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Autore: Saritac1987    10/07/2015    1 recensioni
«Non voglio più vederti.»
Uscì, senza nemmeno sbattere la porta.
Chris si stese sul proprio letto, cercando di fermare le proprie braccia che tremavano, di comportarsi normalmente, ma era troppo tardi: sentiva che i suoi occhi stavano diventando vermigli.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Ginny
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Capitolo 5
 
Paige non riusciva a dormire; non pensava che fosse stato possibile parlare con la piccola Malfoy in quella maniera, dirle tutto quello che pensava, ringraziarla addirittura! Non avrebbe mai dimenticato l’espressione della compagna mentre le diceva quelle cose carine.
C’era da dire, però, che la Malfoy si era rivelata l’unica persona a preoccuparsi seriamente per lei: nemmeno Emma le aveva chiesto come stava, anzi, probabilmente era stata tra le prime persone a deriderla dopo la caduta. Quel giorno si era sentita un’idiota e sperava che il professor Davies l’avesse capito da solo, che con lei non c’era speranza. Magari l’avrebbero esonerata dalle lezioni se si fossero resi conto che non sarebbe mai riuscita a volare.
Per lei, era molto meglio stare seduta a una scrivania, curva sui libri: anche se probabilmente era l’unica persona al mondo che lo pensava, studiare era una cosa piacevole, soprattutto quelle materie, che erano interessantissime.
Prima o poi, però, i suoi genitori le avrebbero chiesto come procedevano le lezioni di Volo; con che coraggio avrebbe detto loro che, ormai, aveva rinunciato a salire su un manico di scopa, che non ne era in grado e che non voleva rischiare di farsi del male?
Non voleva immaginare la lettera che le sarebbe arrivata, se avesse detto qualcosa del genere; le loro urla, al ritorno a casa.
Non poteva neanche mentire: se per caso le avessero chiesto di mostrare loro i suoi progressi e lei non sarebbe nemmeno riuscita a fare un piccolo volo in giardino, sarebbe stato peggio.
Non c’era via d’uscita.
Allo stesso tempo, Paige sapeva che qualcuno sarebbe stato in guai peggiori dei suoi, se avessero scoperto il suo segreto: continuava a pensare alle parole di Maxim Dolohov, a come sembrava che la stesse implorando con gli occhi di non far sapere nulla di lui e della sua ragazza. Avrebbe mantenuto il suo segreto senza alcun problema; del resto, a Hogwarts, era meglio che si facesse qualche amico.
 
***


Il mal di testa si era fatto più forte del solito. Chris aveva paura, ma aveva deciso di andare avanti e fare finta di nulla. Per la prima volta, non l’aveva nemmeno detto a Dan. Non sarebbe servito a nulla: l’amico l’avrebbe solamente invitato ad andare in infermeria per l’ennesima volta, dove Madama Flanagan gli avrebbe dato la solita pozione, quella che gli faceva passare il dolore solo per qualche giorno.
Quella sera non avrebbe seguito la lezione di Astronomia: non voleva rischiare di avere qualche attacco solo perché doveva guardare le stelle e i pianeti morendo di paura.
Il ragazzo si chiedeva sempre perché a Hogwarts uno studente non potesse seguire dal primo anno il piano di studi adatto al mestiere che avrebbe voluto fare, senza perdersi in cose inutili. A cosa gli sarebbe servito seguire le lezioni di Astronomia, se sognava di fare l’Indicibile?
Chris si stese sul letto e chiuse gli occhi: di solito, era l’unica cosa che gli permetteva di tranquillizzarsi, senza farsi prendere dal panico; e, almeno, se Dan fosse entrato nel dormitorio, non si sarebbe accorto dello strano colore carminio che sicuramente avevano assunto le sue pupille. Quello era solo il primo effetto di quello stupido mal di testa, che gli veniva costantemente dopo un’ora o due che l’aveva.
Il ragazzo ricordava che, durante l’estate appena trascorsa, dopo una crisi più potente del solito, i suoi genitori avevano terminato la pozione che era costretto a prendere quasi senza accorgersene, tanto che, la volta dopo, gliene avevano date solo poche gocce. Per evitare di fare del male a qualcuno, si era chiuso in camera, si era steso sul letto e aveva chiuso gli occhi, e ricordava che dopo qualche ora il dolore si era placato, e i suoi occhi erano tornati alla solita tonalità di grigio, senza che il ragazzo fosse rimasto bloccato in una sua minima parte. Sperava solamente che, anche quella volta, sarebbe andata così. Chris non vedeva l’ora che riuscissero a trovare una soluzione al suo problema, per poter finalmente avere una vita normale, quella che sembrava gli fosse stata rubata quando aveva sette anni.
Purtroppo, ogni volta che chiedeva a uno dei suoi genitori delle novità sul suo problema, le loro risposte erano sempre vaghe, come se fosse stato ancora quel bambino di sette anni che aveva iniziato a stare male, che si era chiuso in se stesso più di quanto lo fosse già, che aveva iniziato ad avere crisi d’inferiorità nei confronti dei suoi fratelli.
«Chris?» La voce di Dan interruppe i suoi pensieri. Il ragazzo ricordava con un sorriso il giorno in cui l’amico aveva fatto visita a casa sua per la prima volta.
Era la vigilia di Natale, e Chris non aveva voglia di affrontare la cena a casa dei suoi nonni materni: sua nonna Molly avrebbe cercato di ingozzarlo con tutto quello che aveva cucinato, come faceva sempre con Ryan e con suo padre. Di solito, il ragazzino si limitava a mettersi vicino ai nonni paterni, che avevano la sua stessa voglia di passare del tempo insieme ai Weasley.
A un certo punto, sua sorella Alyssa era entrata in camera sua senza nemmeno bussare.
«Chris, c’è uno che dice di essere tuo amico.» Era sorpresa, come se fosse impossibile che lui avesse degli amici.
«E chi è?» Chiese Chris, annoiato. L’unica persona che poteva definirsi suo amico era…
«Ha detto che si chiama Daniel. Ha i capelli castani.» Sì, era lui.
Chris scese di fretta le scale, trovandosi davanti il suo migliore amico. I suoi genitori erano a dir poco sorpresi, sembrava che non avessero mai visto un ragazzino di undici anni a casa loro. Come se per lui fosse complicato socializzare.
«Dì a quella di Astronomia che non sto bene.» Disse a Dan, senza aprire gli occhi. Sicuramente lui avrebbe capito.
«Ancora?»
«Mi sta scoppiando la testa.» Concluse Chris; o, almeno, sperava di averlo fatto.
«Perché non sei andato in infermeria?» Lo rimproverò l’altro. Si preoccupava troppo per lui; Chris faticava ad apprezzare tutte quelle attenzioni: preferiva fare ciò che sentiva, da solo.
«È inutile, Dan… preferisco che il dolore passi da solo.»
L’amico non rispose: iniziò a preparare la propria borsa per Astronomia in silenzio.
 
***
 
Per Daniel preoccuparsi per un amico era una cosa naturale, come fare battute o non lamentarsi quando zie che non vedeva da tempo iniziavano a dargli pizzicotti sulle guance come se fosse stato un bambino di cinque anni. Per questo motivo, appena vedeva Chris più strano del solito, con l’aria di quando stava per avere un attacco, voleva quasi obbligarlo ad andare in infermeria; di solito, l’amico lo ascoltava, Madama Flanagan gli dava la solita pozione e il giorno dopo, improvvisamente, iniziava a stare bene. Bastava solo che fermassero tutto in tempo, altrimenti Chris si sarebbe ritrovato bloccato a letto, per una settimana o anche di più. Era una cosa orribile, se ne rendeva conto anche lui che di magia non era poi così esperto; non aveva nemmeno provato a consultare Robert, perché Chris sosteneva che fosse meglio che nessuno sapesse del suo problema.
Decise di non pensarci: l’amico sicuramente sapeva cosa stava facendo, poiché stava così da sei anni.
Il ragazzo si sedette alla scrivania e prese una pergamena, sulla quale scrisse velocemente il titolo del primo tema che avrebbe dovuto svolgere quell’anno.
 
Parla della Divinazione: storia, tipologie, metodi.
 
Dopo solo tre lezioni, già si stava pentendo di avere scelto quella materia: certo, sicuramente meglio di Aritmanzia o Antiche Rune. Persino Cura delle Creature Magiche con i suoi schifosissimi Vermicoli era più interessante, perché almeno stava a contatto con la natura. Purtroppo, l’anno prima era stato ordinato a tutti gli studenti a scegliere due materie, più una terza se si preferiva approfondire qualcosa; essendo figlio di Babbani, non gli sarebbe servito a granché seguire Babbanologia, e non aveva voglia di studiare ancora di più con Aritmanzia e Antiche Rune: gli restava solamente Divinazione.
Purtroppo la professoressa Cooman era completamente pazza: prevedeva disgrazie agli studenti durante ogni lezione, ma tutto ciò che aveva presagito non si era ancora avverato.
Sosteneva che Dan si sarebbe rotto qualcosa: era impossibile, perché l’unica cosa che faceva il ragazzo era salire e scendere le scale di Hogwarts. Era una situazione assurda: a ogni lezione, lo guardava e diceva: «Foster, attento! Se farai un passo falso, la tua gamba finirà male!», con conseguente risata della classe, compresi lui e Chris. Ne ridevano tutti tranne le solite ragazzine credulone: secondo loro, Dan si sarebbe fatto male sul serio e lo guardavano sempre preoccupate. Chris lo prendeva sempre in giro affermando che desideravano che si rompesse qualcosa solamente per prendersi cura di lui; ogni volta, Daniel si limitava a guardarlo male. Era il migliore, e probabilmente l’unico, amico che aveva; anche se tutti i suoi compagni lo reputavano simpatico e ridevano alle sue battute, era difficile che qualcuno riuscisse a considerarlo un amico: molti Serpeverde ancora avevano dei problemi ad accettare del tutto i Nati Babbani e lui sapeva che, se Voldemort fosse stato ancora vivo, sia lui che suo fratello avrebbero vissuto nel terrore, spaventati all’idea di essere quello che erano, temendo che qualcuno facesse del male a loro o a qualche membro della loro famiglia, tutti Babbani fino all’ultimo capello. Quando frequentava la scuola elementare babbana, comunque, la situazione non era rosea: sebbene sia sempre stato un bambino allegro che amava gli scherzi e i giochi, non aveva mai legato facilmente con qualcuno, complice il fatto che suo fratello fosse un mago, scoperta che aveva fatto proprio quando doveva cominciare la prima elementare. Non voleva che gli altri bambini scoprissero il loro segreto, perciò non aveva mai invitato un compagno a casa e, se gli altri lo invitavano a qualche festa di compleanno, inventava una scusa per non andarci per paura di doverne organizzare una e far scoprire al mondo che Robert era un mago. Quando qualcuno gli chiedeva perché Robert non fosse mai a casa, i suoi genitori gli avevano insegnato a dire che frequentava una scuola privata nelle vicinanze di Edimburgo, che per loro, che vivevano a Londra, era abbastanza distante da permettere alle altre persone di non avere nulla da dire. Ovviamente la scuola non esisteva, ma i genitori avevano detto che anche lui vi era stato ammesso. Sua madre era diventata brava a mentire: ogni anno, il primo settembre, prendeva le ferie per accompagnare i figli a King’s Cross e parlava di loro come degli studenti modello, orgogliosa che frequentassero una scuola così rinomata.
Per fortuna, a Hogwarts aveva conosciuto Chris: più se lo ripeteva, più era convinto che un amico così era impossibile da trovare; con i suoi problemi e il suo carattere, non aveva avuto alcun problema ad accettarlo.
E in quel momento stava male, e sembrava che non volesse ammetterlo nemmeno a se stesso: prendere la pozione significava essere consapevole di avere avuto un altro attacco, quindi arrendersi di fronte al suo problema per l’ennesima volta. Daniel non riusciva a capirlo totalmente: sapeva quanto Chris detestasse stare così male e quanto odiasse essere così debilitato da non riuscire nemmeno a muoversi. Però, se Dan avesse avuto il suo stesso problema, avrebbe cercato di curarsi il più possibile, a costo di prendere più di una pozione al giorno, cioè la dose che assumeva Chris.
«Devo andare ad Astronomia.» Mormorò, alzandosi dalla sua postazione.
Chris non gli rispose; probabilmente era in quella fase in cui si isolava talmente tanto da non sentire più ciò che lo circondava. Il ragazzo uscì dal dormitorio per andare a lezione.
A volte, Chris gli faceva quasi pena: nonostante fosse una persona fortunata, con una famiglia che lo amava e tutto il resto, quel problema non faceva altro che isolarlo sempre di più.
 
***
 
Aveva bisogno della pozione.
Chris aveva cercato di resistere e di provare a farsi passare tutto da solo, ma in quel momento sentiva che i propri arti si stavano immobilizzando poco a poco.
Dan era a lezione di Astronomia, e lui non riusciva più nemmeno ad alzarsi per chiedere aiuto, e la voce gli si stava affievolendo: nessuno dei compagni dei dormitori accanto l’avrebbe sentito. Aveva bisogno che qualcuno andasse a chiamare Madama Flanagan, che gli portassero la sua pozione… perché non aveva mai chiesto alla Guaritrice di lasciargli sempre una boccetta? Quanto era stato stupido. In quella maniera, se fosse stato male sul serio avrebbe potuto curarsi da solo.
La sua paura più grande, però, rimaneva quella di fare del male a Daniel o ad Alyssa; sicuramente i suoi non gli avrebbero perdonato quella sua testardaggine e quel suo rifiutarsi di prendere la pozione fino all’ultimo minuto, fino a quando non avrebbe iniziato a stare male veramente, se avesse ferito qualcuno. Sarebbe stato impossibile da sopportare, anche per lui.
Ma ormai la fase degli attacchi violenti era superata senza danni; stava iniziando quella dell’intorpidimento. Sperava solo che Dan se ne accorgesse, una volta tornato dalla lezione di Astronomia; altrimenti, non aveva idea di quello che sarebbe successo. Non era mai rimasto bloccato senza nessuno accanto a lui.
L’intorpidimento era uno degli effetti collaterali del suo malessere, l’ultimo: dapprima, c’era il mal di testa; poi, arrivavano gli occhi rossi; poi, se qualcuno gli si avvicinava troppo, la violenza; infine, l’intorpidimento. Il ragazzo sapeva che, più tardi arrivavano le cure, più avrebbe dovuto attendere prima di guarire. L’ultima volta era durata due settimane; due settimane chiuso in casa, steso sul letto, facendosi curare assiduamente dalla propria famiglia. Chris non avrebbe mai voluto chiedere loro un sacrificio così grande: spesso, chiedeva loro di portarlo al San Mungo non appena fosse iniziato uno dei suoi attacchi per non dare loro fastidio, ma tutti gli dicevano sempre che lui non era un peso e che non era un problema prendersi cura di lui.
A scuola, però, non c’erano i suoi parenti: qualcuno l’avrebbe dovuto sollevare di peso per portarlo in infermeria, dove Madama Flanagan l’avrebbe sgridato per non essere corso subito da lei a farsi dare un’altra dose della pozione che doveva prendere ogni giorno.
Provò a sollevare il braccio destro: non ci riuscì. Ormai, non avrebbe nemmeno più potuto scrivere un biglietto per Daniel. Chissà se si sarebbe accorto di lui.
 
***
 
Daniel aveva sonno. La lezione di Astronomia era terminata all’una e, per andare dalla Torre fino alla Sala Comune dei Serpeverde, lui e le sue compagne avevano impiegato una mezz’ora buona; Hogwarts era enorme, e sembrava che chi programmava le lezioni per gli studenti non se ne rendesse conto. Il ragazzo non voleva nemmeno pensare che il giorno dopo, alle nove, avrebbe dovuto seguire Trasfigurazione con la Bell; sapeva già che gli avrebbe tolto altri punti.
Dopo avere salutato le proprie compagne, Daniel tornò nel dormitorio del terzo anno di Serpeverde; c’era ancora la luce accesa, perciò Chris doveva essere ancora sveglio. Forse lo stava aspettando per chiedergli come fosse andata la lezione e cosa avessero fatto, così da non rimanere indietro.
«Ciao.» Lo salutò, chiudendo la porta dietro di sé. L’amico non rispose: era fermo, quindi probabilmente si era addormentato. Andò verso la lampada a olio per spegnerla, quando si accorse che Chris non era sotto le coperte; quando si avvicinò a lui, lo trovò con gli occhi spalancati. L’amico aprì lievemente la bocca per parlare, ma non ne uscì nessun suono.
«Vado dalla Flanagan.» Disse, prima di iniziare a correre. Non gli importava che gli altri sentissero che stava sbattendo le porte e si lamentassero, perché doveva aiutare il proprio amico.
L’infermeria si trovava al quarto piano, circa al centro del castello, così ognuno avrebbe impiegato lo stesso tempo per arrivarci. In quel momento, a Dan sembrò lontanissima; fece i gradini a due a due, di corsa, fino a ritrovarsi sfiancato. Gli faceva male la milza, ma avrebbe pensato più tardi a se stesso: non poteva sapere se, prima o poi, si sarebbero bloccati anche gli organi di Chris, o se fosse solo un problema dei muscoli volontari. Gli importava solo di arrivare presto nel luogo in cui era diretto. Sperava solamente che nessuno lo vedesse, altrimenti avrebbe dato spettacolo a tutta la scuola.
Spalancò la porta. Una ragazza che era stata costretta a passare la notte lì si svegliò di colpo e lo guardò per qualche secondo.
«Madama Flanagan!» Urlò, iniziando a cercarla nella grande stanza. «Madama Flanagan!»
La donna uscì subito dalla propria stanza. Era alta come il ragazzo e abbastanza in carne; di solito aveva un’aria dolcissima, ma in quel momento gli parve nervosa, probabilmente perché era stata svegliata a un’ora così tarda.
La sua espressione cambiò quando vide chi si trovava davanti; spesso Dan aveva accompagnato l’amico a prendere le sue dosi di pozione.
«È successo qualcosa a Malfoy?» Gli chiese, allarmata.
«Non riesce più a muoversi, e non riesco a sollevarlo da solo, e…»
«Hai provato con un incantesimo di Levitazione?» Gli rispose lei, iniziando a correre verso la Sala Comune dei Serpeverde.
«Non ci ho pensato.» Ammise lui: era nel panico più totale, e fare un incantesimo di Levitazione era l’ultima cosa che gli sarebbe passata per la mente. Non sapeva nemmeno se fosse in grado di sollevare una persona.
Per fortuna Madama Flanagan ne era capace, e riuscì a trasportarlo in infermeria. Mentre lei prestava le cure necessarie all’amico, Dan scrisse velocemente una lettera ai genitori di Chris per avvisarli di quello che era successo: se avesse trovato il portone aperto, l’avrebbe spedita subito, così al mattino i signori Malfoy avrebbero saputo subito.
«Tutto a posto, Foster.» Disse Madama Flanagan mentre il ragazzo firmava la lettera. «L’abbiamo preso in tempo. Per fortuna te ne sei accorto. Non so quanto tempo dovrà trascorrere qui, ma si riprenderà del tutto.»
Daniel le sorrise e la abbracciò, in uno slancio di felicità. Per fortuna l’amico era salvo.
«Posso parlargli?»
«Gli ho dato un sedativo per non farlo agitare. Domani potrai farlo.»
Madama Flanagan gli firmò un permesso, così se qualcuno l’avesse trovato in giro per la scuola non avrebbe potuto dirgli niente; per fortuna la Guferia si trovava vicino all’infermeria, solo a cinque minuti di strada. Dan accese la punta della propria bacchetta e vi si incamminò.
Né lui né Chris avevano un gufo personale, perciò decise di usarne uno della scuola. Dan odiava i gufi: puzzavano e, ogni volta che provava a legare loro qualcosa alla zampa, veniva beccato sulle mani. Si diresse verso quello che si era comportato meglio con lui.
«Ehi, ciao piccoletto.» Gli disse, accarezzandogli la testa. «Devi fare una consegna urgente per me. Portalo a Villa Malfoy alla svelta.» L’animale lo guardò e poi spiccò il volo. Dan sperava solo che avesse capito.
Si erano fatte le quattro. Avrebbe impiegato circa venti minuti per tornare al dormitorio, ma alle sette si sarebbe dovuto svegliare nuovamente. Aveva la convinzione che nessuno gli avrebbe dato il permesso di saltare un giorno di lezioni.
 
***
 
Alyssa mangiucchiava la propria colazione seduta al solito posto in Sala Grande; Dan e Chris ancora non erano arrivati. Forse avevano deciso di dormire un po’ di più, perché quella notte avevano seguito la lezione di Astronomia: lei pensava che fossero sfiancanti, perché potevano dormire solo poche ore.
Quella mattina, poi, era uscita prima del solito: non riusciva a stare in camera con la Avery. La sola presenza di quella ragazza le faceva provare sensazioni contrastanti: da un lato, provava compassione per lei, perché era sempre sola, triste, bisognosa di aiuto e di compagnia; dall’altro, però, era una ragazzina irritante e cattiva che passava ogni istante libero della sua vita a insultarla. Alyssa non ne poteva più, per un giorno avrebbe voluto essere lasciata in pace.
«Alyssa.» La ragazzina alzò lo sguardo, trovandosi davanti Daniel. Aveva l’aria sfatta, come se non avesse dormito per tutta la notte.
«È successo qualcosa?» Gli chiese, allarmata.
In quel momento, Agamemnon, il gufo di famiglia, entrò nella Sala Grande per appollaiarsi di fianco a lei. Dan abbassò gli occhi, mentre la ragazzina prendeva la lettera.
«È per te.» Borbottò, passandola all’amico. Perché era sempre l’ultima a sapere le cose?
Lui la lesse, con l’aria preoccupata. Era successo qualcosa a Chris, se lo sentiva: altrimenti perché sarebbero successe quelle cose?
«Chris è stato male.» Disse poi, appena ebbe finito di leggere. «Ho avvisato i tuoi, stanno venendo qui. Magari, se chiedi il permesso alla McGranitt, te li fanno salutare. Ora vado a trovarlo.» Il ragazzo le rubò un biscotto e uscì dalla Sala Grande; si era dimenticato la lettera che gli avevano spedito i suoi genitori.
Alyssa la prese, curiosa.
 
Daniel,
Grazie per averci avvisato.
Purtroppo temiamo che il problema di Chris stia peggiorando. Tu non dirglielo finché non è certo, non vogliamo che si agiti inutilmente.
Questa mattina verremo a trovarlo con un Guaritore del San Mungo, abbiamo già parlato con la professoressa McGranitt.
Grazie ancora per essere stato tempestivo.
Ginevra
 
***
 
Cercando di non farsi notare, Paige scrutava attentamente gli studenti di Serpeverde seduti al tavolo della Sala Grande.
Maxim Dolohov era seduto in fondo, circondato da due amici che la ragazzina aveva intravisto solo qualche volta a scuola; doveva parlargli, ma non aveva il coraggio di farlo finché lo trovava con qualcuno. Era troppo rischioso, perché non sapeva bene come avrebbero reagito i compagni se una ragazzina del primo anno l’avesse fermato per scambiare due chiacchiere.
Mancava ormai un quarto alle nove, e Paige doveva andare al terzo piano per affrontare una nuova ora di Difesa Contro le Arti Oscure; non voleva arrivare in ritardo, perciò decise di lasciar correre e aspettare un momento migliore, magari durante l’ora di pranzo.
Continuava a rimuginare sulle parole esatte da dirgli, su come non farlo agitare; si accorse dell’assenza della piccola Malfoy solo quando l’insegnante fece l’appello e lei non rispose, ma non le importava granché. Probabilmente nemmeno alla professoressa, perché non chiese niente a lei né a Emma.
“Maxim, devo dirti una cosa, vieni?”
No, era troppo banale.
L’ora trascorse senza che lei riuscisse a trovare le parole adatte.
Lo stesso accadde per la lezione di Lumacorno: la Malfoy ancora mancava e lui non sembrò farci caso. Paige continuava a pensare a cosa dire a Maxim.
“Maxim, potrei parlarti in privato?”
Che cosa stupida da dire.
«Signorina Avery!»
«Sì, professor Lumacorno?» Paige si rivolse all’insegnate cercando di essere educata, anche se il suo desiderio più grande era andare in Sala Grande e sperare che Maxim fosse da solo per potergli parlare.
«Potresti dare i compiti alla signorina Malfoy? Non vorrei che perdesse qualche passaggio.»
Lei acconsentì, prima di correre in Sala Grande.
Maxim era ancora insieme ai due amici del mattino: erano molto più alti di lei e Paige aveva paura che la prendessero in giro. Decise di mangiare velocemente e aspettare il pomeriggio; magari l’avrebbe trovato in biblioteca con la sua ragazza, come facevano ogni giorno.
La lezione di Incantesimi sembrò non passare mai, mentre la ragazzina si faceva sempre più ansiosa per il discorso che avrebbe dovuto fare. Appena la campanella suonò, corse ad appostarsi in biblioteca, dove i primi studenti già avevano preso posto. Mentre studiava, guardava l’ingresso della grande sala, aspettando di vedere il volto conosciuto di Maxim.
Non aspettò per molto tempo: il ragazzo entrò e si sedette al solito posto, aspettando la compagna; Paige si alzò dal proprio tavolo e gli si avvicinò, timida.
«Maxim… dovrei parlarti.» Gli disse, facendo cenno di seguirla fuori dalla biblioteca.
Lui lo fece, accompagnandola in un corridoio vuoto nei dintorni.
«Che succede?»
«Devo parlarti.» Ripeté lei, cercando di guardarlo negli occhi.
«L’ho capito. Dimmi.» Il ragazzo aveva gli occhi sgranati: sembrava impaurito.
«Manterrò il tuo segreto. Te lo prometto.»
Il compagno la guardò sorpreso.
«Grazie, grazie davvero. Cosa posso…?»
«Non devi fare niente. Davvero. Prometto solennemente che manterrò il tuo segreto.» Paige gli sorrise, complice. Non aveva mai conosciuto la famiglia di Maxim, ma probabilmente doveva essere come la sua.
In tutta risposta, il ragazzo la abbracciò. Ora erano complici; chissà, magari in futuro sarebbero diventati amici.
 
***
 
Le ore seduta davanti all’infermeria non passavano. Quando era salita, le avevano dato un permesso per essere esonerata dalle lezioni di quel giorno, e poi le avevano detto di aspettare fuori, così il Guaritore del San Mungo avrebbe controllato Chris e avrebbe visto cosa c’era che non andava. Da quel momento, non le avevano più fatto sapere nulla.
Alyssa dondolava le gambe avanti e indietro cercando di far passare il tempo, in ansia: continuava a pensare al contenuto della lettera che i suoi genitori avevano inviato a Dan. Se il problema di Chris stava peggiorando, forse gli sarebbe successo qualcosa di grave, ancora peggio dei giorni passati bloccato a letto senza potersi muovere. Non aveva neanche fatto in tempo a vedere i propri genitori: dopo che avevano salutato Daniel ringraziandolo ancora per averlo soccorso, erano tornati dentro l’infermeria, lasciandola fuori, da sola.
L’ora di pranzo si stava avvicinando, e la ragazzina iniziava ad avere fame, ma non voleva abbandonare la propria postazione, non poteva lasciare il fratello a se stesso.
«Sei ancora qui?» La voce di Dan la distrasse dai propri pensieri. Lei annuì.
«Non mi hanno ancora fatta entrare. Sono lì da stamattina, e…»
«Ti va di origliare?» Le disse lui, complice, avvicinandosi alla porta. Alyssa fece lo stesso.
«…e quindi cosa possiamo fare?» Era la voce di sua madre.
«Niente. Solo aspettare. Tra qualche settimana sarà come nuovo.»
Dan la guardò, con un sorrisetto d’incoraggiamento.
«Sta peggiorando, vero?»
«No, assolutamente no. È uno dei suoi normali attacchi, è solo stato preso un po’ più tardi. Non voglio immaginare cosa sarebbe potuto succedere se il suo amico non l’avesse trovato.»
La madre di Alyssa non riuscì a soffocare un singhiozzo; era normale, era preoccupata per il proprio figlio.
In quel momento, i due ragazzi sentirono dei passi avvicinarsi alla porta. Si staccarono velocemente, facendo finta di niente.
«Aly! Ma tu sei ancora qui!» Sua madre la abbracciò forte, mentre il padre rimase un po’ in disparte.
«Volevo… volevo sapere come sta Chris.» Balbettò la ragazzina. «Sono così preoccupata, appena l’ho scoperto…»
«Chris sta bene, piccola.» Le disse suo padre, scompigliandole i capelli.
«Ma guarirà…?»
«Certo che guarirà! Stai tranquilla.» La ragazzina annuì.
«Credo… credo che sia meglio se andiamo a mangiare, no, Alyssa?» Le chiese Dan.
Lei seguì l’amico, pensierosa: quel pomeriggio sarebbe tornata dal fratello.
E così avrebbe fatto ogni volta che avrebbe potuto.

 
   
 
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