CAPITOLO
IV – ALLEANZA
La
capitale era in fermento da quando
avevano avuto inizio i preparativi per accogliere il futuro re
consorte.
Le mura della via che lo avrebbe
condotto al castello erano state ricoperte di fiori freschi, migliaia
di lanterne di carta erano pronte ad accendersi per illuminare il
passaggio della scorta e sulla strada si estendeva un lunghissimo
tappeto vermiglio. I migliori musici era giunti da tutto il regno per
intonare canti in onore della principessa e nelle piazze i popolani
si erano già riuniti fin dal mattino per celebrare riti di
buon
auspicio.
Il sole stava morendo all'orizzonte e
il cielo si tingeva con i colori freddi della notte, quando
ventisette carrozze arrivarono alle porte della città. Erano
lucide,
scure, ricche di intarsi e decorazioni a foglia color oro che
splendettero agli ultimi raggi di luce rossastra, mentre le ruote
scarlatte si muovevano veloci sul terreno sconnesso e polveroso.
Centootto frisoni neri trainavano le
vetture, affiancate da decine di cavalieri in groppa a cavalli
candidi. Lo stemma della famiglia Thormond, un cervo su sfondo rosso
circondato da quattro iris, troneggiava alto sugli stendardi,
ricamato in oro e seta.
L'accesso alla capitale era sbarrato e
tenuto in sicurezza da un incantesimo difensivo e decine di soldati
armati. Quando i trombettieri che precedevano il corteo iniziarono a
far squillare i loro strumenti, un fante sailluniano si sporse dal
parapetto di una delle torrette.
«Altolà! Chi osa bussare alle porte
della gloriosa Saillune?» recitò la formula di
rito.
«Sua Altezza, futuro re di Saillune!»
fu la risposta solenne del Primo Cavaliere della scorta.
«Che
Ceiphied lo abbia in gloria!» disse il fante e poi, con
l'aiuto di
una fiaccola, accese il grande braciere posto sul tetto della
torretta. Quando tutti i bracieri delle altre torri arsero della
stessa luce azzurra, l'incantesimo di difesa si palesò
vibrando come
un'opalescente bolla di sapone e sfrigolò mentre un varco
veniva
aperto per lasciar passare gli ospiti elmekiani.
Le
grandi porte di alabastro, fatte costruire da re Joffridus III poco
prima della sua dipartita, si aprirono lentamente e, quando il corteo
se le lasciò alle spalle, un'esplosione di petali di iris
blu e
viola decretò l'inizio dei lunghi festeggiamenti per le
nozze della
principessa.
Il castello di Saillune era situato al
centro dell'esagono che racchiudeva la città in un cerchio
di magia
bianca. Non era circondato da fossati, né da alte mura, ma
da ettari
di terreno, un immenso parco disseminato di boschetti e ricoperto da
uno sottile prato verde smeraldo.
Su ogni lato dell'esagono vi era solo
un arco di pietra, alto decine di metri e fregiato dall'antico
disegno dell'emblema della famiglia reale, che si intersecava con
rune anti-demone.
Molte leggende gravitavano attorno a
quegli archi misteriosi ed era convinzione comune che chiunque avesse
osato oltrepassarle senza il permesso del re sarebbe morto divorato
dalle fiamme.
Quella sera risplendevano di un debole
bagliore celeste, mentre centinaia di lucciole svolazzavano nell'aria
notturna, rilucendo come stelle in un cielo limpido.
La
fila di carrozze, protetta dall'invito ufficiale del sovrano,
varcò
indisturbata l'ingresso al parco.
All'interno
di una di queste, il principe Jaden stava mollemente adagiato su
sette cuscini di seta e broccato viola, un braccio dietro la testa e
una gamba penzoloni.
Seduto
davanti a lui vi era il vecchio Nirwald, uno dei più fidati
consiglieri dell'imperatore che, tronfio nella sua ricca tunica, si
puntellava al fondo della vettura con il bastone da passeggio.
«Una
degna accoglienza, non trova?» disse l'anziano indicando la
folla
fuori dal finestrino.
Il
principe si mise a sedere con un colpo di reni e riavviò
indietro i
folti capelli castani, del tutto indifferente alle parole di Nirwald.
«Sua
Altezza, ha per caso dimenticato le buone maniere durante il
viaggio?» stizzito l'anziano batté il bastone tre
volte sul
pavimento della carrozza.
«Sì,
degna di uno stupido contadino» rispose allora annoiato il
principe,
richiudendo con un gesto seccato le tende «Accolto da un
branco di
popolani e costretto a rimanere in isolamento fino a domani
mattina!»
«La
tradizione prevede che lei si mostri per la prima volta durante la
cerimonia nuziale, se ne faccia una ragione. E, in ogni caso, non si
preoccupi per domani, ho visto uno stormo di rondini allontanarsi dal
regno. Un buon auspicio.» disse pacato Nirwald lisciandosi la
lunga
barba bianca.
«Non
m'importa, il mio posto non sarà mai qui.»
sussurrò tra i denti,
ma ciononostante quelle parole non sfuggirono al Gran Maestro dei
Segni, che lo colpì con il bastone sulle ginocchia.
«Bada
a cosa fai, vecchio! Io sono...»
«Lei
è uno sciocco!» gli puntò contro un
dito nodoso «Le è stata
offerta un'occasione più unica che rara e non ha fatto altro
che
piagnucolare come una donnicciola!»
«Quale
occasione? Restare segregato all'interno delle mura nemiche a
rivestire un ruolo privo di importanza, mentre i miei fratelli
combattono fianco a fianco per difendere Elmekia? Il mio posto
è
nell'esercito imperiale, tra i miei uomini, a difendere i
confini.»
«No!»
la voce avvizzita del Gran Maestro risuonò roca
«Crede davvero che
Saillune sia ancora il nemico?! Due volte sciocco! Forze oscure si
agitano al di là del Deserto della Distruzione e non
possiamo farci
trovare divisi e impreparati.»
«Lo
so bene, conosco le notizie giunte da Digranes.»
«E
allora saprà che non abbiamo più molto tempo a
disposizione.»
sospirò poggiando la schiena contro il sedile imbottito.
«Sì,
ma questo compito spetterebbe a Lantyn.» disse con il volto
contorto
da una smorfia di rabbia e i pugni stretti sulle ginocchia
«Non è
giusto. Tu lo sapevi, perché non hai detto niente quando mio
padre
ha fatto il mio nome al Consiglio?»
«Lo
sapevano tutti, ma suo fratello non è mai stato adatto a
ricoprire
tale ruolo. Troppo impulsivo e rozzo, avrebbe fatto un disastro
dietro l'altro portando alla rovina il nostro più grande
alleato.»
«Come
fai ad esserne certo?»
«L'ho
visto nel fuoco,» si rabbuiò «Saillune
immersa nel caos demoniaco,
l'impero di Elmekia attaccato su due fronti e costretto a cedere ai
nuovi conquistatori.» fece una pausa, come se quella
rivelazione gli
fosse costata un certo sforzo.
«Non
è stato suo padre a proporla, sono stato io. Saillune ha
bisogno di
un sovrano saggio e lei è l'unico tra i suoi fratelli a
possedere
tutte le qualità necessarie affinché il regno
rimanga al sicuro.»
Jaden
ammutolì, incapace di reagire a quell'amara rivelazione, e
restò a
guardare il volto placido del suo Maestro, la sua guida, l'uomo che
lo aveva allevato e istruito fin dalla più tenera
età.
«Sua
Altezza, non si senta offeso né tradito. Ho agito nel suo
interesse,
lei è destinato alla grandezza.»
«Hai
visto anche questo nel fuoco o in uno dei tuoi sogni, oppure magari
dentro le viscere di una rondine morta?»
«Lo
vedo nei suoi occhi e tanto mi basta.»
Il
principe sospirò «Come dovrei comportarmi? Si dice
che la
principessa non sia più illibata da tempo, dunque
dovrò
accontentarmi dello scarto di una vile chimera demoniaca. E tra
quelle mura vivono indisturbati i Traditori...» storse le
labbra
disgustato.
«Re
Philionel in persona ha promesso di bandire la chimera dal regno.
Quanto ai Traditori, le consiglio di non agire di impulso, sia
paziente.»
I
cavalli rallentarono la loro andatura finché la carrozza non
si
fermò con uno strattone. Il cocchiere aprì lo
sportello e l'aria
pungente della sera entrò nell'abitacolo facendo
rabbrividire il
principe.
Nirwald,
invece, scese giù aiutandosi con il bastone «Ah,
che splendida
serata!» esclamò all'improvviso entusiasta, come
se niente fosse
accaduto.
Jaden
indossò il proprio mantello foderato di pelliccia e mise per
la
prima volta piede sul suolo sailluniano. L'odore degli iris era
ancora nell'aria, ma era quasi del tutto sovrastato da quello
dolciastro dei gelsomini che si arrampicavano sui pilastri e le
colonne del porticato davanti a cui si era arrestata la marcia del
corteo.
*
Profumo
di rose e d'incenso si spandeva
nell'aria fredda del tempio di Saillune. La chiara luce del mattino
penetrava dalle feritoie laterali e dal rosone centrale posto dietro
l'altare. Uno scudo circondato dalle spire di un serpente bianco,
sovrastato da una corona dorata e affiancato da due ali candide - lo
stemma della casata reale -, era raffigurato su ogni colonna di
alabastro.
Il pavimento di marmo chiaro era attraversato da linee
curve che un occhio attento avrebbe riconosciuto come la runa sacra a
Ceiphied.
Una serie di suoni gutturali e cavernosi, ripetuti con
costanza dalle voci profonde dei monaci, risuonava potente tra le
pareti vuote, mentre le vestali di Ragadria pregavano Ceiphied
offrendo doni sull'altare, presso cui era eretta una statua del dio
drago, fatta di oro bianco e zaffiri.
Gli sposi sarebbero entrati dalle porte
laterali e, dopo aver attraversato due corridoi affiancati da piccole
colonne di granito grigio, si sarebbero incontrati per la prima volta
in quel luogo freddo e poco accogliente.
Da settimane non si
parlava d'altro che del matrimonio tra Philionel ed Elismarie, lei
era scoppiata a ridere alla vista dello sposo e il momento di
imbarazzo era stato talmente grande da far svenire il sacerdote.
Erano tutti in attesa di un nuovo succulento aneddoto di cui
discutere negli anni a venire.
Lina fremeva sul posto.
«Se
sento un'altra malignità giuro che faccio saltare tutti in
aria»
sussurrò a Gourry.
Lo
spadaccino annuì, lo sguardo serio e fisso davanti a
sé, la
mandibola serrata e le mani incrociate in grembo. Lo osservò
di
sottecchi e si sentì spaesata. Il completo di broccato blu e
oro, le
calze di seta, il panciotto e le scarpe di raso con tacco, il
cappello a tesa larga decorato da piume bianche, una spada leggera
appesa al fianco e i capelli biondi raccolti da un nastro di velluto
nero: quello non era il Gourry che conosceva, eppure lui era ancora
lì, sepolto sotto strati di oggetti costosi.
Lei non era da meno,
agghindata come una dama di corte, il lungo vestito color crema, con
la gonna ingombrante e il corpetto stretto da farle mancare il
respiro. Abbassò gli occhi sulla scollatura, dove una
pesante
collana di diamanti scintillava catturando la luce dei ceri accesi,
la toccò con la mano coperta dal guanto. Quando era
accaduto? Quando
lei e Gourry avevano smesso di sentirsi dei semplici viaggiatori di
passaggio?
Si erano assuefatti al lusso, alle stoffe costose e
alle pietre preziose, ai cibi pregiati e ai comodi salotti di corte,
ma quella non era la loro vita e mai lo sarebbe stata.
Ci aveva
pensato tutte le notti negli ultimi quarantasei giorni e, quel
pensiero, che le aveva rosicchiato il cervello, si fece più
forte e
vivido.
Amelia avrebbe sposato un principe di Elmekia, dunque
c'era una remota possibilità che quell'unione avrebbe
sancito il
ritiro ufficiale della taglia che gravava sulle loro teste.
Si
era sentita sporca e meschina a causa del sollievo che quell'idea
riusciva a darle ogni volta che le attraversava la mente. Amelia li
aveva accolti come fratelli, si era impegnata per far sì che
la
taglia venisse annullata entro i confini del proprio regno. Non
avrebbe potuto abbandonarla al suo destino, privandola di veri amici
su cui fare affidamento, ed era certa che Gourry non si sarebbe mai
tirato indietro.
Provò
il desiderio di correre fuori, all'aperto, dove il sole nasceva
all'orizzonte e l'aria era fresca e sapeva di rugiada, ma un
cambiamento repentino le fece dimenticare i suoi piani di fuga.
Il
tono del mantra divenne più concitato e si
sollevò di parecchie
note, mentre le vestali, finito il rito delle offerte, si
inginocchiarono accanto all'ara con le mani sollevate al cielo e gli
occhi chiusi, unendosi alla preghiera dei monaci in un coro di voci
angeliche.
La principessa, futura regina di Saillune fece il suo
ingresso nel tempio. L'abito bianco di pizzo e chiffon, tempestato di
minuscoli diamanti, accompagnato da un lungo e ampio strascico,
sembrò risplendere di luce propria. Un velo pesante, dello
stesso
colore, le celava il viso e le oscurava la vista.
A distanza di
pochi minuti anche le porte sulla destra si spalancarono e,
finalmente, Jaden della casata Thormond entrò nel tempio e,
con
passo cadenzato, si avvicinò alla sposa. Si esibì
in un profondo
inchino e la liberò dalla coltre che sembrava imprigionarla.
*
Stava
accadendo, la parola fine stava per essere scritta sulle pagine della
sua vita passata.
Lo aveva pensato per tutta la notte, l'ultima da
nubile, l'ultima da semplice principessa.
Aveva trascorso
l'adolescenza nella speranza che sua sorella maggiore Gracia fosse
sopravvissuta e che, con un ingresso trionfale in città,
l'avrebbe
esonerata dalla carica di regina.
Ormai,
però, era troppo tardi per i ripensamenti.
Era
un marionetta spinta sul palcoscenico per recitare l'atto conclusivo
della sua personale tragedia.
Fece un respiro profondo, mentre le
porte della sua stanza venivano spalancate e uno stuolo di cameriere
entrava disponendosi su due file ai lati del baldacchino.
Tradizioni
antiche quasi quanto il regno stesso a cui non avrebbe potuto
sottrarsi prevedevano rituali e gesti ben precisi. Innanzitutto non
le era concesso proferir parola, poiché le prime di quel
giorno
erano destinate alla cerimonia nuziale.
Le cameriere l'aiutarono
ad alzarsi e poi la denudarono gettando la vestaglia nel fuoco: gli
indumenti da nubile avrebbero fatto tutti la stessa fine.
Davanti
al camino acceso l'attendeva una vasca riempita di acqua calda e
petali di giglio, simbolo di purezza e castità. Si immerse
in quel
dolce tepore e provò a liberare la mente mentre quattro mani
le
strofinavano tutto il corpo. Era credenza diffusa che il profumo di
rose rosse risvegliasse l'amore nel cuore delle donne e desiderio in
quello degli uomini, perciò dopo il bagno alcune cameriere
si
prodigarono cospargendola di olio essenziale.
Guardò
il cielo fuori dalla vetrata, l'aurora si stava risvegliando, e in
quell'istante due piccoli passeri si posarono sul davanzale della
finestra per il tempo di un battito di ciglia.
Il viso di
Zelgadis, le sue mani che le accarezzavano i capelli, il suono caldo
di quella voce tanto amata... i ricordi la investirono come un fiume
in piena in cui rischiò di annegare.
Si appoggiò al ripiano
della toeletta con entrambe le mani e premette la fronte sulle
nocche. Un solo triste singulto le salì in gola ed esplose
prima che
lei riuscisse a contenerlo.
Tutte le cameriere si allontanarono
veloci, in simultanea, ne avvertì i passetti leggeri sul
parquet.
Voltò la testa di lato e vide la sua immagine riflessa
nel grande specchio posto in fondo alla stanza.
Il primo
particolare a risaltare, nella sua drammatica evidenza, fu la pelle
bianca e tesa sulle scapole, che si aprivano all'indietro come ali
pronte a spiccare il volo. Solo allora si rese conto di indossare
nient'altro che delle calze.
«P-principessa Amelia... Sua
maestà, è ora» il tocco gentile di una
delle domestiche la
convinse a mettersi in piedi.
Le
squadrò, una ad una, quelle donne semplici e felici di
trovarsi lì
con lei, di potersi beare dei vestiti e dei gioielli che mai avrebbe
sognato di poter indossare.
La invidiavano? La ammiravano? La
disprezzavano?
Forse.
Quel
che però non avrebbero mai sospettato era che lei le invidiava,
perché avevano la libertà di scelta, le ammirava,
perché
svolgevano le loro mansioni con solerzia e senza patemi e le
disprezzava, perché sapeva che nel
profondo del loro cuore
avrebbero voluto essere al suo posto.
Con
passi lenti ed eleganti si diresse al centro della camera, stese le
braccia e si preparò ad accogliere l'abito di Elismarie III
di
Remington, cucito dalle sarte di Kalmaart e portato all'epoca con
fierezza dalla regina, nonostante il divieto di possedere oggetti
estranei a Saillune.
Elismarie
era stata una donna coraggiosa e volitiva, capace di far valere le
proprie ragioni persino di fronte a tradizioni così antiche.
Lei,
invece, era rimasta imbrigliata nei rigidi schemi aristocratici e, la
delusione alla scoperta di essere così distante da sua
madre, era
stato solo l'ultimo di una serie di colpi bassi che il destino aveva
deciso di infliggerle.
Quando si era messa in viaggio con Lina si
era sentita così simile alle Remington che quasi il petto le
era
esploso di orgoglio, ma a cosa era servito? La pecorella smarrita era
infine tornata all'ovile.
Non si mosse mentre tre domestiche
lavoravano svelte alla sua acconciatura, tirando le ciocche corvine
all'indietro e intrecciandole in complicate forme sulla nuca. Era
come se ogni parte del corpo avesse smesso di funzionare, come se il
sangue avesse smesso di fluire nelle vene.
Infine, con altre tre
donne corpulente che la reggevano per le braccia e le spalle,
indossò
le scarpe aiutata da una piccola servetta che non aveva mai visto. La
bambina, una volta ultimato il lavoro, le si piantò davanti,
la
guardò estasiata e un ampio sorriso nacque spontaneo sul
viso
paffuto.
Era pronta.
Si
rimirò allo specchio un'ultima volta, prima che un pesante
velo di
taffetà le venisse appuntato sulla cima dell'elaborato
chignon, dove
in seguito avrebbe trovato posto la corona.
Era
pronta?
«Sua
Altezza, il nostro lavoro è terminato. Resti qui in attesa
delle
ancelle. Ah, e mi raccomando, si ricordi di non parlare con nessuno,
per nessun motivo! Oggi le sue prime parole saranno riservate al
principe! Intesi?» Amelia impossibilitata a parlare o a
muovere la
testa, si limitò ad un gesto della mano con cui
congedò tutte le
cameriere.
Era
sola.
Uno cigolio
metallico e il rumore di passi pesanti alle sue spalle. Si
voltò
indietro ma la vista le era preclusa dal velo.
Era
sola?
Dita ruvide e
fredde sulle spalle e respiro caldo sul collo, un piccolo bacio venne
depositato sulla pelle nuda della schiena. Amelia non reagì,
avrebbe
riconosciuto quel tocco tra mille.
«Amelia...» mormorò senza
staccare la mani dalle sue spalle.
Il cuore le mancò un battito e
fu costretta a portarsi una mano al petto per contenere il dolore.
Si
era infine deciso a scappare via con lei? Loro due per sempre
insieme, fuggiaschi uniti nella vita e fino alla morte.
Allungò una
mano per toccarlo, ma lui la scansò.
Non poteva parlare, non
poteva toccarlo, non poteva vederlo, non poteva piangere... non
riusciva a respirare.
«Amelia,
perdonami se puoi...»
Come una folata di vento distrugge un
castello di carte, così Zelgadis aveva frantumato le sue
speranze.
Non voleva portarla via da quella stanza, ma abbandonarla per sempre.
Sospirò affranta, mentre il dolore al petto la spezzava a
metà.
«...e promettimi una cosa, una soltanto, poi
uscirò dalla
tua vita.»
Quella frase era la
pugnalata al petto che stava aspettando, il pensiero sepolto nei
recessi della mente che aveva preso forma in poche amare parole.
«Sii
forte come una Remington.» sussurrò con fermezza.
Sii forte
come una Remington.
Sapeva
pizzicare le corde giuste del suo cuore, lo aveva sempre fatto,
perché loro due, in fondo, erano anime complementari e, a
dispetto
degli eventi che li avrebbero travolti, nulla avrebbe potuto cambiare
quella costante.
Sarebbe stata forte, per sé stessa, per
Zelgadis, per suo padre e per i suoi sudditi.
Sarebbe stata forte
perché non aveva altra scelta.
Il gelo che la avvolse
quando la chimera si allontanò, sparendo per sempre dietro
la porta
segreta della sua stanza, si diffuse presto fino alle ossa e, per la
prima volta in vita sua, si sentì davvero sola.
*
Il
sole si era appena affacciato all'orizzonte e la sua luce penetrava
dal rosone centrale, spandendosi in raggi colorati all'interno del
tempio, quando il velo fu sollevato e lei vide per la prima volta il
suo viso. Aveva incontrato molti uomini provenienti
da Elmekia
per via di missioni diplomatiche, perlopiù anziani tozzi e
nerboruti, privi di tatto, le cui mani callose stringevano quelle
altrui con forza e superbia. L'uomo – il ragazzo –
che invece si
trovò davanti non doveva essere più grande di
Gourry, era molto più
alto di lei e la guardava serio attraverso le lunghe ciglia scure. La
sua pelle era chiara, ma baciata dal sole, e i folti capelli castani
ricadevano in ciocche disordinate sul viso affilato.
Indossava gli
abiti semplici e austeri di Elmekia, fatti di lana e leggero bisso, e
un sontuoso mantello di ermellino, foderato di velluto rosso e legato
alle spalle attraverso cinture di cuoio incrociate sul petto. Il suo
volto era chiuso in un rigido e pacato distacco, ma Amelia temeva che
dietro quella maschera si nascondesse il carattere turbolento di cui
la famiglia Thormond si era sempre vantata. Il principe Jaden, ignaro
dei suoi pensieri, si esibì in un elegante inchino e
baciò l'anello
a forma di serpente che le circondava tutte le dita della mano
destra, poi si rimise in piedi e una vestale unì le loro
mani,
avvolgendole con una corolla di fiori bianchi.
I
monaci smisero allora di recitare il mantra, lasciando il posto al
canto angelico delle vestali, la cui melodia si spanse leggera come
vento primaverile.
Re
Philionel e il consigliere Nirwald si avvicinarono agli sposi
poggiando ognuno una mano sulle spalle dei loro rispettivi protetti.
Il
sacerdote, un uomo così antico da non avere età,
vestito di una
semplice tonaca candida e con il volto dipinto da rune azzurre, si
avvicinò ai futuri sposi e pose le proprie mani sulle loro.
«Ceiphied, signore del Bene, invochiamo la tua
benevolenza.»
disse con un tono di voce basso, ma potente, che spezzò il
silenzio
tombale in cui l'intero tempio era piombato.
«Ceiphied,
signore della Luce, davanti al Sacro Altare noi chiediamo la tua
benedizione.» prese la corolla e la gettò dentro
una piccola
fiaccola che una vestale gli porgeva. Non appena i fiori ne toccarono
il fondo d'argento, una fiamma rossa come il sangue si
sprigionò e,
allora, il sacerdote la prese e la diede ad Amelia.
«Chi
sei tu?»
«Sono
Amelia Wil Remington Tesla, principessa di Saillune, futura regina e
protettrice dell'Alleanza.»
«Qual
è il tuo desiderio?»
A
quelle parole, ebbe un sussulto e sentì la lingua
pietrificarsi tra
i denti. Voleva davvero la pace per il proprio popolo e se la via per
arrivarci passava per quel matrimonio, allora non avrebbe mentito
davanti al Dio Drago.
«Desidero
sposare il qui presente Jaden Anselet Iordanus IV Thormond, principe
di Elmekia.» disse e poi passò la fiaccola a Jaden.
Il
sacerdote ripeté le stesse domande, ma il principe rispose
con la
fermezza di cui lei non era stata capace, senza smettere di guardarla
negli occhi.
«Io,
Wirtonious, in nome di Ceiphied, dichiaro questa coppia unita nel
sacro vincolo coniugale. Possa la vostra unione essere guidata dalla
Sacra Luce divina e possa la vostra progenie essere numerosa. Il
passato è alle vostre spalle, mentre il futuro splende
radioso di
fronte a voi.»
Avvertì
la mano calda e rassicurante del padre premere leggermente sulla sua
spalla e poi lasciarla andare. Lui era lì, ma non ci sarebbe
stato
per sempre, mentre l'avvenire che l'attendeva era di fronte a
sé, in
quella maschera di determinazione elmekiana. Si sentì persa
mentre
il sacerdote le prendeva la mano sinistra e ne marchiava l'anulare
con il sacro fuoco, incidendo le iniziali di suo marito. Poche
lettere che bruciarono la pelle bianca facendola sanguinare. Lo
stesso fece poi con la mano di Jaden e infine entrambi fecero un
inchino alla statua di Ceiphied, mentre la corte applaudiva felice.
Era
successo, aveva sposato un estraneo.
Il
banchetto in onore degli sposi si era protratto fino a sera, tra
centinaia di gustose portate e balli al centro della grande sala
centrale. Amelia e Jaden era rimasti seduti accanto al trono del re,
rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra, per quasi tutto
il tempo dopo aver aperto le danze. Non si erano scambiati neppure
una parola, in compenso molti si erano avvicinati per congratularsi,
ma, mentre Amelia si era sentita in dovere di elargire sorrisi e
parole di gratitudine, Jaden era rimasto chiuso nel suo silenzio,
limitandosi a pochi e misurati cenni del capo, così che gli
sguardi
che i cortigiani le rivolgevano si erano fatti via via sempre
più
compassionevoli.
I
giorni di viaggio e tutte le avventure che aveva vissuto sembravano
appartenere ad un'altra vita, una vita non sua, come fossero ricordi
rubati a qualcuno. Lei e Zelgadis si erano amati davvero o era stato
tutto uno splendido sogno? Guardò il dito marchiato per
l'ennesima
volta mentre Jaden accoglieva altri cortigiani con il volto rigido e
serio. Lui era suo marito, il padre dei suoi figli, il re che
l'avrebbe accompagnata alla guida del regno, il resto non contava
più.
Ormai si era fatto tardi, la corte era sazia e stanca e lei
non era da meno, tanto che era ricorsa più volte al recovery
per
dare riposo alla schiena e alle gambe stanche di tenere la stessa
posizione. La stessa cosa aveva dovuto fare il vecchio Nirwald al
principe.
Re
Philionel si fece largo tra la folla e salì i gradini per
sedersi
sul trono. Le trombe squillarono per avvertire i sudditi riuniti a
corte, ciò significava che la festa era giunta al termine.
Amelia
guardò il padre e le sembrò all'improvviso
più vecchio, più
stanco e fragile, diverso dalla figura granitica a cui era abituata.
L'alleanza con Elmekia avrebbe dovuto farli sentire al sicuro, eppure
lo sguardo a tratti ostile del principe diceva tutt'altro e, forse,
non erano mai stati vulnerabili come il quel momento.
Da soli o
in coppia i nobili ospiti si misero in fila per salutare con un
inchino i reali di Saillune. Li contò come i passi per
arrivare al
precipizio e, quando l'ultimo cavaliere se ne andò,
lasciandoli da
soli in quella immensa sala vuota, Amelia sentì il pavimento
cedere
sotto le suole delle sue deliziose scarpette di seta. Trenta guardie
arrivarono per scortarli nei loro alloggi, ma era certa che i dieci
energumeni che avrebbero accompagnato Jaden non fossero lì
per
proteggerlo.
La
camera da letto nuziale non aveva una porta principale, ma due
laterali che portavano ad altrettante anticamere prive di finestre,
dove gli sposi potevano farsi aiutare nell'atto delle svestizione
prima di incontrarsi in totale solitudine.
Le ancelle erano state
molto più svelte di quanto avesse sperato, ma non
abbastanza.
Varcata la soglia trovò il principe seduto sulla poltrona di
fronte
al caminetto acceso, le gambe accavallate e nella mano destra un
calice di vino. Era alto e magro, non aveva i movimenti affettati
tipici degli aristocratici di corte, né quelli rozzi che si
sarebbe
aspettata, ma ogni gesto esprimeva la grazia del controllo e
dell'equilibrio. Fece roteare il vino nel bicchiere e lo bevve tutto
in un lungo sorso.
«Mia
signora, perché resti nascosta nell'ombra?» le
chiese senza
scomporsi.
«Io
non ho bisogno di celarmi alla tua vista, non qui, non nel mio
castello. Tu, piuttosto, ritieni consono ricevere la tua sposa in tal
modo?» si avvicinò al futuro compagno con il
portamento regale che
teneva durante gli incontri ufficiali: lei era la vera regina e
avrebbe rimarcato il concetto finché avesse avuto fiato in
corpo.
«Chiedo scusa, mia signora, gli elmekiani
non
conoscono le buone maniere. O magari il problema è un
altro.»
disse, la voce roca e gli occhi astiosi. Si sentì sollevata
e
spaventata al tempo stesso nello scoprire che, dietro quel gelido
distacco si celava profonda ostilità. Finse di ignorare
l'ultima
frase, ma Jaden non aveva ancora finito.
«La
mia pelle sarà sicuramente troppo tenera per te, tu sei
abituata
alla dura roccia» la guardò con la coda
dell'occhio continuando a
bere. Amelia colpì forte la mano del principe gettando sul
tappeto
la coppa d'oro e tutto il suo contenuto.
«Sciocco!
Come osi fare questo genere di insinuazioni? Siamo sposati, abbiamo
giurato di fronte a Ceiphied, queste lettere incise sulle nostre dita
significano che dobbiamo mettere da parte il nostro odio!»
disse,
incapace di contenersi, e si maledì quando lui si
alzò per
fronteggiarla.
Jaden
le afferrò la mano sinistra e ne baciò l'anulare
segnato, poi
sospirò.
«Io non ti odio, mia signora. L'odio richiede
interesse, l'interesse un sentimento, ma la realtà
è che mi sei
indifferente come lo è il vento che spira fuori dalla
finestra. Ciò
che provo adesso è amore per la mia terra e nostalgia per la
vita
che mi ero scelto,» disse slacciando con noncuranza i nastri
che le
chiudevano la vestaglia «ma, se questo è il mio
compito, il mio
destino, lo porterò a termine.» la
guardò dritto negli occhi
sciogliendo l'ultimo nodo.
Amelia ebbe un sussulto quando il
tessuto leggero della veste scivolò via dalle spalle,
cadendo ai
suoi piedi: trovarsi in una strada gremita di persone l'avrebbe fatta
sentire meno nuda e indifesa. Jaden la esplorò con
indolenza,
carezzando e baciando ogni centimetro di pelle chiara, dal collo alle
braccia, i seni, e infine si fermò sul ventre, con l'indice
tracciò
un tre sotto l'ombelico e si inginocchiò per baciare il
numero
immaginario. Sapeva che quello era solo l'ennesimo rituale
superstizioso di fertilità, ma quel gesto la fece sentire
marchiata,
più di quanto non avesse fatto il sacerdote con il Sacro
Fuoco.
«Anch'io avevo deciso il mio percorso, il mio futuro
sembrava già scritto, fin quando non ho sentito pronunciare
per la
prima volta il tuo nome.» disse provando a fermarlo.
Jaden
si tolse la camicia e la costrinse a toccare il petto glabro,
guidandola fino alle spalle. Amelia avvertì i muscoli tesi
sotto la
pelle morbida e calda, una sensazione nuova che la fece
indietreggiare. Si allontanò di qualche passo e gli diede le
spalle
per nascondere il rossore, di rabbia e d'imbarazzo, che le stava
colorando le guance.
«Che
succede?» le chiese con il fiato corto.
«Dobbiamo
consumare il
prima possibile,
per sancire in modo definitivo il matrimonio e l'alleanza.»
disse lei con freddezza, restando immobile.
«E
allora?»
E allora quel che
stavano facendo non aveva niente a che vedere con il dovere!
Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, magari dopo averlo preso a
pugni, perdendo tutta la dignità regale che aveva ostentato
per
tutto il giorno.
Lo sentì sospirare mentre si sfilava gli ultimi
indumenti. Era convinta che l'esperienza con Zelgadis l'avesse resa
abbastanza sicura da riuscire a sopportare la presenza di un altro
uomo, ma in realtà la paura le serrò le viscere
quando Jaden lasciò
cadere i pantaloni a terra. Le si avvicinò cauto e Amelia
avvertì
di nuovo il suo respiro sul collo e fra i capelli.
«So
a cosa stai pensando, principessa. Nessuno dei due stanotte
avrà ciò
che vuole, io una moglie vergine e tu uno sposo di pietra, ma non
deve essere per forza un'esperienza degradante.»
Amelia
rilassò le spalle e voltò la testa per guardarlo
in viso, era
rassegnato quasi quanto lo era lei. Lo prese per mano e lo condusse
al sontuoso talamo, scostò le pallide lenzuola di seta e vi
si stese
supina. Jaden si inginocchiò sul materasso di fronte a lei,
aprendole le gambe con delicatezza. Amelia allora chiuse gli occhi e
appoggiò la guancia sul cuscino, l'unico pensiero ad
occuparle la
mente era quel numero che lui le aveva tracciato sulla pancia: se
avesse funzionato non avrebbe dovuto ripetere più
quell'esperienza
per almeno un anno. Zelgadis e tutti i ricordi a lui legati, invece,
non avevano alcun nesso con quel che stava per accadere, nessun gesto
meccanico ripetuto all'infinito avrebbe mai potuto sostituire i
momenti che avevano passato insieme, nessuna gioia sarebbe stata
tanto grande da riempirle il cuore con la medesima intensità.
«Ti
prego girati, sembra che tu stia per ricevere un fendente
mortale»
le disse e, senza darle il tempo di reagire, l'afferrò per i
fianchi
mettendola in posizione prona.
Era giunto infine il momento,
Amelia serrò di nuovo le palpebre stringendo le lenzuola tra
le
mani, ma non versò una lacrima come aveva promesso a se
stessa. Come
aveva promesso tacitamente a Zelgadis.
Jaden fu svelto e allo
stesso tempo gentile, quando ebbe finito non disse nulla,
concedendole lo spazio di cui aveva bisogno. Dai rumori lei
intuì
che avesse ripreso posto sulla poltrona davanti al fuoco.
Avrebbe
voluto restare raggomitolata sotto le coperte per il resto dei propri
giorni, ma poi si ricordò di un importante problema da
risolvere
prima che fosse troppo tardi.
Scattò seduta e d'istinto guardò
le lenzuola: immacolate. Gli unici a conoscere la verità
erano suo
padre, l'imperatore, Jaden e il consigliere Nirwald. Purtroppo,
però,
la Prova Purpurea sarebbe stata esposta a tutta la corte e al seguito
del principe a conferma dell'atto,
ma
cosa avrebbero esposto se non c'era nulla da esporre?
Rinunciò
all'idea di agire da sola senza consultare il principe, prima
avrebbero iniziato a collaborare meglio sarebbe stato per
entrambi.
«Principe?»
disse incerta, schiarendosi la voce. Non lo aveva ancora chiamato per
nome e, nonostante il triste amplesso, o meglio, proprio
per il triste amplesso non sapeva fino a che punto fossero diventati
intimi. Per quanto fosse possibile in un solo giorno.
«Stai
bene?» chiese lui ignorando lo strano appellativo e
indossando la
camicia.
«Sì, certo» rispose con fierezza, a
testa alta
nonostante lui non potesse vederla.
«Domattina la corte vorrà
vedere la...»
«Ah, già! Quasi dimenticavo la prova
purpurea»
disse estraendo qualcosa dalla tasca dei pantaloni abbandonati sul
pavimento.
Quando vide luccicare una lama affilata, Amelia si
preparò a lanciare una fireball distruttiva come solo quelle
di Lina
potevano essere, mentre nel frattempo Jaden sedeva sul letto accanto
a lei.
«Basteranno poche gocce e la faccenda sarà
risolta»
disse rigirando il pugnale fra le mani con maestria.
«Fai da sola
o vuoi che ci pensi io?»
Amelia non rispose ma afferrò il
coltello, pronta a lacerarsi il palmo della mano sinistra.
«Ferma!
Che diamine ti salta in mente?! Ho detto poche gocce e vanno fatte
cadere nel punto giusto!» sbuffò riappropriandosi
dell'arma «Dammi
la mano.»
Esitò per qualche momento, mentre lui la osservava
impaziente e allo stesso tempo incurante del fatto che fosse ancora
nuda, poi gli porse la mano e lui praticò un minuscolo foro
sulla
punta dell'indice badando a far gocciolare il sangue al centro del
letto.
«Bene, è abbastanza, fai una delle tue
magie.»
«Tu
non...»
«Sono un uomo d'azione, preferisco il rumore del metallo
allo sfrigolio di qualche incantesimo attira-demoni»
«Gli
incantesimi non attirano i demoni» disse perplessa mentre
rimarginava la piccola ferita.
«Non tutti, certo. Gran parte di
essi li evocano e questo non porta mai a niente di buono, dovresti
saperlo ormai.»
Dietro quella frase, dietro lo sguardo penetrante
che le rivolse, si nascondevano molti sottintesi, tutti riguardanti
le sue avventure con Lina, un argomento che presto avrebbero dovuto
affrontare.
«Da come ne parli sembra che tu sia in grado di
praticare la magia»
«Esatto, ma non ho mai voluto imparare
nemmeno quelle più semplici» si
stiracchiò lasciandosi poi cadere
sul materasso, la mani dietro la testa e le gambe penzoloni. Era come
se si fosse liberato da un grosso peso e, forse, era proprio
ciò che
era accaduto.
«Quel che dici non ha senso, un recovery in
battaglia può salvare la vita a te o ai tuoi
compagni»
«Io la
vedo così: esiste un disegno per ognuno di noi, se
arriverà il
momento di morire non voglio ricorrere a innaturali stratagemmi per
evitare che il mio destino si compia.» la guardò
attraverso le
folte ciglia scure.
«So che ti sembreranno sciocchezze dette da
un elmekiano superstizioso, ma non ci troveremmo qui in questo
momento se qualcuno non avesse abusato della magia, se avesse
lasciato agire il fato.»
«Già, saremmo sepolti sotto molti
metri di terra e macerie.» si alzò stizzita ma lui
la trattenne per
il lenzuolo che aveva avvolto intorno al corpo.
«Come puoi
dirlo?» di nuovo quello sguardo, di nuovo quegli occhi neri
come la
pece che cercavano risposte.
«Io c'ero e se non fosse stato per
quell'abuso di magia, come ti piace chiamarlo, non esisterebbero
più
regni o imperi da proteggere, solo morte e caos.» Jaden
serrò le
labbra e non rispose.
«Se è vero che arriverà la guerra da
est,
la magia è l'unico vantaggio che abbiamo.»
«Oppure la nostra
rovina.» disse lapidario lasciandola andare.
Il loro tempo era
quasi scaduto, presto sarebbero arrivate le ancelle a prelevare la
famigerata Prova, così entrambi si ritirarono nelle loro
anticamere.
Proprio mentre varcava la soglia Amelia sentì svanire
il senso di oppressione che aveva gravato per giorni sul suo petto.
Aveva navigato nelle torbide acque dell'incertezza, era giunta
finalmente a riva.