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Autore: Stella Dark Star    09/07/2015    0 recensioni
[Le cronache di Narnia]
Sono trascorsi sei mesi dall’abbandono di Narnia. Vera assieme ad Edmund, Peter e Lucy non è ancora in grado di accettare la vita nel mondo reale. La situazione si complica quando in sogno riaffiorano ricordi che la sua mente aveva cancellato: a Narnia lei ed Edmund avevano avuto un figlio, di nome Caspian. Dopo molti inutili tentativi di riaprire il passaggio all’interno dell’armadio, un nuovo passaggio si apre nel giardino della Villa permettendo loro di ritornare.
L’atmosfera che respirano non è delle migliori,però. Il castello di Cair Paravel è stato distrutto, gli abitanti sembrano scomparsi, Miraz e Glozelle non sembrano più gli stessi e tramano di uccidere Caspian in quanto legittimo erede al trono nominato da Peter prima di scomparire. Molte domande affiorano alla mente dei ragazzi, in quel luogo che era stato la loro casa e che ora sembra così cambiato.
Cosa sta accadendo realmente? L’entrata in scena di un Caspian adulto li catapulterà in una verità terribile: dal giorno della loro scomparsa non sono passati sei mesi, bensì diciassette anni e la salvezza del regno dipende solo da loro.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 1
Il bimbo sorridente
 
“Le ho detto che va cambiata la rotazione delle pulizie delle stanze.” Dissi convinta, puntandole contro il dito indice.
Mrs. McCready si sistemò gli occhialini sul naso e rispose stizzita: “Senti ragazzina, non hai mai gestito una casa. Io invece lavoro qui da prima che tu nascessi e nessuno ha mai avuto da ridire sui miei metodi. Né i tuoi nonni né tua madre.”
“Tanto per cominciare non usi questo tono con me. Seconda cosa, non mi dia del ‘tu’. E terzo, io ho un’enorme esperienza visto che per anni ho gestito un…”
M’interruppe alzando di più la voce: “Che cosa, signorina?”
Avevo una gran voglia di dirle che avevo gestito il castello di Cair Paravel e che me l’ero sempre cavata egregiamente, ma nonostante mi trovassi dalla parte della ragione, non potei far altro che ingoiare tutte quelle parole e tagliare corto: “Ne so più di quanto lei creda.”
Arricciando un angolo della bocca disse sarcastica: “Certo signorina, non ho dubbi!”
“Non creda che sia finita qui. Mi farò sentire ancora.”
Uscii dalla lavanderia, furiosa per non aver potuto dire quello che ero in grado di fare. Per sfogarmi, colpii una sedia del corridoio con un calcio: “Accidenti!”
In quel momento arrivò Lucy correndo, con addosso ancora il cappotto e il berretto: “Vera ti ho cercata dappertutto.”
“Lucy perché sei qui da sola? Dove sono gli altri?”
“E’ successo un disastro.”
 
Giunta davanti al bar, da cui provenivano schiamazzi e incoraggiamenti, lasciai cadere la bicicletta a terra ed entrai. Mi si presentò davanti uno spettacolo violento, con Edmund e Peter che facevano a botte con due ragazzi del paese. Tra l’altro, Peter era a terra e se le stava prendendo di santa ragione dal ragazzo più robusto di lui.
“Fermatevi! Sembrate delle bestie!”
Il ragazzo che lottava contro Edmund lo spinse a distanza e mi rispose con tono strafottente: “Che c’è Vera? Hai paura che ti rompo il fidanzato?”
I tipi della folla risero alla battuta, io invece lo fulminai: “Billy sei veramente un asino.”
Edmund approfittò della sua distrazione per atterrarlo con un possente pugno allo stomaco, quindi io andai dall’altro tipo e gli bloccai il braccio un attimo prima che colpisse il viso di Peter, che stava ancora piegato a terra: “Allora Dennis? Non hai ancora capito quanto sei ridicolo?”
Lui si liberò il braccio con uno strattone e rispose infastidito: “Sei sempre stata una guastafeste. Tanto non mi stavo neanche divertendo con questo pappamolle.”
Recuperò il suo amico Billy ancora a terra agonizzante e insieme uscirono dal bar, seguiti da un gruppetto di folla.
Io ed Edmund aiutammo Peter ad alzarsi.
“Vi ho mandato a fare una commissione nel negozio qui di fronte e vi ritrovo a fare rissa al bar?”
Edmund chiarì: “Tecnicamente era una lotta. E poi hanno cominciato loro.”
Uscimmo dal bar, dove c’era Lucy ad attenderci affiancata da Susan. Le ignorai.
“Che hanno fatto per scatenare la vostra collera?”
Peter parlò con disprezzo: “Ci hanno chiamato ‘fattorini’. Ci hanno deriso. Non potevo lasciare quest’onta impunita.”
Gli tesi una trappola: “Sei un re, devono portarti rispetto.”
“Esatto e poi…” Si accorse dei nostri sguardi e ammise la realtà: “Lo so che non siamo più a Narnia, ma io non riesco a riadattarmi a questo tipo di vita.”
Susan sbottò: “Non so che cosa sia successo dentro quell’armadio ma ormai sono passati sei mesi. Smettetela di nominare quella dannata Narnia. Non esiste.”
Confermai: “In un certo senso ha ragione lei. Dobbiamo dimenticare.”
Riprendemmo le biciclette e tornammo alla casa di mio nonno.
 
Susan posizionò l’ultimo cerotto sulla parte destra della fronte di Peter: “Ecco fatto! Stai attento quando farai il bagno.”
Mentre radunava i batuffoli usati di cotone dentro il catino, Lucy le si rivolse sorridente: “Ti avevo detto che con quella pomata il dolore delle ferite sarebbe passato subito!”
Lei disse pensierosa: “Già… Non so come sia possibile ma da un po’ di tempo t’intendi di erboristica e rimedi. Dovrai raccontarmi la verità prima o dopo.”
Anch’io terminai il lavoro mettendo un cerotto sotto al mento di Edmund: “Amore, sei fortunato. Un colpo più forte e ti avrebbe rotto l’osso.”
Presi tra le mani entrambi i catini: “Vado a buttare questa roba, torno subito.”
Finito di sciacquare i catini, dopo averli ben lavati, m’incamminai per il corridoio, ma una voce infantile mi sorprese: “Mamma!”
Mi guardai attorno senza vedere nessuno, quando la voce, lontana come un’eco, ritornò: “Mamma!”
Alzai la voce: “Chi c’è?”
Sentii una risata in direzione delle scale, allora mi voltai. Con mia sorpresa, vidi una piccola figura sbiadita raffigurante un bambino. Il suo volto sorridente mi fece scaldare il cuore, anche se non sapevo di chi o cosa si trattasse. Notai i capelli castani, folti e lisci, e l’abbigliamento medioevale. Chi era?
Emise un’altra risatina: “Mamma, mamma!”
“Vera!” Mi voltai di scatto, spaventata. Edmund mi si avvicinò con sguardo interrogativo: “Stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma.”
Mi girai verso le scale ma la figura era sparita, così tornai a guardare Edmund: “Eddy, mi sembra di aver visto qualcuno sulle scale.”
“Qualcuno chi?”
“Non lo so. Un bambino. La cosa strana è che aveva dei vestiti in ‘stile Narnia’!” Cercai di accentuare le ultime due parole della frase.
“Credi che qualcuno sia riuscito ad entrare nel nostro mondo?”
“Era una figura sfocata, come dipinta nell’aria. Non era in carne ed ossa. E poi nessuno manderebbe un bambino a cercarci.”
Rimase in silenzio qualche momento, con lo sguardo fisso sulla scalinata: “Forse si è trattato di un effetto di luce. I raggi di sole che attraversano il vetro possono ingannare.”
Insistei: “Mi è parso di sentire che mi chiamava ‘mamma’!”
Mi guardò con un sorriso beffardo: “Sarà un desiderio di maternità! Amore, aspettiamo almeno qualche anno!”
Gli diedi una pacca sulla spalla: “Non lo è affatto, stupidone!”
Mi convinsi che si era trattato solo del frutto della mia immaginazione e non ne parlai più. Almeno, fino al giorno seguente.
  
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