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Autore: Horror_Vacui    12/07/2015    0 recensioni
Dalla Caduta il mondo aveva iniziato un lento ed inesorabile processo di cambiamento.
Quel lembo di terra ai confini del Grande Oceano, avvolto da miti e leggende, era finalmente accessibile al resto del mondo. Un agnello circondato da lupi.
A Ovest, sulla sponda opposta dello Stretto di Indrion, sorgeva il Regno di Vronagos. Si diceva possedesse la più grande e micidiale flotta navale del continente, ma poche e aride terre, che l’avevano costretto per secoli a intrattenere una fitta rete di rapporti commerciali.
A Sud, il Regno di Liseria, da anni alla ricerca di uno sbocco, una via inaspettata per sorprendere i nemici.
E, al di là del Deserto della Distruzione, il glorioso impero di Shalira, governato dai potenti Sharalith, figli degli elfi silvani e degli elfi oscuri, esperti di magia elementale e sprezzanti guerrieri.
Quanto tempo sarebbe passato prima che la Penisola divenisse il nuovo campo di battaglia delle potenze oltre la barriera?
Quanto tempo sarebbe bastato a far diventare i trattati di pace carta straccia?
Le monarchie peninsulari cominciavano a mettere da parte le antiche rivalità per creare un nuovo sistema di alleanze, mentre loro erano solo pedine di un disegno più grande.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Amelia, Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale, Zelgadis Greywords
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO IV – ALLEANZA

La capitale era in fermento da quando avevano avuto inizio i preparativi per accogliere il futuro re consorte.
Le mura della via che lo avrebbe condotto al castello erano state ricoperte di fiori freschi, migliaia di lanterne di carta erano pronte ad accendersi per illuminare il passaggio della scorta e sulla strada si estendeva un lunghissimo tappeto vermiglio. I migliori musici era giunti da tutto il regno per intonare canti in onore della principessa e nelle piazze i popolani si erano già riuniti fin dal mattino per celebrare riti di buon auspicio.
Il sole stava morendo all'orizzonte e il cielo si tingeva con i colori freddi della notte, quando ventisette carrozze arrivarono alle porte della città. Erano lucide, scure, ricche di intarsi e decorazioni a foglia color oro che splendettero agli ultimi raggi di luce rossastra, mentre le ruote scarlatte si muovevano veloci sul terreno sconnesso e polveroso.
Centootto frisoni neri trainavano le vetture, affiancate da decine di cavalieri in groppa a cavalli candidi. Lo stemma della famiglia Thormond, un cervo su sfondo rosso circondato da quattro iris, troneggiava alto sugli stendardi, ricamato in oro e seta.
L'accesso alla capitale era sbarrato e tenuto in sicurezza da un incantesimo difensivo e decine di soldati armati. Quando i trombettieri che precedevano il corteo iniziarono a far squillare i loro strumenti, un fante sailluniano si sporse dal parapetto di una delle torrette.
«Altolà! Chi osa bussare alle porte della gloriosa Saillune?» recitò la formula di rito.
«Sua Altezza, futuro re di Saillune!» fu la risposta solenne del Primo Cavaliere della scorta.
«Che Ceiphied lo abbia in gloria!» disse il fante e poi, con l'aiuto di una fiaccola, accese il grande braciere posto sul tetto della torretta. Quando tutti i bracieri delle altre torri arsero della stessa luce azzurra, l'incantesimo di difesa si palesò vibrando come un'opalescente bolla di sapone e sfrigolò mentre un varco veniva aperto per lasciar passare gli ospiti elmekiani.
Le grandi porte di alabastro, fatte costruire da re Joffridus III poco prima della sua dipartita, si aprirono lentamente e, quando il corteo se le lasciò alle spalle, un'esplosione di petali di iris blu e viola decretò l'inizio dei lunghi festeggiamenti per le nozze della principessa.
Il castello di Saillune era situato al centro dell'esagono che racchiudeva la città in un cerchio di magia bianca. Non era circondato da fossati, né da alte mura, ma da ettari di terreno, un immenso parco disseminato di boschetti e ricoperto da uno sottile prato verde smeraldo.
Su ogni lato dell'esagono vi era solo un arco di pietra, alto decine di metri e fregiato dall'antico disegno dell'emblema della famiglia reale, che si intersecava con rune anti-demone.
Molte leggende gravitavano attorno a quegli archi misteriosi ed era convinzione comune che chiunque avesse osato oltrepassarle senza il permesso del re sarebbe morto divorato dalle fiamme.
Quella sera risplendevano di un debole bagliore celeste, mentre centinaia di lucciole svolazzavano nell'aria notturna, rilucendo come stelle in un cielo limpido.
La fila di carrozze, protetta dall'invito ufficiale del sovrano, varcò indisturbata l'ingresso al parco.
All'interno di una di queste, il principe Jaden stava mollemente adagiato su sette cuscini di seta e broccato viola, un braccio dietro la testa e una gamba penzoloni.
Seduto davanti a lui vi era il vecchio Nirwald, uno dei più fidati consiglieri dell'imperatore che, tronfio nella sua ricca tunica, si puntellava al fondo della vettura con il bastone da passeggio.

«Una degna accoglienza, non trova?» disse l'anziano indicando la folla fuori dal finestrino.
Il principe si mise a sedere con un colpo di reni e riavviò indietro i folti capelli castani, del tutto indifferente alle parole di Nirwald.
«Sua Altezza, ha per caso dimenticato le buone maniere durante il viaggio?» stizzito l'anziano batté il bastone tre volte sul pavimento della carrozza.
«Sì, degna di uno stupido contadino» rispose allora annoiato il principe, richiudendo con un gesto seccato le tende «Accolto da un branco di popolani e costretto a rimanere in isolamento fino a domani mattina!»
«La tradizione prevede che lei si mostri per la prima volta durante la cerimonia nuziale, se ne faccia una ragione. E, in ogni caso, non si preoccupi per domani, ho visto uno stormo di rondini allontanarsi dal regno. Un buon auspicio.» disse pacato Nirwald lisciandosi la lunga barba bianca.
«Non m'importa, il mio posto non sarà mai qui.» sussurrò tra i denti, ma ciononostante quelle parole non sfuggirono al Gran Maestro dei Segni, che lo colpì con il bastone sulle ginocchia.
«Bada a cosa fai, vecchio! Io sono...»
«Lei è uno sciocco!» gli puntò contro un dito nodoso «Le è stata offerta un'occasione più unica che rara e non ha fatto altro che piagnucolare come una donnicciola!»
«Quale occasione? Restare segregato all'interno delle mura nemiche a rivestire un ruolo privo di importanza, mentre i miei fratelli combattono fianco a fianco per difendere Elmekia? Il mio posto è nell'esercito imperiale, tra i miei uomini, a difendere i confini.»
«No!» la voce avvizzita del Gran Maestro risuonò roca «Crede davvero che Saillune sia ancora il nemico?! Due volte sciocco! Forze oscure si agitano al di là del Deserto della Distruzione e non possiamo farci trovare divisi e impreparati.»
«Lo so bene, conosco le notizie giunte da Digranes.»
«E allora saprà che non abbiamo più molto tempo a disposizione.» sospirò poggiando la schiena contro il sedile imbottito.
«Sì, ma questo compito spetterebbe a Lantyn.» disse con il volto contorto da una smorfia di rabbia e i pugni stretti sulle ginocchia «Non è giusto. Tu lo sapevi, perché non hai detto niente quando mio padre ha fatto il mio nome al Consiglio?»
«Lo sapevano tutti, ma suo fratello non è mai stato adatto a ricoprire tale ruolo. Troppo impulsivo e rozzo, avrebbe fatto un disastro dietro l'altro portando alla rovina il nostro più grande alleato.»
«Come fai ad esserne certo?»
«L'ho visto nel fuoco,» si rabbuiò «Saillune immersa nel caos demoniaco, l'impero di Elmekia attaccato su due fronti e costretto a cedere ai nuovi conquistatori.» fece una pausa, come se quella rivelazione gli fosse costata un certo sforzo.
«Non è stato suo padre a proporla, sono stato io. Saillune ha bisogno di un sovrano saggio e lei è l'unico tra i suoi fratelli a possedere tutte le qualità necessarie affinché il regno rimanga al sicuro.»
Jaden ammutolì, incapace di reagire a quell'amara rivelazione, e restò a guardare il volto placido del suo Maestro, la sua guida, l'uomo che lo aveva allevato e istruito fin dalla più tenera età.
«Sua Altezza, non si senta offeso né tradito. Ho agito nel suo interesse, lei è destinato alla grandezza.»
«Hai visto anche questo nel fuoco o in uno dei tuoi sogni, oppure magari dentro le viscere di una rondine morta?»
«Lo vedo nei suoi occhi e tanto mi basta.»
Il principe sospirò «Come dovrei comportarmi? Si dice che la principessa non sia più illibata da tempo, dunque dovrò accontentarmi dello scarto di una vile chimera demoniaca. E tra quelle mura vivono indisturbati i Traditori...» storse le labbra disgustato.
«Re Philionel in persona ha promesso di bandire la chimera dal regno. Quanto ai Traditori, le consiglio di non agire di impulso, sia paziente.»
I cavalli rallentarono la loro andatura finché la carrozza non si fermò con uno strattone. Il cocchiere aprì lo sportello e l'aria pungente della sera entrò nell'abitacolo facendo rabbrividire il principe.
Nirwald, invece, scese giù aiutandosi con il bastone «Ah, che splendida serata!» esclamò all'improvviso entusiasta, come se niente fosse accaduto.
Jaden indossò il proprio mantello foderato di pelliccia e mise per la prima volta piede sul suolo sailluniano. L'odore degli iris era ancora nell'aria, ma era quasi del tutto sovrastato da quello dolciastro dei gelsomini che si arrampicavano sui pilastri e le colonne del porticato davanti a cui si era arrestata la marcia del corteo.

*

Profumo di rose e d'incenso si spandeva nell'aria fredda del tempio di Saillune. La chiara luce del mattino penetrava dalle feritoie laterali e dal rosone centrale posto dietro l'altare. Uno scudo circondato dalle spire di un serpente bianco, sovrastato da una corona dorata e affiancato da due ali candide - lo stemma della casata reale -, era raffigurato su ogni colonna di alabastro.
Il pavimento di marmo chiaro era attraversato da linee curve che un occhio attento avrebbe riconosciuto come la runa sacra a Ceiphied.
Una serie di suoni gutturali e cavernosi, ripetuti con costanza dalle voci profonde dei monaci, risuonava potente tra le pareti vuote, mentre le vestali di Ragadria pregavano Ceiphied offrendo doni sull'altare, presso cui era eretta una statua del dio drago, fatta di oro bianco e zaffiri.
Gli sposi sarebbero entrati dalle porte laterali e, dopo aver attraversato due corridoi affiancati da piccole colonne di granito grigio, si sarebbero incontrati per la prima volta in quel luogo freddo e poco accogliente.
Da settimane non si parlava d'altro che del matrimonio tra Philionel ed Elismarie, lei era scoppiata a ridere alla vista dello sposo e il momento di imbarazzo era stato talmente grande da far svenire il sacerdote. Erano tutti in attesa di un nuovo succulento aneddoto di cui discutere negli anni a venire.
Lina fremeva sul posto.
«Se sento un'altra malignità giuro che faccio saltare tutti in aria» sussurrò a Gourry.
Lo spadaccino annuì, lo sguardo serio e fisso davanti a sé, la mandibola serrata e le mani incrociate in grembo. Lo osservò di sottecchi e si sentì spaesata. Il completo di broccato blu e oro, le calze di seta, il panciotto e le scarpe di raso con tacco, il cappello a tesa larga decorato da piume bianche, una spada leggera appesa al fianco e i capelli biondi raccolti da un nastro di velluto nero: quello non era il Gourry che conosceva, eppure lui era ancora lì, sepolto sotto strati di oggetti costosi.
Lei non era da meno, agghindata come una dama di corte, il lungo vestito color crema, con la gonna ingombrante e il corpetto stretto da farle mancare il respiro. Abbassò gli occhi sulla scollatura, dove una pesante collana di diamanti scintillava catturando la luce dei ceri accesi, la toccò con la mano coperta dal guanto. Quando era accaduto? Quando lei e Gourry avevano smesso di sentirsi dei semplici viaggiatori di passaggio?
Si erano assuefatti al lusso, alle stoffe costose e alle pietre preziose, ai cibi pregiati e ai comodi salotti di corte, ma quella non era la loro vita e mai lo sarebbe stata.
Ci aveva pensato tutte le notti negli ultimi quarantasei giorni e, quel pensiero, che le aveva rosicchiato il cervello, si fece più forte e vivido.
Amelia avrebbe sposato un principe di Elmekia, dunque c'era una remota possibilità che quell'unione avrebbe sancito il ritiro ufficiale della taglia che gravava sulle loro teste.
Si era sentita sporca e meschina a causa del sollievo che quell'idea riusciva a darle ogni volta che le attraversava la mente. Amelia li aveva accolti come fratelli, si era impegnata per far sì che la taglia venisse annullata entro i confini del proprio regno. Non avrebbe potuto abbandonarla al suo destino, privandola di veri amici su cui fare affidamento, ed era certa che Gourry non si sarebbe mai tirato indietro.
Provò il desiderio di correre fuori, all'aperto, dove il sole nasceva all'orizzonte e l'aria era fresca e sapeva di rugiada, ma un cambiamento repentino le fece dimenticare i suoi piani di fuga.
Il tono del mantra divenne più concitato e si sollevò di parecchie note, mentre le vestali, finito il rito delle offerte, si inginocchiarono accanto all'ara con le mani sollevate al cielo e gli occhi chiusi, unendosi alla preghiera dei monaci in un coro di voci angeliche.
La principessa, futura regina di Saillune fece il suo ingresso nel tempio. L'abito bianco di pizzo e chiffon, tempestato di minuscoli diamanti, accompagnato da un lungo e ampio strascico, sembrò risplendere di luce propria. Un velo pesante, dello stesso colore, le celava il viso e le oscurava la vista.
A distanza di pochi minuti anche le porte sulla destra si spalancarono e, finalmente, Jaden della casata Thormond entrò nel tempio e, con passo cadenzato, si avvicinò alla sposa. Si esibì in un profondo inchino e la liberò dalla coltre che sembrava imprigionarla.

*

Stava accadendo, la parola fine stava per essere scritta sulle pagine della sua vita passata.
Lo aveva pensato per tutta la notte, l'ultima da nubile, l'ultima da semplice principessa.
Aveva trascorso l'adolescenza nella speranza che sua sorella maggiore Gracia fosse sopravvissuta e che, con un ingresso trionfale in città, l'avrebbe esonerata dalla carica di regina.
Ormai, però, era troppo tardi per i ripensamenti.
Era un marionetta spinta sul palcoscenico per recitare l'atto conclusivo della sua personale tragedia.
Fece un respiro profondo, mentre le porte della sua stanza venivano spalancate e uno stuolo di cameriere entrava disponendosi su due file ai lati del baldacchino.
Tradizioni antiche quasi quanto il regno stesso a cui non avrebbe potuto sottrarsi prevedevano rituali e gesti ben precisi. Innanzitutto non le era concesso proferir parola, poiché le prime di quel giorno erano destinate alla cerimonia nuziale.
Le cameriere l'aiutarono ad alzarsi e poi la denudarono gettando la vestaglia nel fuoco: gli indumenti da nubile avrebbero fatto tutti la stessa fine.
Davanti al camino acceso l'attendeva una vasca riempita di acqua calda e petali di giglio, simbolo di purezza e castità. Si immerse in quel dolce tepore e provò a liberare la mente mentre quattro mani le strofinavano tutto il corpo. Era credenza diffusa che il profumo di rose rosse risvegliasse l'amore nel cuore delle donne e desiderio in quello degli uomini, perciò dopo il bagno alcune cameriere si prodigarono cospargendola di olio essenziale.
Guardò il cielo fuori dalla vetrata, l'aurora si stava risvegliando, e in quell'istante due piccoli passeri si posarono sul davanzale della finestra per il tempo di un battito di ciglia.
Il viso di Zelgadis, le sue mani che le accarezzavano i capelli, il suono caldo di quella voce tanto amata... i ricordi la investirono come un fiume in piena in cui rischiò di annegare.
Si appoggiò al ripiano della toeletta con entrambe le mani e premette la fronte sulle nocche. Un solo triste singulto le salì in gola ed esplose prima che lei riuscisse a contenerlo.
Tutte le cameriere si allontanarono veloci, in simultanea, ne avvertì i passetti leggeri sul parquet.
Voltò la testa di lato e vide la sua immagine riflessa nel grande specchio posto in fondo alla stanza.
Il primo particolare a risaltare, nella sua drammatica evidenza, fu la pelle bianca e tesa sulle scapole, che si aprivano all'indietro come ali pronte a spiccare il volo. Solo allora si rese conto di indossare nient'altro che delle calze.
«P-principessa Amelia... Sua maestà, è ora» il tocco gentile di una delle domestiche la convinse a mettersi in piedi.
Le squadrò, una ad una, quelle donne semplici e felici di trovarsi lì con lei, di potersi beare dei vestiti e dei gioielli che mai avrebbe sognato di poter indossare.
La invidiavano? La ammiravano? La disprezzavano?
Forse.
Quel che però non avrebbero mai sospettato era che lei le invidiava, perché avevano la libertà di scelta, le ammirava, perché svolgevano le loro mansioni con solerzia e senza patemi e le disprezzava, perché sapeva che nel profondo del loro cuore avrebbero voluto essere al suo posto.
Con passi lenti ed eleganti si diresse al centro della camera, stese le braccia e si preparò ad accogliere l'abito di Elismarie III di Remington, cucito dalle sarte di Kalmaart e portato all'epoca con fierezza dalla regina, nonostante il divieto di possedere oggetti estranei a Saillune.
Elismarie era stata una donna coraggiosa e volitiva, capace di far valere le proprie ragioni persino di fronte a tradizioni così antiche. Lei, invece, era rimasta imbrigliata nei rigidi schemi aristocratici e, la delusione alla scoperta di essere così distante da sua madre, era stato solo l'ultimo di una serie di colpi bassi che il destino aveva deciso di infliggerle.
Quando si era messa in viaggio con Lina si era sentita così simile alle Remington che quasi il petto le era esploso di orgoglio, ma a cosa era servito? La pecorella smarrita era infine tornata all'ovile.
Non si mosse mentre tre domestiche lavoravano svelte alla sua acconciatura, tirando le ciocche corvine all'indietro e intrecciandole in complicate forme sulla nuca. Era come se ogni parte del corpo avesse smesso di funzionare, come se il sangue avesse smesso di fluire nelle vene.
Infine, con altre tre donne corpulente che la reggevano per le braccia e le spalle, indossò le scarpe aiutata da una piccola servetta che non aveva mai visto. La bambina, una volta ultimato il lavoro, le si piantò davanti, la guardò estasiata e un ampio sorriso nacque spontaneo sul viso paffuto.
Era pronta.
Si rimirò allo specchio un'ultima volta, prima che un pesante velo di taffetà le venisse appuntato sulla cima dell'elaborato chignon, dove in seguito avrebbe trovato posto la corona.
Era pronta?
«Sua Altezza, il nostro lavoro è terminato. Resti qui in attesa delle ancelle. Ah, e mi raccomando, si ricordi di non parlare con nessuno, per nessun motivo! Oggi le sue prime parole saranno riservate al principe! Intesi?» Amelia impossibilitata a parlare o a muovere la testa, si limitò ad un gesto della mano con cui congedò tutte le cameriere.
Era sola.
Uno cigolio metallico e il rumore di passi pesanti alle sue spalle. Si voltò indietro ma la vista le era preclusa dal velo.
Era sola?
Dita ruvide e fredde sulle spalle e respiro caldo sul collo, un piccolo bacio venne depositato sulla pelle nuda della schiena. Amelia non reagì, avrebbe riconosciuto quel tocco tra mille.
«Amelia...» mormorò senza staccare la mani dalle sue spalle.
Il cuore le mancò un battito e fu costretta a portarsi una mano al petto per contenere il dolore.
Si era infine deciso a scappare via con lei? Loro due per sempre insieme, fuggiaschi uniti nella vita e fino alla morte. Allungò una mano per toccarlo, ma lui la scansò.
Non poteva parlare, non poteva toccarlo, non poteva vederlo, non poteva piangere... non riusciva a respirare.
«Amelia, perdonami se puoi...»
Come una folata di vento distrugge un castello di carte, così Zelgadis aveva frantumato le sue speranze. Non voleva portarla via da quella stanza, ma abbandonarla per sempre. Sospirò affranta, mentre il dolore al petto la spezzava a metà.
«...e promettimi una cosa, una soltanto, poi uscirò dalla tua vita.»
Quella frase era la pugnalata al petto che stava aspettando, il pensiero sepolto nei recessi della mente che aveva preso forma in poche amare parole.
«Sii forte come una Remington.» sussurrò con fermezza.
Sii forte come una Remington. Sapeva pizzicare le corde giuste del suo cuore, lo aveva sempre fatto, perché loro due, in fondo, erano anime complementari e, a dispetto degli eventi che li avrebbero travolti, nulla avrebbe potuto cambiare quella costante.
Sarebbe stata forte, per sé stessa, per Zelgadis, per suo padre e per i suoi sudditi.
Sarebbe stata forte perché non aveva altra scelta.

Il gelo che la avvolse quando la chimera si allontanò, sparendo per sempre dietro la porta segreta della sua stanza, si diffuse presto fino alle ossa e, per la prima volta in vita sua, si sentì davvero sola.

*

Il sole si era appena affacciato all'orizzonte e la sua luce penetrava dal rosone centrale, spandendosi in raggi colorati all'interno del tempio, quando il velo fu sollevato e lei vide per la prima volta il suo viso. Aveva incontrato molti uomini provenienti da Elmekia per via di missioni diplomatiche, perlopiù anziani tozzi e nerboruti, privi di tatto, le cui mani callose stringevano quelle altrui con forza e superbia. L'uomo – il ragazzo – che invece si trovò davanti non doveva essere più grande di Gourry, era molto più alto di lei e la guardava serio attraverso le lunghe ciglia scure. La sua pelle era chiara, ma baciata dal sole, e i folti capelli castani ricadevano in ciocche disordinate sul viso affilato.
Indossava gli abiti semplici e austeri di Elmekia, fatti di lana e leggero bisso, e un sontuoso mantello di ermellino, foderato di velluto rosso e legato alle spalle attraverso cinture di cuoio incrociate sul petto. Il suo volto era chiuso in un rigido e pacato distacco, ma Amelia temeva che dietro quella maschera si nascondesse il carattere turbolento di cui la famiglia Thormond si era sempre vantata. Il principe Jaden, ignaro dei suoi pensieri, si esibì in un elegante inchino e baciò l'anello a forma di serpente che le circondava tutte le dita della mano destra, poi si rimise in piedi e una vestale unì le loro mani, avvolgendole con una corolla di fiori bianchi.
I monaci smisero allora di recitare il mantra, lasciando il posto al canto angelico delle vestali, la cui melodia si spanse leggera come vento primaverile.
Re Philionel e il consigliere Nirwald si avvicinarono agli sposi poggiando ognuno una mano sulle spalle dei loro rispettivi protetti.
Il sacerdote, un uomo così antico da non avere età, vestito di una semplice tonaca candida e con il volto dipinto da rune azzurre, si avvicinò ai futuri sposi e pose le proprie mani sulle loro.
«Ceiphied, signore del Bene, invochiamo la tua benevolenza.» disse con un tono di voce basso, ma potente, che spezzò il silenzio tombale in cui l'intero tempio era piombato.
«Ceiphied, signore della Luce, davanti al Sacro Altare noi chiediamo la tua benedizione.» prese la corolla e la gettò dentro una piccola fiaccola che una vestale gli porgeva. Non appena i fiori ne toccarono il fondo d'argento, una fiamma rossa come il sangue si sprigionò e, allora, il sacerdote la prese e la diede ad Amelia.
«Chi sei tu?»
«Sono Amelia Wil Remington Tesla, principessa di Saillune, futura regina e protettrice dell'Alleanza.»
«Qual è il tuo desiderio?»
A quelle parole, ebbe un sussulto e sentì la lingua pietrificarsi tra i denti. Voleva davvero la pace per il proprio popolo e se la via per arrivarci passava per quel matrimonio, allora non avrebbe mentito davanti al Dio Drago.
«Desidero sposare il qui presente Jaden Anselet Iordanus IV Thormond, principe di Elmekia.» disse e poi passò la fiaccola a Jaden.
Il sacerdote ripeté le stesse domande, ma il principe rispose con la fermezza di cui lei non era stata capace, senza smettere di guardarla negli occhi.
«Io, Wirtonious, in nome di Ceiphied, dichiaro questa coppia unita nel sacro vincolo coniugale. Possa la vostra unione essere guidata dalla Sacra Luce divina e possa la vostra progenie essere numerosa. Il passato è alle vostre spalle, mentre il futuro splende radioso di fronte a voi.»
Avvertì la mano calda e rassicurante del padre premere leggermente sulla sua spalla e poi lasciarla andare. Lui era lì, ma non ci sarebbe stato per sempre, mentre l'avvenire che l'attendeva era di fronte a sé, in quella maschera di determinazione elmekiana. Si sentì persa mentre il sacerdote le prendeva la mano sinistra e ne marchiava l'anulare con il sacro fuoco, incidendo le iniziali di suo marito. Poche lettere che bruciarono la pelle bianca facendola sanguinare. Lo stesso fece poi con la mano di Jaden e infine entrambi fecero un inchino alla statua di Ceiphied, mentre la corte applaudiva felice.
Era successo, aveva sposato un estraneo.

Il banchetto in onore degli sposi si era protratto fino a sera, tra centinaia di gustose portate e balli al centro della grande sala centrale. Amelia e Jaden era rimasti seduti accanto al trono del re, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra, per quasi tutto il tempo dopo aver aperto le danze. Non si erano scambiati neppure una parola, in compenso molti si erano avvicinati per congratularsi, ma, mentre Amelia si era sentita in dovere di elargire sorrisi e parole di gratitudine, Jaden era rimasto chiuso nel suo silenzio, limitandosi a pochi e misurati cenni del capo, così che gli sguardi che i cortigiani le rivolgevano si erano fatti via via sempre più compassionevoli.
I giorni di viaggio e tutte le avventure che aveva vissuto sembravano appartenere ad un'altra vita, una vita non sua, come fossero ricordi rubati a qualcuno. Lei e Zelgadis si erano amati davvero o era stato tutto uno splendido sogno? Guardò il dito marchiato per l'ennesima volta mentre Jaden accoglieva altri cortigiani con il volto rigido e serio. Lui era suo marito, il padre dei suoi figli, il re che l'avrebbe accompagnata alla guida del regno, il resto non contava più.
Ormai si era fatto tardi, la corte era sazia e stanca e lei non era da meno, tanto che era ricorsa più volte al recovery per dare riposo alla schiena e alle gambe stanche di tenere la stessa posizione. La stessa cosa aveva dovuto fare il vecchio Nirwald al principe.
Re Philionel si fece largo tra la folla e salì i gradini per sedersi sul trono. Le trombe squillarono per avvertire i sudditi riuniti a corte, ciò significava che la festa era giunta al termine. Amelia guardò il padre e le sembrò all'improvviso più vecchio, più stanco e fragile, diverso dalla figura granitica a cui era abituata. L'alleanza con Elmekia avrebbe dovuto farli sentire al sicuro, eppure lo sguardo a tratti ostile del principe diceva tutt'altro e, forse, non erano mai stati vulnerabili come il quel momento.
Da soli o in coppia i nobili ospiti si misero in fila per salutare con un inchino i reali di Saillune. Li contò come i passi per arrivare al precipizio e, quando l'ultimo cavaliere se ne andò, lasciandoli da soli in quella immensa sala vuota, Amelia sentì il pavimento cedere sotto le suole delle sue deliziose scarpette di seta. Trenta guardie arrivarono per scortarli nei loro alloggi, ma era certa che i dieci energumeni che avrebbero accompagnato Jaden non fossero lì per proteggerlo.

La camera da letto nuziale non aveva una porta principale, ma due laterali che portavano ad altrettante anticamere prive di finestre, dove gli sposi potevano farsi aiutare nell'atto delle svestizione prima di incontrarsi in totale solitudine.
Le ancelle erano state molto più svelte di quanto avesse sperato, ma non abbastanza. Varcata la soglia trovò il principe seduto sulla poltrona di fronte al caminetto acceso, le gambe accavallate e nella mano destra un calice di vino. Era alto e magro, non aveva i movimenti affettati tipici degli aristocratici di corte, né quelli rozzi che si sarebbe aspettata, ma ogni gesto esprimeva la grazia del controllo e dell'equilibrio. Fece roteare il vino nel bicchiere e lo bevve tutto in un lungo sorso.
«Mia signora, perché resti nascosta nell'ombra?» le chiese senza scomporsi.
«Io non ho bisogno di celarmi alla tua vista, non qui, non nel mio castello. Tu, piuttosto, ritieni consono ricevere la tua sposa in tal modo?» si avvicinò al futuro compagno con il portamento regale che teneva durante gli incontri ufficiali: lei era la vera regina e avrebbe rimarcato il concetto finché avesse avuto fiato in corpo.
«Chiedo scusa, mia signora, gli elmekiani non conoscono le buone maniere. O magari il problema è un altro.» disse, la voce roca e gli occhi astiosi. Si sentì sollevata e spaventata al tempo stesso nello scoprire che, dietro quel gelido distacco si celava profonda ostilità. Finse di ignorare l'ultima frase, ma Jaden non aveva ancora finito.
«La mia pelle sarà sicuramente troppo tenera per te, tu sei abituata alla dura roccia» la guardò con la coda dell'occhio continuando a bere. Amelia colpì forte la mano del principe gettando sul tappeto la coppa d'oro e tutto il suo contenuto.
«Sciocco! Come osi fare questo genere di insinuazioni? Siamo sposati, abbiamo giurato di fronte a Ceiphied, queste lettere incise sulle nostre dita significano che dobbiamo mettere da parte il nostro odio!» disse, incapace di contenersi, e si maledì quando lui si alzò per fronteggiarla.
Jaden le afferrò la mano sinistra e ne baciò l'anulare segnato, poi sospirò.
«Io non ti odio, mia signora. L'odio richiede interesse, l'interesse un sentimento, ma la realtà è che mi sei indifferente come lo è il vento che spira fuori dalla finestra. Ciò che provo adesso è amore per la mia terra e nostalgia per la vita che mi ero scelto,» disse slacciando con noncuranza i nastri che le chiudevano la vestaglia «ma, se questo è il mio compito, il mio destino, lo porterò a termine.» la guardò dritto negli occhi sciogliendo l'ultimo nodo.
Amelia ebbe un sussulto quando il tessuto leggero della veste scivolò via dalle spalle, cadendo ai suoi piedi: trovarsi in una strada gremita di persone l'avrebbe fatta sentire meno nuda e indifesa. Jaden la esplorò con indolenza, carezzando e baciando ogni centimetro di pelle chiara, dal collo alle braccia, i seni, e infine si fermò sul ventre, con l'indice tracciò un tre sotto l'ombelico e si inginocchiò per baciare il numero immaginario. Sapeva che quello era solo l'ennesimo rituale superstizioso di fertilità, ma quel gesto la fece sentire marchiata, più di quanto non avesse fatto il sacerdote con il Sacro Fuoco.
«Anch'io avevo deciso il mio percorso, il mio futuro sembrava già scritto, fin quando non ho sentito pronunciare per la prima volta il tuo nome.» disse provando a fermarlo.
Jaden si tolse la camicia e la costrinse a toccare il petto glabro, guidandola fino alle spalle. Amelia avvertì i muscoli tesi sotto la pelle morbida e calda, una sensazione nuova che la fece indietreggiare. Si allontanò di qualche passo e gli diede le spalle per nascondere il rossore, di rabbia e d'imbarazzo, che le stava colorando le guance.
«Che succede?» le chiese con il fiato corto.
«Dobbiamo consumare il prima possibile, per sancire in modo definitivo il matrimonio e l'alleanza.» disse lei con freddezza, restando immobile.
«E allora?»
E allora quel che stavano facendo non aveva niente a che vedere con il dovere! Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, magari dopo averlo preso a pugni, perdendo tutta la dignità regale che aveva ostentato per tutto il giorno.
Lo sentì sospirare mentre si sfilava gli ultimi indumenti. Era convinta che l'esperienza con Zelgadis l'avesse resa abbastanza sicura da riuscire a sopportare la presenza di un altro uomo, ma in realtà la paura le serrò le viscere quando Jaden lasciò cadere i pantaloni a terra. Le si avvicinò cauto e Amelia avvertì di nuovo il suo respiro sul collo e fra i capelli.

«So a cosa stai pensando, principessa. Nessuno dei due stanotte avrà ciò che vuole, io una moglie vergine e tu uno sposo di pietra, ma non deve essere per forza un'esperienza degradante.»
Amelia rilassò le spalle e voltò la testa per guardarlo in viso, era rassegnato quasi quanto lo era lei. Lo prese per mano e lo condusse al sontuoso talamo, scostò le pallide lenzuola di seta e vi si stese supina. Jaden si inginocchiò sul materasso di fronte a lei, aprendole le gambe con delicatezza. Amelia allora chiuse gli occhi e appoggiò la guancia sul cuscino, l'unico pensiero ad occuparle la mente era quel numero che lui le aveva tracciato sulla pancia: se avesse funzionato non avrebbe dovuto ripetere più quell'esperienza per almeno un anno. Zelgadis e tutti i ricordi a lui legati, invece, non avevano alcun nesso con quel che stava per accadere, nessun gesto meccanico ripetuto all'infinito avrebbe mai potuto sostituire i momenti che avevano passato insieme, nessuna gioia sarebbe stata tanto grande da riempirle il cuore con la medesima intensità.
«Ti prego girati, sembra che tu stia per ricevere un fendente mortale» le disse e, senza darle il tempo di reagire, l'afferrò per i fianchi mettendola in posizione prona.
Era giunto infine il momento, Amelia serrò di nuovo le palpebre stringendo le lenzuola tra le mani, ma non versò una lacrima come aveva promesso a se stessa. Come aveva promesso tacitamente a Zelgadis.
Jaden fu svelto e allo stesso tempo gentile, quando ebbe finito non disse nulla, concedendole lo spazio di cui aveva bisogno. Dai rumori lei intuì che avesse ripreso posto sulla poltrona davanti al fuoco.

Avrebbe voluto restare raggomitolata sotto le coperte per il resto dei propri giorni, ma poi si ricordò di un importante problema da risolvere prima che fosse troppo tardi.
Scattò seduta e d'istinto guardò le lenzuola: immacolate. Gli unici a conoscere la verità erano suo padre, l'imperatore, Jaden e il consigliere Nirwald. Purtroppo, però, la Prova Purpurea sarebbe stata esposta a tutta la corte e al seguito del principe a conferma dell'
atto, ma cosa avrebbero esposto se non c'era nulla da esporre?
Rinunciò all'idea di agire da sola senza consultare il principe, prima avrebbero iniziato a collaborare meglio sarebbe stato per entrambi.
«Principe?» disse incerta, schiarendosi la voce. Non lo aveva ancora chiamato per nome e, nonostante il triste amplesso, o meglio, proprio per il triste amplesso non sapeva fino a che punto fossero diventati intimi. Per quanto fosse possibile in un solo giorno.
«Stai bene?» chiese lui ignorando lo strano appellativo e indossando la camicia.
«Sì, certo» rispose con fierezza, a testa alta nonostante lui non potesse vederla.
«Domattina la corte vorrà vedere la...»
«Ah, già! Quasi dimenticavo la prova purpurea» disse estraendo qualcosa dalla tasca dei pantaloni abbandonati sul pavimento.
Quando vide luccicare una lama affilata, Amelia si preparò a lanciare una fireball distruttiva come solo quelle di Lina potevano essere, mentre nel frattempo Jaden sedeva sul letto accanto a lei.
«Basteranno poche gocce e la faccenda sarà risolta» disse rigirando il pugnale fra le mani con maestria.
«Fai da sola o vuoi che ci pensi io?»
Amelia non rispose ma afferrò il coltello, pronta a lacerarsi il palmo della mano sinistra.
«Ferma! Che diamine ti salta in mente?! Ho detto poche gocce e vanno fatte cadere nel punto giusto!» sbuffò riappropriandosi dell'arma «Dammi la mano.»
Esitò per qualche momento, mentre lui la osservava impaziente e allo stesso tempo incurante del fatto che fosse ancora nuda, poi gli porse la mano e lui praticò un minuscolo foro sulla punta dell'indice badando a far gocciolare il sangue al centro del letto.
«Bene, è abbastanza, fai una delle tue magie.»
«Tu non...»
«Sono un uomo d'azione, preferisco il rumore del metallo allo sfrigolio di qualche incantesimo attira-demoni»
«Gli incantesimi non attirano i demoni» disse perplessa mentre rimarginava la piccola ferita.
«Non tutti, certo. Gran parte di essi li evocano e questo non porta mai a niente di buono, dovresti saperlo ormai.»
Dietro quella frase, dietro lo sguardo penetrante che le rivolse, si nascondevano molti sottintesi, tutti riguardanti le sue avventure con Lina, un argomento che presto avrebbero dovuto affrontare.
«Da come ne parli sembra che tu sia in grado di praticare la magia»
«Esatto, ma non ho mai voluto imparare nemmeno quelle più semplici» si stiracchiò lasciandosi poi cadere sul materasso, la mani dietro la testa e le gambe penzoloni. Era come se si fosse liberato da un grosso peso e, forse, era proprio ciò che era accaduto.
«Quel che dici non ha senso, un recovery in battaglia può salvare la vita a te o ai tuoi compagni»
«Io la vedo così: esiste un disegno per ognuno di noi, se arriverà il momento di morire non voglio ricorrere a innaturali stratagemmi per evitare che il mio destino si compia.» la guardò attraverso le folte ciglia scure.
«So che ti sembreranno sciocchezze dette da un elmekiano superstizioso, ma non ci troveremmo qui in questo momento se qualcuno non avesse abusato della magia, se avesse lasciato agire il fato.»
«Già, saremmo sepolti sotto molti metri di terra e macerie.» si alzò stizzita ma lui la trattenne per il lenzuolo che aveva avvolto intorno al corpo.
«Come puoi dirlo?» di nuovo quello sguardo, di nuovo quegli occhi neri come la pece che cercavano risposte.
«Io c'ero e se non fosse stato per quell'abuso di magia, come ti piace chiamarlo, non esisterebbero più regni o imperi da proteggere, solo morte e caos.» Jaden serrò le labbra e non rispose.
«Se è vero che arriverà la guerra da est, la magia è l'unico vantaggio che abbiamo.»
«Oppure la nostra rovina.» disse lapidario lasciandola andare.
Il loro tempo era quasi scaduto, presto sarebbero arrivate le ancelle a prelevare la famigerata Prova, così entrambi si ritirarono nelle loro anticamere.
Proprio mentre varcava la soglia Amelia sentì svanire il senso di oppressione che aveva gravato per giorni sul suo petto. Aveva navigato nelle torbide acque dell'incertezza, era giunta finalmente a riva.

   
 
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