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Autore: Lady I H V E Byron    03/07/2015    2 recensioni
Mix delle canzoni "Evil Food Eater Conchita" di MEIKO e "Drug of Gold" di KAITO, in versione narrativa.
Storia di una ragazza che ha ereditato il vizio di sua madre e di un ragazzo dal corpo fragile, dipendente da una droga ricavata dall'oro.
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaito Shion, Meiko Sakine | Coppie: Kaito/Meiko
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Note dell'autrice: conoscevo già "Evil Food Eater Conchita" (a proposito ma qual'è il nome tra "Banika" e "Conchita"?) e non avevo alcun progetto per questa canzone (se non un video parodia che volevo dedicare a una mia amica "reale" ingorda, ma non ero molto sicura), ma poi ho ascoltato "Drug of Gold" e mi è partita l'ispirazione per questa fanfiction. Vi rendete conto che sto ancora piangendo? Non so cosa mi abbia fatto commuovere in questa canzone, ma una cosa la posso dire: se la canzone su Conchita vi ha fatto "divertire", "Drug of Gold" vi farà piangere, perché sarete in grado di vedere "oltre" la prima canzone e capire la vera, triste, storia di Conchita. Le frasi in corsivo sono quelle che fanno parte delle canzoni.
Ora... scusate... *piange*

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https://www.youtube.com/watch?v=44ZpbzVKkJQ

In una villa in un regno ormai cancellato dalla storia, in un tempo sconosciuto, viveva un nobile insieme alla sua grassa moglie. Ella aveva il vizio del cibo, infatti dieci erano i cuochi al potere del nobile, per soddisfare il desiderio della donna, mentre il nobile soffriva di cardiopatia.
La coppia infelice aveva una figlia, Banika Conchita, grassa come la madre. Fin da neonata le fu insegnato dalla madre a finire i piatti che si trovava davanti.
Se lasci anche una sola briciola, verrai punita…” così veniva detto alla bambina.
La madre morì di obesità quando la piccola Banika non aveva nemmeno due anni, ma la frase che le diceva durante i pasti rimase indelebile nella sua mente per tutta la vita.
Banika crebbe nella solitudine: suo padre non le fu mai accanto, a causa della sua malattia, e i domestici non avevano tempo per lei.
Le rimaneva solo il cibo con cui consolarsi.
Se lascio anche una sola briciola, verrò punita...” mormorava, prima di mangiare ciò che trovava nella dispensa della villa.
Ella prese lo stesso vizio della madre e giunse alla sua identica situazione.
Banika non faceva altro che ingrassare negli anni che seguirono e ad odiare l’ambiente in cui viveva, così piccolo, maligno e superficiale. Per questo ella, ogni giorno, desiderava scappare da quel luogo infernale, in cui nessuno amava o badava a lei, per viaggiare per il mondo, alla scoperta di nuovi luoghi e ogni sapori.
Dopodiché, arrivò il momento in cui la situazione economica familiare era sull’orlo del fallimento.
Era necessario un matrimonio combinato con il figlio di un altro nobile.
All’età di 15 anni, Banika fu promessa sposa ad un ragazzo, Carlos, che pareva il suo esatto opposto: un ragazzo magro e fragile. Egli, infatti, fin dall’infanzia, a stento viveva in un corpo fluttuante tra vita e morte. Per mantenersi in vita, doveva bere una droga ricavata dalla polvere dell’oro.
Anche lui, come Banika, odiava l’ambiente in cui era cresciuto. Si sentiva un burattino nelle mani dei suoi genitori, anche per la questione del matrimonio combinato.
“Forse questo matrimonio non sarà vano per entrambi…” pensò quel ragazzo, appena venne a conoscenza della triste storia della sua futura sposa.
Se si fossero sposati, avrebbero realizzato il desiderio di Banika e sarebbero finalmente scappati dal mondo malvagio dell’aristocrazia.
Ma tutto si dissolse come fumo nell’aria, non appena fu allestito il banchetto per la festa del fidanzamento:
Banika stava praticamente divorando tutte le portate lasciate dal resto degli ospiti, come se non avesse mangiato da anni, facendo così spaventare il suo futuro sposo e i commensali.
Se lascerò anche una sola briciola, verrò punita…” mormorava, mentre nella sua mente compariva l'immagine della madre defunta che le sussurrava tali parole con aria minacciosa.
A causa di tale comportamento, non vi fu alcun matrimonio. Il padre del ragazzo trovò alquanto oltraggioso ciò che aveva fatto Banika.
Nel giro di un anno il padre della ragazza morì, e il comando della villa passò a lei.
Immersa nel suo vizio, non faceva altro che ordinare ai servi di prepararle da mangiare. Fu proprio per questo che la maggior parte della servitù e dei cuochi si licenziarono.
Disperata, la ragazza, ormai divenuta donna, era sull’orlo della pazzia, a causa della crisi di astinenza da cibo.
Fu allora che egli apparve da un fumo rosso, che emanava odore di zolfo e vomito insieme; un demone che aveva udito le sue urla dal profondo Inferno.
“Vuoi che il cibo non ti manchi mai, vero?” domandò, con voce gracchiante e un sorriso inquietante.
Si presentò con i nome di Belzeebub. Era un essere repellente e spaventoso: statura piccola, camminava a quattro zampe, corpo ruvido, verde e con qualche brufolo, orecchie a punta grandi e pelosi e dentatura da squalo.
“Ti propongo un accordo…” mormorò quel demone, sorridendo malignamente di fronte alla ragazza spaventata alla presenza di quell’essere “Se offrirai la tua anima a me, il cibo non ti mancherà mai. Non soffrirai mai più di astinenza e tutto ciò che mangerai sembrerà ottimo. E non solo…”
Gli bastò agitare il dito che Banika, dopo essere stata circondata da un turbine di semi, perse tutto il suo grasso. Si guardò allo specchio, stupita dal cambiamento: era snella e anche più bella, rispetto a quando era grassa.
“Non importa quanto o cosa mangerai.” spiegò Belzeebub “Non ingrasserai più.”.
Felice del suo nuovo aspetto, la donna accettò l’accordo.
Da quel giorno perse ogni sua umanità: divenne la Malefica Divoratrice. Da fiera buongustaia era arrivata a mangiare persino la spazzatura, oltre i piatti su cui veniva servito il cibo.
Come aveva detto il demone, il cibo non le sarebbe mai mancato e tutto ciò che mangiava per lei era ottimo.
Anche con solo due servi in casa, e qualche cuoco che aveva avuto il coraggio di assumersi, Banika non soffrì più la fame.
“Mangerò finché non rimarrà niente e se c’è ancora spazio nello stomaco mangerò anche i piatti. Con questa felicità che danza sulla mia lingua, la cena non può ancora dirsi finita!”
In un solo anno, 14 cuochi avevano lavorato per lei. Tuttavia, scomparvero in circostanze alquanto misteriose.
Il ragazzo che anni addietro avrebbe dovuto essere il suo sposo (ormai un uomo), udì delle voci sul conto di Banika, del suo contratto con il demonio, della sua tendenza a mangiare qualsiasi cosa, letteralmente parlando.
Incuriosito e preoccupato, decise di scappare dal suo maniero e, cambiando identità, divenne il quindicesimo cuoco della “Divoratrice”.
Anche lui fu stupito dal suo cambiamento e dalla sua bellezza.
Le voci su di lei erano effettivamente fondate: divorava qualsiasi cosa, fosse commestibile o no.
L’uomo non era un bravo cuoco, essendo un nobile; e come tale erano sempre stati gli altri a nutrirlo.
Ma Banika mangiava ugualmente ciò che gli preparava, nello stesso modo in cui aveva mangiato durante quel banchetto di molti anni prima.
Lavorava senza sosta, per soddisfare l’appetito della donna.
Un giorno, infatti, uscì dalle sue labbra: “Non è possibile concedermi un giorno di riposo?”
Banika osservò male l’uomo, poi si voltò, come per dire: “Umpf! Sono circondata da gente inutile…”
Bastava anche il solo pensiero di un giorno di astinenza dal cibo a farla cadere nella disperazione.
Ella non era più umana, a causa sua.
L’uomo si sentì in colpa per quanto era avvenuto a colei che avrebbe dovuto essere la sua sposa. Se l’avesse accettata per quello che era e avesse accettato l’offerta di matrimonio entrambi sarebbero scappati insieme dal falso mondo aristocratico in cui erano cresciuti e realizzare il sogno di lei. Ma egli era spaventato da Banika, dal suo insaziabile appetito e dalla sua ingordigia, per questo era scappato come un vigliacco alla prima occasione, lasciandola sola al suo destino.
Se ti avessi accettato per quello che eri, a quella festa…” pensò l’uomo, in preda a sensi di colpa pesanti come macigni nel suo cuore fragile come il suo corpo “… avrei potuto salvarti.”
Sembrava tardi per rimediare al suo errore. Poi, all’improvviso, si toccò la tasca destra del pantalone, sentendo qualcosa di duro. Era la fiala che conteneva la sua “medicina”. La polvere dorata, se presa in dose moderate, era una medicina come altre, ma, come tale, se presa in dosi eccessive, portava alla morte.
Era la sua occasione per rimediare all’errore che aveva commesso: a causa della sua codardia, Banika era divenuta un mostro divoratore. Se non avesse fatto qualcosa, ella poteva arrivare persino a divorare se stessa.
Doveva salvarla.
Da se stessa.
Dovremo cenare insieme, una volta di queste…” le propose.
Banika, ovviamente, accettò.
L’uomo doveva ucciderla, per salvarla.
Strinse la fiala con determinazione. Dopodiché versò tutto il contenuto nella zuppa che aveva preparato sia per lui che per lei.
Non era stato capace di restare con lei, in vita, ad accettarla per quello che era.
Doveva redimersi dal suo atto di codardia di anni prima.
Almeno nella morte, lui e Banika avrebbero potuto stare insieme.
Inoltre, sapeva che il suo corpo non avrebbe retto ancora per molto, nonostante la droga.
I piatti furono portati a tavola dai due servi e consumati dalla padrona e dal cuoco.
Tuttavia, il piano dell’uomo fallì.
Il veleno non ebbe effetto sulla donna. Altro non era che una spezia per lei.
Solo lui cominciò ad agonizzare, contorcendosi nel pavimento, dopo aver finito la zuppa.
Banika, allarmata, si alzò dal tavolo e lo soccorse. "Ti senti male?" domandò preoccupata. Le dita poggiarono sul collo dell'uomo. Le pulsazioni stavano diminuendo e lui diventava sempre più pallido. "Ma tu... ma tu stai morendo!" esclamò Banika, sempre più preoccupata. "Perché?!" L'uomo non rispose. Non aveva più la forza di fare niente, eccetto guardare la donna che anni addietro avrebbe dovuto essere la sua sposa, sorridendo. Tenendolo tra le sue braccia, con le lacrime che le scendevano dai suoi occhi, ella sussurrò al suo orecchio:
“Stai scappando di nuovo, lasciandomi da sola…”
Prima di spirare,  tali furono le ultime parole dell’uomo: “Se solo non fossi fuggito…”
Solo in quel breve momento, entrambi realizzarono di essersi veramente amati, nonostante il loro sarebbe stato un matrimonio combinato per questioni economiche.
Ma era troppo tardi.
Egli non era riuscito a compiere la sua missione di redenzione e lei non aveva visto altri luoghi all’infuori della sua dimora.
Banika continuava a piangere sul corpo di Carlos.
Era dal primo giorno in cui egli si era assunto come cuoco che ella lo riconobbe.
L’uomo al quale era promessa e di cui si era subito innamorata, nel profondo del suo, ormai, cuore oscuro.
Appena lo vide, sorrise e pensò: "Carlos! Almeno tu non mi hai abbandonata, nonostante quello che sono..." Affondò la testa sul suo collo, continuando a piangere.
Ma l’istinto prese di nuovo il sopravvento sui sentimenti.
Era ormai diventata schiava della sua stessa ingordigia.
Assaporò lentamente, senza smettere di piangere, il suo quindicesimo cuoco, come aveva fatto con gli altri.
In tal modo, potevano rimanere insieme per sempre.
Egli sarebbe divenuto parte della sua carne e del suo sangue.
Il desiderio dell’uomo si era avverato.
Ma Banika, da quel giorno, non fece che peggiorare. Il suo appetito aumentava sempre di più. Ciò che mangiava non era mai abbastanza.
“Divoro tutto in questo mondo. Stasera menù speciale: i capelli blu, che quasi risplendono di bianco, sono un condimento perfetto per l’insalata. Mangerò finché non rimarrà nulla e se c’è ancora spazio mi accontenterò dei “secondi”…”
Un giorno prese uno dei servi per la cravatta, non appena questi le ebbe servito il pasto, e gli sussurrò, con aria famelica: “Piccolo servo… tu che sapore hai?”
Così fece. Nel tentativo di calmare il suo appetito, la donna mangiò anche i suoi due servi.
Nel giro di tre giorni, Banika era di nuovo sola. Non era rimasto niente per lei. Aveva svuotato l’intera dispensa e divorato tutti i piatti.
Si guardò allo specchio. Era ancora magra e bella, come promesso da Belzeebub.
Ma la sua ingordigia non si era frenata, tutt’altro. Tormentava la donna, spingendola a cercare qualsiasi cosa potesse mangiare.
Si guardò di nuovo allo specchio, immaginandosi con l’aspetto di anni prima: vedeva una donna grassa, che aveva passato la sua intera vita ad ingozzarsi.
Solo in quel momento si rese conto che ciò che per lei era sempre sembrato un sogno, in realtà altro non era che un incubo: poteva rifiutare l’offerta del demonio al primo momento, se solo non le avesse fatto quell’incantesimo che l’aveva resa magra e bellissima, spingendola ad accettare.
Poteva realizzare il suo sogno, vedere posti nuovi e conoscere nuovi sapori.
Ma non lo ha fatto.
Poteva dare la colpa a Belzeebub, al suo incantesimo, ma sapeva che era lei la vera colpevole di quello che era diventata.
A causa della sua ingordigia, aveva perso l’unica persona che si era preoccupato per lei, correndo persino il rischio di essere divorato.
Se si fossero sposati, avrebbero potuto vivere felicemente.
Ma non era accaduto.
Era troppo tardi per tornare indietro e sistemare tutto.
Non poteva fare niente ormai per il suo peccato di gola.
Per rivedere il suo amato.
Non sapeva nemmeno come calmare la sua fame.
Si guardò di nuovo allo specchio e mormorò: “Se lascio anche una sola briciola, verrò punita…”
Osservò la sua mano destra e sorrise silenziosamente.
“C’è ancora una cosa che non ho assaggiato…”
L’ultimo pasto di Conchita fu, sì, se stessa.
Il corpo che aveva divorato ogni cosa.
Nessuno saprà il suo sapore.
 
Se qualcuno avesse avuto il coraggio di entrare in quel maniero, avrebbe visto una giovane donna pallida vestita di rosso, circondata da una pozza di sangue, senza braccia e senza gambe, con la pelle strappata.
Non era riuscita a girare per il mondo, ma almeno si era riunita con quel giovane che si era persino travestito da cuoco pur di stare vicino a lei, per rimediare al suo errore.
Starò con te, per sempre.
   
 
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