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Autore: Kuruccha    07/07/2015    1 recensioni
Sotto l’effetto dell’etere, Kondo continua a dormire.
[Kondo-centric | Attenzione: spoiler!]
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kondo Isao, Okita Sogo, Otae Shimura, Toushiro Hijikata
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Prima di tutto: le doverose premesse.
Ho scritto questa storia perché avevo l'assoluto bisogno di buttarla fuori dal mio cervello o avrebbe finito davvero per divorarmelo. Diciamo che non sono molto brava a gestire i troppi feels e gli ultimi capitoli di Gintama sono stati davvero la fine per il mio povero cuore.
Questa storia, pur essendo una what-if (visto che a questo punto non siamo materialmente ancora arrivati), contiene degli spoiler ben evidenti dei capitoli fino al 548. Se non siete alla pari non spoilerateveli con questa fic, sul serio, perché la storia originale è mille volte più pregnante di qualsiasi cosa io possa scriverci sopra. Andate a leggervi il manga, piuttosto, ma partite preparati a feels grandi come una casa.
Tirando le somme: io sto ancora sperando che vada tutto a finire più o meno bene, quello che desidero vedere si è semplicemente incanalato in questa storia.
Buona lettura se deciderete di proseguire, e grazie mille in anticipo!


 
Narcosi


 
Sulle sue ferite l’effetto dell’etere dura poco meno di due ore.
Sono quelle le uniche finestre di tempo in cui Otae si permette di guardarlo; i brevi momenti in cui Kondo rimane al di fuori della guardia rabbiosa dei suoi infermieri, lì nella stanza che lei stessa ha riservato per loro. (L’offerta le è sembrata del tutto naturale: c’era bisogno di un’isola neutra al di fuori del quartier generale della Shinsengumi, e Kondo passava già al dojo Kodoukan la maggior parte del suo tempo libero. I cani del governo l’hanno ringraziata a testa china e poi hanno ripreso a chiamarla Oneesan.)
Kondo riposa ad occhi chiusi nel futon per gli ospiti, il petto che si solleva leggermente ad ogni respiro; il suo viso è chiazzato di rosso, la ferita è stata ricucita dove c’era abbastanza carne per affondare l’ago e cosparsa di disinfettante dove di pelle non ce n’era più. Hanno fatto un buon lavoro. Otae riesce a distinguere che quella che ha rimesso insieme i lembi è una buona mano; è cresciuta in un dojo, in fondo, e lì le ferite da taglio non sono mai state merce rara.
Si china sulle ginocchia e posa vicino al futon la scatola del cibo che ha preparato per lui. Ne ha già distribuite un paio agli altri uomini, ma ha riservato a Kondo la porzione più abbondante, perché è Kondo quello che ha bisogno di rimettersi; e poi tutti gli altri possono ancora mangiarsi i soldi delle loro tasse, e non vede perché dovrebbe essere lei a pagare i loro alimenti. Non ha certo sposato nessuno di loro.
Con mano sicura controlla che i bendaggi siano ancora a posto, né troppo rigidi, né troppo allentati; è un compito facile, che le viene di certo più naturale che preparare delle uova strapazzate. Anche se Kondo è ancora addormentato, il suo respiro si fa più difficoltoso ogni volta che Otae preme troppo forte su una delle ferite; ma lei non è mai stata una donna dai modi gentili, e probabilmente nessuno lo sa meglio del gorilla.
Dopo che ha finito, la sua mano indugia per qualche secondo sui pochi centimetri di pelle non coperti dalle bende, dallo spazio appena sopra il sopracciglio fino ai ciuffi di capelli scampati al bendaggio. Ci passa le dita attraverso; sa di averli tirati almeno un milione di volte, tentando di allontanarlo e scacciarlo, ma li riscopre meno ispidi di quanto ricordasse. Il respiro di Kondo diventa meno pesante. Otae gli sistema meglio addosso le coperte leggere, poi gli riserva una sola carezza, identica a quella con cui salutava suo padre una vita fa, in un futon diverso, nella stessa stanza di quello stesso dojo.
Allontana la mano quando sente Hijikata tornare. Tra i cani, lui le è sempre sembrato il più fedele.
(La sua faccia è di una curiosa sfumatura di verde, e Otae si chiede perché, visto che lui è uno dei pochi fortunati ad aver ricevuto del cibo.)
Ascoltano in silenzio il respiro comatoso del gorilla, poi si danno il cambio con un cenno della testa.
 
*
 
Sotto l’effetto dell’etere, Kondo continua a dormire.
Toshiro lo osserva come se temesse di vederlo scappare da un momento all’altro – Tsk, si dice, come se questo tizio ne fosse capace sul serio, e morde il filtro coi denti. La sigaretta che stringe tra le labbra è ancora spenta. (Non è certo per rispetto dei malati o altre merdate di quel genere, no; è che la padrona di casa ha fatto intuire loro che la via più breve per l’inferno passa attraverso i tatami impregnati della puzza del fumo.)
Vicino al futon in cui Kondo riposa c’è una scatola del pestilenziale cibo di quella donna; reprime un conato al solo ripensare a quelle povere uova trasformate in materiale tossico. Forse dovrebbe sacrificarsi al posto suo e mangiarle per salvarlo, ma non è così buono, e perciò si limita a ricoprirle con una dose di maionese abbondante perfino per i suoi standard. Per lo meno il gusto sarà migliore.
Il gorilla è silenzioso, così silenzioso da sembrargli innaturale; di lui ha memorizzato le parole, i toni, gli infiniti discorsi che hanno trasformato un qualsiasi samurai di campagna in Isao Kondo, capitano della Shinsengumi; i discorsi che hanno permesso loro di tramutarsi da cani randagi in cani addestrati; i discorsi che li hanno portati fino a lì, quelli che li hanno fatti diventare ciò che sono. Kondo respira piano e Toshiro gli si avvicina per ascoltarlo meglio. Tra i suoi mormorii non c’è nemmeno l’ombra di una parola.
Posa la mano sul suo polso, cercando con i polpastrelli il battito sotto la cute graffiata; il ritmo delle pulsazioni è lento ma energico. Nel contarle, Toshiro ritrova un po’ di calma.
Indugia in quel tocco a lungo, più a lungo di quanto dovrebbe e ben più a lungo di quanto abbia mai inteso concedersi; ma la pelle di Kondo è calda, e Toshiro conosce già fin troppo bene quanto gelida possa essere quella di un cadavere. Kondo è vivo e a lui non importa d’altro.
E alla fine gli parla; parla senza dire un bel niente, solamente per riempire il silenzio della stanza. Conta sottovoce i rintocchi regolari sotto le sue dita, poi mormora piano altre sciocchezze, senza mai allontanarsi di lì.
 
*
 
Quello scemo di Hijikata si è di nuovo addormentato da seduto, e Okita deve sul serio trattenersi dallo spingerlo in avanti e farlo cadere di faccia. (E se non ci prova è solo perché altrimenti lo scemo precipiterebbe addosso a Kondo, che di ferite a cui pensare ne ha già abbastanza.) (Però muori, Hijikata, muori.)
Li osserva rimanendo in piedi, Hijikata con le braccia conserte al petto e Kondo con il viso rivolto al soffitto; è una scena che non gli piace, non gli piace affatto, perché Kondo sembra un vecchio in punto di morte e Hijikata il suo cane fedele, e invece Okita non ha nessuna parte in quella recita e si sente tagliato fuori di nuovo.
Sai?, vorrebbe dire a Kondo. Ho seguito i tuoi ordini. Ho fatto come mi avevi detto tu, e se sei ancora vivo non è solo per merito di quel cretino di Hijikata. (Hijikata, perché non muori tu al posto suo?)
Ti salverò la vita almeno un altro miliardo di volte. E sarò più bravo di Hijikata, e più veloce, e non ti capiterà mai più di rimanere disteso a fissare il soffitto. (Tranne quando farai cilecca con la tua femmina di gorilla. Ma per quello non ci potrebbe far niente neppure Hijikata.) (Varrebbe però la pena di tentare. Magari con Hijikata morto si sistemerebbe anche quel problema.)
Puzzi di sangue a tal punto che riesco a sentirlo da qui. Non mangiare la sbobba preparata da quella donna o ti avvelenerai. I tuoi capelli sono diventati troppo lunghi, babbo Matsudaira finirà per sgridarti anche senza averne più nessun diritto. Stavi meglio con il codino. Chissà come mi pungeresti con quei ciuffi dritti, se mi prendessi di nuovo in spalla come una volta.
Potrebbe andare avanti a lungo, perché le cose che ha da dirgli sono tante; ma Okita non è certo così scemo da dirle a voce alta, soprattutto quando Kondo non può sentirlo e Hijikata forse sì. (Muori, Hijikata.) E non è neppure così sentimentale da vegliarlo come sta facendo lo scemo. Però ripensa a sua sorella, e a quanto la sagoma del suo corpo sotto le coperte non fosse poi così differente da quella dell’uomo che gli sta davanti; ma quello è un dojo e non un ospedale, e i dojo sono fatti per diventare più forti. Osserva ancora Hijikata seduto vicino a Kondo e pensa che anche per Mitsuba avrebbe voluto quell’opzione. (Hijikata, com’è che sei ancora vivo?)
Posa la spada sui tatami e si stende accanto a Kondo, dando le spalle ad entrambi; rivolge il viso alla porta, tende l’orecchio fino a sentire i loro respiri regolari, poi chiude gli occhi. Hijikata non è l’unico scemo col sonno leggero.
 
*
 
Si ritrova a fissare il soffitto senza sapere bene da quanto tempo se ne stia lì ad occhi aperti.
Non riesce a flettere le falangi, né a muovere le dita dei piedi; il mondo è di una strana sfumatura di bianco, infinitamente più chiaro di come lo ricordava, e sta inspirando così piano che quasi gli viene il dubbio che nei suoi polmoni stia entrando davvero dell’aria.
Comprende quasi subito che la ragione del suo stordimento è l’etere; nella sua vita ha subito abbastanza ferite da imparare a riconoscerne gli effetti. Questa volta dev’essere un bel po’ più grave del solito, però.
La sua mente riporta a galla spezzoni di ricordi mischiandoli in maniera del tutto casuale; l’ottundimento confonde il prima col dopo e Isaburo, sei ancora vivo?, si chiede. Su Toshi e Sogo, anche nell’incoscienza, non ha alcun dubbio.
Fissa il soffitto e non ha bisogno di chiedersi dove si trovi – è il Dojo Kodoukan, e ormai ne conosce qualsiasi superficie come le proprie tasche. Si chiede se Otae gli abbia preparato delle uova almeno ora che è malato; le mangerebbe volentieri, anche se non è sicuro di poter contare sulla collaborazione del proprio stomaco.
Nella stanza non ci sono altri suoni oltre a quello del suo respiro, e Kondo si chiede se farebbe meglio a chiudere gli occhi e riposare un altro po’, finché ne ha ancora l’occasione. Sente la pelle tirare sulle ferite ricucite, ma non avverte nessun dolore. Arriverà; per quello ci sarà tempo più tardi.
Ancora non riesce a muoversi, né a voltare la testa, ma il futon è caldo e gli solletica le narici portandogli il profumo di Otae. Nel corridoio, oltre lo shoji scorrevole, sente scoppiare una delle solite discussioni tra Sogo e Toshi, con Yamazaki che tenta inutilmente di placare gli animi.
Kondo sorride, poi ricade nel sonno dell’etere.
 

07.07.2015
Non odiatemi, vi supplico. o/
Questa storia è stata amorevolmente betata e sbrodolata d'amore dalla cara Yumemi, e partecipa anche alla sfida dei 500 themes Italia con il prompt n. 298, Etere.
Buona serata a tutti!
Kuruccha
   
 
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