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Autore: verystrange_pennylane    06/07/2015    4 recensioni
Era stato John a cominciare quella maledetta tortura. Aveva trovato una canzone perfetta per Paul, anzi no, cosa gli aveva detto? Ah sì, una canzone che gli aveva fatto pensare immediatamente a Paul.
Certo, poi si era affrettato ad aggiungere una frase acida e tagliente delle sue, una che suonava molto come
“E’ talmente melensa che solo tu e Carl Perkins potreste cantarla.”
Eppure, quando Paul aveva finalmente preso in mano il testo per la prima volta, si era sentito arrossire. Perché sì, loro ne cantavano tante di canzoni d’amore, ma quella era una delle poche che era stata in grado di colpirlo davvero.
Di fargli battere il cuore più velocemente.
Di fargli pensare ad una persona. Una persona a cui si sforzava di pensare il meno possibile. O almeno, non in quei termini.
Ovviamente con scarsi risultati.
*
Buon 58esimo anniversario, John e Paul ♥
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sure to fall (in love with you)




Era stato John a cominciare quella maledetta tortura. Aveva trovato una canzone perfetta per Paul, anzi no, cosa gli aveva detto? Ah sì, una canzone che gli aveva fatto pensare immediatamente a Paul.
Certo, poi si era affrettato ad aggiungere una frase acida e tagliente delle sue, una che suonava molto come
“E’ talmente melensa che solo tu e Carl Perkins potreste cantarla.”
Eppure, quando Paul aveva finalmente preso in mano il testo per la prima volta, si era sentito arrossire. Perché sì, loro ne cantavano tante di canzoni d’amore, ma quella era una delle poche che era stata in grado di colpirlo davvero.
Di fargli battere il cuore più velocemente.
Di fargli pensare ad una persona. Una persona a cui si sforzava di pensare il meno possibile. O almeno, non in quei termini.
Ovviamente con scarsi risultati.
Aveva stretto con le mani sudate il foglio già stropicciato dalla pioggia e dalla noncuranza, e ancora con John che lo fissava come un bambino, gli occhi miopi sgranati e pieni di eccitazione e aspettativa, Paul aveva canticchiato il ritornello, sbagliando un paio di note.
Alla fine, cercando di calmare i battiti violenti del proprio cuore si era limitato a stringersi nelle spalle e ad abbozzare un “sì, mi piace abbastanza.”.
Dire che da quel momento la sua quotidianità si fosse trasformata in una maledetta tortura forse era un tenero eufemismo. Era un supplizio, un martirio, un vero e proprio tormento e un sacco di altre parole poco carine che alla scuola di grammatica avrebbero definito come “sinonimi della vita di Paul McCartney”.
Provavano e riprovavano quella dannata canzone almeno una ventina di volte al giorno, cercando di perfezionarsi negli accordi e nei passaggi più difficili. Così Paul leggeva e rileggeva quelle parole, lasciando che gli entrassero nella pelle e nel cuore più di quanto non avessero già fatto. Pensava e ripensava a quanto quelle frasi semplici e banali fossero perfette per quello che provava e lo tormentava da troppi anni.
Poi alzava la testa, e quando i suoi occhi stanchi mettevano a fuoco il sorriso e lo sguardo di John Lennon, si sentiva morire.
E doveva smettere di suonare, di cantare, di pensare, perché quello che lo colpiva alla bocca dello stomaco era troppo intenso, troppo bello e troppo doloroso per fingere che non esistesse, e John si affrettava a mettere da parte la chitarra e ad avvicinarsi a lui e a chiedergli come stava, cosa avesse.
Gli ripeteva all’infinito che non importava se non riuscivano a prepararla per quel venerdì sera, al diavolo anche la serata all’Aintree institute, avevano un sacco di cavalli di battaglia.
Ma no, per Paul quella era una questione di principio, una battaglia contro se stesso e il suo stupido sentimento sbagliato. Forse, se fosse riuscito a cantare quella maledetta dichiarazione d’amore davanti a tutti avrebbe superato anche quella fase della sua vita.
Una fase che stava durando più del previsto.

Paul si leccò le labbra e aprì la bocca per iniziare a cantare, ma non uscì alcun suono. Nonostante la sua mano suonasse gli accordi con straordinaria sicurezza e senza alcun tipo di indecisione, l’emozione trovò il modo di uscire lo stesso, impedendogli di cantare come voleva davanti a John.
Non era da lui, James Paul McCartney, mostrare esitazione nel suo campo, la musica. Soprattutto davanti al suo migliore amico, a cui aveva insegnato lui come suonare la chitarra.
Fece finta di avere un improvviso attacco di tosse, e ricominciò con il primo giro di accordi.
Dio, poteva dire che quella era la prima volta che provava davvero quella melensa canzoncina d’amore senza alcun tipo di interruzioni. Avrebbe dovuto suonarla e cantarla tutta stavolta, se voleva portarla davanti al pubblico il giorno dopo, lo sapeva. Era la prassi, facevano sempre così, perché stavolta avrebbe dovuto essere diverso?
“Tutto bene, Paul?” una voce, di nuovo quella maledetta voce, lo riportò al presente. Un presente in cui stava per esibirsi davanti a John con quella dannatissima nuova canzone.
Un presente che gli parlava del passato, gli parlava della sua vita prima dell’arrivo di John, ma gli parlava anche del giorno in cui l’aveva conosciuto e il sole era tornato a splendere nella sua ordinaria esistenza da adolescente. E gli raccontava dei pomeriggi passati a fumare in camera di nascosto da Jim o da Mimi, parlando sottovoce dei mille sogni di sfondare e diventare famosi, dannatamente famosi.
Dio, come poteva davvero ignorare ciò che provava per John? Ignorarlo sarebbe stato come cancellare parte della sua vita. La parte più bella, cazzo.
Si morse il labbro in preda alla tensione, e per la terza volta Paul ricominciò il giro di accordi della canzone, lasciando che l’intro musicale gli entrasse nell’anima.
Sii uomo, Paul. Non fare la checca più di quanto tu già sia!
Si sentì iniziare a cantare, finalmente. Dio, ce l’aveva fatta! Ora sì che si riconosceva, questo era il vero McCartney.

I’m sure to fall
fall in love with you
I’m sure to fall in love with you.


John lo guardò sorridendo appena, Paul poteva sentire quegli occhi fissarlo divertiti per tutta la prima strofa, ma poi, meno male!, percepì l’altro abbassare lo sguardo per cominciare ad accompagnarlo con la sua chitarra nell’esecuzione del brano, e ringraziò il dio dei musicisti perché aveva deciso di dare a John uno scopo e un impegno.
Neanche il tempo di leccarsi le labbra per cominciare la seconda strofa, che i pensieri di Paul si fecero più violenti e irrazionali, ma anche più sporchi e caldi, e per un poco gli impedirono di proseguire a cantare.
Ma cosa gli stava succedendo?

You are so sweet
And so near
I’m sure to fall in love with you.

So hold me tight
let tonight be the night
Darling, don’t ever let me go.


Sentì John avvicinarsi a lui, spostando appena in avanti la sedia per accostarla alla poltrona, e per un secondo Paul pensò di interrompersi e di chiedergli cosa non andasse, ma Dio, se si fermava era perduto. Doveva finire quella dannatissima canzone.
Ciononostante, non poté impedire a se stesso di irrigidirsi nella stretta del basso, mentre il profumo di John gli solleticava le narici, il ginocchio si scontrava delicatamente contro il suo e l’aria si faceva incredibilmente carica di pensieri e sentimenti e calore.
Dio, quanto calore.

Loving you is the natural thing to do
I want you for the rest of my life.


Paul credeva sarebbe morto di caldo e rossore, mentre si accingeva a canticchiare il ritornello.
Certo, non si sarebbe mai immaginato di sentire la voce di John unirsi alla sua in un binomio perfetto.
Che fosse per quello che l’amico aveva all’improvviso deciso di avvicinarsi così tanto a lui?
Non importava il motivo, restava il fatto che Paul sentiva le mani tremare, e pensava che il cuore sarebbe esploso da un momento all’altro, lasciandolo completamente senza voce e senza fiato.
Una parte di lui gli gridava: “Ti stai dichiarando, Paul McCartney. Non stai più canticchiando la tua attrazione verso una ragazzina, ma ti stai ufficialmente dichiarando. Non ci sono aggettivi carini o giri di parole, stai solo gridando i tuoi sentimenti alla persona che ti sta di fronte.”

So hold me tight
Let tonight be the night
Darling, don’t ever let me go.


Ma poi, come in suo soccorso, intervenne la strofa successiva, e John smise di cantare con lui, mantenendo comunque la vicinanza tra di loro. E Paul lo ringraziò mentalmente, perché fanculo tutti i suoi maledetti pensieri, sentirlo così presente davanti a sé lo uccideva, eppure allo stesso tempo lo aiutava a restare vivo.
 Si incespicò in un accordo ma decise di proseguire lo stesso. Al diavolo la sua pignoleria, solo un’altra ripetizione del ritornello e sarebbe stato libero da quella maledetta tortura fino al giorno successivo.

Loving you is the natural thing to do
I want you for the rest of my life.


Di nuovo, la voce del compagno si unì alla sua, e Paul percepì lo sguardo dell’altro fisso su di sé. Poteva sentire come John sbagliasse gli accordi, avendo smesso di guardarli nel foglio. Non poteva averli già imparati a memoria!
Dannato, dannatissimo Lennon, perché gli faceva questo? Non voleva riprovare di nuovo quella maledetta canzone per colpa sua, voleva liberarsene almeno fino al giorno dopo, non gli sembrava di chiedere poi chissà cosa.
Alla fine suonò velocemente gli ultimi accordi, e mentre l’ultima corda tremava ancora, Paul appoggiò il basso accanto a sé, pensando di alleggerirsi di un peso che non dipendeva decisamente dallo strumento.
“Ma non dovevo cantarla solo io, amico?” chiese alla fine, più per stemperare quel silenzio che per effettivo interesse.
John borbottò qualcosa che era un misto tra “mia la band, mia la decisione” e “con la mia voce tutto è migliore.”, facendo ridere Paul, nonostante il disagio di sentirsi perennemente sotto lo sguardo miope e indecifrabile del suo migliore amico.
Alla fine doveva essere passata un’eternità, o forse solo qualche secondo, quando Paul, rosso come un peperone, chiese a John perché continuasse a fissarlo in quel modo.
Va bene, non era la prima volta che lo faceva, ma stavolta sembrava peggio del solito! O si sbagliava? Cosa passava per la testa di quel maledetto ragazzo, quando si comportava così? E Paul poteva permettersi di illudersi, di lasciarsi cullare in dolci sogni che prevedevano che John, quel John, John Winston Lennon, provasse qualcosa per lui? Tentò di leggere cosa gli dicevano quegli occhi fissi su di lui, provò ad entrare in punta di piedi nella testa del suo migliore amico, ma vide solo paura. Tanta paura. E una punta di qualcosa di caldo che lottava per uscire, e si manifestava con un abbozzo di sorriso, con un leggero rossore sulle guance e sul naso. Ma no, non poteva davvero essere quello. John non era come lui, John non era… era semplicemente assurdo, inconcepibile. E se invece fosse stato… ?
Come a rompere ogni illusione, arrivò la risposta che Paul aspettava, chiara e concisa: John si alzò in fretta, inforcò la chitarra, salutò con un cenno della mano e se ne andò sbattendo la porta, lasciando il suo migliore amico così, immobile e sconvolto da quello che era appena accaduto.
Cosa stava facendo quella canzone alle loro maledette vite?
Maledetto John Lennon e le sue idee del cazzo.
E maledetto pure Carl Perkins!
Paul raccolse da terra lo spartito e nonostante sentisse di odiare quelle note e quelle strofe, prese una frase a caso e la canticchiò a bassa voce, spostando il peso da un piede all’altro a ritmo di musica.
“Darling, don’t ever let me go.”
Eppure, alzando lo sguardo era solo, dannatamente solo.
John se n’era andato.

*

Il giorno dopo all’Aintree institute la sessione iniziò dannatamente bene. Fuori pioveva, ma tutte le persone sembravano voler solo pensare a divertirsi e scaldarsi e perdere il controllo. I Beatles avevano fatto il pienone, di nuovo, e dio, il successo sembrava così vicino da poterlo quasi toccare. O sembrava solo a Paul?
Certo, non che potesse davvero assaporare e godersi quel pensiero e quel momento, dato che non sembrava riuscire a guardare nessuno al difuori di John. Voleva capire perché se n’era andato di corsa il giorno prima, voleva sentire dalla sua meravigliosa bocca che era fuggito perché aveva avuto un fottutissimo attacco di mal di pancia. Paul non riusciva più a tollerare che la sua mente formulasse ipotesi strane su quella fuga, ipotesi che contemplavano un coinvolgimento emotivo da parte di John. Perché illudersi non gli faceva bene, oh no. E quando inciampava nei cavi, o si sforzava di guardare George o Pete, eccolo lì, sentiva subito lo sguardo di John Lennon su di sé, pronto a far ritornare gli occhi nocciola di Paul su di lui, come un incantatore.
Inoltre, vi era il pesante fardello dell’ultima canzone, della maledettissima dichiarazione d’amore.
Ma perché non riusciva a vederla in modo diverso? Perché all’improvviso non sembrava più in grado di comportarsi come se nulla fosse? Da un giorno all’altro non era più in grado di fingere e di nascondere quello che provava, e questa cosa lo irritava profondamente. Si trovò, per l’ennesima volta a chiedersi: cosa era cambiato?
Come a rispondere alla sua domanda senza voce, intervenne John stesso, prendendo male le misure coi suoi occhi ciecati e sbattendo con il naso contro Paul. Nessuno nel pubblico se n’era accorto, presi com’erano tutti dal saltare e cantare e bere e rimorchiare, ma Paul, con la guancia leggermente dolorante se n’era accorto eccome, e non era riuscito a trattenersi dallo scoppiare a ridere. E finalmente, davanti a quella risata genuina e inopportuna, nel bel mezzo del ritornello della canzone, John smise di cantare a sua volta. Non per rimproverarlo, o per scusarsi, oh no, non sarebbe stato da Lennon. Si limitò a fissarlo per degli interminabili secondi, prima di fargli la linguaccia e sorridergli appena. E un po’ per colpa di quel contatto avvicinato, seppur casuale, e un po’ per colpa degli occhi di John fissi nei suoi come a volergli entrare nella testa, il battito del cuore di Paul divenne così martellante da impedirgli di pensare. Gli riempiva il petto, le orecchie e il cervello e sì, stava decisamente diventando matto a forza di continuare così.
Quel qualcosa che provava per John era cresciuto ancora e Paul non poteva più fingere, non poteva davvero più nascondersi. Sarebbe finito per soffocare, per annullarsi davanti ad un sentimento di quella portata, se avesse continuato a tenerlo per sé. E la colpa era solo di John. Di John e del suo sorriso, John e i suoi denti un po’ sporgenti, John e i suoi capelli e gli occhi del colore dei pomeriggi d’autunno e delle foglie cadute dagli alberi di Woolton.
Una volta conclusa “Money” di cui non importava nulla a nessuno, con la bocca ancora umida e piegata in un sorriso molle e imbarazzato, John guardò Paul di nuovo, e come se avesse avuto l’illuminazione della vita, annunciò il titolo della canzone successiva.
Paul se lo sentiva. Era il suo momento, il suo maledettissimo momento.
Si schiarì la voce, fissò i suoi occhi su John, strinse a sé la chitarra come uno scudo, e cominciò a cantare.
E sperò che l’altro capisse che mentre cantava, cantava per lui.

Quando uscì fuori per prendere una boccata d’aria e fumarsi una sigaretta, Paul si aspettava di essere da solo. All’interno del locale, caotico e affollato e soffocante, Pete era nel bel mezzo di una birra offerta da una mora niente male, mentre John e George si erano allontanati sghignazzando con una coppia di amiche. Forse la serata per loro sarebbe stata memorabile.
Paul sapeva che ne avesse bisogno anche lui. Aveva dannatamente bisogno di una merdosa avventura con una ragazzina anonima e ubriaca. Il sesso era una delle poche cose che lo aiutava a non pensare troppo a quello che gli agitava lo stomaco e il cuore. Era come se spegnesse il volume dei pensieri, e per dieci minuti lui stava bene, davvero bene. Poi i pensieri ricominciavano, di solito più violenti di prima, ma quella era un’altra storia.
Rivide davanti ai suoi occhi John con una delle due ragazze, e si trovò a chiedersi se valesse la pena di stare così male per colpa di un coglione che non sapeva nulla di sentimenti e che ragionava con la parte bassa del proprio corpo, e in preda alla rabbia e alla gelosia, lanciò lontano la sigaretta, fumata a metà.
You are so sweet and so near sto gran paio di palle.” Si trovò a cantare, pieno di ira e frustrazione, e un paio di ubriaconi gli passarono davanti e gli fischiarono, forse di apprezzamento, forse no.
Come se gliene fregasse qualcosa a lui di quello che pensava questa merda del porto che puzzava di pesce e alcolici e vomito.
Neanche il tempo di proseguire quella malinconica nenia, che due braccia lo avvolsero da dietro, e per un istante Paul fu certo di morire nel retro dell’Aintree institute, in un vicolo che puzzava di piscio. Forse i gatti avrebbero divorato i suoi resti, forse sarebbe stato buttato nel Mersey!
Fortunatamente per lui, le due braccia misteriose non lo assalirono, ma lo strinsero, e il loro proprietario si avvicinò con le labbra all’orecchio di Paul, e quando quel misterioso sconosciuto iniziò a cantare, il giovane bassista non aveva più alcun dubbio su chi fosse in quel momento.
So I’ll hold you tight.” Sussurrò appena, solleticandogli il collo. Aveva cambiato il testo della canzone, ma in quel momento a Paul non poteva fregargliene di meno. C’era John, e questo bastava.
E cosa importava se fosse lì per raccontargli dell’ennesima scopata squallida nei bagni o perché preoccupato effettivamente per lui? C’era John e tutto tornava a posto.
Non che l’avrebbe ammesso a lui, ovvio.
“Cosa vuoi, Lennon?”
John scoppiò a ridere, e grattandosi la testa imbarazzato, si staccò da Paul, mettendosi di fronte a lui.
“Volevo una sigaretta, Macca.”
Paul cercò di non dare a vedere la sua delusione davanti a quella richiesta, e si concentrò intensamente nel semplice gesto di prendere una sigaretta dal pacchetto mezzo vuoto e accartocciato. Quando gliela porse, John fece una cosa che lo spiazzò: afferrò e baciò delicatamente la mano di Paul, ma come imbarazzato dal suo stesso gesto impulsivo, la lasciò immediatamente andare e si giustificò dicendo che era solo uno stupido scherzo senza senso che faceva anche a Mimi e a Cynthia. Chiaramente non aveva fatto per niente ridere Paul, che aveva il cuore che batteva come un tamburo e la mente completamente fuori controllo, in preda a mille pensieri diversi, come suo solito.
Dio, se non era la situazione più incasinata in cui si fosse mai ritrovato nella sua giovane vita!
Ma chi aveva deciso che ci si potesse innamorare in questo modo, senza alcun tipo di freno?
John intanto fumava la sua sigaretta, ancora paonazzo in viso, incapace di stare fermo, dapprima camminando con passo incerto e malfermo, e poi ballando come un pagliaccio ubriaco.
Dopo qualche interminabile minuto di silenzio, in preda ad un pensiero più forte della musica mentale su cui danzava, John si fermò all’improvviso, e squadrando Paul dall’alto verso il basso, iniziò a parlare.
“Sai a cosa non riesco a smettere di pensare, Macca?”
No, Paul non lo sapeva, ma sentiva che avrebbe ammazzato John per davvero, se avesse formulato l’ennesima domanda assurda del tipo: “i pinguini hanno davvero il completo?” o “e se aprissi un bordello sadomaso, tu faresti il prostituto?”. Dunque, inspirò una lunga boccata di fumo, e con calma scosse il capo, aspettandosi l’interrogativo che tormentava il suo migliore amico.
“Pensavo…  come si fa davvero ad essere sicuri di essersi innamorati di una persona?”
L’ultimo tiro della sigaretta quasi andò di traverso a Paul, e il mozzicone gli bruciò il polpastrello, prima di cadere a terra.
“Tu dovresti saperlo, Macca. Sei così bravo con queste cose melense e romantiche da voltastomaco. Io non lo so, io sono più un tipo da botta e via… ma sai, prima in bagno con la ragazza non ho concluso, e cazzo, non è colpa di… qui sotto tutto ok, è ovvio. Sai come sono io, infallibile! Ma avevo questa fissa in testa, e ho paura che sia qualcosa di grosso. Molto grosso. Tipo che potrei essermi innamorato.”
Paul si morse il labbro, e sperò che il rossore sulle sue guance non lo tradisse, mentre si passava una mano tra i capelli ricoperti di gel e si dava un’aria da duro.
Perché in fondo per John, per il suo John, lui era una persona normale, che provava attrazione esclusivamente verso le ragazze e che non era in nessun modo innamorato del proprio migliore amico. Paul avrebbe voluto avere uno stuzzicadenti da tenere tra le labbra come una sigaretta per sembrare ancora più credibile, ancora più tosto, ancora più all’altezza dell’altro.
Come se fosse stato possibile! Anche con il giubbotto di pelle e il ciuffo, sembrava l’orsacchiotto di Elvis.
“Mh, John, io credo che…”
“Come se all’improvviso tutte le stronzate alla Carl Perkins avessero senso, no? Come se avessi davvero voglia di prendere le mani di questa persona e cantargli una frase banale d’amore.” cercò un po’ l’intonazione, guardando in alto e canticchiando tra sé e sé, prima di trovare una nota che lo soddisfacesse, “Loving you is the natural thing to do, dice Carl, e sembra davvero spontaneo amare, Macca. E’ persino più naturale di scoparsi una in bagno.”
Paul provò ad intervenire di nuovo, perché il tono della voce dell’altro si stava facendo sempre più affrettato, le parole gli uscivano masticate e veloci, e faceva fatica a capirle, ma lasciò perdere. Era come se John stesse correndo una gara coi suoi pensieri, e se sparava stronzate a raffica, il suo cervello stavolta non gli avrebbe permesso di elaborarle troppo. Capitava di frequente, di sentirlo straparlare e non arrivare da nessuna parte, e Paul sbuffò appena, divertito e intenerito dalla scena. Il cuore di John Lennon stava chiaramente vincendo contro il cervello, 1 a 0 per quella sera.
“E ti viene persino da credere al per sempre felici e contenti. Tipo ‘I want you for the rest of my life’. Il che è assurdo, perché cazzo Paul, dai, chi crede al per sempre felici e contenti? La Disney forse.”
Paul ci credeva eccome al ‘per sempre felici e contenti’, e credeva all’amore e a San Valentino e ai veri valori della famiglia, ma decise di non dirlo a John. Piuttosto, era il suo momento di intervenire, mentre l’altro aveva deciso di fermarsi per riprendere fiato. Era ora di dargli un consiglio, di non rendere vana la sua presenza lì.
“Lennon, cosa dice il buon vecchio Carl Perkins? Let tonight be the night. Vai e buttati, perdi solo tempo e una luna meravigliosa per dichiararti.”
“Cazzo, hai perfettamente ragione.”
Stettero immobili e in silenzio per qualche interminabile istante. Paul era combattuto. La sua testa gli gridava che John sarebbe corso da Cynthia o da chissà quale altre sciacquetta che lui non conosceva ancora. Ma il cuore, oh il suo cuore, quel gran bastardo, gli diceva di sperare che i suoi sogni fossero possibili, e che il suo migliore amico sarebbe rimasto lì con lui.
John, senza saperlo, mise fine a quella lotta interiore che tormentava Paul, coprendo la distanza che li separava, prendendo il suo viso tra le mani, e stringendolo a sé così, senza avere il coraggio di baciarlo o di fare niente. Stette così, solo così, studiando la reazione dell’altro.
Quando la smorfia sorpresa di Paul si trasformò in un meraviglioso sorriso, allora John si sentì abbastanza coraggioso da avvicinarsi ancora di più e far sfiorare il proprio naso contro quello dell’altro.
“Oh, buonasera. Signor Lennon, mi sta dicendo che… davvero?”
“Davvero davvero, signor McCartney, signore.”
“Quanto ha bevuto, signore?”
John cominciò a calcolare mentalmente quante birre si fosse scolato durante quella serata, ma alla fine doveva essersi stancato o aver perso il conto, perché si limitò ad alzare le spalle e ridere debolmente, sfoggiando la sua migliore faccia da duro. Quella che faceva venire a Paul voglia di mordergli delicatamente il mento.
“Abbastanza per fare questo, ma non troppo per dimenticarmene domattina o per vomitarti sulle scarpe tra cinque minuti.” Disse alla fine, incredibilmente soddisfatto della sua risposta.
Paul scoppiò a ridere, e fece sfiorare le proprie labbra contro quelle di John, terrorizzato dalla straordinaria felicità che stava provando, e spaventato inoltre che si sarebbe rivelato tutto un altro stupido scherzo cretino.  E invece John sorrise appena, e coprì quell’ultimo centimetro di distanza, avvolgendo Paul tra le sue braccia e avvicinandolo a sé.
Si baciarono dapprima con timidezza e una punta di paura, poi con disperazione, aggrappandosi al muro, ai vestiti e ai capelli, come se fossero sull’orlo del precipizio e non volessero cadervi, non del tutto. Perché l’oblio faceva dannatamente paura.
Entrambi sapevano perfettamente che per trovare una cosa nuova, seppur così straordinaria, c’era il rischio di perderne troppe di famigliari, di sicure e calde.
Quando si staccarono, coi respiri ancora affannosi e con le labbra umide e gonfie, si fissarono per qualche istante, come a metabolizzare la cosa. Paul poteva sentire i dubbi di John nella sua testa, poteva sentire quanto si stesse pentendo di aver rischiato, di aver detto così tanto, e in preda al panico, affondò la mano nei capelli ramati e profumati di John, premendo così la sua fronte contro quella dell’altro.
“Sai qual è il mio pezzo preferito della canzone del buon vecchio Carl Perkins?”
“Quale, Macca?”
Don’t ever let me go.” Canticchiò Paul, e si vergognò di farsi vedere così fragile, così bisognoso. Era un ragazzone grande, lui, non aveva bisogno di nessuno, se non di una sigaretta. Eppure, John non lo schernì, ma catturò il suo mento tra le dita e lo costrinse a fissarlo negli occhi.
Non disse niente, si limitò a fissarlo, e così Paul capì. Non era solo, non lo era mai stato da quando John era piombato nella sua vita senza grazia e senza permesso.
Perché John era lì, per lui. E lui era lì per John.
“Sai cosa, Macca? Quel pezzo è pure il mio preferito.”





Angolo dell'autrice:
Buonasera, miei cari lettori. 
Faccio rapidissima toccata e fuga, perché questo caldo mi ha mandato fuori fase il pc, e la connessione funziona un minuto sì, e dieci no. Insomma, vi lascio immaginare come ho passato questo anniversario. Sigh.
Questa storia è nata da una piccola illuminazione e dalle insistenze di Kia, quindi ringraziate lei se avevo una ff con cui partecipare a questa ricorrenza speciale. Per chi non conoscesse questa meravigliosa canzone, ecco il link: Sure to fall
Chiedo scusa se non ho risposto alle vostre meravigliose recensioni nelle storie precedenti, ma davvero, non ho un secondo libero... e quando riesco a ritagliarmi un po' di tempo per me... non va internet. Evviva. Inoltre ne approfitto per ringraziarvi per l'amore che mi mostrate sempre, e la passione con cui seguite le mie schifezze. Grazie ;w;

Inoltre un grazie di cuore, come sempre, ai miei due angioletti, con cui ho passato una bella vacanzina a Roma: Paperback White e Kia85.
Vi voglio bene ragazze, e mi mancate un sacco.
Che altro dire? Ci si legge presto ;) 
Buon anniversario ai nostri due tesori e a tutti noi intanto!
Anya
 
   
 
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