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Autore: gs240899    07/07/2015    0 recensioni
‘’Pensi che questo sia gratificante per te?” Karen disse, con voce priva di qualsiasi emozione, fissandolo con quei suoi occhi penetranti che l’avevano caratterizzata sin da piccola. Si voltò e continuò la sua passeggiata, forzatamente lenta, a causa della sua malattia. Kenta si sentì un verme: nessuno era mai riuscito a farlo sentire tale.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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“Karen, io devo andare, ho gli allenamenti del club! Sei sicura che non ti serva una mano per scendere al campetto?’’. (Breve pausa. A parlare è Risa, una vecchia amica di Karen, protagonista femminile della storia.) “Sì..stai tranquilla Risa, ce la farò da sola” disse Karen, appoggiata al suo banco, mentre si sistemava sulle spalle un maglione rosso, regalatole dalla nonna, affinché non prendesse mai freddo. ‘’Va bene..ci crederò, ciao, ci vediamo all’uscita!’’ Risa lasciò la classe e, dopo pochi minuti, anche Karen. Si avviò verso il campetto per  la sua passeggiata quotidiana, che il dottore le aveva raccomandato di fare durante la ricreazione: non aveva mai capito perché dovesse farla proprio a quell’ora, ma ubbidì senza fare troppe domande.  Era apparentemente tranquilla, fissava il vuoto.
“Sembri una vecchiaccia con quel maglioncino rosso nelle spalle…e sei pure lenta. L’ospizio è il posto giusto per te.’’ Era Kenta Akito, considerato il ragazzo più popolare della scuola, sia per la sua  bellezza sia perché era figlio di uno degli avvocati più ricchi di Tokyo, col suo gruppo di ‘’amici’’, se così potevano essere chiamati, anche se era evidente che fosse solo un’ amicizia fittizia di cui ne era sicuramente consapevole Kenta stesso, e con due ragazze, che gli stavano sempre dietro, come se ormai fosse il loro compito. Karen lo lasciò parlare: ormai era abituata agli insulti, sin dall’asilo. Era sempre pallida, quasi come un fantasma, portava sempre i capelli raccolti in due trecce, indossava una divisa scolastica che prevedeva una gonna lunga sino alle caviglie, diversa da quelle che avevano le sue compagne, per non prendere freddo, poiché non poteva permettersi di ammalarsi. Mai un filo di trucco, niente. Non uscivai mai di sera, solamente per frequentare le lezioni. Era sempre stata diversa: non sembrava che ciò le importasse più di tanto. In realtà quella totale indifferenza nei confronti della sua diversità era rassegnazione e lei lo sapeva bene.
‘’Pensi  che questo sia gratificante per te?” Karen disse, con voce priva di qualsiasi emozione, fissandolo con quei suoi occhi penetranti che l’avevano caratterizzata sin da piccola. Si voltò e continuò la sua passeggiata, forzatamente lenta, a causa della sua malattia. Kenta si sentì un verme: nessuno era mai riuscito a farlo sentire tale. “Ahahahahahah, che ragazza noiosa..hai fatto bene!” disse Tusui, un membro del gruppo, nonché uno dei ragazzi più stupidi esistenti nell’Universo. “ Certo..ah ah ah..” rispose Kenta. Non riusciva a pensare ad altro. Le parole di quella ragazza tanto insignificante e invisibile gli rimbombavano nella testa. L’avevano distrutto.
Suonò la campanella che annunciava la fine della ricreazione. Le due ore per Kenta servirono solo per rimuginare su quelle parole tanto gelide, non che avesse mai seguito un nanosecondo di lezione! Arrivata la quinta ora, decise di tornare subito a casa, scordandosi completamente del suo gruppo che lo aspettava all’uscita. Squillò il cellulare: ‘’MA DOVE DIAVOLO SEI?’’ gli dissero in coro i suoi amici. “ Ragazzi mi dispiace, non mi sento tanto bene..andate al bar senza di me.’’ “Ok..che palle..ciao.” Mise il cellulare in tasca, e mentre aprì la porta della sua classe si accorse che nel corridoio stava passando proprio la ragazza insignificante di stamattina, le cui parole erano state come delle pugnalate. Chiuse di scatto la porta. Non aveva il coraggio di farsi vedere da lei. Non sapeva se fosse paura o solo vergogna, sensazioni per lui sconosciute, poiché nessuno era mai riuscito a fargliele provare. Ma, in cuor suo, sapeva che avrebbe avuto nuovamente a che fare con lei.
   
 
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