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Autore: littlesea    04/07/2015    0 recensioni
Salve a tutti! In questa ff, sarete catapultati nel mondo di Percy Jackson, ma non preoccupatevi: non è presente nessuno spoiler di nessun libro della saga! Spero vi piaccia, buona lettura! * v *
Aura viene violentemente strappata via dalla sua infanzia perfetta e catapultata in un mondo completamente diverso: scopre di essere una semidea, figlia di una Divinità di cui quasi tutti si erano dimenticati..
«Stavo ancora cantando quando tutti si fermarono all'improvviso, spalancando gli occhi e guardando sopra la mia testa. Avevo visto come tutti rimanevano sorpresi quando qualcuno di noi veniva riconosciuto, ma loro non erano sorpresi, sembravano terrorizzati. Capii subito che un simbolo sulla mia testa aveva svelato a tutti di chi ero figlia, ma nessuno continuò a muoversi o a spiccicare parola per interi e interminabili secondi. Quando mi decisi ad alzare lentamente la testa, rimasi interdetta anche io. Non avevo mai visto un simbolo del genere.»
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Chirone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni volta che prendiamo una decisione, il nostro destino, il nostro futuro cambia. In peggio? In meglio? Starà a lui deciderlo. Ho sempre pensato che la fortuna e la sfortuna non esistono. Esistiamo solo noi, le nostre scelte e le relative conseguenze. Ho sempre pensato anche di avere una certa maturità, nel prendere le decisioni. Bisogna seguire poche semplici regole: razionalità, realismo. A scegliere pensando con il cuore, si ci ritrova sempre fregati, l’ho imparato a mie spese.
Purtroppo, però, non sono mai andata d’accordo con il destino. Mi chiamo Aura Jones, e il mio nome dovrebbe significare “brezza, vento” , ma credetemi se vi dico che avrebbero dovuto chiamarmi Catastrofe.
 
 
Tutto cominciò nel peggiore dei modi. Avevo otto anni all’ora, ero una piccola e indifesa bambina sdentata e con due orribili codini. Stavo tranquillamente giocando con le mie bambole di pezza, quando mio padre mi strattonò con violenza precipitandosi fuori casa con me appresso. Stavamo ancora scappando, con lui che mi aveva presa in braccio e correva perdifiato, quando i miei grandi occhioni spalancati videro la nostra casa esplodere. Nel vero senso della parola, esplose. Ero così traumatizzata, che non capii più niente quando mio padre cominciò a parlarmi della Grecia, della sua mitologia, degli Dei dell’Olimpo e di un campo dove sarei stata al sicuro. Non volevo andarmene da casa (anche se effettivamente non c’era più, la casa..) e non volevo stare lontana da mio padre, semplicemente perchè gli volevo davvero bene. Ma continuava a blaterare che dovevo stare in un luogo sicuro, dove i mostri non mi avrebbero trovata, e io riuscivo solo a pensare che la scusa del ‘non puoi stare qui Aura, oppure viene il mostro cattivo e ti mangia!’ mio padre l’aveva abbandonata circa tre anni fa. Ma vederlo così, in lacrime, sconvolto e preoccupato, mi convinse a fare quello che mi stava implorando di fare ormai da due ore e mezza. Oppure era stato il mio stato confusionale e sotto shock a non farmi capire più niente e, alla fine, farmi annuire quando mi lasciò davanti alla gigantesca entrata di quello che doveva essere il luogo dove sarei stata al sicuro. “Campo Mezzosangue”, c’era scritto sull’entrata. Mi diede un bacio e sparì oltre la foresta, e io ci rimasi davvero male. Aveva saputo abbandonarmi così, a qualcuno che io non conoscevo, dopo che la nostra casa era stata distrutta improvvisamente, spezzando la mia vita perfetta. Alla fine entrai e mi ritrovai ad essere accolta da un uomo mezzo cavallo dal bacino in giù, Chirone si chiamava, e mi spiegò con tono tranquillo ed euforico che era un centauro, come se mi stesse confessando che per il mio compleanno sarei andata a Disneyland. Mentre mi faceva fare il giro del campo, non c’era momento in cui non sgranavo un pò di più gli occhi: campi immensi contornati da distese di fragole, il dolce suono dei flauti suonati da strani ragazzi, anche loro animali dal bacino in giù (probabilmente capre, visti gli zoccoli e il pelo riccio), il mare che spuntava da un lontano angolo del Campo e grandi edifici che somigliavano tanto ai templi Greci, come struttura. Ogni cosa strana che vedevo, la indicavo con il dito, e Chirone cercava di spiegarmi nel modo più semplice quello che stavo vedendo: i ragazzi capra si chiamavano Satiri, nelle stalle tenevano dei Pegasi e tutti i ragazzini che erano in quel campo erano ‘speciali’. Discendevano dagli Dei, o meglio, avevano un genitore umano e un’altro Divino e per questo venivano chiamati Semidei. Riuscii solo a pensare che era tutto troppo assurdo, era solo un sogno stranissimo, dal quale mi sarei svegliata presto, ritrovandomi nel mio letto, nella mia casa, con mio padre. Passarono tre giorni dove appena qualcuno provava ad avvicinarmi, io scappavo il più lontano possibile, a nascondermi tra le fragole, a rannicchiarmi e a piangere. Non volevo dormire in un’altra casa che non era la mia, con persone che non conoscevo. Si, perchè quel campo aveva un sacco di altre casette, “cabine” le chiamavano, ognuna con caratteristiche diverse in base al Dio o Dea a cui erano dedicate. Io, secondo Chirone, sarei dovuta alloggiare nella casa di Ermes, finché mia madre non mi avesse riconosciuta. Ovviamente mi ero palesemente rifiutata, e quel grande ‘no’ che gli urlai in faccia prima di scappare via terrorizzata fu la prima parola che dissi dopo un’ora e mezza che ero entrata nel Campo. Dopo tre giorni, il profumo intenso delle fragole cominciò a darmi alla nausea, e il fatto che continuavo a vedere Satiri, cavalli con le ali, e Chirone che mi fissava da sopra la collinetta, mi fece rassegnare al fatto che quello non era decisamente un sogno, così mi arresi e alla fine andai a convivere con i miei nuovi “fratelli” della casa di Ermes. Passarono anni, dove mi abituai a combattere e a escogitare strategie. L’iperattività era una caratteristica dei semidei, che ti faceva avere riflessi pazzeschi e altrettanta coordinazione. Come se fossi nata esclusivamente per combattere. Non mi sorprende confessare che non mi feci nessun amico in particolare. Tenevo le mie conversazioni più lunghe quando dovevamo escogitare qualche tattica nei giochi di combattimento che si tenevano quasi ogni giorno al Campo. Ma non mi dava fastidio, anzi. Negli anni riuscii a trovare il tempo di metabolizzare quello che mi era improvvisamente successo, e all’età di quattordici anni diventai una delle combattenti migliori. Mi ero finalmente abituata alla mia nuova vita, quasi addirittura mi piaceva. Ma purtroppo il destino non mi vuole bene, probabilmente gli sto parecchio antipatica, perchè decise che quella sera, al solito falò dove tutti noi ci riuniamo a cantare e a passare il tempo insieme, proprio quella sera, mia madre doveva riconoscermi. Stavo ancora cantando quando tutti si fermarono all’improvviso, spalancando gli occhi e guardando sopra la mia testa. Avevo visto come tutti rimanevano sorpresi quando qualcuno di noi veniva riconosciuto, ma loro non erano sorpresi, sembravano terrorizzati. Capii subito che un simbolo sulla mia testa aveva svelato a tutti di chi ero figlia, ma nessuno continuò a muoversi o a spiccicare parola per interi e interminabili secondi. Quando mi decisi ad alzare lentamente la testa, rimasi interdetta anche io. Non avevo mai visto un simbolo del genere: Una corona di alloro, con due ali ai lati.

« Per tutti gli Dei.. » esclamò Chirone.
   
 
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