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Autore: charliespoems    04/07/2015    6 recensioni
Il dolore e l’odio di Sasuke erano troppi per essere contenuti in quell’esile corpo. Lo spirito combattivo di Naruto, invece, gli lacerava l’anima. Tutte quelle emozioni erano esagerate anche per loro, quelli che sarebbe dovuti diventare gli eroi, ma che morirono da tali, uccidendosi a vicenda.
In una pozza di amore e sangue, con le parole non dette sulle labbra, le lacrime incastrate nelle ciglia e il cuore che, debolmente, batteva. Eppure a tutti è data una seconda possibilità, e Sasuke deve ancora riscattarsi. Deve riscattare lui, gli Uchiha, l’amore del ragazzo che giace al suo fianco.
E tutto si racchiude in un fascio di luce, che lo accoglierà accarezzandolo. Gli ricorda il suo Naruto, e ci si tuffa dentro.
Sasuke sconterà la sua pena, capirà i suoi errori in modo giusto seppur doloroso. Lo stesso dolore che, a causa sua, ha subito Naruto.
Perché nel nuovo mondo - quello di città, dove nessun coprifronte o casata conta - Sasuke dovrà rincorrerlo, e fare di tutto per essere di nuovo suo.
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Storia nata da una fanart trovata su Tumblr. É un esperimento; considerata un AU, ma sempre collegata al mondo del manga.
É la mia prima storia, spero vi incuriosisca!
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Sorpresa | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo cinque.
A volte avresti bisogno di sapere che sei vivo e che hai un’anima.
 
     
      Sessantaquattro, sessantacinque, sessantasei…
Era tutta la mattina che girava intorno alla stanza, mentre suo padre sonnecchiava e suo fratello se ne restava seduto ad osservare il vuoto. Quella situazione un po’ gli dispiaceva, eppure non poteva fare niente se non sentirsi in colpa. Ogni tanto guardava la tristezza velata dai sorrisi di Naruto e l’essere sempre più scontroso di Sasuke. In un modo o nell’altro, anche senza saperlo, sentivano l’uno la mancanza dell’altro. Pensò fosse ingiusto il fatto che non si potessero incontrare. O almeno, Sasuke avrebbe potuto cercarlo, in modo tale da far terminare l’oblio. Quell’attesa stava durando fin troppo, e nel frattempo che tutti quei pensieri gli si facevano larghi nella mente non poteva far altro se non mordersi la lingua a sangue, seppur non sentendo dolore. Il suo sguardo era perennemente preoccupato, e questo fatto Indra l’aveva notato. Eccome se l’aveva notato. Ashura si comportava in modo strano, dalla chiacchierata con suo padre. Come se lo avessero colto in fallo. Restava sulle sue, stava più zitto, corrugava sempre la fronte e aveva stranamente smesso di parlare. Non proponeva più di andare in quel mondo e vivere la sua vita per aiutare quella dei due pivelli. Era questa la cosa strana: il silenzio. Il suo fratellino aveva sempre qualcosa da dire. Aveva il suo tipico tono dolce e buono, e regalava quantità industriali di sorrisi. A detta sua anche troppi. Sbuffò, alzandosi in piedi.

    «Padre, voglio andare da loro insieme a lui» disse, incrociando le braccia al petto. Per poco il fratello non si affogò con la sua stessa saliva. Hagoromo sembrò capire immediatamente suo figlio, difatti celò un piccolo sorriso dietro la mano destra, mentre annuiva. «Potete andare quando volete, lo sapete. Ormai si sta facendo tardi, non è vero?» chiese con fare stanco. A volte rimanere lì ad aspettare, controllare, verificare che tutto fosse al proprio posto, era stancante. E terribilmente noioso. Non voleva che i suoi figli facessero la sua stessa fine. Dovevano vivere tutto quello che già avevano perso. Dovevano affrontare quella sorte per loro stessi e per le esperienze ed emozioni che sfortunatamente non avevano potuto provare. Erano talmente presi dalla guerra che non si erano accorti di nient’altro. Sorrise debolmente, notando il più piccolo balbettare un qualcosa di indecifrabile. «Oh, emh, e-e come mai? Così presto?» sussurrò, accorgendosi di aver detto una fesseria e schiaffandosi una mano in fronte divenne completamente rosso in viso. «Ashura» il tono del fratello era così duro che pensò di aver addirittura tremato. Quella sensazione era orribile, e avrebbe dovuto parlargliene. «Dobbiamo parlare» Ecco, appunto. Deglutì rumorosamente, annuendo.

       Il posto in cui si trovavano era abbastanza dispersivo, grande, circondato dall’oro e dal bianco. C’era così tanta luce che quasi dava fastidio. Eppure la pace regnava sovrana, donando questo senso di libertà di cui era quasi percepibile il sapore. Sarebbe rimasto a guardare quelle nuvole che vorticavano intorno alle loro teste per l’eternità. Se solo non mi trovassi in questa orribile situazione. Strinse forte le dita fra loro, sospirando. Era proprio nei casini. Indra mosse una mano, come ad invitarlo a parlare, e Ashura sentì il panico circondarlo completamente. Era come se qualcuno gli stesse stringendo lo stomaco dall’interno, così come il collo. Il respiro si faceva sempre più debole, e i polmoni chiedevano sempre più aria, e il cuore doveva pompare più sangue e... No, aveva assolutamente bisogno di sedersi. Mise le gambe conserte. Indra lo vide adagiarsi al pavimento di punto in bianco, leggermente più pallido in viso. Sperò non svenisse. «È colpa mia, tutta-tutta colpa mia» deglutì di nuovo, Ashura, mentre stringeva più forte le dita. «Se ci stanno mettendo tanto, intendo. È solo- È solo che mi sembrava giusto così» continuò. Non stava per piangere, ma la sua voce tentennava.

      «Sono stato io» sussurrò poi. «A fare cosa?» domandò con uno sbuffo il fratello, sdraiandosi e poggiando la testa sulle braccia piegate sotto ad essa, mettendosi comodo. «Sono stato io a dire ad Itachi che sarebbe stato Naruto a trovare suo fratello» si aspettò una qualsiasi reazione negativa, come Indra in piedi e che gli sbraitava contro quanto fosse uno stupido e non ragionasse sulle cose. Capitava, da ragazzini. Lui era così benevolo. Non riusciva proprio a vedere la parte negativa della gente. Invece no, il maggiore chiuse gli occhi, annuendo con un cenno della testa. L’altro ne rimase esterrefatto. «E non dici niente?» chiese, scettico. «E che cazzo dovrei dire, scusa? I miei complimenti fratellino, sei proprio un coglione» enfatizzò la frase colma d’ironia per poi sbadigliare come se niente fosse. Nonostante tutto Ashura sorrise. «Sei sempre il solito, lo avevi già capito» «Sono tuo fratello maggiore, baka. Ti conosco meglio di chiunque altro. E in quella vita voglio andarci per me, non per quei due impiastri. Per me hai fatto bene, comunque. Il traditore sotto sotto lo merita» lo guardò per un attimo, rendendo l’altro molto felice. Nonostante non la pensasse allo stesso modo per quanto riguardava Sasuke, il periodo di redenzione avrebbe potuto giovare per entrambi e per il loro rapporto. Un po’ come stava accadendo a tutti.
«Sasuke in fondo ha un grande cuore» commentò, guardando il cielo. «Se è proporzionale al suo cervello siamo messi abbastanza male» «Guarda che mi pare un tipo abbastanza ingegnoso. Ti sembra il modo di parlare del tuo successore?» chiese Ashura, rimproverandolo. «Sì, ingegnoso quanto un ferro vecchio. Comunque è sempre meglio dell’Uzumaki. Lui sì che è un poveraccio» e rise, sfottendo quello che per il fratello minore era un ragazzo d’oro.
 
思い出
 
       Vedere Sakura gli aveva fatto un certo effetto, nonostante tutto. Pensare a cosa aveva fatto, la paura di star sbagliando di nuovo. Le tazzine rotte erano il nulla, in confronto. Non aveva mangiato né a pranzo e né a colazione. Si sentiva svuotato, ma non per via della ragazza in rosa – figuriamoci. Semplicemente non riusciva a mangiare perché pensava di star commettendo degli errori stupidi e banali, nonostante non stesse facendo proprio niente. Che fosse proprio questo, il nulla, il suo problema? Eppure era stato Itachi a raccomandarlo di non cercare Naruto. Aveva bisogno di pensare, doveva essere ragionevole e trovare delle risposte da solo, per questo motivo non riusciva a mangiare. Che diamine faceva in quella vita per distrarsi? Senza kunai o obiettivi primordiali da ottenere non aveva senso trovare un libero sfogo. Alla fine si stava bene, morte dei genitori a parte. Era solo il Sasuke di Konoha a risentirne. Si chiese se fosse stato giusto il fatto di donargli quella seconda opportunità. Erano passate settimane da quando si era ritrovato in quegli abiti attillati, in un mondo stracolmo di tecnologia di qualsiasi tipo e di persone fottutamente strane. Prese un respiro profondo, mentre s’incamminava per andare al locale. Suo fratello lo aspettava lì.

        «Buoongiorno!» lo salutò Suigetsu, mentre da suo balcone giocava con uno stuzzicadenti trovato chissà dove. Alzò il mento in risposta, seguito da un mugugno privo di senso. Praticamente si buttò sulla sedia davanti a quella di Itachi, mentre il maggiore lo scrutava attentamente. Gli chiese se avesse dormito, e ad un cenno positivo del fratello alzò un sopracciglio. Sasuke non aveva le occhiaie, ma nemmeno una bella cera. L’incontro della sera prima lo aveva spiazzato, gli stava proprio dando alla testa. Lo vide guardarsi intorno con fare disinvolto, come sempre. Sembrava normale, eppure sapeva che sotto sotto qualcosa non andava bene nel suo caro cervellino. Gli sorrise amorevolmente, per poi continuare i suoi conti. Avrebbe finito il suo lavoro per poi pensare anche alle faccende del fratellino. D’altronde in quella vita il suo compito era principalmente quello. «Itachi-san, ma com’è che tu non hai la ragazza?» chiese Suigetsu, mentre addentava il suo nuovo amico stuzzicadenti. Il maggiore s’irrigidì tutto d’un colpo a quelle parole, serrando i gomiti attorno al busto e corrucciando l’espressione, gesti che Sasuke non si fece mancare. «Infatti, Nii-san. Ormai sei grande e vaccinato, perché non hai la ragazza?» a quanto pareva, al più piccolo non importava nulla del suo velo d’imbarazzo. Itachi tossì, cercando la sua naturale compostezza «Credo che dovresti pensare di più alla tua situazione che alla mia, Otouto» spostò un foglio da una parte, facendo finta di niente. Dopo di che vide Sasuke sbattere violentemente la fronte sui palmi delle sue mani posti sul tavolo in un chiaro segno di disperazione.

        «Itachi, io credo di essere tutto rincoglionito» disse poi, guardandolo con occhi stanchi. «Oh, ma guarda, se n’è accorto solo adesso! Ne, Itachi-san, tuo fratello è diventato sano tutto in un botto» s’intromise Suigetsu, con il suo tipico sorriso strafottente. E, nonostante lo sguardo omicida del più piccolo, Itachi sorrise. «Che hai da ridere, mh?» chiese, in tutta risposta. Il maggiore alzò le mani, cercando inutilmente di fare il serio. «È che le mie uscite sono fantastiche» si pavoneggiò, Suigetsu, con un ampio gesto della mano. «Non fanno ridere nemmeno i morti» ringhiò Karin, che come una furia era appena entrata dal retro del locale e stava finendo di legarsi i capelli, mettersi a posto gli occhiali e sistemandosi la divisa addosso. «Buongiorno, comunque» borbottò poi, giusto per essere un minimo cortese. Quella mattina non era iniziata proprio col piede giusto. «Grazie al cielo non fanno ridere la gente subdola come te» ribatté l’albino, stringendo le braccia conserte al petto. «Subdola? E quando avresti imparato questo prodigioso termine, pesce lesso?» «Sicuramente lo avrà sentito alla televisione» rincarnò la dose, Sasuke. «Io vi ammazzo a testate, luridi stronzi»

        Le giornate passavano così, allo Sharingan. I clienti abituali che scambiavano due chiacchiere, i ragazzi stupidi che ci provavano con Karin – e che puntualmente non tornavano più – e le pazze furiose che pendevano dalle labbra di Sasuke, il quale pensava solo al fatto di essere psicopatico/malato mentale/bipolare/essere fin troppo pensante per i suoi gusti. Avrebbe tanto voluto prendere il suo cervello e lanciarlo da qualche parte, o rinchiuderlo dentro una bottiglietta e buttarlo in mezzo al mare, in modo da disperderlo per sempre. Si ritrovò a sospirare per l’ennesima volta in quella mattinata, non sapendo che fare. Non si sentiva nemmeno in lui. Avrebbe dovuto trovare qualcosa che lo scaricasse in modo da farlo ragionare in modo pulito. Si sentiva Naruto, in quel momento. Impulsivo e stupido, non sapendo che cosa diamine fare e affidandosi al destino come fosse l’unica cosa positiva di quel mondo. Anche se, no, Naruto non si sarebbe mai appigliato al destino. Lui se la costruiva, la vita. Si chiese come stesse per la tredicesima volta in quella giornata. Sfregò forti le mani fra i capelli, sembrava una fottuta sedicenne arrapata alla prima cotta, doveva piantarla immediatamente. «Suigetsu, sto per chiederti di darmi una testata. Quando tornerò normale spero però che ti parerai il culo nel migliore dei modi, visto che mi vendicherò» «Guarda che a me non piace prenderlo, a differenza tua» «Corri, Suigetsu. Corri»

       Vide Itachi portare una custodia con sé, e prima di andare in clinica gliela posò nella sedia accanto senza dire niente, guardandolo e basta, per poi poggiare sul tavolo un quaderno blu ricoperto da scritte nere e bianche. Sasuke lo guardò, e anche se in un primo momento non sembrava riconoscerlo, un secondo dopo il tutto tornò nella sua mente. Era un quaderno diverso rispetto a quello dei testi. Lì dentro c’erano tutte le note, arrangiamenti, brani da imparare o che aveva deciso di assemblare a qualcuna delle sue creazioni. Vedendo la custodia nera le mani si mossero da sole ad aprirla. Nonostante non ricordasse, l’immagine, la forma ed il colore della chitarra erano nitidi nella sua mente. Ovviamente era nera, come da programma. Il nero era lucido, faceva da specchio, e la superficie era così liscia che avrebbe voluto accarezzarla per ore. Sentiva un profondo affetto per quello strumento, nonostante non avesse mai avuto occasione di utilizzarlo. O almeno, nella sua vita da ninja. Guardò il maggiore, chiedendogli spiegazioni. «Chiuditi nel primo sgabuzzino a sinistra, è insonorizzato. Odi suonare davanti agli altri. E trovati un cantante, a cantare tu sei un po’ pietoso» gli sorrise, per poi andarsene. Evviva la sincerità.

        Fece come gli era stato consigliato, si chiuse nello sgabuzzino, impugnò la chitarra e cominciò a far scivolare le dita sulle corde, prima pizzicandole per poi andare sugli accordi veri e propri. Ogni tanto guardava quello che doveva essere lo spartito, sorpreso da come riuscisse a leggere così velocemente le note. Aveva fatto parecchi anni di solfeggio, passarono di fronte ai suoi occhi come un flash. Passò ad una parte movimentata, prese a pestare il piede, la mano destra che scorreva sulle corde dando il ritmo corretto, mentre la sinistra schiacciava quelle apposite. Sentì un qualcosa, a livello dello stomaco, che lo fece impazzire. Era un qualcosa che si propagava in tutto il corpo, una forza strana, una sensazione rilassante che gli fece pian piano distendere ogni nervo. Quasi sentì le preoccupazioni scivolargli addosso, mentre suonava quel semplice brano. Chiuse per un momento gli occhi, lasciandosi andare completamente, tanto che le ombre di qualche lacrima si facevano vedere nei suoi occhi. Era così emozionante, stare lì, rinchiuso da quelle mura, a suonare. Lo faceva per sé stesso, per stare bene, per essere quello che era realmente, non importava in che vita.

        «Sei proprio preso bene, da quello che vedo. Lo so, prima che tu mi uccida. Odi che qualcuno ti senta. Anche Naruto odia mentre lo guardo dipingere. E, prima che tu me lo chieda sì, dipinge, e crea delle opere meravigliose» Sakura entrò nello stanzino, ma a discapito della prima volta non restò a bocca aperta e non si scandalizzò più di tanto. Era sempre Sakura. Sempre e solo Sakura. Lo avrebbe preso a calci in culo sino all’Hokkaido – di cui ora conosceva l’area geografica – ma era quella piagnona dai begli occhi. Fine. La vide sedersi al suo fianco, mentre guardava curiosa lo strumento. «Lui non c’é» lo avvisò, e Sasuke si sentì leggermente più rilassato. Magari non era sbalordito dal vederla, ma un po’ teso sì. Non sapeva cosa aspettarsi. «In verità non voglio renderti tutto così facile. Mi odierai per questo?» cercò il suo sguardo, incerta. «Non me ne importa un cazzo. Io voglio solo vedere Naruto e lo vedrò, poi penserò alle conseguenze» borbottò, evitando di guardarla. Quel verde gli metteva troppa soggezione. Lo scrutava così in fondo che sembra lo stesse scavando con un cucchiaino. Con Sakura si sentiva sempre esposto, su quel genere di cose. Lei sapeva sempre tutto. Difatti la vide sorridere. «Finalmente ti riconosco, Sas’ke»

       Una volta tornati nella sala principale, alcuni clienti erano comparsi e chiacchieravano animatamente nei propri tavoli. Suigetsu, stranamente, provvedeva ai cappuccini ed ai frappè, notando la mancanza dell’Uchiha. Quasi gli venne da ridere, mentre lo guardava accigliarsi davanti alla macchina del caffè. Imprecò per qualche secondo, si morse le dita di una mano per calmarsi – non voleva romperla, altrimenti sì che sarebbe finita male – per poi capire come farla funzionare. Grazie al cielo arrivò Jugo ad aiutarlo, altrimenti sarebbe stato un vero e proprio casino. «Ti vuoi mettere al lavoro, coglione che non sei altro?» tentò di sussurrare poi, e a Sasuke venne davvero da ridergli in faccia. Scosse la testa, per poi prende un vassoio stracolmo di tazze di tè – sì, quelle maledette tazzine stralucide – e portarle nel tavolo assegnato. Sarebbe stato perfetto, avrebbe appoggiato delicatamente il vassoio, posato le tazze al proprio posto, e tornato al proprio posto. Se solo un fottuto cinquantenne non gli fosse venuto addosso causando un vero e proprio macello sul pavimento. Avrebbe voluto sopprimerlo. Se uno sguardo potesse uccidere, si disse. Vide il liquido espandersi a macchia d’olio sulle mattonelle, e in quel momento non seppe se spaccarsi la testa o spaccarla al cretino che aveva causato il danno.

       «Ehi, moccioso, vedi di stare attento la prossima volta. Che razza di servizio è? La mia giacca è completamente rovinata, non ho tempo da perdere con voi stupidi ragazzini! Dov’è il vostro capo?» Moccioso, mh? Stupidi ragazzini, giusto? Sasuke aveva proprio sentito bene quelle parole; gli suonavano nitidamente nelle orecchie. Prese il vassoio che completamente bagnato giaceva ancora fra le sue mani e lo lasciò cadere per terra, provocando un rumore fastidiosissimo. «Oh cazzo, Sasuke, non cominciare nemmeno» Suigetsu andò immediatamente verso l’amico, per placarlo prima che potesse spellargli anche l’anima. Eppure la mano pallida del suo amico lo fermò. «La prego di uscire immediatamente da questo locale, dato che siamo degli incompetenti non penso che le faccia piacere condividere ancora del tempo con noi, giusto?» chiese, lapidario. «È proprio quello che ho detto io, ragazzino» «Bene, allora prego, si accomodi, prima che perda la pazienza del tutto» continuò. Non era un comportamento saggio, il suo, lo sapeva benissimo. Doveva rimanere razionale, ma d’altronde in quella vita la saggezza non contava per un cazzo, dal modo in cui veniva trattato. «Io posso denunciarvi, lo sai, stupido ragazzo? Sono un uomo di potere, posso farvi chiudere questo locale e sgobbare per strada per l’eternità!» il cliente si avvicinò minaccioso a Sasuke, che lo osservava con aria di sfida.

       «Non ce ne sarà alcun bisogno, scusi questo comportamento, non succederà più. Se vuole prenderò la sua camicia e una volta conosciuto l’indirizzo gliela spedirò pulita» Itachi era inchinato in avanti verso l’uomo, il viso serio e l’aria contratta in una smorfia indecifrabile, ma che a Sasuke fece tremare un poco: lo avrebbe ucciso di botte. Probabilmente avrebbe visto suo fratello arrabbiato per la prima volta e non seppe se esserne felice o meno. Una volta terminato il trambusto, il maggiore chiese scusa per il disguido anche agli altri clienti, che lo guardarono con una tenerezza celata nello sguardo. Infatti Itachi cercava di essere sempre cortese con le persone che consumavano al locale. Scambiava due parole con tutti, cercava di fare il buon capo. Era ben visto dalla gente in qualsiasi posto, occasione, o vita. Era una persona così buona che non poteva passare inosservata. Il più piccolo si sentì un po’ uno schifo, a confronto. Quel divario tra loro c’era sempre stato, eppure lui lo considerava sempre il suo mito. Non importava verso cosa. Era il suo esempio. Che nella vita precedente hai pensato bene di uccidere con quelle stupide mani. La coscienza non aveva intenzione di lasciarlo in pace nemmeno un secondo, nonostante fosse rinsavito dai suoi per niente tipici cambiamenti d’umore.

        Quando vide Itachi chiamare lui e Suigetsu all’interno del locale, bé, si sentì in trappola. L’albino lo guardò come se stesse per essere giustiziato. Aveva una paura matta, perché l’Uchiha senior, come lo chiamava lui, era la persona più calma che avesse mai conosciuto. E si sa, la gente così calma quando si arrabbia davvero diventa un qualcosa di mostruoso, che sperò di non vedere mai in nessuna delle sue vite. «Sasuke» lo chiamò Itachi, il tono che sapeva di rimprovero fin da subito. «Ti sembra questo il modo di trattare un cliente?» chiese. La voce più che di rabbia era carica di delusione, e questo lo fece stare male, ma gli fece venire anche il nervoso. «E invece ti sembra un giusto comportamento il loro, in questo caso? So quanto ci tieni alle persone, ma cazzo, mi ha dato del moccioso e ha detto che facciamo schifo quando è stato lui a venirmi addosso, Nii-san!» rispose, stringendo forte le dita delle mani. A quanto pare la sinistra aveva preso a funzionare correttamente. «Scusami, Itachi-san, ma stavolta credo che Sas’ke abbia ragione» s’intromise Suigetsu, che non voleva lasciare solo l’amico. Ogni tanto un po’ di solidarietà ci voleva. Fosse mai che quel rincoglionito di Sasuke potesse scoppiare a piangere. Eppure il bianco sentì diversi sguardi addosso, e vide Jugo e Karin osservarlo attentamente con sguardo stupido, seguiti da una testa rosa che se la rideva. «E VOI CHE CAZZO CI FATE QUI, ANDATE A LAVORARE, DIAMINE» strillò, facendo sorridere debolmente Itachi, che nonostante tutto non fece trapassare l’accaduto. «Non per questo bisogna comportarsi in quel modo, Sas’ke. Voglio che lo impari, capisci? Dal tuo punto di vista devi solo annuire. Ti dicono che sei un incompetente? Va bene, sappiamo benissimo che non lo sei, quindi non scaldarti per niente. So che anche tu pensi di aver fatto una cosa sbagliata, e odio fare le ramanzine, ma dovevo. Sono il tuo fratello maggiore e devo insegnarti i principi» ammorbidì il tono, scrutandolo con un piccolo sorriso in volto. «Non ho dieci anni, Nii-san»

        Ritornarono nel salone: Karin sgambettava da un tavolo all’altro, Jugo preparava il più velocemente possibile ogni ordine, dato che Suigetsu se ne stava a ciondolare parlando del più e del meno con Sakura. Sembrava tutto normale, nonostante la vicenda appena passata. Probabilmente doveva ringraziare il fratello, così fece, anche se debolmente. «Certo che tu hai proprio bisogno di lui» rispose l’altro, facendolo arrossire impercettibilmente nelle orecchie. In ogni caso fece finta di niente. «Inoltre dobbiamo cambiare le tazzine, a quanto pare con queste non ci vai proprio d’accordo» «No, Itachi-san, è che Sasuke come ninja ha rotto un po’ le palle a tutti, quindi mi sembra giusto che in questa nuova vita continui a rompere qualcosa, anche se si tratta di rompere tazzine - ma non solo, sai com’è, alle palle tu proprio ci sei abituato» Suigetsu passò con un vassoio in mano contenente Coca cole, patatine e tre tè alla pesca. Disse il tutto con un sorriso sghembo sulle labbra, che fece scoppiare a ridere il maggiore. «Io lo uccido» borbottò Sasuke, incrociando le braccia al petto.

       Prese posto al bancone per darsi da fare, in modo tale da non perdere tempo. Itachi andava e veniva tra i tavoli come suo solito, ogni tanto gli aiutava con le ordinazioni o con i caffè e quant’altro. Sakura gli stava davanti, dall’altra parte del bancone, e lo scrutava con uno strano sorriso in volto. Di tanto in tanto guardava l’orologio, per poi spostare nuovamente lo sguardo su di lui. Oppure guardava Itachi, che la guardava di rimando. Gli stavano facendo saltare i nervi, tanto che decise di preparare tutti i caffè necessari per il mondo intero pur di non osservare le loro stupide espressioni. Sembrava lo stessero prendendo per il culo. Quella situazione non gli piaceva per niente. Quando diede a Karin il vassoio da portare con tutti i caffè richiesti, tornò ad osservare gli occhi verdi di Sakura. Gli trasmettevano ilarità, ancora, ma cercò di trattenersi. Non valeva la pena borbottare qualcosa o ancora peggio urlarle addosso di piantarla. Era un Uchiha, prendeva le cose con molta più leggerezza del normale, soprattutto se si trattava di Sakura. Se prima aveva avuto delle crisi d’identità dove il suo cervello gli faceva scherzacci, bé, quel periodo era terminato. Era tornato in sé stesso, non doveva più preoccuparsi di risultare un empatico come Naruto. Però effettivamente aveva bisogno di lui. Scocciava ammetterlo, ma la sua versione da Uchiha funzionava che una bellezza insieme a lui. Cazzata, va bene, gli mancava, voleva sapere dove cazzo era, se respirava bene. Non stava uscendo di testa, forse un po’, ma prima lo avrebbe trovato e prima la sua sanità mentale avrebbe giovato.

       «Ti stai facendo problemi, vero? Mandi sguardi ovunque» gli chiese lei, mentre giocava con la cannuccia da cui beveva una Coca-cola. Era maggiorenne e beveva quella roba. La squadrò lentamente, cercando di nuovo quella forma di ironia che stavolta sembrava non esserci. Guardò anche Itachi, ma era di spalle mentre parlava con una signora anziana. Veniva spesso al locale soprattutto per parlare con lui, che era da sempre un ottimo oratore. «Te ne fai troppi, per i miei gusti. Sono contenta che ci sia Suigetsu con te. In un modo o nell’altro mi ricorda Naruto» continuò lei. «Non so chi sia più stupido fra i due» Sasuke scosse la testa, mentre puliva un bicchiere. «Sono due persone troppo diverse, ma lo spirito alla fine è quello, no?» «Per niente. Suigetsu è proprio imbecille. Nel senso, è così e basta. Però non fa così schifo. È lontanamente accettabile come essere umano. Il Dobe poi è un’altra storia» ripose il bicchiere al suo posto, mentre alzava le spalle. Sakura non poté che pensare ad una mezza confessione, con quelle parole. «Certo che Naruto è proprio sprecato con uno come te» Sakura rise, notando lo sguardo cupo di Sasuke. «Tsk. Sono io quello che dovrà sopportarlo, chissà tra quanto» «Non molto» sussurrò lei. Probabilmente nemmeno la sentì, quando lo vide avvicinarsi per l’ennesima volta alla macchina del caffè.

       Sasuke non sentì niente, pensava e basta. Pensava che sì, era tutto fottutamente complicato, ma ce l’avrebbe fatta. Era il suo obiettivo e l’avrebbe raggiunto. Sono un Uchiha, si ripeteva. Era il migliore, ce l’avrebbe fatta sicuramente; sembrava un mantra. Non era affatto sicuro di riuscirci, anzi. Con quelle stupidissime sensazioni a confonderlo sentiva addirittura di provare paura. A volte avrebbe voluto essere apatico come un tempo e basta. Eppure il Sasuke di quella vita non lo era. Aveva qualcosa a cui donare tutto, ed era la musica. Non più la vendetta, ma degli fottuti strumenti. Ne fu felice, nel profondo. Anche perché quell’opportunità non sarebbe servita a niente, altrimenti. Continuava a rimuginare, ma non sentiva niente. Sasuke pensava, pensava e ancora pensava. Osservava la macchinetta difettosa che ogni tanto gli creava problemi, ma basta. Era di spalle, Sasuke. Eppure non sentì la porta aprirsi, il campanello suonare, gli sguardi dei camerieri dilatarsi. Non sentì e non vide niente di tutto quello che mai si sarebbe aspettato di vedere in quel momento.

«Naru, finalmente sei arrivato!»












Angolo autrice:
eccomi, in ritardo solamente di due giorni questa volta. Diciamo che sto facendo progressi.
Prima di cominciare vorrei ringraziare sinceramente UFFA CHE PAZIENZA poiché mi ha dato l'input per scrivere di Indra ed Ashura. In realtà i due fratelli non dovevano esserci, però ho fatto due conti e dopo la sua idea ne sono seguite molte altre dentro il mio cervellino. E insomma, quella che doveva essere una mini-lonng sarà invece una long vera e propria. Quindi grazie infinite!
Poi vorrei ringraziare tantissimo Lemonguess perché a sua insaputa ho usato la seguente frase da far dire a Suigetsu, poiché a mio parere meravigliosa:«No, Itachi-san, è che Sasuke come ninja ha rotto un po’ le palle a tutti, quindi mi sembra giusto che in questa nuova vita continui a rompere qualcosa, anche se si tratta di rompere tazzine - e non solo, sai com’è, alle palle tu proprio ci sei abituato»
In realtà è leggermente diversa, ma che importa, non potevo non metterla. Non appena l'ho letta sono scoppiata a ridere come una scema, quindi un applauso a lei e a questa splendida frase. Che tra l'altro non potevo far dire a nessuno se non a Suigetsu.
Ovviamente voglio ringraziare tutti coloro che recensiscono. Senza di voi non saprei che fare!
Grazie anche ai 13 che hanno messo la storia nelle preferite e ai 40 che l'hanno messa nelle seguite.
Grazie di cuore!
In teoria i ringraziamenti andrebbero alla fine, ma io sono alternativa (e anche scema). In ogni caso, possiamo dire che questo è un capitolo di passaggio. Accadono varie cose, Sasuke diciamo che torna normale, ovvero un mezzo apatico non più stupido, ma no, non è così. Non posso, io devo sfotterlo, è più forte di me. Mi sono divertita un sacco quando ho scritto di lui che dice ad Itachi di essere un rincoglionito. Vederlo così è fantastico, ma tra qualche capitolo penso che dovrò dire addio a tutto questo perché l'IC preme troppo nel mio insunso cervello. Poi magari il suo personaggio è IC, ma per me sta lentamente raggiungendo l'OOC e questo non deve succedere. Sono noiosissima da questo punto di vista.
Inoltre Ashura fa capire il motivo per cui è Sasuke a non dover far niente. Diciamo che ha cammuffato le direttive di suo padre dicendo cose fasulle ad Itachi, ma questo non sarà più un problema perché, bé, Naruto è al bar. EMH.
Per quanto riguarda la fine..... Non uccidetemi. Un po' di suspense ci vuole sempre, sfortunatamente.
E niente, spero di essere puntualissima perché non voglio lasciarvi sulle spine.
Ho detto tutto e niente, quindi bene, siamo alle solite. Se avete qualche dubbio o incertezza chiedete pure!
Perdonate la demenza di questo capitolo, dal prossimo cominceranno ad esserci le robe serie. Mi auguro.
Scusate eventuali errori, non ho fatto a tempo a rileggere!
Un bacio,
Charlie;

P.s. il kanji stavolta indica la parola "ricordo" perché stiamo per entrare in un'atmosfera coompletamente differente. Il titolo della storia è presa da una canzone dei Twenty one pilots - Tear in my heart.
   
 
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