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Autore: Soe Mame    04/07/2015    3 recensioni
Se solo non avessi seguito lui...
Se solo non mi fossi ostinata a voler oltrepassare quella porta...
Se solo fossi tornata indietro quando ne ho avuta l'occasione...
...
... nah.
Genere: Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Miku Hatsune | Coppie: Kaito/Meiko, Len/Rin
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incest, Incompiuta
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
[Attenzione: Questa storia fa un massiccio uso della parola "shota".]


LE AVVENTURE DI MICHELYNE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE CHE TROVO' DIETRO LO SPECCHIO



~
Quando ho aperto gli occhi, c'era un coniglio bianco
Era di fretta, e ho deciso di seguirlo

~



Tic Tac Tic Tac

"... mh?"

Tic Tac Tic Tac

Aprì un occhio.
La porta della sua camera, chiusa. Le pareti verde acqua illuminate dal sole alto alle sue spalle.
Strizzò gli occhi e si appoggiò allo schienale della sedia, stiracchiandosi e sbadigliando - ricordando a sbadiglio già finito di dover mettere una mano davanti alla bocca.
Abbassò lo sguardo, sul suo cuscino improvvisato: il libro di economia aziendale, a pagina uno. Quella accanto era bianca.
Ricordava di aver aperto quel libro, poi tutto che diventava improvvisamente nero. Forse aveva letto una riga, ma non ne era sicura.
- Okay, finiti i compiti di economia aziendale! - chiuse il libro, con un ampio sorriso. Di solito l'avrebbe almeno sfogliato per non dare l'idea di averlo solo tolto dal cellophane, ma non voleva sperimentare le possibili reazioni che il fruscìo di quelle pagine avrebbe potuto causare.
Prese il libro e andò davanti alla libreria, indecisa sul dove metterlo: ormai il rettangolo "Testi Scolastici" era stracolmo - a guardare bene, i libri di francese, spagnolo e tedesco giacevano tutti sul tappeto, sbalzati via dai libri di diritto, geografia, storia, latino, greco, letteratura e botanica incastrati con la violenza tra quattro assi di legno. Forse avrebbe dovuto raccoglierli. Ma non avrebbe saputo dove metterli.
Aveva più volte proposto ai suoi genitori di lasciarle usare le librerie in cantina, ma la risposta era sempre la stessa:
- In quella libreria ci sono venti riquadri, potresti usarli per i libri invece che per i tuoi fumetti! -
- Sono manga! -
- Fossero almeno libri scritti! -
- Tutto uno scaffale è per le light novel! -
Alzò lo sguardo, al ripiano più alto, dove i libri di algebra, geometria, fisica, chimica e informatica facevano bella mostra di loro: "Uhm... i posti sono già tutti occupati.".
Non poteva cambiare proprio quelli, i suoi genitori si sarebbero insospettiti nel notare che aveva osato spostare - e dunque toccare - proprio quei libri. E, se avessero messo mano lì sopra, avrebbero scoperto tutte le forniture di yaoi, yuri ed hentai. Non poteva permetterlo.
"Mh..."
Chiuse gli occhi e gettò il libro alle sue spalle. Un tonfo. Un solo, unico rumore. Non doveva aver colpito niente di prezioso.
Si voltò a guardare: era caduto in un angolo della stanza, perfettamente chiuso.
"D'accordo, direi che posso lasciarlo lì." annuì e sorrise: "Ah, quindi ora mi mancano solo i compiti di...?" il suo sorriso si accentuò: "Tutte le altre materie!" strinse i pugni, decisa: "D'accordo! Mi metterò subito al lavoro!".
Afferrò lo stretto necessario e vi mise tutta la sua energia: abbassò la maniglia, aprì la porta e si fiondò nel giardino.
Una volta messi i piedi sull'erba - e dunque al sicuro -, trasse un profondo respiro, l'aria fresca le riempì i polmoni.
- Ah... - sospirò: - Oggi è davvero una bella giornata! - si avvicinò alle siepi alte il doppio di lei, contemplando la bellezza del magnifico processo di fotosintesi - e con questo aveva fatto anche i compiti di biologia e botanica.
- E' una bella giornata... - gli occhi si ridussero a fessure, il sorriso svanì: - ... ma mi annoio. -.
Ormai aveva letto tutti i manga e le light novel in suo possesso e tutti quelli anche solo vagamente reperibili in tutte le fumetterie ed edicole del paese e non sapeva cos'altro fare.
I suoi genitori le avevano dato da leggere libri più consoni ad una graziosa sedicenne di buona famiglia, libri impegnati, con una solida morale, e libri fantastici che però altro non erano che una metafora dei mali del mondo con forte denuncia sociale.
Le avevano poi chiesto spiegazioni quando li avevano ritrovati nascosti tra la legna da ardere.
La risposta: - Non hanno una trama interessante! - non li aveva convinti. Ma lei era stata sincera. Erano loro a pensare che avesse detto una bugia.
Ma, in fondo, i suoi genitori avevano idee strane.
Più volte aveva indicato loro dei libri - persino senza figure! - che aveva letto e anche apprezzato. Ma i suoi genitori non li consideravano libri adatti ad una graziosa sedicenne di buona famiglia, perché erano palesemente scritti per un pubblico di bambini e lei doveva decidersi a crescere.
- Ma in questo ci sono squartamenti! E in quest'altro ci sono atti di cannibalismo! E qui ci sono scene di sesso con delle cipolle! -
- Non cambiare discorso. -
Insomma, i suoi genitori erano persone con strane idee che lei non riusciva a comprendere.
Tic Tac Tic Tac
Ma non cambiava il fatto che si stesse terribilmente annoiando e fare inforigurgiti a caso l'aveva aiutata a malapena ad occupare due minuti scarsi.
Tic Tac Tic Tac
"Di nuovo quel suono..." si guardò intorno: "... sembra un orologio...?".
Tic Tac Tic Tac
Lo sentiva come se l'avesse appoggiato alla spalla. Controllò di non averne effettivamente uno: no, solo il verde acqua delle maniche a sbuffo del suo vestito.
Tic Tac Tic Tac
Più forte. Come se dalla spalla fosse arrivato al collo, proprio sotto l'orecchio. Come se- "Si sta avvicinando?"
Tic Tac Tic Tac
Un fruscìo di foglie, dietro di lei. Un brivido.
Si voltò.
- Chi- -
Qualcosa.
Aveva attraversato la sua visuale talmente veloce da scompigliarle le lunghe codine e quasi sollevato la gonna. Corse ad abbassarla, l'altra mano a tirare indietro i capelli finiti in faccia, lo sguardo cercò di seguire quella figura - le era parsa bianca e nera, qualcosa del genere.
- E' tardi! E' tardi! E' tardi! -
Una vocina. Senz'altro bianca. Ma non sembrava di una ragazza.
Vide la figura bianca e nera fermarsi di colpo qualche metro più avanti. La prima cosa che riuscì a distinguere fu una batuffolosa coda bianca. Poi due lunghe - lunghe - orecchie bianche, da coniglio. E una massa di capelli biondi.
Fece qualche passo avanti, attenta a non spaventare il coniglietto biondo - che aveva appena estratto un enorme orologio da taschino da una minuscola taschina del suo panciotto, che non era nero ma verde muschio.
A guardarlo bene, di nero aveva soltanto le scarpette. Persino i pantaloni al ginocchio sembravano più un verde scurissimo. Le calze, invece, erano bianche, come la camicia.
Il coniglietto si voltò.
Due grandi occhi azzurri.
Il cuore sussultò.
Dovette portare una mano al petto, sperando di non ritrovarselo sul palmo. Batteva troppo forte, rimbombava nelle orecchie, con talmente tanta forza da farla tremare.
"L-lui... lui..." aprì la bocca.
- E' TARDI! - il coniglietto la anticipò, gli occhioni sgranati. Un istante dopo, era già diversi metri davanti a lei.
"... l-lui..."
- ASPETTA! - serrò i pugni, strinse i denti e si lanciò all'inseguimento del coniglietto: - TORNA QUI! - conficcò i talloni nel terreno ad ogni falcata, più ampia di quelle del coniglietto.
"Forse posso raggiungerlo!"
Il cuore sobbalzò di nuovo.
Quel coniglietto... "Non posso crederci..." quell'esserino...
"E' UNO SHOTA USAMIMI! DEVO CATTURARLO!"
- Eeeeehi! Shota Usamimi! - urlò, con tutta la voce che riuscì a trovare: - Shota Usamimi! Fermati! Non ce la farò mai a raggiungerti, se corri così! -
Per qualche bizzarro motivo, le parve che lo Shota Usamimi avesse aumentato la velocità.
"Non importa!" accelerò a sua volta: "Sono più grande di lui! Posso raggiungerlo! Devo!".

Lo Shota Usamimi, grande quanto un'unghia, scomparve in una collinetta marrone ai piedi di un enorme albero.
Miku allungò una mano, l'altra premuta contro un fianco - magari così quello avrebbe smesso di mandarle fitte senza neppure un millisecondo di pausa tra una e l'altra -, la bocca aperta per prendere quanta più aria possibile - cercando, contemporaneamente, di non farci finire steli d'erba.
Il braccio le mandò una fitta, quindi lo lasciò cadere a terra.
"... sono più grande, ma lui è terribilmente più veloce." si girò supina, la schiena contro il terreno. Le parve di riuscire a prendere più aria.
Nel giro di pochi minuti, tornò padrona di sé; si alzò, piano, senza distogliere lo sguardo dalla collinetta marrone ai piedi dell'albero.
"E' sparito lì...?" era stupido chiederselo, visto che l'aveva visto scomparire proprio lì. Si avvicinò, con cautela, sperando di non fare troppo rumore: "Forse lo Shota Usamimi è ancora lì dentro...?".
Quando realizzò cosa esattamente avesse davanti, sbattè le palpebre più volte: radici. La "collinetta" non era altro che un colossale ammasso di radici colossali di un albero colossale: uscivano dal terreno, sembravano aver sollevato l'albero stesso; al centro esatto della collinetta di radici, un buco grande quanto un bambino.
"Sarà entrato lì...?"
Lo sguardo andò alle radici, ormai a portata di mano; posò le dita sulla più vicina, grande almeno due volte e mezzo la sua vita. A toccarla, sembrava ricoperta di corteccia come il tronco.
"... forse non sono radici?" alzò gli occhi, verso le fronde: "... forse è sempre il tronco...?".
Tornò a guardare il buco, prima di pensare che, un giorno, i suoi compiti di botanica avrebbero potuto comprendere lo studio approfondito del giga-albero mutante.
"Argh, troppo tardi." scosse la testa per scacciare il pensiero e si concentrò sul buco: nonostante vi fosse esattamente davanti, non vedeva niente.
Assolutamente niente. Sembrava un cerchio nero dipinto ai piedi dell'albero.
Avvicinò il viso: - Scusatemi! -
- Scusatemi! Scusatemi! Satemi! Satemi! Temi! Temi! Mi! Mi! -
Si ritrasse.
"... eco?" si riavvicinò, incuriosita: "... quanto accidenti è grosso, qui dentro...?" strinse i pugni: "Allora lo Shota Usamimi deve davvero essere qui!".
Sorrise, ma si trattenne con tutte le sue forze dal lanciarsi: "Se è la casa di qualcuno, sarebbe da maleducati!". Si raddrizzò, diede un colpo di tosse e bussò su una delle radici che contornava il buco.
Sentì il "toc toc" rimbombare all'interno - dell'albero? -, ma nessuna risposta. Ritentò. Solo eco.
"Oh, beh, è aperto..." alzò le spalle: "Se non volessero ospiti, avrebbero chiuso.".
Infilò una gamba nel buco; a giudicare da quel che sentì sotto la sua scarpetta, il terreno era identico a quello su cui era l'altro piede. Entrò, chinata, e infine fece passare l'altra gamba. Alzò la testa piano, fino a sentire contro la nuca quel sembrava terra umida. Tornò chinata, nella più scomoda delle posizioni: quella in cui il soffitto si rivelava di soli due centimetri più basso della propria altezza, soltanto per far piegare la testa o camminare ingobbito.
- Scusatemi! - ripetè: - E' permesso? - si guardò intorno: buio totale. C'era la luce esterna alle sue spalle, eppure non riusciva neppure a vedersi i piedi.
- Shota Usamimi? - lo chiamò, insieme alla sua eco: - Sei qui? - fece un passo avanti.
E le sfuggì un urlo.
Cadere non era una cosa strana. Si inciampava, si scivolava, o qualcuno o qualcosa di poco simpatico spingeva un po' troppo; si franava sul terreno, si sentiva più o meno dolore, a volte ci si sbucciava un ginocchio, a volte ci si faceva male, a volte non ci si faceva niente. Era questione di una minuscola manciata di secondi.
Cadere perché il terreno era svanito da sotto i piedi e ritrovarsi sospesa nel vuoto non rientrava esattamente nel concetto di "cadere".
Fece almeno due capriole prima di riuscire a fermarsi, gli arti spalancati a stella, la gonna apertasi di colpo come un paracadute; la caduta si era fatta più lenta, la testa aveva smesso di vorticare, ma il cuore aveva accelerato il battito.
- Ma cosa- - si guardò intorno: la luce era tornata, ma non aveva idea da dove venisse; stava cadendo in un largo cilindro di terra di cui non riusciva a vedere né l'inizio né il fondo; attorno a lei, cose. Cose che fluttuavano, mentre lei cadeva piano piano.
C'era un pianoforte scuro, per fortuna lontano da lei; una chitarra elettrica bianca che sembrava quasi volerla legare con il suo lunghissimo cavo; un'intera batteria, in cui piovve al centro esatto, finendo per colpire con i talloni un tamburo e un piatto, che risuonarono per ogni dove; un paio di maracas di un sobrio fucsia acceso le passarono davanti agli occhi; una fisarmonica le passò tranquillamente alle spalle; un flauto chiaro le sfiorò le dita; un clavicembalo e un sassofono scivolarono ai suoi lati; qualcosa la fermò per un istante, qualcosa che scoprì essere la bocca di un trombone; quello, un istante dopo, si ribaltò, facendole fare un'altra capriola, prima di riaprire la gonna-paracadute, appena in tempo per vedersi passare a pochi centimetri dal viso una caciotta.
- Ma- AHI! -
Stavolta il suo fondoschiena atterrò su qualcosa di ben più duro e con ben meno grazia.
"Dovevi chiuderti proprio ad un metro dal pavimento?" Miku serrò i pugni sui lembi della gonna, con uno sbuffo irritato: "Però..." alzò lo sguardo, sul cilindro di terra sopra di lei: "... dove sono finita...?". Si mise in piedi - il didietro ancora dolorante - e si guardò intorno: sembrava di essere in una camera dalle pareti di terra. O forse era proprio una camera scavata nel terreno. Come la tana di un animaletto.
"Ah!" capì: "Forse questa è la tana dello Shota Usamimi!". Quando notò che alle sue spalle c'era solo una parete di terra, decise di incamminarsi per l'unica strada esistente - e, notò con sollievo, lì il soffitto era alto almeno il doppio di lei.
"Non sapevo che gli Shota Usamimi facessero le tane nel terreno!" giunse le mani, con un sorriso: "Appena possibile, dovrò provare a scavare nel giardino! Magari trovo qualche altra tana di Shota Usamimi!" alzò gli occhi, verso le lanterne accese appese alle pareti: "... certo, quello che ho inseguito avrebbe anche potuto mettere qualcosa, all'ingresso. Un tappeto, ad esempio. Se non un materasso. Qualcosa di morbido.".
C'erano delle lanterne ad illuminare la strada, ma la strada era percorribile in meno di trenta secondi, sfociando in una sala gigantesca luminosissima.
"Sono tornata su?"
Le bastò notare la decina di riflettori accesi ad una decina di metri dal pavimento per comprendere.
- Questo posto è decisamente più carino! - fece una piroetta, per poi trotterellare per la sala: i tacchi risuonavano sul marmo bianco, i suoi occhi vedevano metri e metri di celeste chiaro, interrotto solo dalle tende blu a destra e a sinistra e dal portone bianco dall'aria pesante esattamente sul lato opposto dell'uscita della breve galleria.
Corse fin lì davanti, le dita già all'altezza delle maniglie.
"Cosa...?" fece un passo indietro, stupita: "... un disegno...?".
Un enorme disegno, alto almeno tre metri, il più realistico che avesse mai visto.
"... cosa significa...?" guardò le tende, perplessa. Vi si avvicinò, le toccò: "No, queste sono di stoffa..." tornò a guardare il portone: "Che senso ha...?" lo scrutò, centimetro per centimetro, dal punto più alto, fino a-
"Aspetta!" ritornò davanti al portone, s'inginocchiò, premette le mani sul pavimento e abbassò la testa: alla base del portone disegnato, c'era un altro portone, alto quanto due indici. E, a giudicare da come la minuscola maniglia usciva dalla parete, o era un altro disegno iper-realistico con microscopico dettaglio in 3D, o era effettivamente un portoncino.
Provò ad abbassare la maniglina con le unghie, ma a stento riusciva a non far scivolare la presa.
"... cosa diamine sta succedendo...? C'è un qualche meccanismo che trasforma il portone grande in un portone vero? C'è un altro portone nascosto? Lo Shota Usamimi sarà entrato qui dentro? Si sarà rimpicciolito? E soprattutto, se questa è casa sua, che razza di gusti ha?".
Tornò in piedi, si schiaffò le mani sulle guance: - Ah, guarda in che situazione sei! Con tutte le cose che hai visto negli ultimi cinque minuti, non puoi perdere tempo con cose simili! Devi rivedere le tue priorità! - scosse la testa, per scacciare quei pensieri: - Insomma... chissene importa dei dubbi gusti dello Shota Usamimi, ci deve essere un modo per entrare lì dentro! -.
Ormai era una questione di principio.
"Voglio entrare lì e trovare lo Shota Usamimi. Le due cose potrebbero essere consequenziali, quindi tanto meglio! Però..." sospirò, per poi voltarsi: "... come faccio ad entr-" sgranò gli occhi: a meno di un paio di metri da lei, era apparso un tavolino di cristallo. Ed era alquanto sicura che prima non ci fosse.
- Cosa...? - "... oggi mi sembra di averlo detto svariate volte."
Si avvicinò: un tavolino trasparente, con un'unica gamba centrale a sostenere un piatto rotondo. Forse, se si fosse mossa troppo velocemente, avrebbe finito con il farlo sbilanciare con conseguente crash.
Sopra il tavolino, una scatolina rettangolare, rossa con ghirigori dorati, scoperchiata, a mostrare tante caramelle colorate; accanto, una bottiglietta di vetro alta quanto una mano, con all'interno un liquido verde smeraldo.
- Ma sono le Pop Candy? - prese una delle caramelle, per leggerne la marca: - ... "Mangiami"...? - abbassò lo sguardo sull'etichetta della bottiglietta: - ... "Bevimi"...? -
"Di certo hanno fantasia. Saranno della stessa linea di prodotti...?" guardò la caramella Mangiami, avvolta in una carta verde chiaro: "Chissà se sono buone come le Pop Candy..." tanto valeva provare.
La scartò e la mangiò. Sapeva di menta.
Tornò con lo sguardo alla carta, ancora in mano; per la precisione, riempiva tutta la mano.
- Cosa- - guardò il tavolino davanti a sè: il bordo del tavolino davanti a sè, davanti ai suoi occhi. Sopra i suoi occhi. Molto sopra i suoi occhi.
Le dita iniziarono a farle male.
Lasciò la presa sulla carta della caramella, diventata grande la metà di lei; quella scivolò a terra con un fruscìo.
Miku si guardò intorno, il cuore che martellava contro il torace: "Perché tutto è diventato gigantesco?" portò un pugno al petto, forse per impedire che la gabbia toracica finisse per rompersi: "Non bastava l'albero?" alzò lo sguardo: il tavolino era diventato alto dieci, se non venti metri.
Deglutì, il cuore che rimbombava nelle orecchie: "E' colpa della caramella...? Ma perché se l'ho mangiata io sono cresciuti lor-" i pensieri si bloccarono, Miku si voltò, nella mente soltanto un dubbio: quando vide il portoncino grande quanto una porta normale, comprese con estrema sagacia e acutezza.
Guardò la carta verde, a pochi centimetri da lei: "... quella caramella mi ha rimpicciolita...?"
Di certo, non era una Pop Candy. Non aveva mai avuto incidenti del genere, quando ne aveva mangiate.
"... beh, allora..." si avvicinò al portoncino, ora effettiva porta: "Direi che posso entrare!" sorrise e allungò la mano verso la maniglia dorata.
Un leggero dolore alle dita.
Ritrasse la mano con un: - Ah! - più di sorpresa che di sofferenza, avvolgendola nell'altra mano - non che si fosse fatta qualcosa, ma voleva tenerla lontana da quel bastone nero apparso dal nulla esattamente davanti alla maniglia.
Si voltò di lato, verso il proprietario: un uomo dai vestiti bianchi e viola.
Era più alto di lei, tanto che, per riuscire a sfiorargli la fronte, avrebbe dovuto allungare il braccio; forse era per i chilometri d'altezza in più che anche i capelli erano più lunghi dei suoi - solo che l'uomo li portava in una coda unica, lei in due, anche se era piuttosto sicura che lei sarebbe stata bene anche con una coda unica - e dovette trattenere una risata all'ovvia associazione che ne seguì.
Miku gettò un'occhiata rapida al bastone nero: quell'uomo era un miscuglio di viola e bianco, sia riguardo gli abiti - più viola che bianchi - sia riguardo i capelli - decisamente viola senza niente di bianco - e quel bastone nero dava più l'idea di un bastone preso perché serviva e non ce n'erano altri disponibili.
- Avete mai pensato di prendere un bastone bianco? - buttò lì Miku, tornando a guardare l'uomo negli occhi - che si aspettava essere viola, e invece erano azzurri: - Oppure viola. Questo nero stona un po' con il complesso. -
L'uomo la guardò come se stesse spiegando la perifrastica passiva, con tanto di sopracciglio inarcato.
- Ci stiamo lavorando. - fu la pacata risposta che ricevette Miku. Nonostante l'espressione, il tono era del tutto calmo.
- Piuttosto... - l'uomo riprese a parlare: - Cosa pensavate di fare? -
- Eh? -
Lo sguardo dell'uomo andò alla porta; Miku lo seguì per un attimo, per poi tornare a lui.
- Ehm... - attorcigliò le dita, le guance improvvisamente calde: - ... volevo entrare! -
L'uomo riportò il bastone al suo fianco - fino a quel momento era sempre stato davanti alla porta, come a volerla sbarrare: - Non vi ho mai vista qui. Avete un invito? -
- I-invito? - "Serve una cosa del genere...?"
Miku scosse la testa.
- Allora temo non possiate passare. - con due falcate, l'uomo andò davanti alla porta, stavolta sbarrandole la strada lui stesso: - Vi pregherei di ritornare da dove siete venuta. -
"Non ci penso nemmeno."
Doveva entrare. Perché sì. Perché forse avrebbe ritrovato lo Shota Usamimi. E la botta del suo fondoschiena avrebbe avuto un senso.
Ma soprattutto...
- Era aperto! - protestò, i pugni lungo i fianchi: - Potreste fare i controlli prima, non quando la gente ha fatto tutta questa strada! Che modi sono? - assottigliò lo sguardo: - C'erano anche quelle Pop Candy strane! Potreste avvisare, non offrirle così come se nulla fosse! -
- Pop Candy? -
- Ah, no... - ricordò di colpo: - Mangiami! -
L'uomo la guardò. Anche l'altro sopracciglio si era inarcato.
Miku portò le mani ai fianchi: - Se davvero non è possibile entrare come meglio si vuole, allora perché permettete alla gente di arrivare fino a qui?
Soltanto per poi sbattere loro in faccia la porta chiusa? -
"Non ho idea di come sia possibile sbattere in faccia una porta chiusa, ma spero abbia capito il concetto."
- Non posso rispondere a questa domanda... - sospirò infine l'uomo: - ... perché neanch'io ne conosco il motivo. Così è e così rimarrà fino a nuovo ordine. -
- Nuovo ordine...? - ripetè Miku, piano: - Aspettate. Non siete voi a decidere le cose, qui? -
- Temo di no. -
- Allora... - mise le braccia conserte, alzò appena il mento: - Chi siete? Con quale diritto mi sbarrate la strad- -
"Ah!" capì, e quasi si morse la lingua: "Che stupida! Deve essere il portinaio!".
Il portinaio più elegante che avesse mai visto - e anche di molta più che discreta bella presenza -, ma le sue azioni altro non potevano essere dettate se non dalla sua essenza di portinaio.
"Sono stata maleducata con un onesto signore che sta solo svolgendo il suo lavoro! Sono davvero una persona orribile!"
Fece per portare le mani alla gonna, per fare un piccolo inchino e scusarsi, ma si bloccò quando vide lui chinare la testa, la mano libera al petto: - Gakupo Kamui, duca di Venomania. - rialzò lo sguardo, incontrando il suo. Era un po' diverso da prima. Ma lei non avrebbe saputo dirne il motivo. Era...
"... strano."
- E voi, signorina? -
Si riscosse, tornando a concentrarsi sul resto. Riprese a fare ciò che stava facendo - una piccola riverenza - e si presentò: - Michelyne Alice Lydia Fairsound. - tornò dritta: - Ma la gente preferisce chiamarmi Michelyne, perché è più breve. - "O Miku, che è ancora più breve." - E temo di non avere alcun titolo nob- - si bloccò di nuovo.
"... costui è un duca?"
Forse si sarebbe dovuta sentire emozionata all'idea di incontrare un duca vero, forse persino intimorita, ma-
- Perché un duca fa il portinaio? -
Un lampo di qualcosa negli occhi del duca portinaio che, per un istante, incrinò la sua espressione: - Sono successe cose. -
- "Cose"? -
- Cose che temo non vi riguardino, ma che mi hanno condotto a vegliare sull'ingresso. Non è necessario che voi sappiate di più. -
Miku mise le braccia conserte, dubbiosa: - E' che... - esordì, piano: - ... capirete che non è esattamente credibile un portinaio che afferma di essere un duca. Io potrei dirvi di essere la Principessa Verde che combatte contro un gattino magico, ma voi non potreste sapere se sto mentendo o meno. Quindi, chi mi assicura che voi non mi stiate dicendo di essere un duca quando in realtà siete solo un portinaio che si veste elegante soltanto per fare più bella figura con una sconosciuta? -
- Nessuno. - per la prima volta da quando l'aveva visto, il duca di Venomania sorrise. Soltanto che, con quello sguardo strano, l'espressione nell'insieme divenne molto strana: - E non sarò certo io a costringervi a credermi. Siete libera di decidere da sola. -
- E ci mancherebbe! - sbuffò Miku.
- Piuttosto... - esordì Gakupo Kamui: - Vi vedo molto determinata ad entrare, nonostante non abbiate alcun invito. In qualità di custode delle chiavi- -
Il cuore di Miku ebbe un sobbalzo: - Wow, come Hagrid? -
Il portinaio di Venomania aggrottò la fronte per un istante, l'espressione di nuovo incrinata: - ... possiamo considerarlo qualcosa di molto lontanamente simile, se volete. -
- Oh... - la ragazza giunse le mani, emozionata: "Chissà se dietro quella porta c'è una scuola di magia!".
- Dicevo. - riprese l'altro: - In qualità del mio ruolo, sarei curioso di conoscere il motivo che vi porta ad essere tanto decisa. -
- Il motivo...? - "Mh... non posso dirgli dello Shota Usamimi. Anche se dovrebbe sapere di lui, credo. Però no, non credo sia il caso di dirglielo."
Optò per una mezza verità: - Ho fatto tutta questa strada! - allargò le braccia, come a volergli mostrare la grandezza della strada che aveva percorso: - Avete idea di cosa significhi esplorare, camminare, cadere, camminare ancora, mangiare Mangiami, rimpicciolirsi, essere ad un passo dallo scoprire nuove cose e sentirsi dire di dover tornare indietro? - ridusse gli occhi a fessure: - Sarei molto triste, se dovessi tornare indietro proprio ora. Mi sembrerebbe che tutta la lunga strada percorsa sia stata solo una perdita di tempo! -
Che poi la famigerata "strada" che stava continuando a nominare fosse di una decina di metri era secondario.
- Capisco. -
Miku trasalì, il cuore improvvisamente leggerissimo e grande quanto tutto il petto: - Allora mi fate passare? -
- No. -
Il cuore tornò a farsi piccolo e pesante.
Giunse le mani, sfoderò la voce più che supplichevole che riuscisse a fare: - Vi prego! Rimarrei solo per pochi minuti! -
- No. -
- Se mi fate passare, allora sarò certa della vostra buona fede e crederò che voi siate un duca! -
- Il "rimarrei solo per pochi minuti" era molto più credibile. -
"Non si smuove." tanto valeva smettere di fingersi tanto lacrimevole.
- E se vi prendessi una Mangiami? - ritentò: - Sono buone! Certo, hanno un curioso effetto collaterale, ma- -
- State seriamente cercando di corrompermi con una caramella? -
- Le caramelle sono più potenti del denaro. -
Quel sorriso, di nuovo. Non sapeva come interpretarlo: - Un'altra mia curiosità, signorina... Fairsound? - Miku annuì: - Quanti anni avete? -
- Sedici. - rispose lei: - Perché? - "C'è l'ingresso scontato per i minori di vent'anni?"
- Perché sembrate più grande, ma parlate come una ragazza più piccola. -
- ... eh? - "... quindi niente ingresso scontato?"
- Siete veramente così decisa ad entrare? - il modo in cui aveva sottolineato il "veramente" era bizzarro. In generale, quell'uomo era strano.
Miku strinse i pugni: - Sì! -
- Allora... - Gakupo parlò piano, come a volerla lasciare sulle spine per tutta la frase: - ... potrei invitarvi io. -
Il cuore trasalì di nuovo, grande e leggero: - Davvero? Davvero potreste? - "Un invito dal portinaio! Se lo avessi, nessuno potrebbe fermarmi!".
Forse le cose stavano prendendo una piega migliore di quanto avrebbe potuto pensare.
- Sì. - una risposta pacata: - Potrei invitarvi come ospite nel mio castello. -
- Un castello? - "Ma questo implicherebbe che lui sia davvero un duca!".
- Qualora voi accettaste, sareste libera di varcare questa soglia senza che nessuno possa impedirvelo. -
- ... un castello? - aveva visto soltanto castelli antichi trasformati in musei, sarebbe stata curiosa di vedere un castello abitato.
- Sì, un castello. Non grande quanto quello della regina, ma- -
- Cosa state aspettando? Sarei ben lieta di accettare il vostro invito! - "Una regina! Che abita in un castello! Chissà se c'è una principessa, o magari un principe!"
- Bene, allora. - il duca di Venomania le tese una mano, con quel suo sorriso strano, con quel suo sguardo strano: - Venite. -.
Miku alzò la mano.
Si fermò.
Guardò il duca.
C'era decisamente qualcosa di strano.
- Uhm, signor duca portinaio...? -
- Sì? -
- ... non dovreste dire le cose in questo modo, sembrate un pervertito che inganna donne innocenti e le trascina nel proprio castello per costruirsi un harem. -
Silenzio.
- La vostra mente è alquanto fantasiosa, signorina Fairsound. - il duca ritrasse la mano, lentamente, senza distogliere lo sguardo da lei.
- Eh? L'invito non è più valido? - protestò Miku, quando vide la mano sparire: "Hai rovinato la tua unica occasione! Sei un'idiota, Miku!".
- Non mi sembrate molto convinta ad accettare. - il suo sorriso si era fatto ancora più strano.
Aveva l'impressione di starsi perdendo una buona fetta di sottointesi.
- Non è questo... - cercò di scusarsi lei: - ... è che con quell'espressione non siete esattamente il ritratto del rassicurante... - distolse lo sguardo, le guance roventi. Non erano cose carine da dire, ma non sapeva come altro esprimersi. Portò i pugni al petto, indecisa sul da farsi.
- ... signorina Fairsound? -
- Sì? - tornò a guardare Gakupo Kamui: l'espressione strana era completamente svanita, sostituita da una... preoccupata?
- C'è una cosa che devo chiedervi. -
- Un'altra? -
- Sì. -
- Uhm, dite...? -
- Voi... vi vestite come è consono al vostro sesso? -
Silenzio.
- ... prego? -
- E' vostra consuetudine abbigliarvi come una persona del sesso opposto al vostro? -
- ... mi state chiedendo se sono una crossdresser? -
- Se per "crossdresser" intendete un uomo che si veste da donna o viceversa, la risposta è sì. -
Silenzio.
- ... sapete, signor duca portinaio... - sforzò il sorriso più ampio che potè, conficcò le unghie nei palmi: - ... è stato davvero scortese da parte mia dirvi cose simili, ma non c'è alcun bisogno di fare battute così pietose sulla mia prima. -
Gli occhi del duca erano sgranati: - Temo abbiate frainteso. -
- Oppure no. - Miku si voltò, diretta non aveva neppure lei idea di dove: - I miei omaggi, signor duca portinaio. Arrivederci. -
- Non era quel che intendevo, signorina! - dei passi alle sue spalle.
- Non vedo cos'altro avreste potuto intendere con una battuta tanto triste. - non cambiò direzione, sempre dritta, prossima allo sbattere il naso contro la gamba del tavolino di cristallo.
E invece quasi si schiantò contro Gakupo Kamui.
Che l'aveva raggiunta e superata.
Che la guardava.
Male.
"Lui guarda male me?"
- Dovreste evitare di considerare le vostre opinioni delle verità assolute. -
- Vorreste forse dirmi che c'è un significato profondo e facilmente equivocabile in una battuta tanto penosa? - Miku sventolò la mano, come a scacciare quell'idea: - Per favore. -
- Vi posso assicurare che è così. -
- Se anche fossi un uomo, che problema vi darebbe? Mica dovete trascinarmi nel vostro castello per fare di me una delle vostre amanti! -
Il duca inarcò di nuovo le sopracciglia: - Vi siete fissata con questa idea. -
Fece per rispondere, quando realizzò una cosa.
Non doveva voltarsi.
Non doveva.
Doveva solo-
Con una giravolta, scattò verso la porta bianca lasciata incustodita.
Tre metri... due metri... un metro... - quanto diamine si era allontanata?
Allungò una mano.
E si sentì soffocare.
Qualcosa con violenza contro il collo, il respiro mozzato.
Le mani corsero lì, trovando il colletto del vestito che la stava soffocando, tirato da-
Aria.
Trasse un profondo respiro, recuperò quanta più aria possibile.
Le gambe tremavano.
Lanciò un'occhiataccia a Gakupo Kamui, di nuovo tra lei e la porta: l'aveva afferrata per la collottola, letteralmente. E l'aveva quasi soffocata, così facendo.
- Tsk. - Miku si voltò di nuovo, tornando a dirigersi verso il tavolino di cristallo: - Entrerò. Sappiatelo. -
- Buona fortuna. - stavolta non la seguì. Probabilmente, sarebbe rimasto lì davanti alla porta finché lei non se ne fosse andata.
"Quando me ne sarò andata, sarà perché sarò entrata in quella porta!".
Era già arrivata davanti alla gamba di cristallo. Non avrebbe potuto proseguire la sua camminata indispettita.
E, soprattutto, doveva trovare un modo per entrare.
Alzò lo sguardo: da lì sotto, riusciva a vedere la scatoletta di Mangiami e la bottiglietta Bevimi sopra al piatto trasparente.
"Un attimo!" le venne in mente: "Se le Mangiami mi rimpiccioliscono, forse la Bevimi mi ingrandisce...?"
Gettò una rapida occhiata a Gakupo Kamui, da sopra la spalla: era ancora lì, davanti alla porta.
"Ma certo! Se tornassi della mia misura, lui non potrebbe nulla contro di me!".
In pochi secondi, realizzò un piano: "Proverò la Bevimi. Se mi ingrandisce, allora potrò prendere il signor duca portinaio e spostarlo lontano dalla porta. Poi mangerò un'altra Mangiami, tornerò piccola e potrò passare!".
Sempre sperando che la Bevimi avesse un effetto opposto alla Mangiami.
Aveva proprio voglia di una Pop Candy.

- Ouch! -
Si rialzò piano, massaggiandosi i fianchi - massaggiarsi il fondoschiena davanti ad un'altra persona non le sembrava eccessivamente educato; una volta tanto, era riuscita ad atterrare in piedi, salvo poi sbilanciarsi con le particelle di ossigeno e argon e cadere all'indietro - di fondoschiena, per l'appunto.
Alzò lo sguardo fino alla cima del tavolino, sospirò: non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando aveva iniziato a (provare a) scalare la gamba di vetro; aveva persino perso il conto di tutte le volte in cui era scivolata.
L'unica cosa di cui era certa era di essere riuscita a scalarla per ben due centimetri. O forse millimetri, vista la sua altezza.
"Avresti dovuto prenderla mentre ti rimpicciolivi!" si allontanò di qualche passo, senza staccare lo sguardo: "A mia discolpa, posso dire che l'avrei senz'altro fatto, se avessi saputo l'effetto della Mangiami in anticipo!".
Dopo qualche minuto di profonda osservazione, giunse alla conclusione che il piano "Scalare il tavolino" era da scartare, causa sua diversa capacità nel free-climbing su superfici perfettamente lisce.
"Pensa, Miku, pensa!" si premette le mani contro le orecchie, come a voler isolare qualsiasi - inesistente - suono: "Ci deve essere un modo per raggiungere quella Bevimi! Anche lei lo vuole! Altrimenti non si chiamerebbe "Bevimi", no?".
Si bloccò.
Riportò le mani lungo i fianchi e si riavvicinò, fino a trovarsi esattamente sotto la bottiglia: "Se io non posso andare da lei, allora..."
- ... sarà lei a venire da me! - sorrise, trionfante: niente e nessuno avrebbe potuto separare due innamorate! (?)
"Io non posso salire..." fece qualche passo indietro, i pugni serrati: "... quindi è lei a dover scendere."
Un tavolino trasparente, con un'unica gamba centrale a sostenere un piatto rotondo. Forse, se si fosse mossa troppo velocemente, avrebbe finito con il farlo sbilanciare con conseguente crash.
Annuì da sola. Con la sua altezza originaria, sarebbe stato molto più facile, ma anche così piccola avrebbe potuto provare a fare qualcosa.
Aveva giocato abbastanza videogiochi da sapere come abbattere nemici giganti e affrontare l'ovvia conseguenza. L'unicissima, insignificante cosa che le mancava era l'agilità anti-legge fisica dei protagonisti dei videogiochi. Ma ci avrebbe pensato al momento opportuno.
Raggiunse la carta verde della Mangiami, vi si stese sopra, afferrò due lembi laterali e rotolò di lato, avvolgendosi nella carta - e nel profumo di menta. Era più saggio indossare qualche protezione.
Con sollievo, constatò come la carta non fosse troppo rigida, permettendole di mettersi in piedi; una volta dritta, stretta nella carta, zampettò verso la gamba di vetro più velocemente che potè - e le parve di sentire su di sé uno sguardo strano, ma non "strano", "strano" nel senso di un very british "WTF?".
Giunta a qualche metro - o centimetro - dalla gamba, trasse un profondo respiro, serrò gli occhi, prese la rincorsa e si lanciò contro il vetro.
La carta attutì appena il colpo, ma non fece poi così male.
Fece molto più male l'atterraggio sul pavimento.
"L'ho sentita spostarsi un po'!" si raggomitolò, per poi rialzarsi: "Allora forse questa è la soluzione giusta!".
Zampettò dov'era prima - le braccia le facevano un po' male -, riprese la mira, chiuse di nuovo gli occhi e, dopo una breve rincorsa, si scagliò contro la gamba con più energia di prima.
Tump. O un rumore simile.
E cadde di nuovo sul pavimento. Stavolta, i lividi sulle braccia non glieli toglieva nessuno.
A terra, Miku riaprì lentamente gli occhi, lo sguardo verso la bottiglietta: le parve fosse qualche centimetro più in là.
In realtà, tutto il piatto le pareva essere qualche centimetro più in là.
"Forza, un'altra volta!" si rialzò - soffocò un mugolìo di dolore ad una fitta alla schiena, che neppure si era accorta di aver sbattuto - e trotterellò di nuovo dove di dovere.
"Posso farcela!" chiuse gli occhi: "E' il momento!" prese la rincorsa e si lanciò.
Il vetro spesso contro una spalla.
Il vuoto.
Ma lei era ancora in verticale.
Riaprì gli occhi.
Il pavimento era più lontano del previsto.
E l'ombra del tavolo trasparente più grande di prima.
Si lasciò cadere in avanti.
Una botta violenta ad un braccio, si spinse di lato, si lasciò rotolare, perse la carta verde per strada, continuò a rotolare, finì con lo scivolare prona per metri - e forse erano davvero metri -, le orecchie colpite da un boato, la testa vorticante.
L'esplosione finì prima della sua scivolata.
Quando Miku finì ai piedi di una delle tende, potè fare il conto dei danni: le braccia, soprattutto dalle spalle ai gomiti, avrebbero preferito rimanere immobili per svariato tempo; le ginocchia protestavano, ma in misura nettamente minore e poteva anche ignorarle; la schiena mandava fitte a caso, in punti che non sapeva neppure ci fossero, con frequenza a sua discrezione; i timpani pulsavano, un curioso coro con il suo cuore impazzito che stava anche iniziando a fare un po' male; la testa era momentaneamente non raggiungibile e aveva messo come musichetta d'attesa il boato dell'esplosione in loop continuo.
Dopo un tempo imprecisato, la testa tornò e il rumore si attenuò fino a scomparire.
Solo allora Miku potè alzarsi - e, anche se usò le mani, le spalle si lamentarono lo stesso - e guardare il tavolino di vetro.
La sala, anzi.
La gamba di vetro ricopriva almeno metà della sala, con i suoi milioni di pezzi più o meno grandi - un paio erano arrivati anche vicino a lei; il piatto era dall'altro lato di dove si trovava e non riuscì a vederlo bene.
Piano piano, si fece largo tra i pezzi trasparenti a terra. Forse, a vederla dall'alto, la sala doveva risultare illuminata di tante piccole lucine colorate, come una di quelle grotte scenografiche con tanti giochi di luce sull'acqua proiettati sulle pareti.
"Uhm, però, se la Bevimi può ingrandirmi di nuovo, potrei finire per farmi male...?" notò la suddetta bottiglietta all'orizzonte: "Dovrò stare attenta.".
Si avvicinò piano - avrebbe voluto correre, ma si era appena accorta di come anche la schiena fosse coinvolta nel processo di corsa - e, con un certo stupore, constatò come il piatto si fosse semplicemente sgretolato sul bordo e spaccato in due metà non proprio perfette - le Mangiami avevano più superficie della Bevimi. Curiosamente, se un po' di caramelle erano saltate fuori dalla scatoletta, la bottiglietta era rimasta integra.
- Finalmente! - le gettò le braccia al collo, constatando come fosse alta esattamente quanto lei: - Ora sono libera di berti! -
Era il momento di vedere se la sua intuizione fosse giusta. Con delicatezza, tolse il tappo di vetro - più pesante di quanto pensasse - e lo posò a terra - sul piatto. Si mise in punta di piedi, allungò una mano all'interno della bottiglietta e ne riemerse con del liquido verde.
Lo portò al viso, l'odore le invase i polmoni: sapeva di-
"Succo vegetale!" azzardò un assaggio. Si trattenne dall'urlare: "Negi!" e di mettersi a saltellare. Trangugiò tutto il contenuto della sua mano a coppa, per poi rimettere dentro la bottiglietta entrambe le mani, fin dove riusciva ad arrivare.
Quando riuscì a malapena a sfiorare il succo con le punte delle dita, inclinò la bottiglietta, una mano a sostenerla, una a prendere la Bevimi verde.
"E' buonissimo!" lanciò un'occhiata all'interno, il liquido che ormai riempiva solo metà bottiglia: "Non sapevo esistesse un succo di negi!"
- Fossi in voi, smetterei di continuare a bere quella bevanda, signorina. -
Miku alzò lo sguardo: Gakupo Kamui aveva fatto ben due passi avanti, il viso nella sua direzione.
- E perché mai? -
- Potrebbe avere effetti poco piacevoli. -
"Effetti poco piacevoli?" sbattè le palpebre: - Ma... è succo vegetale! - mandò giù un'altra sorsata dalle mani a coppa: - I vegetali sono buoni! Traboccano di sostanze nutritive! - si alzò - e non si era neppure accorta di essere ormai in ginocchio, la bottiglia in orizzontale: - Tutti arriveranno ad amare il succo vegetale! Il succo vegetale è importante! E' buonissimo! Squisitissimo! Deliziosissimo! - prese un altro po' di quel che rimaneva nella bottiglia: - In particolare, io consiglio quello verde! -
- Ha anche effetti collaterali imprevisti, noto. - le era parso che il duca portinaio avesse sospirato.
"Eh...?"
- Ma anche voi desiderate il succo vegetale, vero? -
- Prego? -
Miku gli corse incontro - con un invidiabile slalom tra i pezzetti di vetro -, le guance che iniziavano a far male per il sorriso che le tirava le labbra: - Anche a voi piace il succo vegetale, no? Ho deciso di sì, l'ho deciso adesso! - con grande spirito di condivisione, gli porse le mani a coppa piene di Bevimi: - Su, bevetelo! Avanti, dai! -
Una mano inguantata: - No, grazie. -
- So che anche voi lo desiderate! Avanti, avanti, bevete, bevete! -
- Non avevo mai visto nessuno ridursi in questo stato per un po' di succo vegetale. -
"Perché continua ad esitare?" - E costa solo 200 yen! -
- Veramente è gratuito. -
- Allora lo bevo io! - "Peggio per lui!" e bevve tutto il contenuto nelle sue mani.
Era buonissimo. Quanto di più buono avesse mai bevuto. Era felicissima. Tanto felicissima. E forse c'era ancora del succo, nella bottiglietta!
Fece dietrofront e saltellò verso la Bevimi. Si fermò, fece una giravolta: - Po Pi Po Po Po Pi Po! - saltellò: - Po Pi Po Po Po Pi Po! - un'altra giravolta: - Po Pi Po Po Po Pi Po! - saltellò: - Po Pi Po Po Po Piiiiiiiiiiiiiiiiii! - una giravolta, un'altra giravolta, un'altra giravolta, e franò a terra.
"... ho come l'impressione di aver dimenticato- Ah, ma non si supponeva io diventassi più grand-"
Qualcosa sbattè con violenza contro un piede, si ritrovò a dover piegare il ginocchio, i denti batterono per il contraccolpo.
Si affrettò a mettersi seduta, qualcosa le punse una mano, dovette appoggiare l'altra contro il muro-
"Muro? Ma io ero distante dal-"
Entrambe le spalle sbatterono contro i muri ai suoi lati, il ginocchio era ormai del tutto piegato, l'altra gamba era piegata in orizzontale, la stanza era diventata piccolissima, strettissima e-
Miku alzò la testa.
Ma un dolore acuto tra le code dei capelli la bloccò.
Le uniche cose libere di muoversi furono le sue corde vocali e le sue labbra, che fecero risuonare un: - AHI! - per tutta la stanzetta.
Aveva fatto male.
Tanto male.
Non era bello dare craniate al soffitto.
Miku tirò su col naso, gli occhi che bruciavano: "Non posso mettermi a piangere." tirò su col naso di nuovo: "Non posso. No. Sono troppo grande per fare cose simili." tirò su col naso: "Però posso lamentarmi."
- Ahia... - gemette, e provò a toccarsi il punto colpito; soltanto una mano era disponibile, l'altra era bloccata sul pavimento dal suo stesso corpo e da una parete. Tuttavia, la testa e, soprattutto, il suo bernoccolo erano perfettamente a contatto con il soffitto e toccarli risultò impossibile.
Le guance di Miku si bagnarono.
"No! Niente lacrime!"
Le gocce scivolarono lungo il viso, fino al mento, per poi cadere.
"Niente lacrime, Miku!"
Sbattè le palpebre: "... ma io non sto piangendo." alzò lo sguardo, per quanto le era possibile: "... crepe...?" le sembrava di vederle proprio dove aveva sbattuto la testa. Sembravano una vasta ragnatela finemente intagliata nel soffitto. Una ragnatela imperlata di goccioline di rugiada.
O forse lei aveva rotto il soffitto e le tubature dell'acqua.
"Oh, no, no, no, nonononono-"
Trattenne il respiro e serrò gli occhi: la cascata d'acqua la colpì in viso con precisione millimetrica, con talmente tanta forza che, se non avesse già provveduto da sola, le avrebbe tolto il respiro.
Dopo qualche secondo, l'aria.
Miku riaprì gli occhi e prese una boccata d'aria, sbattè le palpebre, si passò la mano libera sul viso. Almeno non aveva mandato giù acqua, né dal naso né dalla bocca.
Inspirò, espirò, inspirò, espirò, il cuore che batteva forte e la testa che pulsava.
"... mi sa che ho fatto un disastro." titubante, abbassò lo sguardo: l'acqua le arrivava quasi al petto, un ginocchio emergeva a stento, le due metà del piatto galleggiavano placide, con la scatoletta e la bottiglietta, circondate dai pezzetti di vetro più leggeri.
Per qualche miracolo divino, l'acqua era ad almeno due spanne di distanza dai riflettori, che le stavano cuocendo le braccia e che non erano stati coinvolti nella sua crescita improvvisa.
Anche se, a guardarli bene-
"... dove sarebbero i cavi...?" erano riflettori accesi e appesi alle pareti. Fine. Non c'erano cavi: "... forse funzionano a batterie...?".
Scosse la testa - col pensiero, perché farlo davvero era triplamente difficile: per la posizione, per la botta e per un certo stordimento di fondo.
- Devo tornare piccola! - con la mano libera, prese una Mangiami verde e la scartò direttamente sulle sue labbra, per poi mangiarla.
"Spero faccia effetto subito..." la Bevimi non aveva fatto effetto immediato. Forse si sarebbe dovuta contenere, nel berla. Forse era stata la sua ingordigia a farla crescere di botto in quel modo tanto brutale. "Forse il signor Gakupo Kamui intendeva questo...?" sbattè le palpebre, la stanza che si faceva sempre più grande, il soffitto distrutto sempre più lontano: "... a proposito, che fine ha fatto...?".
Si guardò intorno, ora che la testa era libera di muoversi e lo stordimento iniziava a scemare: "Oh! Sarà mica-" le pareva decisamente lui, quella figura seduta su un pezzetto di vetro galleggiante. Non per qualche strano motivo, ma perché percepiva il suo sguardo irritato trapassarla da parte a parte.
"Sicuramente andrà a dirlo al padrone di casa!" la stanza si faceva sempre più grande: "Oppure... alla regina?" si portò le mani alla bocca: "Ma... ma... non è stata colpa mia! Non del tutto, almeno.".
Aria. Troppa aria.
Guardò in basso: si era rimpicciolita a mezz'aria. A metri dall'acqua.
D'accordo, poteva cadere gentilmente in un cilindro di terra con oggetti sospesi intorno a lei. Era una cosa fattibile.
Precipitare di peso per metri e metri no. Non con il pavimento visibile. O almeno, superficie d'acqua visibile.
Era una superficie d'acqua.
Non c'era niente di cui aver paura.
Stava semplicemente precipitando in acqua, l'acqua avrebbe attutito la caduta e lei sarebbe rimersa.
Non c'era niente di cui aver paura.
Non c'era niente di cui aver paura.
Non c'era niente di cui aver paura.
Era solo acqua.
Non pavimento.
Acqua.
Acqua.
Letteralmente, acqua.
Miku riemerse, le braccia mandarono fitte minacciose - e, se avesse continuato ad ignorarle, era probabile che entrambe le sue braccia sarebbero entrate in sciopero, dalle spalle ai gomiti, prendendo in ostaggio dai gomiti alle punte delle dita, polsi e palmi compresi.
"I vetri!" doveva individuare la scatoletta o la bottiglietta: lì avrebbe trovato almeno dove uscire dall'acqua.
Si guardò intorno.
Si voltò.
Tornò a guardare davanti a sè.
Acqua.
Solo acqua.
Piatta.
Perfettamente piatta.
"Dove...?" era sicurissima che prima ci fossero. Li aveva visti: "... ehi...?" si voltò. Non c'era niente. E nessuno. Neppure Gakupo Kamui.
Trasse un profondo respiro e s'immerse: sott'acqua, la stanza era esattamente come prima - se non per i lembi delle tende che fluttuavano -, ma senza vetri. Tutti i vetri erano spariti.
E la porticina era lontana. Terribilmente lontana.
"... per quando arriverò lì, sarò senz'aria." e non sarebbe neppure stata in grado di tornare in superficie in tempo. E non era neanche sicura di riuscire ad aprirla. Soprattutto se era chiusa a chiave e le chiavi le aveva il portinaio svanito nel nulla insieme alle cibarie - e ai vetrini.
Tornò su, riprese fiato.
"... e ora...?"
Non poteva andare avanti. E qualcosa le diceva che anche la stradina da cui era venuta era ormai bloccata.
"... dovrò aspettare che arrivi il proprietario e faccia scorrere via l'acqua...?"
Certo, si sarebbe senz'altro presa una bella sgridata. E forse avrebbe anche dovuto pagare tutti i danni.
"... intanto, però, faresti bene almeno ad uscire dall'acqua." già vedeva la pelle delle dita tutta raggrinzita. Nondimeno, rischiava di prendere un raffreddore.
Nuotò a caso, per quanto le braccia glielo permettessero. Ma, di posti dove trovare riparo, niente.
"E se non arrivasse nessuno fino a domani?" un dubbio improvviso: "Finirei con l'addormentarmi qui...?". Forse avrebbe avuto qualche problema con il cibo, ma era noto che gli esseri umani potessero sopravvivere senza cibo qualora avessero acqua a disposizione - e quella decisamente non le mancava.
"Forse farei fatica a trovare una posizione comoda per dormire..." la stella era la più fattibile. Il morto a galla rischiava di tradursi in qualcosa di letterale. "... e se non venisse nessuno?" si guardò intorno, di nuovo, ma nulla era cambiato, se non l'intensità del suo cuore contro i timpani: "... e se rimanessi bloccata qui per sempre?" alzò gli occhi, verso i riflettori. Erano roventi, li aveva sentiti prima sulla pelle, eppure stava iniziando a sentire freddo: "E se l'acqua non evaporasse? E se nessuno venisse a salvarmi?" tanto freddo. Fin dentro le vene.
"Io non..."
- EHI! C'E' NESSUNO? - gridò, nuotò ignorando le fitte alle braccia e alla schiena: - QUALCUNO MI AIUTI! SONO BLOCCATA QUI- - qualcosa le si bloccò in gola, mozzandole il respiro. Tossì e buttò fuori acqua. Inspirò e urlò di nuovo: - C'E' NESSUNO? AIUTO! SIGNOR PORTINAIO! SHOTA USAMIMI! - soltanto il rumore delle onde che produceva lei stessa muovendosi: - QUALSIASI QUALCUNO! - inspirò, espirò, cercando di non ingoiare di nuovo un numero imprecisato di centilitri d'acqua. "Almeno non è salata.".
Andò ancora più avanti, senza neppure sapere dove stesse andando, cercando almeno di individuare lo stipite del portone disegnato o le parti superiori delle tende: - EHI!- -
- DONNA IN MARE! -
Il cuore sussultò: "Eh?"
- DONNA IN MARE AD ORE DUE! VIRARE A DESTRA! -
Miku si voltò: una voce femminile, incredibilmente giovane. Talmente giovane, in effetti, da essere una vocina bianca.
E una mela.
A pochi metri - centimetri? - da lei c'era una mela galleggiante, che virava felice nella direzione opposta a dove si trovava lei.
- L'altra destra. -
E la mela, con un magistrale testa-coda, si girò e navigò nella sua direzione.
"Soccorsi...?" si portò le mani al petto, contro il cuore impazzito, in attesa.
Ora che la mela era vicina, riuscì a notare come la parte superiore non fosse attaccata, e che anzi rimanesse un po' distante dal resto causa binocolo.
La parte superiore, di colpo, si slanciò all'indietro, come un coperchio, e il binocolo scomparve; dal bordo della mela fece la sua comparsa il viso di una bambina dai grandi occhi nocciola. O forse erano verdi. Qualcosa del genere. Di sicuro erano grandi.
- Sei tu che chiamavi aiuto? - la vocina sembrava quasi sospettosa.
Miku si guardò intorno, giusto per accertarsi non ci fossero altri naufraghi: - Ehm... sì...? -
Gli occhioni si sgranarono: - Oh, poverina! - e la voce divenne sinceramente preoccupata: - Non temere, ti salviamo noi! - una corda cadde in acqua, tesa sulla buccia rossa: - Scala la mela e vieni qui! -.
Miku aveva ancora freddo, ma un barlume di calore si accese al centro del suo petto: "Soccorsi..." tuttavia, era meglio obbedire, che sentiva il naso farsi fin troppo ghiacciato.
In realtà, sarebbe potuta entrare anche solo aggrappandosi lì dov'era il binocolo ma, dato che la bambina le aveva detto di scalare, afferrò la corda; poi si issò dai bordi, lasciandosi cadere all'interno della mela con la grazia di un pezzo di biscotto che si staccava a due millimetri dalla bocca di chi lo aveva in mano e si schiantava sul pavimento.
C'era un buon profumo, lì. Profumo di mela. Ed era asciutto. O almeno, lo sarebbe stato se i suoi capelli e i suoi vestiti non avessero sgocciolato ovunque.
- Povera donna in mare. - un asciugamano sulla schiena, e in faccia: - Asciugati. -.
Miku si mise seduta e provvide; poi si mise in piedi - con cautela, che la mela non era quanto di più stabile ci fosse - e si strizzò i capelli fuori. Fece lo stesso con la gonna, ma per quella dovette allagare un po' l'interno.
Anche se non sembrava esserci alcun problema, dato il marchingegno grigio rettangolare in un angolo arrotondato.
- Cos'è? - chiese, indicandolo.
- Oh, è un deumidificatore. - rispose la bimba, impegnata ad armeggiare con un piccolo zainetto rosso: - E' molto utile in casi come questo! -
E, in effetti, a guardare bene per terra, l'acqua che aveva sgocciolato era scomparsa.
- Rapido... -
- Eh, già. - la bimba annuì: - Ora però abbassati, altrimenti Ryuuto non può chiudere. -
"Ryuuto?" Miku si mise in ginocchio e si voltò, appena in tempo per vedere un bambino verde chiudere il coperchio-mela.
Sul serio, era verde. Maglietta a maniche corte, pantaloncini, scarponi forse il triplo dei suoi piedi, capelli corti, occhioni; solo la pelle non era verde, ma rosata come la sua e quella della bambina.
"... non mi ero accorta..." in effetti, però, la voce della bambina aveva dato ordini a qualcuno, prima.
Si guardò intorno, fosse mai che apparisse qualche altro bambino. Niente: solo Ryuuto, il deumidificatore, le pareti della mela, la bambina, lo zainetto e uno scaldabagno.
Sbattè le palpebre: la bambina aveva messo a terra quello che era indiscutibilmente uno scaldabagno scuro. Le manine andarono allo zainetto, per poi riuscirne con mezzo limone; la bimba raccolse la presa dello scaldabagno e la conficcò nel frutto. Un attimo dopo, la ventola iniziò a girare e la mela si riempì di un piacevole calore.
Colta da un improvviso dubbio, Miku guardò di nuovo il deumidificatore: come sospettava, ben nascosta, la presa era nell'altra metà del limone.
- Credo sia il momento di fare le presentazioni. - la voce della bimba le fece portare di nuovo lo sguardo su di lei; era seduta, Ryuuto al suo fianco.
- Io mi chiamo Yuki. Piacere! -
A guardarla bene, come Ryuuto era verde, Yuki era rossa: la gonna era rossa, la maglietta con le bretelle era rossa, i fermagli che le tenevano le codine erano rossi. I capelli e le scarpe, tuttavia, erano marroni - anzi, i capelli erano castani, perché i capelli non sono "marroni" ma "castani" - e la camicetta con le maniche a sbuffo era di un bianco immacolato, così come i calzini.
Nel complesso, era il perfetto ritratto della bimba graziosa e innocente. Le fece tenerezza.
- E lui è Ryuuto. - presentò Yuki, con un sorriso.
- Piacere. - Ryuuto chinò appena la testa.
Aveva una vocina ancora più acuta di quella di Yuki. E un po' nasale. E aveva gli incisivi di un roditore. Sembrava un topolino verde. Era tenero anche lui, a suo modo.
- Io sono Michelyne Alice Lydia Fairsound. - sorrise: - Ma tutti mi chiamano Michelyne per fare prima. O Miku. -
Due paia di occhi perfettamente rotondi.
- Che nome lungo... - sussurrò Ryuuto, quasi ammirato.
- E' davvero tutto il tuo nome? - chiese Yuki, stupita.
Miku annuì: - Sì! Anche se, in realtà, il mio nome sarebbe MichelyneAliceLydia, soltanto che all'anagrafe l'hanno scritto male e sulla carta d'identità ci sono gli spazi in mezzo. -
- Capisco... - i due bambini si scambiarono un'occhiata.
Non le piacevano i bambini che si scambiavano occhiate. Di solito significava che stavano tramando qualcosa di affine alla distruzione totale nel raggio di sedici chilometri.
Almeno, non sorridevano, né ghignavano. In quei casi, il raggio di polverizzazione aumentava a venti chilometri.
- Etciù! - si portò una mano al naso: "Ecco, lo sapevo."
- Oh, no, non ti sarai presa il raffreddore? - Yuki mise mano allo zainetto, preoccupata: - Non temere, qui starai al caldo! - e le manine riemersero con una trapunta rossa, che finì presto sulle sue spalle.
Improvvisamente, Miku comprese da dove fossero usciti gli asciugamani, il deumidificatore, lo scaldabagno e i limoni.
- Senti, Miku... -
- Sì? - guardò Yuki.
- Ma cosa ci facevi in acqua? -
"Beh, era ovvio che volessero saperlo..." e raccontò ai due bambini tutto ciò che era successo nelle ultime N ore, dallo Shota Usamimi al duca portinaio, dalle Mangiami alla Bevimi, dai vetri alle tubature.
Yuki e Ryuuto non distolsero lo sguardo neppure per un istante, silenziosi, come rapiti dal suo racconto.
Soltanto alla fine, la bambina sospirò: - Ah, le tubature sono piuttosto fragili. Ci vuole un niente per romperle. - sventolò una manina: - Non preoccuparti, succede almeno una volta alla settimana. Tra poco l'acqua sarà andata via, in qualche modo. -
"In qualche modo...?" se non altro, il fatto che simili allagamenti fossero normali la rincuorò circa la possibilità di essere sgridata e di dover pure ripagare i danni.
- Voi, invece...? - azzardò a chiedere.
- Noi ne approfittiamo sempre per fare un giro in mela! - sorrise Yuki: - Il maestro non vuole che lo facciamo perché dice che potrebbe essere pericoloso, quindi non ci lascia mai andare in mela per i laghi o i mari. -
Ryuuto annuì, come a voler dare più incisività alla frase della bambina: - E neppure per i fiumi. - aggiunse, timidamente.
- Oh... - non sapeva cos'altro dire: "Beh, sì, forse è pericoloso, ma se sono così esperti, forse...".
- Beh, abbiamo un sacco di tempo davanti a noi! - Yuki giunse le mani: - Il racconto di Miku è stato interessante! Che ne dite di raccontarci qualche storia? -
- Mi sembra un'ottima idea... - l'entusiasmo di Miku si smorzò insieme al tono della frase non appena lei notò Ryuuto rabbrividire.
- Che bello! Finalmente qualcuno che vuole raccontare qualche bella storia! - il sorriso di Yuki divenne più ampio.
- Yuki... -
- Allora comincio io, che ne dite? Volete leggende o storie in prima persona? Perché l'hitori kakurenbo di stanotte è stato davvero entusiasmante, stavo quasi per ingoiare l'acqua e il peluche è stato vicino allo scoprirmi! -
- Yuki... -
- Oppure posso raccontarvi della seduta con la ouija di stamattina? E' molto più precisa dell'oroscopo, sapete? Soltanto che mi ha lasciata andare dopo due ore, forse si era offeso che non gli avessi offerto un po' della mia colazione... -
Miku si sentì di condividere il facepalm di Ryuuto.
Sarebbe stata una lunga navigata.
Ma forse si sarebbe potuta rivelare interessante.






Note:
* "Quando ho aperto gli occhi...": Alice in Musicland [Traduzione]
* L'inforigurgito (o infodump) è una poco simpatica "tecnica" narrativa che consiste nell'interrompere di colpo la narrazione per riversare addosso al lettore una valanga di informazioni - spesso e volentieri inutili - piuttosto che integrarle man mano nella storia.
* Pop Candy: riferimento alla canzone We are Pop Candy.
* Non c'è bisogno che spieghi del Duca di Venomania, vero? U__U
* "la Principessa Verde che combatte contro un gattino magico": riferimento a Magical Nuko LenLen.
* Non c'è bisogno che spieghi di Hagrid, del custode delle chiavi e della scuola di magia, no? XD
* Allo stesso modo, non credo ci sia bisogno di spiegare perché mai il Duca di Venomania voglia accertarsi del sesso della dolce fanciulla con lo sguardo basso e i pugni al petto.
* Il succo vegetale, così come svariate frasi seguenti, sono un ovvio riferimento a Vegetable Juice / Po Pi Po.
* L'hitori kakurenbo è un "gioco" giapponese che implica peluche, spiriti arrabbiati e armi bianche - nonché l'altissimo rischio di ferite permanenti o defunzione.
(Se conoscete la serie Shuuen no Shiori, sapete di cosa si tratta.)
* La ouija è una tavola che si dice permetta di comunicare con gli spiriti e i defunti; anch'essa può portare a conseguenze poco felici.




Salve! *O*/
Sì, sono tornata e, sì, sono tornata con una long.
Long la cui lunghezza è ignota anche a me - quindi no, non dirò che sono previsti tot capitoli ah scusate se n'è aggiunto un altro no scherzavo è lunga il doppio di quanto previsto. U____U
(Lo so che, per me, iniziare a postare una long senza ancora averne scritti tutti i capitoli... .___."")

E' una long un po' strana - più del solito: i libri di Alice non mi dispiacciono affatto, mi piacciono le venti miliardi di versioni uscite negli animangagiochi, ma non pensavo sarei finita con il fare una storia che li richiamasse. °^°
Come si può argutamente dedurre, è ispirata ad Alice in Musicland. Molto lontanamente ispirata.
Diciamo che di uguale ha solo i personaggi principali e qualche citazione.
Il resto credo si possa riassumere in "minestrone di canzoni". O "minestrone" e basta.
Con alcune canzoni con un ruolo nettamente più importante delle altre.
In aggiunta, già dal titolo si può argutamente dedurre 2 che si tratta di un miscuglio con entrambi i libri di Alice.
Mi scuso con tutti i fans di Alice, di Lewis Carroll e di tutta la simbologia e riferimenti dietro a questi libri. (!)

Questo delirio è ambientato nel presente?
Un presente alquanto particolare e con abbigliamenti curiosi, ma direi di sì.
Quanto al nome completo di Miku, si sarà intuito, è tratto dal nome della vera Alice - dove "Lydia" sta per "Liddell"; "Fairsound" significa "Primo suono", a richiamare "Hatsune".
(Almeno, avevo trovato che "fair" significasse anche "primo". Ora non lo trovo più. Giustamente. Ma intendevo quello. (!?))

Spero che questo primo capitolo vi sia stato gradito. ^^
Se ci sono consigli da darmi o critiche da farmi, dite pure. ^^
  
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