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Autore: Helena Kanbara    08/07/2015    1 recensioni
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Era bella. E aveva l’impressione di averla già vista da qualche parte. Magari a scuola? Doveva avere per forza la sua stessa età. Quindi era possibile.
Anche lei si prese del tempo per scrutarlo con attenzione, ma Derek non se ne accorse perché troppo impegnato a fare altrettanto. Osservò i lunghi capelli scuri e lisci in mezzo ai quali ogni tanto sbucava qualche ciocca tinta di un inusuale rosso magenta, poi si concentrò sul suo viso.
La pelle era abbronzata, ma non olivastra o scura. Semplicemente non chiara. Gli occhi erano grandi, scuri e contornati da un trucco pesante che le rendeva lo sguardo magnetico. Le labbra erano carnose e messe in risalto dal rossetto bordeaux che le riempiva. Quando ebbe finito con la sua attenta analisi – o sfacciata radiografia – Derek ripescò il suo primo pensiero e se lo ripeté: era bella.
[...]
«Che peccato non ricordarmi di te» [...].
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
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La Centrale di polizia era senz’altro un posto interessante ma, realizzò Harriet, ogni volta che la visitava c’era sempre qualcosa di sbagliato al quale porre rimedio – o comunque provare a farlo. Quella volta il problema era Derek.
Harriet si era persa volentieri la gita in Messico organizzata per il recupero di Hale ed era rimasta a Beacon Hills con Stephen, per tenergli compagnia ma anche e soprattutto per distrarlo dall’improvvisa sparizione di Stiles e company. Sapeva che anche se avesse creduto sul serio alla balla del campeggio non sarebbe mai stato completamente tranquillo nel sapere Stiles lontano da casa. Non dopo tutta quella storia del nogitsune.
Ad ogni modo, non era andata in Messico e non aveva avuto il piacere di ritrovarsi a fronteggiare per prima baby Derek – la versione ringiovanita del licantropo che fin dal primo momento, nel bene o nel male, le era stato accanto. La notizia di quel suo assurdo ringiovanimento l’aveva lasciata a dir poco stupita e non aveva avuto tempo di chiedersi come si sarebbe comportata con lui che aveva scoperto fosse stato preso in custodia dai vice-sceriffi Parrish e Haigh. A quel punto, come chiederle di non correre in suo soccorso? Dopo anni, l’animo da crocerossina si dimostrava ancora difficile da reprimere.
Lo individuò subito, riconoscendone il profilo e avvertendolo – seppur non lo fosse affatto – familiare. Capì subito che il ragazzino dai capelli scuri e gli occhioni verdi fosse Derek: le bastò semplicemente guardarlo di spalle per pensare addirittura “Siamo sicuri che sia ringiovanito?”. Era così simile al vero Derek da farle sgranare gli occhi nocciola mentre correva nella sua direzione, e allo stesso tempo era così diverso da sorprenderla ogni secondo che passava un po’ di più.
Lo raggiunse a grandi falcate, ringraziando il cielo perché nessun agente fosse intorno a lui. Non poteva dare spiegazioni a nessuno, doveva semplicemente parlargli senza combinare danni. Purtroppo, però, scoprì di aver parlato troppo presto.
Baby Derek l’aveva fissata con un’espressione interessata fin dal momento del suo ingresso e quando Harriet gli fu praticamente di fronte – confermando i suoi dubbi: quella ragazza stava proprio correndo verso di lui – non ebbe tempo di dirgli nulla perché il vice-sceriffo Parrish la raggiunse, con la sua figura incombente che la fece sobbalzare vistosamente perché lo notò solo all’ultimo.
«Vice-sceriffo!», sussultò, con una voce esageratamente squillante che tradì tutto il suo nervosismo. «È qui! Ovvio che è qui».
«Lavoro», si giustificò immediatamente lui, guardandola da sotto le lunghe ciglia dorate.
Conosceva Harriet perché lo sceriffo, suo superiore, parlava di lei come di una figlia e perché l’aveva vista parecchie volte gironzolare per la Centrale mentre riservava sorrisi a tutti e aiutava quelle poche persone sfortunate finite lì per sbaglio o dopo un incidente di qualsiasi tipo. Era sempre stata molto comprensiva, ecco perché Stephen le permetteva poco e spesso di interagire con le persone prese in custodia per alleviare il loro dolore con la sua presenza amica. Ma cosa ci faceva quel giorno Harry lì?
«Vuoi che ti chiami Stephen?», le chiese allora, realizzando che non avesse nessun altro motivo per venire se non quello di vedere il padre del ragazzo che amava.
«No! No. Anzi, se lo vede non gli dica che sono passata», lo redarguì immediatamente Harriet, cercando di darsi un contegno dopo aver urlato la sua negazione con occhi sgranati.
Parrish si prese qualche attimo per riflettere in silenzio, realizzando quanto fosse strana la ragazzina quel giorno. Poi le riservò un’occhiata indagatrice, con le sopracciglia abbassate e gli occhi verdi concentrati alla ricerca di un solo indizio che potesse condurlo alla soluzione del dilemma.
«Stai andando via?», domandò infine, incapace di comprendere.
«No. Sto per chiederle un favore».
La curiosità del vice-sceriffo crebbe ancor di più, ma tutto ciò che fece fu rimanere immobile di fronte a lei mentre le intimava di parlare con un gesto del capo. Aspettò che Harry si spiegasse mentre poteva capire il combattimento interiore che stesse svolgendo alla ricerca di parole giuste, osservandola attentamente mentre teneva il pollice intorno ad uno dei passanti del pantalone scuro.
«Devo parlare con lui», mormorò lei quando ebbe raccolto abbastanza coraggio, indicando il ragazzino alla sua destra che Parrish ed Haigh avevano trovato solo poche ore prima nei pressi dell’ormai distrutta casa Hale.
«Lo conosci?».
Harry si strinse nelle spalle, non osando rivolgere nemmeno mezza occhiata al giovane col quale aveva detto di dover parlare. Sapeva che lui la stesse fissando incredulo attraverso gli occhi verdi e non voleva dover affrontare anche lui e le sue infinite domande. Un uomo alla volta, grazie, pensò, poco prima di riprendere a parlare al vice-sceriffo.
«È un amico».
«E qual è il suo nome?».
Harriet sapeva benissimo che quella domanda sarebbe arrivata. Ma non aveva idea di come avrebbe risposto senza mettersi irrimediabilmente nei guai e portare l’inconsapevole Derek a fondo in quel baratro di follia insieme a sé. Non c’era niente che potesse dire senza coinvolgere anche Parrish, Haigh o peggio Stephen. Perciò se ne rimase zitta, almeno finché il secondo vice-sceriffo non richiamò l’attenzione di Parrish. Inizialmente credette fosse stato un colpo di fortuna.
«Ho controllato le impronte del ragazzino otto volte. Ecco il risultato», lo sentì dire al collega, mentre si immaginava impallidire.
«Derek Hale?», fu la domanda che pose l’altro, facendo volare gli occhi dallo schermo del pc ad Harriet e infine al ragazzino le cui impronte erano le stesse di un uomo di diversi anni più grande.
Credette che la situazione non sarebbe potuta peggiorare più di così, ma capì di essersi profondamente sbagliata nel momento in cui Stephen mise piede fuori dal suo ufficio. Inizialmente, rapito dal cognome che gli era parso di sentire, non prestò attenzione ad Harriet e si limitò a raggiungere i due vice-sceriffi chiedendo: «Avete detto “Hale”?».
Fu in quel momento che Harry pensò seriamente di scappare. Ma nel momento in cui provò a muovere un passo in direzione dell’uscita, gli occhi azzurri di Stephen saettarono sulla sua piccola figura e lei avvertì chiaramente brividi di terrore attraversarle la schiena.
«Ehilà!», tentò di salutarlo come se niente fosse, mettendo su un sorrisetto malandrino e agitando le dita nella sua direzione.
Ma Stephen non si fece intenerire e continuò a scrutarla con lo sguardo tipico di quand’era infuriato. Poi posò per un’ultima volta gli occhi su Derek e infine ritornò a lei.
«Tu. Nel mio ufficio. Subito», ordinò, con una pausa spaventosa tra una frase e l’altra.
Ai suoi ordini, capitano
 
«Ciao».
Dopo circa quindici minuti, Derek vide ritornare la ragazza che gli era corsa in contro con un sorriso sulle labbra piene. Era uscita dall’ufficio dello sceriffo con la stessa espressione di chi ha appena vinto un’importantissima battaglia e lui l’aveva guardata ancora una volta con immenso interesse che poi era cresciuto a dismisura quando l’aveva vista nuovamente dirigersi nella sua direzione a passo spedito.
«Ciao», ricambiò il suo saluto e il suo sorriso, prendendosi del tempo per osservarla bene.
Era bella. E aveva l’impressione di averla già vista da qualche parte. Magari a scuola? Doveva avere per forza la sua stessa età. Quindi era possibile.
Anche lei si prese del tempo per scrutarlo con attenzione, ma Derek non se ne accorse perché troppo impegnato a fare altrettanto. Osservò i lunghi capelli scuri e lisci in mezzo ai quali ogni tanto sbucava qualche ciocca tinta di un inusuale rosso magenta, poi si concentrò sul suo viso.
La pelle era abbronzata, ma non olivastra o scura. Semplicemente non chiara. Gli occhi erano grandi, scuri e contornati da un trucco pesante che le rendeva lo sguardo magnetico. Le labbra erano carnose e messe in risalto dal rossetto bordeaux che le riempiva. Quando ebbe finito con la sua attenta analisi – o sfacciata radiografia – Derek ripescò il suo primo pensiero e se lo ripeté: era bella.
«Harriet Carter», furono le uniche due parole che lei gli rivolse, quando il suo sguardo fu sul punto di scendere ancora più giù, richiamando la sua attenzione sul viso.
Gli porse una mano piena di anelli e dalle unghie curate e Derek gliela strinse solo per un millesimo di secondo, giusto un attimo prima di ritirarla indietro, come scottato.
«Sei una chiaroveggente!», esclamò, improvvisamente consapevole del perché gli sembrasse di conoscerla.
«Ehi», lo ammonì Harriet a quel punto, scoccandogli un’occhiataccia. «Ci tengo alla mia privacy. Come tu alla tua, credo».
«Scusami, hai ragione», non poté far altro che mormorare, distogliendo lo sguardo dal suo viso in segno di dispiacere.
Credeva che Harriet si sarebbe offesa, ma quando la vide ritornare a sfoggiare il tipico sorrisone che le aveva notato addosso da tempo riportò gli occhi sul suo viso e la ricambiò. Era innaturale come riuscisse a cambiare umore da un secondo all’altro. Innaturale ma vagamente piacevole.
«Allora, Derek. Come ti senti?», si sentì chiedere, e solo allora pensò sul serio alla cosa.
Come si sentiva?
«Confuso», stabilì infine, facendo spallucce. «Perché prima hai mentito al vice-sceriffo?».
Harriet lo guardò con le sopracciglia aggrottate, poi si morse le labbra perdendosi in pensieri a lui sconosciuti. Ovviamente non poteva leggerle la mente, ma immaginò stesse analizzando la sua conversazione con Parrish alla ricerca di una bugia, quella a cui Derek si riferiva.
«Non gli ho mentito», annunciò poi, con un tono di voce deciso.
«Allora devo aver perso la memoria, perché non ricordo di una nostra amicizia».
Harriet si rabbuiò all’improvviso, mettendo da parte il bellissimo sorriso mentre posava gli occhi sul pavimento bianco della Centrale di polizia. Derek avvertì i battiti del suo cuore cambiare ritmo e capì subito che fosse agitata. Perché?, si chiese. Non poteva aver azzeccato con quella battuta, vero? Anche se un’amnesia, convenne tra sé e sé, avrebbe spiegato un mucchio di cose.
«Mi dispiace, Derek», fu tutto ciò che Harriet si dimostrò in grado di dire arrivata a quel punto, non cercando più il viso di Derek ma tenendo gli occhi incollati sulla mano che corse a stringergli l’avambraccio e poi – quasi senza che lei riuscisse a controllarla – scese in basso fino ad incontrare quella di Derek.
Ma: «Siamo sul serio amici?», fu tutto ciò che riuscì a dire lui, immobilizzato mentre si rendeva conto di star mostrando qualcosa di molto simile alla sfera emotiva di un bradipo.
D’altra parte però, non c’era nient’altro che volesse o potesse sapere. Ed Harry sembrò capirlo, perché non provò nemmeno minimamente a spiegargli cosa fosse successo o perché. Semplicemente gli rimase al fianco, la mano ancora stretta nella sua, anche se Derek non sembrava avere intenzione alcuna di ricambiare la calda stretta. Poi gli sorrise ancora e annuì.
«Anche da un po’ di anni».
E allora Derek capì che fare domande fosse inevitabile.
«Quanta memoria ho perso?», chiese dunque, cercando di riacquistare un’espressione meno sconvolta.
Non riusciva a credere di conoscere Harriet “da un po’ di anni”. Certo, non riusciva a spiegarsi il perché, ma comunque la cosa gli sembrava inconcepibile. Ma non del tutto impossibile. D’altronde, i Carter e gli Hale erano sempre andati piuttosto d’accordo. Ma nemmeno quello sembrava essere il punto.
«Un po’…», minimizzò Harry, distogliendo lo sguardo dal viso di Derek mentre abbassava di almeno due ottave il tono di voce.
Improvvisamente la sua tensione era ben evidente. Ma prima ancora che lui potesse farglielo notare, ricordandole dei suoi poteri, Harry tornò la ragazza tranquilla e solare che gli si era presentata appena dieci minuti prima – dicendo di conoscerlo da anni – e gli sorrise mentre riprendeva a guardarlo.
«Ma sono qui per aiutarti», rassicurò, e immediatamente una domanda sorse spontanea.
«Come?».
Prima di rispondergli gli regalò un altro sorriso, poi spinse una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro e finalmente parlò.
«Per ora ci limitiamo ad aspettare Scott e Stiles. Sono amici anche loro. Decideremo tutti insieme cosa fare».
Il suo tono di voce era così sicuro e deciso che a Derek non passò nemmeno per la mente, l’idea di obiettare. Semplicemente annuì impercettibilmente, sforzandosi di ricordare se avesse mai conosciuto in vita sua – anche solo per caso – suddetti “Stiles e Scott”. Ma realizzò subito di non ricordarli affatto e smise di sforzarsi, ritrovandosi all’improvviso intento a nascondere un’espressione delusa. Non ricordava, Derek. Non ricordava nulla, nemmeno la bellissima ragazza che gli sedeva al fianco, regalandogli caldi sorrisi e stringendogli la mano.
«Che peccato non ricordarmi di te», disse all’improvviso, rendendosi conto solo dopo aver parlato di come avesse espresso un semplice ed innocuo pensiero – fatto per restare nella sua mente e basta – a gran voce.
Se solo fosse stato un ragazzo più timido, si sarebbe addirittura imbarazzato e sarebbe arrossito. Derek non rispondeva per nulla alla descrizione, ma sotto lo sguardo a metà tra lo stupito e l’infastidito di Harriet, si sentì comunque non completamente a suo agio.
«Ehi, playboy. Tranquillo», lo riprese lei, facendo sì che la mano di Derek restasse scoperta. «Forse la cosa ti deluderà, ma siamo solo amici, anche se non lo ricordi. E io sono felicemente impegnata».
Quelle parole lo colpirono immediatamente. La prima cosa che Derek pensò fu: “Ci credo. Come potresti non esserlo?”. Ma quella volta i suoi pensieri rimasero semplicemente tali, e invece Derek si limitò a chiedere: «Impegnata? E con chi?», utilizzando un tono improvvisamente incolore.
Al suono di quella domanda Harriet si chiuse nell’ennesimo silenzio, poi ricambiò a lungo il suo sguardo penetrante e provò a rispondergli. Aveva già le labbra socchiuse nell’intento di cominciare a parlare, ma qualcosa glielo impedì: Derek non riuscì a capire esattamente cosa. Semplicemente sentì i battiti del suo cuore accelerare lievemente e la vide serrare le labbra di nuovo, come se niente fosse, prima di voltarsi alle sue spalle.
«Con lui…», fu tutto ciò che Harriet disse infine, con lo sguardo fisso sulla porta d’ingresso della Centrale e l’aria improvvisamente trasognata.
Non poteva vederla in viso – gli dava le spalle – ma avrebbe giurato che i suoi occhi brillassero e capiva dal tono dolce della sua voce che il ragazzo di Harriet fosse lì, intrappolato dal suo caldo sguardo marrone. E allora Derek, curioso, ne seguì la direzione fino a ritrovarsi di fronte due ragazzi – della sua età? Probabile – intenti a camminare nella loro direzione. Un dubbio s’insinuò immediatamente in lui, ma Derek lo scacciò, ritenendo più importante chiedersi: “Con chi sei felicemente impegnata, Harriet? Col licantropo o con quell’altro?”.
 
Harriet era parsa come improvvisamente dimentica di Derek, che l’aveva guardata farsi lontana da lui in fretta e furia per mettersi in piedi e raggiungere i due ragazzi sulla soglia. Erano Stiles e Scott, ma Derek non poteva ancora saperlo – anche se lo immaginava. Harriet avrebbe voluto salutarli entrambi, ma non ne ebbe occasione: non appena Stephen li vide, infatti, ordinò a Parrish di liberare Derek dalle manette e poi braccò i due giovani, portandoli nel suo ufficio con la violenza. Harriet li aveva immediatamente seguiti e Derek l’aveva imitata senza nemmeno pensarci un po’ su, ma quando i due raggiunsero gli altri l’unica cosa che trovarono ad accoglierli fu la porta dell’ufficio di Stephen Stilinski che si chiudeva sbattendo con violenza contro i cardini.
Decidendo subito di approfittare di quell’occasione, Derek fronteggiò Harriet e le pose la domanda alla quale già da qualche minuto provava a dare risposta.
«Sei fidanzata Con lui il licantropo o l’altro cosino inutile?».
Fino a quel momento Harriet l’aveva praticamente ignorato: non appena i due ragazzi avevano fatto il loro ingresso, per lei non era esistito nient’altro – nemmeno Derek, al quale aveva regalato fino a quel momento parecchie attenzioni, definendosi anche sua amica da “un po’ di anni”. S’era limitata a seguire i due finché aveva potuto, sospirando sconfitta di fronte alla porta chiusa dell’ufficio dello sceriffo. Poi, senza mai guardare Derek una volta, avevo deciso di accomodarsi su un divanetto in pelle marrone.
Al suono della sua domanda, tuttavia, gli occhi di Harriet corsero nuovamente su Derek e una scintilla di ritrovato divertimento le illuminò i lineamenti. Nel solo vederla, Derek si sentì di nuovo rilassato e la raggiunse, accomodandosi di fronte a lei.
«Tu e Stiles non andrete mai d’accordo, vero?», si sentì chiedere, e subito quel nome gli ritornò alla mente.
L’aveva già sentito: Harriet gli aveva detto che avrebbero aspettato “Stiles e Scott” e pareva che loro, finalmente, fossero arrivati. Le sue supposizioni erano giuste. Avrebbe quindi scoperto cos’era successo alla sua famiglia? Non ebbe tempo di chiederselo a sufficienza, perché un’altra domanda – sempre la stessa – ebbe la meglio. Quale dei due era Stiles? Il licantropo o l’umano? Quella volta non lo chiese ad alta voce.
«Suppongo di no?», si limitò a dire, trasformando quella constatazione in una domanda nel momento in cui si rese conto di non poter parlare con certezza.
Nella situazione in cui era, nulla era certo. Ed Harry parve capirlo, perché il respirò le si mozzò in gola per un attimo e distolse velocemente lo sguardo dal suo viso, mordendosi un labbro. Avrebbe dovuto dire qualcosa per rimediare a quella gaffe involuta e lo sapeva, ma le parole proprio non vollero abbandonare le sue labbra piene. Ecco perché si rinchiuse nell'ennesimo silenzio mentre tentava di restare seduta tranquilla.
Per fortuna, prima che potesse impazzire del tutto alla ricerca infruttuosa di un modo per rimediare, Stephen comparve ancora una volta sulla soglia del suo ufficio e spezzò la tensione con un'unica, sola frase: «Voi due, dentro».
Harry non se lo fece ripetere due volte. Scattò in piedi con una velocità inaudita e prima ancora che potesse sul serio rendersene conto, Derek già l'aveva vista sparire dietro la porta dell'ufficio. Se solo non avesse avuto un udito eccezionale non avrebbe nemmeno sentito l'«Ehi» sussurrato che rivolse ad uno dei due ragazzi prima di farsi vicina al suo corpo. Era senza dubbio lui, il tipo con cui Harry era “impegnata”. Lui l'umano.
Derek gli rivolse uno sguardo attento, curioso di sapere cosa ci trovasse Harriet di tanto speciale in un tipo del genere. Era un ragazzo normalissimo, mingherlino e – Derek ci avrebbe scommesso – anche dannatamente fastidioso. Proprio lui ricambiò il suo sguardo senza indugi, stringendo i fianchi di Harriet come se avesse paura di sentirla scivolare via dalle sue mani da un momento all'altro. Poi, con una finta nonchalance che nemmeno possedeva, s'impadronì delle labbra della ragazza – consapevole del fatto che Derek ancora li stesse guardando incuriosito. Di fronte a quel suo insensato “marcare il territorio”, Derek aggrottò un sopracciglio.
«Ciao, piccola», lo sentì mormorare all'improvviso ad un passo dalle labbra di Harry, quando si reputò soddisfatto della sua stupida dimostrazione. «Non ti ha infastidito, vero?».
Mosse a malapena il capo nella direzione di Derek – anche se il giovane Hale aveva già da tempo distolto lo sguardo dai due ragazzi abbarbicati in un angolo dell'ufficio, riuscì a vedere comunque il suo gesto e nell'attesa spasmodica di udire una risposta da parte di Harriet, tutti i suoi sensi ritornarono immediatamente all'erta. Non credeva di averla infastidita, ma voleva sentire tali parole venir fuori dalle sue labbra.
«Smettila di fare lo scemo», liquidò però lei, riservando all'umano una pacca poco giocosa sul braccio prima di farsi definitivamente lontana dal suo corpo.
A quel punto, e solo allora, il licantropo al quale Derek non aveva prestato nemmeno un minimo d'attenzione si fece avanti.
«Ciao, Derek», salutò, e prima ancora che il giovane Hale potesse realizzare completamente la cosa, un barlume rosso sangue gli illuminò gli occhi. «Mi chiamo Scott».
«Sei un a-alpha», fu tutto ciò che riuscì a sussurrare in risposta, avvertendo all'improvviso la gola secca e un impellente bisogno di sedersi.
Derek aveva come l'impressione di poter svenire da un momento all'altro, ecco perché prese posto su una sedia non appena riuscì ad individuarla. Non lo stupiva tanto il fatto di aver visto un alpha – la sua stessa madre lo era, d'altronde – più che altro un vago senso di paura stava cominciando ad attanagliargli le viscere. Cosa c'era che non andava? Cosa voleva quell'alpha sconosciuto?
«Sono tuo amico, Derek, anche se non lo ricordi», tentò di rassicurarlo lui, con pessimi risultati però. «Ti aiuteremo ad uscire fuori di qui».
E se invece non volessi il tuo aiuto? Derek non poté fare a meno di chiederselo. Ma non pose quella domanda, anche perché sapeva perfettamente quanto stupida fosse. Perché riusciva a fidarsi ciecamente di Harriet, credendole sulla parola quando diceva di essere sua amica da tempo, e doveva invece ritrovarsi a trattenere tremiti ingiustificati di fronte a quell'alpha?
«Non so se posso fidarmi», pigolò all'improvviso, incapace di trattenersi ancora una volta, venendo interrotto però dalla ragazza sulla quale stava cercando a tutti i costi di non puntare gli occhi, vagamente imbarazzato senza che riuscisse a spiegarsi perché.
«Devi», mormorò Harriet, muovendo un passo titubante nella sua direzione. «Permettici di...».
Ma anche lei venne interrotta.
«Senti, amico, hai quasi fatto a pezzi due poliziotti. Devi ascoltarci. Perciò lascia stare zanne, artigli e qualsiasi comportamento da lupo. Intesi?».
Non era stato l'alpha a parlare. E ovviamente, non era stata Harry. Derek la osservò mentre, ancora di fianco a Scott, si voltava alla velocità della luce verso il proprio ragazzo, lanciandogli un'occhiataccia degna di nota. Avrebbe voluto sollevare le braccia al cielo in un muto: «Cosa diavolo combini?» – Derek lo capì dai suoi muscoli tesi – ma riuscì ad evitare grazie a chissà quale miracolo.
Per evitare che la situazione degenerasse, per colpa sua, Derek tentò di spostare l'attenzione di nuovo su di sé e assicurò: «Sto bene se non c’è la luna piena».
Gli occhi dell'alpha si sgranarono lievemente.
«Ancora problemi con la luna piena?», domandò, confuso.
«Sto bene!».
«Scott». Harry gli si fece ancor più vicina, ponendo una mano sul braccio dell'amico prima che questi potesse continuare ad infierire, pur senza volerlo.
Quest'ultimo, tenuto a bada dalla stretta della giovane chiaroveggente, annuì impercettibilmente e si tirò indietro, silenzioso all'improvviso.
«Dov’è la mia famiglia?», chiese Derek dopo un po', voglioso di spezzare quel silenzio vuoto e fastidioso.
Allora, poté giurare di sentire tre paia di battiti accelerare un po'. Un vago senso di preoccupazione corse a stringere il cuore di Derek, nell'attesa che l'alpha gli confessasse chissà quale oscura verità della quale lui non era a conoscenza.
«C’è stato un incendio», sussurrò infatti, inginocchiandoglisi di fronte mentre – stranamente – i battiti del suo cuore tornavano regolari. «E non vivono più qui. Stanno bene, ma sono andati via da Beacon Hills. Ti riporteremo da loro non appena avremo capito come farti riavere la memoria».
Era tranquillo, Scott. Sincero anche, Derek avrebbe detto. Ma allora perché tutta quell'agitazione prima di parlare dell'incendio? Perché il cuore di Harriet ancora rimbombava impazzito nella sua cassa toracica? Perché Stiles aveva smesso all'improvviso di riversare le occhiatacce peggiori del suo repertorio a Derek per dedicarle invece a Scott? Aveva l'impressione che gli stessero nascondendo qualcosa, ma per il suo bene decise di non indagare.
Magari più tardi.
 
Finirà male. Anzi, no. Malissimo. Finirà malissimo.
La mente di Harriet era attraversata da nient'altro che pensieri simili, mentre – nervosa – se ne stava a tavola con il signor McCall, Stiles e Derek – ribattezzato Miguel Juarez Cinqua Tiago da Stiles. Era evidente che stesse mentendo, a tutti e non solo a Rafael, e il peso di quelle bugie pesava sulle sue spalle come un macigno. Avrebbe dovuto parlare e provare a risolvere la situazione, o meglio far capire a Stiles – anche solo con un'occhiata – di mettere fine al suo solito straparlare, perché li avrebbe solo esposti maggiormente. Ma se ne riscoprì incapace, intenta a ingurgitare involtini primavera veloce come mai mentre teneva lo sguardo basso proprio su questi ultimi.
«Signor McCall, è un agente dell'FBI?».
Ma al suono di quella domanda la sua momentanea pace fu interrotta, ed Harry sollevò all'improvviso gli occhi dal piatto per cercare quelli chiari del piccolo Derek. Occhi che però non trovò mentre nervosamente buttava giù il boccone rimastole incastrato in gola e poi ne seguiva la scia, trovandoli puntati sul distintivo che Rafael aveva poggiato tranquillamente di fianco a sé sul tavolo.
Oh, merda, pensò Harriet a quel punto, e Stiles sembrò captare i suoi pensieri, perché quando gli donò un altro sguardo lo trovò con in viso un'espressione paurosamente simile alla sua.
«Di livello basso. Molto basso», cominciò a straparlare, nervoso anche lui. «Non ha voce in capitolo».
Il signor McCall gli riservò un'occhiatina offesa ed Harry trattenne il respiro per l'ennesima volta. Stiles. Fermati. Ti prego.
«Investiga sugli omicidi?».
Derek, anche tu!
«Solo quando sono crimini federali».
Harriet mise su un'espressione incredula, specchio di quella di Stiles, della quale né Derek né Rafael si resero conto, impegnati com'erano nel loro acceso dibattito.
«E sugli incendi?».
«Oddio, chissà dov'è Scott!». L'esclamazione semi-urlata di Stiles distolse le attenzioni dei due dalla pericolosa conversazione che già stavano intrattenendo da un po', e per questo lui continuò a parlare, trafelato: «Ormai dovrebbe essere qui. Dovremmo chiamarlo».
Harry sperò che almeno Rafael si preoccupasse un po' di suo figlio, decidendo per il bene di tutti di assecondare Stiles e chiamarlo. Ma le sue speranze furono tutte vane perché Rafael scrollò le spalle e riportò subito tutta la sua attenzione su Derek, domandandogli: «Di che tipo di incendi parli?».
Prima che ponesse la fatidica domanda, il cervello di Harriet – per quanto fosse alla disperata ricerca di qualcosa da dire – si svuotò completamente e lei, sull'orlo di una perfetta crisi di nervi, non poté far altro che stringere le dita sul legno del tavolo mentre cercava disperatamente di trattenere un urlo.
«Sa dirmi qualcosa della famiglia Hale?», domandò poi Derek, e allora il mondo le cadde addosso, insieme a tutto il cumulo di bugie che aveva provato a tenere per sé.
Non c'era più nulla da fare. O almeno, così credeva.
«Distrailo, dannazione!», le sillabò Stiles dall'altro lato del tavolo, impegnato anche lui nella ricerca infruttuosa di una soluzione a quel gigantesco problema.
Le venne in mente un'unica cosa: fingere uno svenimento. Per quanto assurdo e ridicolo fosse, si lasciò cadere dalla sedia – mettendo da parte tutte le inibizioni che la spingevano a non compiere tale gesto – avvertendo il silenzio che seguì quel suo gesto come una piccola vittoria. Era riuscita ad interrompere il discorso pericoloso di Derek e Rafael, e anche lo straparlare nervoso di Stiles. Avrebbe voluto sorridere, ma non poteva, perciò si limitò a fingersi svenuta mentre Stiles le correva in contro e Derek e Rafael – per quanto avrebbero voluto fare altrettanto – non facevano altro che restare immobili a guardarla. Erano troppo scossi da ciò che era successo così all'improvviso e proprio per tirarsi fuori da quel fastidioso stato di trance che li aveva colti, Rafael per primo riportò la loro attenzione a ciò che stavano facendo in precedenza. Finse che nulla fosse successo.
«Gli Hale sono stati sterminati da un incendio risalente a moltissimi anni fa».
Harriet sgranò gli occhi scuri all'improvviso.
 
«Ehi, ehi. Non ti ho mentito, ho...».
Stiles partì alla ricerca di un verbo che potesse descrivere al meglio ciò che stava provando a spiegare a Derek senza che quest'ultimo finisse ciò che aveva già iniziato, ovvero un tentativo di omicidio. Purtroppo però, pensare non era facile con la testa schiacciata contro un muro e le urla preoccupate di Harry in sottofondo. Erano deconcentranti.
«Ho solo omesso determinate verità», mormorò infine chissà come, deglutendo a fondo. «Verità fondamentali, ora che ci penso».
Si stava arrampicando sugli specchi. Harriet gli impedì di continuare ancora.
«Derek», soffiò, raggiungendoli entrambi velocemente. Afferrò il braccio del baby licantropo e gli lanciò uno sguardo di supplica che però lui non ricambiò. «lascialo andare! Calmati, e parliamone. Ti racconterò tutto!».
«Non voglio parlare con voi».
Perlomeno però si era fatto lontano da Stiles. Harry trattenne un sospiro sollevato e gli riservò un'occhiata dispiaciuta. Non voleva che le cose finissero in quel modo: si sentiva in colpa. Stiles cercò di tranquillizzarla come meglio poteva, ma era impotente.
«Voglio parlare con l'alpha. Parlerò solo con Scott!», continuò ad urlare Derek, gli occhi lucidi in perfetto contrasto con la rabbia che mostrava.
Stiles annuì, decidendo bene di assecondarlo finché non si fosse calmato almeno un po'. Era pur sempre un licantropo neonato ed era abbastanza... instabile. Meglio non stuzzicarlo.
«Vado a chiamarlo», concesse subito infatti, alzando le mani al cielo in segno di resa. «Il telefono è di sotto. Vado. Tu resta qui. Immobile. Non muoverti».
Parlò a scatti, facendo una lunga pausa tra un imperativo e l'altro. Derek non ebbe alcuna reazione: sembrava all'improvviso tranquillo. Se Scott era il segreto per tenerlo buono, Stiles ne avrebbe fatto uso a fondo. Uscì dalla stanza a ritroso, senza mai distogliere gli occhi dal viso del piccolo Hale, ma poi ritornò ad affacciarvisi solo una manciata di secondi dopo. Voleva controllare che sul serio se ne stesse lì fermo ed immobile mentre lui discuteva con Scott sul da farsi. E quando gli puntò di nuovo gli occhi addosso, scoprì che Derek immobile lo era davvero. Ma non era l'unico.
«Tu vieni con me!», esclamò Stiles rivolgendo l'ennesimo sguardo infastidito ad Harriet, ferma al fianco di Derek con le braccia incrociate al petto.
Perché diavolo non si era mossa? Non aveva tempo di stare dietro anche ai suoi capricci e cercò di farglielo capire con un cenno, ma lei ancora non si decise a muoversi.
«Stiles, se lo lascio solo succederà qualcosa di brutto», sussurrò mordendosi un labbro.
Aveva avuto una delle sue visioni? Chiederselo fu inevitabile. Ma quella domanda non abbandonò mai le labbra di Stiles. Non l'avrebbe posta di fronte a Derek, anche perché non era sicuro che lui sapesse dei poteri di Harry. Stiles non voleva esporla ad inutili pericoli. Al contrario, fin da quando era arrivata a Beacon Hills, il suo obbiettivo era stato uno solo: proteggerla.
Per questo richiamò il suo nome con tono serissimo, e allora lei decise di ubbidire e lo seguì fuori dalla camera di Scott. Era preoccupata e Stiles riuscì a capirlo benissimo, ma non espresse più ad alta voce le sue paure. Stiles le stava permettendo ancora una volta di tirare su la lampo del sacco a pelo di se stessa. Se ne rese conto, e poco tempo passò prima che la stringesse in un abbraccio senza farselo ripetere due volte. Non aggiunse nulla, e anche Harriet se ne rimase zitta mentre gli stringeva le braccia attorno al petto e aspettava di sentire come avrebbe risposto Scott alla chiamata di Stiles.
«È nella tua stanza. Sta bene», raccontò proprio lui dopo qualche minuto, e mentre era impegnato a parlare cominciò a giocare con una ciocca dei capelli di Harriet quasi senza rendersene conto. «Sai, mi manca il vecchio Derek».
Harry non riuscì a sentire bene cosa rispose McCall a quell'osservazione quasi divertente: era troppo distratta dal profumo di Stiles, dalla sua stretta calda e dalle carezze che stava riservando ai suoi capelli lunghi. All'improvviso era tranquilla; come al solito, la presenza di Stiles agiva da perfetto calmante per la sua costante ansia. Tuttavia, quasi le sembrò di sentire il nome di Kate Argent provenire dalla cornetta, e la successiva frase di Stiles diede una conferma a tutti i suoi dubbi.
«Se pensi che sia possibile che Kate venga qui a prendere Derek...», cominciò a dire mentre – sempre insieme – ritornavano alla camera di Scott.
La sua frase non trovò la fine che Stiles aveva pianificato di darle: di fronte alla visione della camera vuota e smossa da nient'altro che fastidiosi spifferi di vento provenienti dalla finestra spalancata, all'improvviso non ci furono più parole adatte da pronunciare. Stiles partì alla ricerca di cose da dire per riempire quel silenzio pesante sceso di colpo, mentre Harriet osservava con espressione impotente i capelli d'oro di Kate Argent che si muovevano smossi dal vento fresco della sera mentre questa si calava giù per la finestra aperta. Tutte le sue sensazioni erano giuste – ancora una volta.
«… potresti avere ragione», concluse Stiles dopo quelli che parvero secoli, e allora Scott tirò fuori un'imprecazione specchio di quella di Harriet.
Si erano fatti scappare baby Derek. E quella volta per davvero.
 
«Stiles».
Harriet parlò mentre ancora era intenta a correre dietro al diretto interessato, il quale dopo aver trascorso decisamente troppo tempo a piangersi addosso, in silenzio assoluto e con la testa tra le mani mentre pensava a cosa fare per recuperare Derek e ripagare l’errore che aveva compiuto, ancora si stava dirigendo a passo spedito verso chissà dove, con tutta l’aria di uno che non aveva la benché minima intenzione di spiegarle cosa diavolo gli fosse preso.
«Stiles, per favore», lo pregò ancora lei, tuttavia quella volta con un barlume di consapevolezza in più.
Dopo aver fatto tanti ed intricati giri che l’avevano solo confusa, alla fine Stiles era giunto all’esterno di casa McCall e sembrava diretto semplicemente verso la sua Jeep.
«Sali», ordinò infatti, confermando che sì, era proprio alla sua macchina che puntava.
Harriet non se lo fece ripetere due volte ed ubbidì, impadronendosi del sedile di fianco a quello di Stiles, il quale mise in moto alla velocità della luce e prese a sgommare verso una destinazione – di nuovo – ignota.
«Dove andiamo?».
Non avrebbe voluto chiederlo, Harriet – non avrebbe nemmeno voluto parlare, perché Stiles sembrava proprio non avere nemmeno un briciolo di voglia di fare conversazione – ma aveva bisogno di sapere.
Stiles, che probabilmente lo capì, sbuffò lievemente mentre svoltava a destra in una strada buia e deserta. Era ormai molto più tardi di quanto fosse lecito.
Infine comunque, le rispose. Finalmente.
«A casa di Lydia», spiegò, e capendo subito che Harry gli avrebbe chiesto delle altre informazioni, gliele diede lui stesso prima ancora che lei potesse parlare. Perché se le meritava. «Scott, Kira, Malia e Peter sono a scuola. Insieme a Kate e Derek. E ad un piccolo esercito di berserker».
«Oh mio Dio». Harry si lasciò sfuggire quell’imprecazione, coprendosi poi le labbra con le mani per evitare di sciorinarne delle altre.
Le venne in mente di chiedere a Stiles perché mai non avessero portato con sé delle armi, ma quella domanda si rivelò ai suoi occhi come superflua quando lei stessa, voltandosi indietro per puro caso, individuò sui sedili posteriori la fidata mazza da baseball di Stiles. Sapeva che lui non avrebbe mai permesso l’uso di nessun’altra arma.
Perciò se ne rimase in perfetto silenzio, lasciandolo correre verso casa di Lydia mentre sperava che tutto andasse bene e che alla fine le cose si risolvessero per il meglio come quasi sempre. L’idea di andare a scuola – nella tana del lupo – non le piaceva granché, così come il coinvolgere un’indifesa Lydia in tutta quella storia, ma dovevano assolutamente aiutare i loro compagni, e anche Lydia meritava di essere parte di quella missione di salvataggio. O tutti o nessuno.
Alla fine, una volta giunti alla Beacon Hills High School, decisero di dividersi. Stiles e Lydia insistevano per mettersi alla ricerca del covo della famiglia Hale, ma Harry sapeva bene – lo sentiva forte dentro sé – di dover andare in soccorso dei suoi compagni, sebbene aiutarli sarebbe stato difficile almeno tanto quanto trovarli nell’immensità di quell’edificio buio.
«Sta’ attenta», la redarguì Stiles, afferrandole un polso prima che potesse correre lontana da lui.
Non aveva intenzione di proibirle di andare – non l’avrebbe fatto mai – e in fondo sapeva che se la sarebbe cavata benissimo anche da sola, ma comunque non poteva fare a meno di essere preoccupato per lei.
Di fronte a quella scena, Harriet stiracchiò un debole sorriso nella direzione di Stiles e poi liberò dolcemente il polso dalla sua presa.
«Anche voi», annuì, riservando un ultimo sguardo a Stiles – il ragazzo che amava a momenti ancor più della sua stessa vita – e Lydia.
Lydia che, al contrario suo, non aveva alcun mezzo per difendersi. Lydia che stava affidando completamente alla protezione di Stiles. Sapeva anche lei che ce l’avrebbero fatta. E che lui l’avrebbe difesa sempre.
Fu pensando a questo che cominciò a girovagare per la scuola apparentemente deserta alla ricerca dei suoi compagni, ma dopo qualche inutile giro intorno all’edificio Harriet realizzò di doversi fermare per fare mente locale. Ancora col fiatone, si accasciò contro una murata di armadietti giù al pianoterra e chiuse gli occhi. Avrebbe voluto non usare i propri poteri così da avere molta più forza semmai ci fosse stato da combattere, ma era obbligata a farlo. Senza una delle sue solite visioni, non sarebbe mai stata in grado di trovare i suoi amici.
Le bastò pochissimo – ormai era diventata davvero brava – semplicemente si concentrò su Scott e subito lo vide, disteso a terra – ferito – con accanto Malia e Kira nella stessa identica situazione. Erano KO tutti e tre, a terra mentre osservavano con un’espressione colma di terrore un paio di berserker intenti a raggiungerli.
Harriet aprì di scatto gli occhi e riprese a correre, incurante dei polmoni brucianti e del fiato corto. Doveva raggiungere il terzo piano della Beacon Hills High School. Doveva salvare i suoi compagni. O quantomeno provarci.
Ma quando finalmente li trovò, scoprì che il suo aiuto non fosse necessario. Qualcun altro si stava già occupando dei nemici e, sorprendentemente, senza nemmeno troppi sforzi. Mentre si faceva vicina a Scott, Kira e Malia, Harry non distolse mai – nemmeno per un attimo – gli occhi dalla figura di baby Derek, il quale si muoveva molto più agilmente di quanto ci si sarebbe potuti aspettare da un piccolo licantropo come lui. Ma era comunque un Hale, no? Era pur sempre Derek.
«Harry». Non appena la vide, Malia sussurrò il suo nome tra i denti, velocemente, con tutta l’aria di una che avrebbe subito un crollo nervoso di lì a breve. «Sta giù!», quasi imprecò, ed Harriet fece subito come le diceva, inginocchiandosi tra lei e Scott ma sempre con gli occhi fissi su Derek e sul combattimento che stava portando avanti piuttosto bene.
Purtroppo, scoprì di aver parlato troppo presto.
Nel vederlo cadere al tappeto – anche se solo momentaneamente – per mano di uno dei due berserker, Harry fece per scattare in piedi nuovamente. Voleva aiutarlo e non si sarebbe di certo tirata indietro. Ma Scott la fermò per un braccio, impedendole di scendere in campo.
«Devo aiutarlo», si lamentò Harriet, donandogli uno sguardo quasi infastidito.
Odiava il fatto che ancora tutti cercassero di proteggerla come se fosse la cuccioletta indifesa che era venuta dal Texas quasi due anni prima. Non era più quella ragazzina. Aveva dei poteri di cui era ben consapevole ed era forte. Capace di difendere se stessa e le persone alle quali teneva. Ma a quanto pareva né Scott né gli altri l’avrebbero mai capito.
«Ce la fa da solo», mormorò semplicemente McCall dopo qualche minuto e, inaspettatamente, le lasciò andare il braccio di colpo.
Harry pensò di approfittarne e si mise in piedi alla velocità della luce, pronta a raggiungere Derek e i suoi due nemici. Ma ancora una volta scoprì che non ce ne fosse bisogno. Ridonando lo sguardo di fronte a sé, infatti, Harriet notò come i due berserker fossero praticamente svaniti nel nulla. E capì che, sul serio, Derek ce l’aveva fatta da solo.
Harry lo osservò mentre dava loro le spalle, il respiro ancora accelerato dalla colluttazione e l’aria di uno che non stava tanto bene. Provò a muovere un altro passo nella sua direzione, ma ancora una volta Scott – che si era messo in piedi anche lui, seguito da Kira e Malia – le afferrò un polso affinché desistesse.
«Derek?», lo sentì chiamare, e il diretto interessato subito reagì, perché prese a voltarsi – molto più lentamente di quanto Harriet potesse sopportare – nella loro direzione.
Non ci fu nemmeno bisogno che facesse il giro completo, già a metà strada si resero conto tutti del fatto che qualcosa fosse cambiato. Che Derek fosse cambiato. Ma nessuno parlò – nessuno volle illudersi più di tanto – nemmeno quando Derek li fronteggiò tutti in maniera completa, mostrandosi a loro come l’uomo che avevano tutti conosciuto e non più come la versione ringiovanita di se stesso. Baby Derek era andato.
Harriet fissò la sua versione “normale” con un’aria preoccupata, che aumentò a dismisura quando lo vide far brillare un paio di insoliti occhi gialli. Derek era tornato, sì. Ma non era più lo stesso.








Quand'è andata in onda la 4x02? Più di un anno fa? Quasi sicuramente.
Ebbene, è più di un anno che cerco di mettere fine a questa... cosa. Con pessimi risultati, ovviamente.
Ci sono riuscita oggi grazie a chissà quale miracolo, dopo aver lottato a lungo sia contro Piccì (che ultimamente fa i capricci come se non ci fosse più un domani) che contro la mia ispirazione. La verità era che volevo a tutti i costi tornare a rompervi le balls prima del tempo, dunque eccomi qua.
Non so quanto vi possa piacere questa roba, so solo che Harriet mi mancava ormai davvero troppo. Mi manca lei, il vederla interagire con Stiles e Derek, mi manca tutto. E mi è anche piaciuto più del lecito farla confrontare con personaggi nuovi come Parrish, personaggi che nella "serie ufficiale" di parachute non avrà occasione di conoscere perché, non so se ne siete consapevoli, ma ho intenzione di fermarmi alla 3S con la narrazione. Non scriverò nulla sugli Starriet della 4S, se non (forse) una raccolta molto ma molto strappalacrime dove infilerò Malia (perché la "questione Malia" Stiles ed Harriet la devono affrontare, va' là). Detto questo, avevo comunque bisogno di scrivere questa cosa, perché il Derriet mi riempie sempre e comunque il cuore di gioia, e non potevo non farvi vedere quanto sono cicci scricci Harry e baby!Derek insieme (penso che scriverò anche qualcosa con Harry e Liam, solo che devo ancora capire cosa, proprio per lo stesso motivo).
Nel frattempo non posso far altro che lasciarvi in santa pace, assicurandovi che kaleidoscope (sequel di parachute) arriverà a breve, esattamente dopo che avrò trovato la forza di volontà per mettere fine a
Love is a losing game. Per ora dovrete farvi bastare questa shot strampalata e anche vagamente spoilerosa, giacché (ma guarda un po'!) ad un certo punto si parla di certi poteri di Harriet che, boh chissà, magari potreste vedere in kaleidoscope. O magari no.
Me ne vado prima che vi venga voglia di uccidermi. Bacioni (e shippate Derriet), la vostra
hell
   
 
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