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Autore: Forbidden_Snowflake    02/07/2015    0 recensioni
“…E non riesco a respirare ogni volta che te ne vai, non doveva durare per sempre questa pioggia estiva?”
Dopo tanti anni ancora non ho dimenticato le sue parole e non posso fare a meno di pensare che quella canzone l’abbia scritta per me.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forbidden Snowflake
 
Avevo deciso di dire la verità ai miei amici, non era il momento migliore per inventare inutili bugie.
“Questa sera devo andare a trovare un amico che vive qui e mi ha chiesto di suonare con lui …”
“Non sapevo avessi altri amici oltre a noi qui a Londra … Hey, guarda che se è la ragazza dell’altra volta, tranquillo, se ti distrai un po’ non ci offendiamo …”
“No non è lei, cioè sì, è lei, ma non è una ragazza”
Si erano girati tutti e mi fissavano con gli occhi sgranati
“No no no, cos’avete capito! L’altra volta mi ero inventato questa scusa per evitare di spiegarvi perché andavo da solo da un tizio che avevo appena conosciuto in un locale, insomma quando l’ho conosciuto aveva da poco una band … Temevo avreste pensato che volevo lasciare i Muse o che ne so …”
“Grazie al cielo Matt, mi stavo già preoccupando per tutte le volte che abbiamo dormito insieme”
“Idiota”
L’aria si era fatta meno pesante, stavamo iniziando ad accettare ciò che era successo e a convincerci che dovevamo andare avanti e dovevamo farlo soprattutto per Jake e Ethan perché quando sarebbero usciti dall’ospedale dovevamo fargli sentire che niente era cambiato tra noi.
Questa volta Dan mi aveva prestato la sua chitarra migliore che non era comunque una gran cosa dato che non era lui a suonarla nella band.
 Fortunatamente ricordavo ancora la strada per raggiungere il palazzo dove abitava Brian e non vedevo l’ora di raggiungerlo, stavo quasi perdendo la sensibilità delle dita per quanto era fredda l’aria.
Anche questa volta non rispose al citofono ma mi aprì soltanto il cancello, evidentemente doveva essere guasto.
Per le scale non incontrai Archie, o come diavolo si chiamava quel gatto rosso e grasso, in compenso però una lampadina era bruciata e dovetti avanzare a tentoni per metà rampa.
Iniziavo a pensare che fosse un avvertimento, ogni volta che dovevo salire da lui rischiavo di rotolare dalle scale.
Quando lo vidi rimasi sorpreso, portava una semplice maglietta nera a maniche lunghe e un paio di jeans un po’ troppo grandi per la sua corporatura.
Scese alcuni gradini per venirmi incontro e mi abbracciò stretto, come se fossimo amici di vecchia data che non si vedono da mesi. Era strano, però era esattamente quello che sentivo; non mi sembrava fosse trascorso soltanto poco più di un mese dal nostro primo e unico incontro.
“Matt, bentornato a casa Molko!”
“Ciao, mi fa piacere rivederti!”
“Come mai sei qui a Londra?”
“Purtroppo non per un motivo felice, due miei amici sono stati vittima di un brutto incidente, sono venuto a trovarli ma non se la sono cavata senza conseguenze”
“Mi dispiace tanto Matt … Scusa se te lo chiedo, ma dov’è successo?”
“Qui vicino, di fronte all’uscita del parco”
Per quanto la sua carnagione fosse molto chiara sembrava essere ulteriormente impallidito.
“Ehm sì, ne ho sentito parlare, spero che si rimettano presto”
“Lo spero anch’io …”
“Accomodati pure, vuoi qualcosa da bere? Lo so che sembra un invito da vecchie signore ma se vuoi c’è del tè caldo che ho preparato da poco”
Avevo proprio bisogno di qualcosa di caldo.
“Volentieri, grazie”
Mi sedetti sul piccolo divano davanti alla tv mentre Brian versava il tè in due tazze che sarebbero potute appartenere a mia nonna piuttosto che ha un ragazzo di poco più di vent’anni.
Lasciò sul tavolino la sua e mentre andava nella sua stanza a prendere la chitarra mi accorsi di aver quasi schiacciato un libro sedendomi.
Si trattava di “Le fleurs du mal” di Baudelaire e non era nemmeno tradotto in inglese. Mi ricordai che lui era nato in Belgio, forse era per questo che conosceva il francese.
“È bellissimo, te lo consiglio”
Non mi ero reso conto che fosse tornato.
“Scusami mi ci ero quasi seduto sopra”
“Tranquillo, hai freddo? Perché non tengo molto alto il riscaldamento …”
“No no, sto bene”
“Guarda, ce l’ho ancora, ti faccio sentire cosa ho aggiunto poi mi dici se ti piace e cosa volevi aggiungere tu” mi disse mostrandomi il foglio sgualcito con la parte di canzone che avevamo composto insieme. Si sedette sul tappeto e cominciò a cantare.
Ciò che aveva scritto non sarebbe sfigurato in un libro di scuola tra le poesie che lui amava.
Ero rimasto a bocca aperta e non volevo che smettesse mai di raccontare quella storia di cui non sapevo chi potesse essere il protagonista né conoscevo il motivo delle sensazioni che esso provava ma riuscivo a percepirle anch’io, le stavo vivendo tutte mentre Brian cantava.
“Ti piace?”
“Se mi piace? Dio mio, è la canzone con il testo più bello che io abbia mai sentito”
“Non devi ascoltare molta buona musica allora” mi rispose ridendo.
“No, davvero, è splendido! Avevo pensato a qualcosa anch’io ma ora mi sembra così stupido … In compenso ho capito come migliorare un po’ l’accompagnamento. Potresti suonare anche l’armonica nel bridge … E magari potremmo renderla una specie di conversazione così la possiamo cantare insieme”
“Mi piacciono le tue idee, Matt”
Si ricreò la stessa armonia di quel pomeriggio di novembre quando con una sola canzone eravamo diventati amici, così quel giorno il nostro legame era diventato ancora più forte; anche se sapevo molto poco della sua vita, potevo dire di conoscerlo, riuscivo a capire cosa provava in quel momento e questo valeva molto più di sapere se aveva una ragazza, da quanto tempo viveva a Londra, se aveva fratelli o quali erano i suoi orari di lavoro.
Non capivo come potesse fidarsi così tanto di me, tanto da mostrarmi tutta la sua vulnerabilità, ma anch’io mi stavo fidando di lui e mentre scrivevamo gli raccontavo chi ero, raccontavo a lui ciò che non avevo mai avuto il coraggio di ammettere. Non sempre ero felice, il posto dove vivevo mi stava stretto, ero spesso insoddisfatto e confuso. Lui non mi rispondeva che ero un adolescente e che era normale e passerà con il tempo; mi trattava come un uomo, prendeva sul serio ciò che gli dicevo e per questo parlare con lui mi faceva sentire bene.
 
Mi voltai verso la finestra e vidi grossi fiocchi candidi scendere dal cielo; abbandonai la chitarra sul pavimento e mi avvicinai per osservare meglio.
Le strade erano già coperte da un sottile velo bianco illuminato dalle luci dei lampioni. Sentii Brian accostarsi a me.
Non era un evento molto raro ma aveva comunque il suo fascino, anche in una città così movimentata sembrava che il tempo scorresse più lento.
Sulla finestra vedevo riflessi i nostri volti e mi resi conto che Brian non stava osservando la neve ma era voltato verso di me e non spostò lo sguardo finché non mi voltai anch’io verso di lui e prontamente finse di guardare la strada.
Forse la mia prima impressione non era sbagliata e la cosa mi metteva a disagio, stavo molto bene con lui, poteva nascere una grande amicizia ma non di più , insomma, era un ragazzo. 
Immediatamente mi sentii ancora più in imbarazzo per averci pensato; non poteva essere così, continuavo a travisare i suoi gesti, in fondo appena entrato avevo notato sul tavolo della cucina un foglietto con il numero di una certa “Annabelle” e la scritta “Chiamami, già mi manchi”.
Anche se un ragazzo si truccava e vestiva in quel modo non era detto che dovesse essere attratto da me, era solo il suo modo di imitare i molti artisti che lo facevano.
I miei pensieri furono interrotti dalla sua voce e ne fui quasi sollevato.
“Et quand viendra l'hiver aux neiges monotones,
Je fermerai partout portières et volets
Pour bâtir dans la nuit mes féeriques palais.”
“É una delle poesie del libro?”
“Esatto”
“E di cosa parla?”
“Anche se fuori nevica si può sempre sognare la primavera, possiamo costruire splendidi palazzi anche in questa stanza se chiudiamo gli occhi e lasciamo fuori la tempesta”
“Non vorrei sognare la primavera adesso, non è bello anche questo?”
“È meraviglioso ma è anche triste”
“Io non lo trovo triste … Mi ricorda quando da piccolo giocavo a palle di neve con i miei amici e costruivamo pupazzi più grandi di noi”
“Non ho più provato quelle sensazioni però … Ormai sono andate, è anche per questo che è triste”
“Non è troppo tardi per provarle ancora”
“Allora facciamolo”
“Che cosa?”
Non riuscivo a capire quali fossero le sue intenzioni.
Mi afferrò il braccio e mi condusse fuori senza nemmeno lasciarmi il tempo di prendere con me la giacca.
Raggiunto il minuscolo giardinetto che separava il portone del palazzo dalla strada, Brian si distese sulla neve. Respirava a fondo come se stesse prendendo fiato dopo una lunga corsa.
“Che c’è? Stai bene?”
“Sì, benissimo, Matt! Avevi ragione!”
“Sicuro?”
“Sì, non ha senso pensare alla primavera quando si può stare qui”
Mi sedetti accanto a lui.
La neve si scioglieva con il mio calore e iniziava ad inzuppare i jeans rendendo sempre più difficile sopportare il freddo.
Restammo in silenzio per diversi minuti e ci lasciammo coprire dai fiocchi che scendevano.
Era proprio vero, nonostante tutto, stavo bene; quello che stavamo facendo non aveva senso, tantomeno era raccomandabile e per questo mi sentivo libero.
Mi distesi anch’io e con le braccia e le gambe disegnai un “angelo” sulla neve, come facevo da bambino.
La strada era deserta ma questo non cambiava le cose, avrebbero potuto giudicarmi e guardarmi storto ma nessuno poteva esser felice come lo ero io in quel momento.
Mi voltai verso Brian; ora si era seduto e non stava più sorridendo.
Era assorto in qualche pensiero che sembrava preoccuparlo molto.
 “Torniamo dentro, sto iniziando a non sentire più i piedi e le mani”
Chissà cosa gli passava per la mente.
Tesi la mano per aiutarlo ad alzarsi e insieme rientrammo nel suo appartamento.
“Dio mio come ci siamo ridotti”
Si passò il dorso della mano sul viso.
“Sono ridicolo, mi si è sciolto il trucco … “
Ero contento di rivederlo sorridere, mi stavo preoccupando quando prima lo avevo visto rattristarsi così improvvisamente.
“In effetti siamo completamente zuppi”
“Rimarrai qui altri giorni?”
“Sì, domani, poi il giorno dopo parto alla mattina”
“Vuoi che ti presti qualcosa da metterti?”
“No no, tranquillo”
“Allora almeno aspetta di essere un po’ più asciutto prima di uscire …”
Si tolse le scarpe e la maglietta e andò in bagno a prendere due asciugamani. Aveva il corpo di un ragazzino, a volte dimenticavo avesse quasi sei anni più di me.
Cercai di asciugarmi i capelli mentre lui si era avvolto nell’asciugamano e se ne stava raggomitolato accanto al termosifone.
“Matt, facciamo così … Questa canzone non è di nessuno dei due, io non la canterò con la mia band e tu non la canterai con la tua. Però un giorno la canteremo insieme … Magari all’Earls Court …”
“Certo, o al Wembley Stadium”
“Sicuro!”
In quel momento scherzavamo senza credere minimamente alle nostre parole; quello che poi sarebbe diventato realtà non era nemmeno nei miei sogni più folli.
Restammo seduti a parlare per diverso tempo ma non potevo rimanere lì fino al mattino.
“Mi dispiace ma devo tornare ora…”
“Non pensavo fosse già così tardi! Allora ti accompagno giù”
Raggiunto il portone mi diede la copia del testo e degli spartiti di quello che avevamo scritto.
“Grazie di tutto, spero di vederti ancora, anche se adesso non abbiamo più nessuna canzone da finire”
“Verrò sicuramente a trovarti altre volte”
“Mi piace quello che siamo riusciti a scrivere insieme, e l’abbiamo fatto senza nessuno scopo se non quello di creare qualcosa di bello, solo per noi …”
“Sono contento anch’io, ho imparato molto, mi è servito confrontarmi con qualcun altro”
“Anch’io ho imparato da te, sei giovane ma sei già più bravo di me”
“Ma figurati!”
La neve cadeva meno fitta ma ormai aveva ricoperto il giardinetto e il viale con uno spesso strato.
Brian mi accompagnò fino al cancello che dava sulla strada;
“Ciao, ci vediamo, grazie di avermi ospitato!”
“È stato un piacere! Ciao Matt!”
Stavo per uscire quando lui mi fermò prendendomi per un polso, mi avvicinò a se e intrecciò le sue dita con le mie.
Prima che facessi a tempo ad elaborare una qualsiasi reazione sentii le sue labbra sfiorare appena l’angolo della mia bocca.
Rimasi immobile per qualche secondo, mentre lui camminava affondando nella neve e scompariva dietro il portone.
Non capivo cosa fosse successo, in fondo non ci eravamo davvero baciati.
Non capivo cosa volevo e cosa dovevo pensare; così cercai di non pensare affatto e iniziai a camminare velocemente lasciandomi distrarre da ogni minimo sussurro del vento.
   
 
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