lucidi.
Aris si strinse nelle spalle.
“Ha di nuovo tentato di chiudermi dentro” sbottò, sferrando un calcio a una
sedia. “Ma io in quella schifo di prigione non ci vado manco morto. Anzi,
piuttosto mi uccido” dichiarò con aria di sfida, mettendosi a braccia conserte.
Posy gli rifilò un’occhiataccia.
“Non dire queste cose, lo sai che non mi piacciono!” si lamentò, dandogli
uno schiaffetto sul braccio. Quando intravide la sua smorfia di dolore si sentì
subito in colpa; fissò con occhi sbarrati i segni di cintura sugli avambracci
del ragazzo e arretrò di un passo, impressionata.
Aris, che se ne accorse, le posò una mano sulla spalla.
“Eddai che non è niente, nanetta, vedrai che per
domani sarò nuovo. Tuo fratello non c’è?” aggiunse, sbirciando verso la porta
che dava sulla camera da letto.
La bambina scosse la testa.
“Lui e Quinn sono usciti; io sono rimasta a casa con Shae,
è di là con Anakin[1].
Cercava di farlo dormire ma alla fine si è addormentata pure lei.”
Aris sorrise e socchiuse la porta per dare un’occhiata, prima di
arrampicarsi sul tavolo. Posy lo imitò, aiutandosi con una sedia.
“Ma davvero sono così brutte queste scuole militari?” azzardò infine,
facendo oscillare i piedi.
Aris roteò gli occhi.
“Secondo te? Certo che lo sono. Sei comandato dal mattino alla sera, non
puoi mai uscire né parlare con quelli che stanno fuori e ci sono regole per
tutto, probabilmente anche per come pulirsi il cu… Il culetto” si corresse con
un ghigno, sorridendo affabile a Posy.
La bambina roteò gli occhi.
“Guarda che non ho più cinque anni” lo rimbeccò, ravviandosi i capelli con
fare altezzoso.
Aris fischiò.
“Ne avrai sei, sai che roba…” commentò poi, scuotendo beffardo la testa.
“Ne ho nove, stupido!” replicò la ragazzina, dandogli una spallata.
“Scusa!” aggiunse subito, ricordandosi delle ferite del ragazzo.
“Appunto, resti pur sempre una nanetta” la prese in giro Aris, arruffandole
i capelli. “E comunque, le Accademie militari sono delle specie di prigioni per
i ricchi. Io non ci sto: ho di meglio da fare che starmene dritto come un
soldatino per delle ore… Perché guarda che quelli lo fanno, ti obbligano a
metterti in posizione di saluto per un sacco di tempo solo per farti stancare.
Parlano di resistenza, di disciplina, e blablabla… Ma quale resistenza? Ci fanno solo la figura
degli idioti!”
Posy gli rifilò un’occhiata indispettita.
“Mio fratello no, però, lui non fa la figura dell’idiota” lo corresse,
balzando giù dal tavolo.
Aris fece spallucce.
“E che c’entra lui? Tuo fratello è metà soldato e metà pugile, si salva un po’ perché fa le cose di testa
sua, ma quasi tutti gli altri sono dei robot.”
Si irrigidì e incominciò a muoversi a scatti, imitando le movenze di un
automa.
“Comandi-sì-signore-Comandi!” esclamò, facendo ridere Posy.
“I miei fratelli passavano le giornate a parlare così quando erano allievi
del primo corso. Ogni tanto penso a mio padre, tutto perfettino e in ordine e
importante e potente, e me lo immagino quand’era anche lui solo un semplice
soldato.”
Il sorriso di Aris si fece sornione e i suoi occhi si riempirono di
malizia.
“Scommetto che l’hanno fatto sgobbare talmente tanto che ancora se lo
ricorda, per questo adesso fa così lo stronzo con me: vuole vendicarsi. Però
secondo me a lui piaceva farsi trattare come uno schiavetto” aggiunse, prima di
balzare a sua volta a terra.
Si affacciò alla finestra e Posy lo seguì; notò che la sua espressione,
adesso, si era fatta distante, come se i pensieri di Aris stessero viaggiando
attraverso il Distretto, al di là della periferia, diretti verso l’Accademia.
“Beh, scusa tanto se non sono come te!” gridò a quel punto il ragazzino,
rivolto all’aria che riempiva il vuoto fra un condominio e l’altro. “Io alle
tue cazzate non ci credo.”
Posy appoggiò un gomito alla sua spalla e rimase con lui a guardare fuori
per qualche minuto, lasciando che il silenzio e l’aria fresca ripulissero le
ferite sul corpo di Aris e la rabbia nei suoi occhi.
“Tuo padre proprio non ci riesce a capirlo, che non ti serve fare il
militare” mormorò infine, inseguendo con lo sguardo un gatto che faceva
l’equilibrista su un muretto sbeccato. “Tanto fai già a pugni tutti i giorni
con i cattivi, perché sei un guerriero.”
Aris le rivolse un sorrisetto compiaciuto.
“Faccio a pugni con il mondo” dichiarò fiero, portando le braccia al petto
e muovendosi avanti e indietro sulle gambe. “Quando la vita ti prende a pugni,
tu devi colpirla più forte
ed è questo che faccio io! Un giorno sarò il nuovo Gancio, vedrai: il
pugile più in gamba del R!ot!”
Lo sguardo di Posy si illuminò.
“Insegni anche a me?” esclamò, tirandolo per un lembo della canottiera. “Voglio
imparare a usare i guantoni come te e Gale, ma Gale non ha mai tempo! Quinn ha
insegnato un po’ a Rory e a Vick, ma a me non ancora.”
Aris le rivolse una risata di scherno.
“Guarda che fare
a botte è roba da duri, non da femminucce.”
Posy lo
incenerì con lo sguardo.
“Va bene che
per te sono nanetta, ma questo non significa che sono una femminuccia!”
replicò, mostrandogli i pugni. “Insegnami a combattere, così te lo dimostro!”
Il ragazzino
accolse la richiesta con un brillio di interesse nello sguardo.
“E va bene”
dichiarò, facendole cenno di spostarsi al centro della cucina. “Vieni qui; ma
non lamentarti, poi, se ti becchi qualche colpo. Non sono mica un principe
azzurro come quello del libro che ti piace tanto[2].”
“Piccolo
Principe” lo corresse la bambina, serrando le mani a pugno per cercare di
imitare i movimenti di Aris. “Mi insegni a fare il gancio?”
“Prima
impara a tenere bene la posizione…” la rimproverò il ragazzino, e abbassandole
la testa. “… Mani alzate, gomiti in dentro e mento in giù.”
La bambina
cercò di eseguire, portando un pugno sotto la guancia e il destro più in basso.
“Adesso ti
serve un bel gioco di gambe” spiegò a quel punto Aris, incominciando a
molleggiare sulle punte. “Devi muoverti il più possibile, altrimenti diventa
più facile colpirti per l’altro.”
Posy portò
una gamba avanti e spostò il peso a quella dietro e viceversa per una decina di
volte, sempre mantenendo i pugni sollevati.
Aris
l’osservò con le braccia incrociate sul petto e l’aria autoritaria, ma dopo
qualche secondo scosse la testa e rise, suscitando l’irritazione della
ragazzina.
“Non c’è
niente da ridere!” lo rimbeccò Posy, smettendo di molleggiare.
“È che sei
buffa, con quella faccia da dura” cercò di difendersi il più grande, dandole un
colpetto sotto il mento. “Però buffa in maniera carina.”
“Quindi
secondo te sono carina?” chiese con vivacità Posy.
Aris
aggrottò le sopracciglia.
“Seh, adesso non ci allarghiamo, eh?” commentò, tornando a
incrociare le braccia sul petto. “Diciamo che sei bellina per essere una
nanetta, ecco.”
La bambina
roteò gli occhi, ma il suo sorriso luminoso la tradì.
“Ehi, Aris…”
esclamò a quel punto. “… Ti va se ti racconto la storia del Piccolo Principe?
Il pugilato me lo puoi sempre insegnare dopo.”
Il ragazzino
le rivolse un’occhiata di sufficienza.
“Che?”
commentò, lasciandosi sfuggire una smorfia mentre si tastava la guancia ancora
più gonfia. “Scherzi, vero? Non è roba per me.”
“E invece sì
che lo è” insistette Posy, tornando a sedersi sul tavolo. “In un certo senso è
anche lui un guerriero come te. Certo, lui non fa a botte, ma cerca comunque di
proteggere la sua rosa. E poi dice sempre che gli adulti sono strani e che non
li capisce, proprio come fai tu ogni tanto.”
Aris non
sembrava particolarmente impressionato dal suo racconto; continuò a fissare la
ragazzina mantenendo un sopracciglio inarcato, ma poi sorrise, divertito
dall’espressione ostinata di Posy.
“Ci sono
soldati?” chiese a quel punto, tornando a sedersi sul tavolo. La bambina scosse
la testa.
“Nemmeno
l’ombra” promise, con un sorrisetto malandrino. “E non ci sono nemmeno dei
padri.”
Quest’ultimo
argomento sembrò attirare l’attenzione di Aris.
“E va bene”
concluse, con riluttanza, appoggiando i gomiti al legno. “Parlami di questo
Principe Gnomo.”
Posy non
perse tempo a correggerlo come faceva di solito e incominciò a raccontare. Man
mano che spiegava, l’attenzione dell’amico si faceva più vigile e lo sguardo
scettico svaniva, così come le battutine con cui aveva cercato di interromperla
i primi tempi.
“Lo sai?
Questo pilota mi ricorda un po’ tuo fratello” commentò a un certo punto Aris,
con un ghigno divertito. “Il Principe potresti essere te: su per giù siete
rompipalle uguali.”
“Oppure
potresti essere tu” osservò la bambina, mettendosi a braccia conserte.
“Neanche per
sogno” borbottò Aris, sdraiandosi su un fianco. “Io sono un guerriero di quelli
veri. Faccio a botte, non annaffio mica i fiorellini! E comunque come va avanti
la storia? Certo che questi adulti che incontra lo gnometto sono veramente strambi… Il mio preferito, comunque, resta quello
dei lampioni.”
Posy sorrise
soddisfatta, mentre lo ascoltava parlare. Istintivamente gli prese la mano e se
la portò in grembo, sotto lo sguardo interdetto di Aris. La esaminò con
attenzione, inseguendo con le dita i graffietti più recenti – probabilmente
frutto di qualche incomprensione con un gatto randagio – e le cicatrici
biancastre.
Quel
pomeriggio, osservando la mano di Aris e raccontandogli forse la prima favola
che sentiva da tempo, Posy scoprì qualcosa che non dimenticò mai.
Scoprì che ad
Aris, che cercava sempre di fare il ‘grande’ e l’orgoglioso, in fondo piaceva
comportarsi da bambino. Solo che non poteva farlo molto spesso, perché era
sempre impegnato a combattere. Lottava contro le regole della casa in cui era
nato ma che non era, ne sarebbe mai stata adatta a lui.
Anche Aris,
quel pomeriggio, imparò una cosa che non dimenticò mai. Scoprì non gli
dispiaceva più di tanto cadere al tappeto quando era costretta a vedersela con
il padre, perché tanto alla fine vinceva sempre lui: non si piegava, non si
arrendeva. Andava dritto per la strada che si era scelto, un po’ come il Principe Nano, che era partito
addirittura verso un altro pianeta.
Ma
soprattutto, capì che ogni tanto si può credere alle favole anche se si fa a
pugni con il mondo.
E così ci
credette.
«E io
finisco anche al tappeto altroché
ma questa
vita un po' la cambio
se quando
torno ad aspettarmi trovo te
io la mia
casa la difendo
e si può
credere alle favole anche se
fai a pugni
con il mondo. »
A pugni col mondo. Articolo 31