Elvin.
Camminava lungo quel sentiero ormai
da ore. Si sentiva i piedi a pezzi, le gambe che a malapena reggevano il peso
del suo corpo. Si sedette sul prato accanto, poggiando lo zaino a terra. Doveva
raggiungere i Varden al più presto ma sapeva che se non si sarebbe riposata
sicuramente sarebbe morta prima. Tirò fuori un pezzo di pane e lo addentò con
foga.
Si guardò attorno: non c’era
nessuno, nemmeno un animale animava quello strato di terra su cui adesso
sedeva.
Aveva sentito che i Varden erano un gruppo
di ribelli che combatteva contro Galbatorix, e lei aveva tutto il diritto di
unirsi a loro. Sapeva che si trovavano nel Surda adesso, sulle Pianure Ardenti.
Probabilmente nascosti in qualche roccia. L’unico problema era come far capire
ai Varden che non stava dalla parte del nemico.
Tirò su col naso. Quel raffreddore
era straziante. Si distese a terra, gli occhi al cielo. Le stelle splendevano
alte e luminose. La affascinavano; da piccola aveva sempre sognato di poter
volare in mezzo a quelle lucciole enormi, poterle toccare, poterci giocare.
Rimase così per qualche minuto, forse mezz’ora, poi chiuse gli occhi,
addormentandosi.
Erano sicuramente mezzo giorno
passare quando Elvin aprì gli occhi. Si sentiva riposa e si rimise subito in
marcia. Anche verso quell’ora, se non per un gruppo di mendicanti, la strada
era completamente deserta. Viaggiò fino alle quattro del pomeriggio,
costeggiando un torrente. L’acqua era così limpida che ci si poteva
rispecchiare dentro “Fantastica!” pensò.
Quella solitudine la rilassava, da
una parte, mentre la opprimeva dal’altra. Fin da quando era piccola aveva
vissuto in compagnia, sempre accompagnata da qualcuno, e adesso che si trovava
sola qualcosa in lei la metteva in guardia.
Si tirò all’indietro i capelli
castani ormai appiccicati alla fronte sudata. Faceva talmente caldo che era
stata costretta a tagliarsi le maniche
e una parte del vestito verde che indossava. Alla cintura portava un
pugnale ornato con un serpente d’oro. La lama era di un verde inteso, come l’erba
quando, dopo una tempesta, si asciuga al sole. Era di suo padre, che glielo
aveva lasciato prima di andarsene per sempre. Sospirò. Odiava ricordare il
passato; una vita che ormai non le apparteneva più.
Camminava quando incontrò una figura
piegata sul ruscello. Si fermò. Probabilmente stava prendendo dell’acqua.
Aveva i capelli castano scuro,
leggermente lunghi. Erano arruffati e impregnavano il collo del giovane con
goccioline di sudore. Il mantello gli copriva interamente il corpo, mentre le
mani erano tenute in un paio di guanti. Una spada gli pendeva ad un fianco,
lasciando, fuori dal fodero, un piccolo spazio rosso. Il colore della lama,
pensò Elvin.
Rimase lì, ferma a guardarlo. Non
sapeva se potesse fidarsi, e forse la cosa migliore da fare era proseguire per
la propria strada. Ma non riusciva a muoversi. Era come se quel ragazzo
l’avesse bloccata lì, senza riuscire a farla smuovere.
Il moro chiuse la borraccia e si
rialzò, voltandosi. Vide la ragazza. Era castana, i capelli lunghi tirati all’indietro.
Il vestito verde le ricadeva morbido sul fisico minuto, strinto con una cintura
di pelle di cervo; alla quale era agganciato un piccolo pugnale.
Continuò a fissarla, senza muovere
un muscolo. Poi prese e si diresse verso la parte opposta.
Elvin continuò a guardarlo, seguendo
la sua figura con lo sguardo. Si stava dirigendo verso il prato più a ovest.
Mosse qualche passo verso il giovane, che però parve accorgersene, dato che si
voltò e le chiese: - Cosa c’è? – la sua voce era calda. Mentre il suo volto
mostrava sofferenza e dolore.
Elvin non rispose, e il giovane si
ritrovò a rifare la domanda.
- N..niente…-
mormorò la ragazza. Continuava a guardarlo negli occhi.
Il moro scosse la testa e si
ridiresse verso il luogo in cui stava andando. Elvin si mise a seguirlo. Non
sapeva nemmeno lei cosa la animasse, cosa la spingesse a seguire quel ragazzo.
- Sono Elvin – disse avvicinandosi –
Tu? – chiese.
Dopo un po’ che il ragazzo non
rispose si maledisse. Perché cavolo aveva detto il suo nome. Se ne sarebbe
dovuta andare via subito.
Il ragazzo la guardò negli occhi: -
Che vuoi? – chiese ancora.
Elvin abbassò lo sguardo: - Cerco un
posto…-
- Bene continua a cercarlo allora! –
grugnì il giovane-
Lei lo guardò ancora, avventurarsi
verso il bosco. Lo seguì da lontano, di soppiatto.
Continuava ad inoltrarsi nel folto
degli alberi, verso una cascata, così sembrava dal rumore. Si nascose dietro un
albero. Strabuzzò gli occhi. Davanti a lei si stagliava un enorme drago rosso,
le squame che rilucevano quando i pochi raggi del sole le illuminavano.
“Mio dio!”
Il giovane, che adesso era sicuro
essere un cavaliere, si sedette accanto al drago, a gambe incrociate.
- So che sei lì dietro avanti esci!
– disse mettendo fra i denti un pezzo di carne che il drago aveva arrostito ben
bene.
Elvin uscì dal suo nascondiglio,
incerta. Come aveva fatto a sapere che era dietro quell’albero? Ma cosa più
importante: un cavaliere dei draghi non doveva stare dalla parte dei Varden? E
soprattutto: poteva andare a giro così liberamente senza essere scoperto da
Galbatorix?
Gli si avvicinò, appoggiando la mano
sull’elsa del pugnale.
- Tranquilla, non ho motivo di farti
del male – sorrise il moro.
Lei non rispose. Guardava il drago, per
metà affascinata e per metà impaurita. Non si era mai trovata davanti ad un
animale tanto maestoso.
- Chi sei? – chiese al giovane.
- Mi chiamo Murtagh…-
la guardò da sotto la frangia – Tu invece hai detto di chiamarti Elvin vero? –
Lei non rispose.
- Cosa è che cercavi? – chiese
ancora Murtagh.
Lei si sedette su un sasso vicino a
lei: - Nulla – scosse le spalle.
Lui continuò a guardarla: - Come
nulla? – rise – Tu cerchi il nulla? Wow! –
Non era simpatico, e lei non era
venuta lì per perdere tempo: - Ma i draghi non sfuggono facilmente a
Galbatorix! – si pentì subito di ciò che aveva detto. Non aveva la più pallida
idea da che parte stesse Murtagh, poteva benissimo essere un cavaliere di Galbatoriz. Per la prima volta si sentì veramente stupida.
Lui la guardò, obliquamente. Poi
rise. La risata infastidì Elvin, la stava prendendo in giro – Sai che sei
strana?! – disse lui.
Lei assunse un fare altezzoso: - Che
vuoi dire? – non gli piaceva quel ragazzo, anche se da un lato la affascinava.
Lui scosse le spalle e non rispose.
Si alzò e sistemò la sella sul dorso del suo drago: - Allora dove sei diretta?
– chiese ancora.
Lei non rispose.
Murtagh si voltò, scocciato: -
Potrei darti un passaggio se tu mi dicessi d0ve sei diretta –
- Nel Surda – rispose lei. Non volle
stare a precisare il punto preciso, non sicura di potersi fidare – Ma posso
benissimo andarci a piedi! – sbuffò.
Murtagh continuò a guardarla, e lei
fu costretta ad abbassare la testa. Murtagh salì in groppa al drago: - Vai dai
Varden vero? –
Lei alzò di scatto la testa: -
Come?! –
- Tranquilla – si massaggiò la
spalla – Anche io sono diretto verso il Surda, e non sono dalla parte di
Galbatorix. Non faccio nemmeno parte dei Varden perché sinceramente non mi
interessa che fine farà questa terra. Però posso portarti il più vicino
possibile, così che tu possa arrivare da loro il prima possibile e senza
correre rischi – la guardò, sperando in una sua risposta.
- Non so se potermi fidare – rispose
Elvin avvicinandosi e squadrando il drago.
- Giusto – continuò Murtagh – Ma ti
permetto di pugnalarmi se ti farò qualche torto – le allungò una mano per
aiutarla a salire.
Elvin lo guardò ancora, dubbiosa;
poi gli afferrò la mano. Salì in groppa al drago e sentì il drago che si issava
su. I muscoli tesi per lo sforzo. Istintivamente cinse il corpo del cavaliere
con le braccia, stringendo.
Murtagh rise: - Così mi fai male! –
le prese le braccia e le allargò un pochino – Mai volato? – chiese infine.
Lei annuì debolmente.
Il drago si puntò con le gambe
posteriori e si diede lo slancio. Il terreno cominciò ad allontanarsi e il
freddo dell’aria cominciò a pungergli le guancie. Strinse nuovamente il corpo
di Murtagh e chiuse gli occhi. Sentì il cavaliere gemere sotto la sua stretta
ma non smise di tenersi attaccata. Aveva paura, un terrore enorme e non
intendeva aprire gli occhi per nessun motivo. Si ricredette sulla bellezza del
volo che pensava fosse da bambina. Si sentì alzare il vestito quando il drago
virò lateralmente e si diresse verso sud. Dopo qualche secondo prese
un’andatura normale, probabilmente voluta da Murtagh.
- Adesso puoi aprire gli occhi
fifona! – disse lui allargandole le braccia intorno alla sua vita.
Lei aprì lentamente gli occhi, aveva
paura di ciò che avrebbe visto. Quando li ebbe definitivamente tutti e due
aperti spalancò la bocca per lo stupore. Davanti a lei si innalzava uno
spettacolo mai visto. Fiumi, laghi, montagne; a quell’altezza tutto sembrava un
modellino di legno, come quelli che si regalano ai bambini piccoli. La valle
Palancar si stendeva dietro di lei, mentre davanti, in lontananza, si trovavano
i Monti Beor. Le Pianure Ardenti erano alla sua destra, lontane.
- E’ bellissimo! – mormorò mentre
volgeva il suo sguardo da una parte all’altra.
Murtagh rise: - Te lo avevo detto o
no? – sghignazzo ancora, dando una leggera pacca sul collo del drago.
- Come si chiama – urlò Elvin, per
farsi sentire, a Murtagh, riferendosi al suo drago.
Murtagh girò la testa all’indietro:
- Castigo! – urlò.
Il vento non permetteva certo lunghe
chiacchierate, e per tutto il tempo Elvin rimase muta a guardare a volte il
paesaggio, a volte la schiena di Murtagh. La affascinava ancora, e provava uno
strano sentimento per quel ragazzo, benché l’avesse conosciuto da poco. Ciò la
traumatizzava un po’. Non aveva mai provato niente di simile per un ragazzo e
questo la spaventava.
Sentì il drago tendere i muscoli
quando volò in picchiata. Elvin urlò, aggrappandosi a Murtagh con tutta la
forza che aveva. Il drago atterrò con un sonoro frastuono.
Inghiottì, mettendosi
la faccia fra le mani: - Non lo fare mai più! – urlò dando una manata sulla
schiena di Murtagh.
Il moro rise: - Tranquilla…- scese da Castigo, atterrando con un leggero stonf.
Un
po’ fifona la ragazza. Disse
Castigo nella mente a Murtagh. Il moro rise.
- Cosa c’è?! – chiese Elvin
scendendo anche lei, sebbene malamente, dalla sella del drago rosso – Che è
successo? – chiese ancora stizzita.
Murtagh la guardò di
sbieco, osservandola da capo a piedi. Quella ragazza gli ricordava tanto una
persona, anche se in quel momento non ricordava chi. Si sentiva a disagio,
quasi senza respiro; ma non lo diede a vedere: - Ha detto che sei una fifona! –
indicò il drago – Castigo! –
Elvin sbuffò: - Vorrei
vedere lui al posto mio.
Murtagh si voltò e
rise ancora: - Se lui fosse al posto tuo non penso che riusciresti a reggerlo –
- Ah ah…- Elvin si sedette su un masso, togliendosi lo zaino
dalle spalle. Sentiva le gambe a pezzi, e, se non fosse stato per la sella, lei
ne era sicura, si sarebbe ritrovata con le gambe completamente macchiate di
sangue; il suo. Guardò il cielo. Fino a qualche minuto prima erano lassù, a
volare. Le era piaciuto, solamente l’atterraggio non l’aveva molto convinta: -
Ma il tuo drago sa atterrare come si deve? –
Castigo fece una
smorfia. Ovvio!
Murtagh scoccò un’occhiata
al drago: - Perché? Pensi di poter giudicare? – chiese accigliato.
Elvin scosse la testa
con un fare dubbioso: - No…- rise – Si! – si alzò in
piedi e cominciò a mimare Galbatorix; cosa molto pericolosa dato che si
trovavano nel territorio dell’Impero. – Io sono Galbatorix, signore del fuoco! Signore
della terra! Signore di tutta Alagaesia! Sono imbattibile e riesco a decifrare
qualsiasi lingua terrestre! –
Murtagh si sedette e
cominciò a sghignazzare. Quella ragazza era davvero strana. Chi se lo sarebbe
immaginato che si sarebbe messa a mimare Galbatorix.
Elvin continuò,
scoccando un’occhiata al moro: - Tu! Tu e tu! – cominciò ad indicare prima un
ramo di un albero, poi il ruscello e infine un sasso – Voi! Miei schiavi! Avete
osato ribellarvi a Galbatorix, cioè me – a questo punto Castigo e Murtagh
scoppiarono in una sonora risata, seguiti da quella leggere e trattenuta di
Elvin. Quella continuò: - E per questo io vi dico!....- ci fu un momento di
attesa, dove nessuno osò fiatare, come quando sei a teatro e sta per succedere
qualcosa di importante – Di portare la vostra mamma a farsi benedire! – una risata
clamorosa e un battito di mani travolse il silenzio che si era formato poco
prima.
Elvin fece un inchino,
poi un altro, finché non si fu inchinata a tutti gli oggetti di quel posto.
- Ma sei diventata
pazza! – disse Murtagh continuando a ridere e asciugandosi gli occhi – Ti avesse
sentito Galbatorix! –
Elvin fece un gesto di
non curanza e si rimise a sedere: - Non ho paura di lui –si guardò intorno e
tremò, fingendo.
- Ah! Dai basta! –
Murtagh tirò fuori, da una delle bisacce attaccate a Castigo, un pezzo di
stoffa, con dentro qualche pezzo di carne: - Avrai fame –
Elvin tirò fuori dallo
zaino un pezzo di formaggio: - Ho questo – disse, sventolandolo davanti al naso
di Murtagh. L’odore gli arrivò così forte che fu costretto a scostarsi,
inorridito. – Ma che roba è?! – chiese – Coraggio, un po’ di carne non ti farà
male –
Dopo che ebbero messo
su un piccolo fuoco e arrostito per bene la carne, Murtagh ne diede un pezzo a
Elvin. La ragazza lo afferrò intimidita, aveva perso tutta quella spavaldità che aveva prima. Adesso era stanca e voleva
solamente riposare, anche se non si fidava abbastanza per riuscire a dormire
con accanto uno sconosciuto.
- Oggi la faccio io la
guardia, ma poi dovremmo cominciare a fare a turno. Non sono un dio lo sai –
disse Murtagh tirando fuori da un’altra bisaccia un paio di coperte – La sera
fa molto freddo – ne porse una a Elvin.
- Grazie…-
mormorò la ragazza. Appoggiò il bastoncino su cui era messa la carne a terra e,
con un elastico si legò i capelli.
Murtagh rimase a
guardarla, posando a volte il suo sguardo sul naso, altre sulla bocca, per poi
finire guardando gli occhi. Erano di un blu intenso, che a lui ricordarono
subito le squame di Saphira. Si riscosse: non doveva andare a pensare a loro,
nemmeno ad Eragon. Altrimenti si sarebbe ritrovato nuovamente con strizze allo
stomaco per tutta la notte. Sbuffò.
- Che c’è? Non mi va
più la carne scusa, ma se vuoi la finisco, se per te è un’offesa – disse Elvin
afferrando nuovamente il bastoncino.
Murtagh rialzò lo
sguardo dal terreno: - Cosa? – rimase così, ammutolito, poi si riscosse - No no! Non è quello
tranquilla. Stavo solo pensando – fece un leggero sorriso, poi fece cenno a
Elvin che poteva mettersi a dormire, e le disse che sarebbe stato lui a
vegliare su di lei, e che non doveva avere timore.
La ragazza si distese
sull’erba, gli occhi se passavano da Murtagh a Castigo e viceversa. Qualcosa in
lei la avvertiva che sotto l’apparenza si nascondeva qualcos’altro. Ovvero che
quei due nascondevano qualcosa, un qualcosa che lei non avrebbe mai immaginato.
Si tirò la coperta fin sopra il naso e chiuse gli occhi, fidandosi di quel
ragazzo che aveva appena conosciuto.
Fine primo capitolo della mia prima
vera ff su Eragon, il libro, a parere mio, più bello
in assoluto. Vorrei lanciare auguri a Christopher Paolini che è stato
bravissimo a cerare una storia così avvincente e piena di colpi di scena! W Alagaesia,
Murtagh e Christopher Paolini! E ovviamente W a chi recensirà la mia ff xD.
Ringraziamenti di: Lui era Murtagh.
Ikarikun: grazie davvero per i complimenti Ika (posso chiamarti Ika vero?
^_^). Sono felice che ti piaccia il mio modo di scrivere e spero di non averti
delusa con questa ff. grazie ancora cara!!! E grazie anche per averla messa
trai preferiti!!!! ciao bella!!!
Recensire non costa nulla e fa felici gli scrittori.