Film > Giovani ribelli - Kill your Darlings
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Autore: chilometri    12/07/2015    3 recensioni
Se la ricorda la prima volta che l’ha visto.
In piedi sul tavolo della biblioteca dell’Università, ecco dove stava, tutto vestito di blu, la schiena dritta a leggere libri pieni di imprecazioni, illustrazioni di scene spinte pronunciate con così tanta enfasi, che tutti a primo impatto ne vengono incantati e successivamente illusi, lo guardano tutti, si fa notare, lui.
Lucien è la persona più coraggiosa del mondo, lo penserà ogni persona in quella stanza.
Lucien è impavido perché si fa rincorrere dalla sicurezza e ride di gusto, "chiamate la stampa, dite a tutti che Lucien Carr è innocente!", urla, mentre il pavimento di legno scricchiola sotto il peso delle sue scarpe lucide.
Lucien non ha paura di niente.
E tutto questo sarebbe meraviglioso, se non fosse che niente di tutto questo sia vero.
Genere: Angst, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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hola!
vorrei rubare solo qualche secondo del vostro tempo, per fare delle dovute e necessarie precisazioni a riguardo di questa storia scritta alle tre di notte mentre piangevo su qualche playlist AllenxLucien:
  • questo è semplicemente la versione scritta di una delle mie scene preferite del film [leggendo capirete a quale mi riferisco], con l’aggiunta di qualche particolare che mi sarebbe piaciuto vedere
  • se cliccate sulla nota musicale [], vi si aprirà in un’altra pagina la canzone che mi piacerebbe sentiste nel momento in cui leggerete il pezzo contrassegnato da essa
  • il titolo è /ovviamente/ preso dalla meravigliosa poesia che Allen recita sulla barca con Jack e Lucien, che mi tatuerei probabilmente anche sulla fronte per quanto l’ho amata e anche nell’ultimo pezzo, come noterete, ci sono due frasi sempre tratte da questa poesia
  • non ho voluto rivoluzionare praticamente /quasi/ nulla della scena perché non mi sembrava giusto, c’è, sì, qualche piccola rivisitazione e tanti pensieri in più ma più o meno il succo è quello, sentivo semplicemente il bisogno di scrivere qualcosa su questo film che mi ha letteralmente cambiato la vita e stimolato in tutti i modi possibili ed immaginabili, soprattutto dal punto di vista creativo ed emotivo e mi sentivo in dovere di metterci la mia in questo fandom e creare qualcosa
  • (era anche un’ottima scusa per descrivere il bellissimo faccino di Lucian/Dane per cui ho sviluppato ormai un’ossessione e l’amore infinito che ho provato nei confronti del personaggio che Daniel interpreta, ovvero Allen)
questo è tutto quello che ho da dire, vi lascio alla storia, enjoy [e sentitevi liberi di farmi sapere cosa ne pensate!]

chilometri.
 
 








Lest we die, unbloomed.



“Be careful, you are not in wonderland
I’ve heard the strange madness long growing in your soul but you’re fortunate
in your ignorance
in your isolation
you who have suffered
find where love hides
give,
share,
lose
lest we die, unbloomed.”


 

 

“Mi sono sbagliato. Forse non eri destinato a questo, dopotutto”, così esordisce Lucien, mentre afferra il bicchiere di vetro e sorseggia un sorso di quel vino scadente che ad Allen non piace per un cazzo, ha quasi vomitato dopo averlo assaggiato per la prima volta, in quella stessa stanza della Columbia, l'Università.
Lucien lo butta giù e strizza gli occhi, stringendo tra le mani il foglio di carta con le parole del più piccolo scritte su di esso.
C’è il rumore della pioggia che batte sui vetri delle finestre, quando Allen aggrotta la fronte e forse dovrebbe essere ferito, ma non è così che si sente, si sente arrabbiato.
Ed umiliato. E va bene, lui potrebbe anche non essere la nuova rivoluzione a livello letterario del secolo, ma quello è il suo lavoro, la sua passione e pretende un minimo di rispetto.
È per questo che trattiene il respiro, mentre strappa il suo scritto dalle mani di Lucien.
Quella sarà pure la loro idea, tutta quella miriade di sogni sulla rivoluzione del mondo e della società, di cambiare i concetti e i pregiudizi, sarà anche nata da tre menti diverse, ma nessuno si sta impegnando e nessuno sembra prenderla seriamente.
Nessuno, ovviamente, a parte lui.
“Se non ti piace quello che sto facendo — esordisce Allen, le labbra sottili strette tra di loro, le guance rosse un po' dalla rabbia e un po' dall'imbarazzo e le parole sibilate —, non c’è neanche bisogno che io sia qui in questo momento.”
Lucien serra tra le sue mani il bicchiere di vetro, le nocche diventano leggermente bianche, c’è un tremolio sulle sue dita; poi si ricompone e senza guardarlo negli occhi “Okay. Bene. Buonanotte. Buon divertimento”, dice, senza un minimo di enfasi.
Lucien, Allen lo sa, non riuscirai mai a capirlo fino a fondo, non importa quanto ci provi, non importano le notti passate a pensarlo e a scrivere su di lui, non ce la farai mai, perché nei suoi capelli troppo biondi ci sono troppi nodi e nessuno, neanche lui, è in grado di scioglierne anche uno, e nei suoi occhi troppo chiari ci sono paure profonde nascoste nelle iridi, e se guardi troppo rischi di affondarci dentro.
Lucien, Allen lo vede, è esile.
Alto, ma le sue spalle sono piccole e le sue gambe sono deboli, i maglioni di una taglia più grande a fasciargli il busto e una giacca beige troppo lunga a proteggerlo dal freddo, nonostante quella sia l’ultima cosa che tema.
Perché Lucien non teme mai niente, così dice, lo afferma con il sorriso spavaldo e quasi riesce a convincerti, perché del fatto che di notte si copra con le lenzuola del suo letto fino alle orecchie, nella sua camera silenziosa con le pareti di legno e il pavimento che cigola ad ogni passo, non ne saprai mai niente.
Lui non te lo dirà mai.
Se c’è un’altra cosa che Allen percepisce, è la paura; se la ricorda la prima volta che l’ha visto.
In piedi sul tavolo della biblioteca dell’Università, ecco dove stava, tutto vestito di blu, la schiena dritta a leggere libri pieni di imprecazioni, illustrazioni di scene spinte pronunciate con così tanta enfasi, che tutti a primo impatto ne vengono incantati e successivamente illusi, lo guardano tutti, si fa notare, lui.
Lucien è la persona più coraggiosa del mondo, lo penserà ogni persona in quella stanza.
Lucien è impavido perché si fa rincorrere dalla sicurezza e ride di gusto, "chiamate la stampa, dite a tutti che Lucien Carr è innocente!", urla, mentre il pavimento di legno scricchiola sotto il peso delle sue scarpe lucide.
Lucien non ha paura di niente.
E tutto questo sarebbe meraviglioso, se non fosse che niente di tutto questo sia vero.
Allen ci mette un po’ a capirlo e, nel momento in cui, “che cazzo c’è di sbagliato in te?”, dice, il tono di voce troppo alto, entrambi lo sanno che Allen ancora non ci è arrivato.
Lucien alza piano lo sguardo, le occhiaie sotto gli occhi sono più nere e profonde del solito, le lentiggini sul naso dritto che spalanca e chiude velocemente le narici ma le sue labbra non si muovono. Non risponde.
“Va bene, non rispondere, ma allora fammi vedere il tuo fottuto lavoro”, sbotta ancora il ragazzo, aggiustandosi sul naso gli occhiali mentre si volta e si avvicina alla scrivania del biondo, iniziando a spostare fogli su fogli, sapendo che non troverà niente.
Allen non saprà tutto, ma di una cosa ne è sicuro: Lucien, lì dentro, rimane solamente grazie a quel tipo, David?, suppone Allen, pronto a scrivergli tutte le tesi, i progetti che devono essere consegnati agli insegnati della Columbia.
La Columbia, cazzo.
Non sa neanche perché quella cosa vada avanti, non capisce come qualcuno decisamente più grande di almeno dieci anni di Lucien, possa decidere di sottoporsi e abbassare la testa di fronte al bel faccino di un ragazzo.
A tutto c'è una ragione, anche di questo Allen ne è abbastanza sicuro, ma in quel momento la voglia di trovare una risposta alle sue domande è sottomessa alla rabbia.
“Mostramelo”, insiste Allen, spostando ancora i fogli dalla scrivani del biondo.
“Smettila!”
Lucien si alza di scatto, lascia cadere il bicchiere di vetro sul tavolino che ja di fronte a lui e rovescia qualche goccia di vino sulla superficie che scivola piano lungo il perimetro e che si va ad infilare nel legno.
Allen gira il viso nella direzione del ragazzo che è a pochi centimetri da lui, “no, andiamo, non vedo l’ora di vederlo”, gli dice, afferrando un quaderno e sfogliando velocemente le pagine, rendendosi ovviamente conto che tutto quello che c’è sono scarabocchi, disegnini, nulla di concreto, nessun lavoro.
“Dov'è? Oh. No. Aspetta, qui non c’è assolutamente niente, perché tu prendi in giro tutti, perché David non è qui a scrivere per te!”, sbotta il moro, sbattendo il quaderno sulla scrivania, le mani a stringere le pagine del taccuino.
Lucien ha il respiro affannato, il vino gli scorre veloce nel corpo e lo sente pulsare ovunque, ha le labbra gonfie e rosse, è arrabbiato, è furioso perché non se lo merita e nessuno capisce e nessuno capirà mai.
“È complicato”, sibila tra i denti.
“Amo il complicato”, gli risponde a tono Allen, con il mento alzato, lo guarda dritto negli occhi ed è in quel momento che Lucien si sente con le spalle al muro. È una vita che si sente così e ormai ne è nauseato, è come se non avesse scelta, come se non bastasse mai la distanza che prende da tutti, come se i suoi progetti, in qualche modo, gli si rivoltassero sempre contro.
È stanco, questo lo pensa con fermezza quando stringe un pugno e se lo preme contro la tempia, sperando che il dolore si affievolisca, che lo lasci in pace almeno per un po’. Ma quello non se ne va, rimane lì a ricordargli la sua condanna.
Così prova a respirare per un secondo, sente qualcosa tremare e non capisce se sia il suo corpo che sta crollando o sia dentro di sé, sente il respiro di Allen irregolare alle sue spalle e vorrebbe che non ci fosse nessuno in quel momento nella sua stanza e nello stesso momento è così lieto che Allen sia lì, con la sua camicia a quadri, un orologio al polso a dimostrargli interesse nei suoi confronti.
Lucien lo sa che glielo deve. Non sa perché, sarà forse il vino e sarà forse che non gli importa, perché si gira verso Allen e non sfugge al suo sguardo, lo mantiene fiero e fermo.
“È un professore — inizia a parlare di David con la voce bassa ed una nota esasperata nell’intonazione —, lavora come bidello per poter stare vicino al suo prezioso Lu-Lu. E’ un dannato finocchio che non vuole lasciarmi andare”, Lucien respira ma non sente aria arrivargli ai polmoni.
“Un finocchio”, ripete Allen.
“Un invertito.”
C’è qualche secondo di silenzio dove Allen guarda Lucien e Lucien prova a focalizzare quello che ha appena detto, con la lingua che gli pizzica perché gli ha fatto male pronunciare ad alta voce questa verità che gli si stringe al collo e tira sempre più forte, cercando di soffocarlo.
Cerca di mettere a fuoco la parete dietro la spalla del ragazzo che ha di fronte, senza avere il coraggio di guardarlo, ma non ci riesce e chiude piano gli occhi, la testa gli gira ed è per questo che si volta e si lascia cadere seduto sul letto, beve un altro sorso di vino e poi si prende la testa tra le mani.
Allen ci mette qualche secondo a raggiungerlo, si siede piano vicino a lui quasi come se avesse paura di disturbarlo, perché ora capisce e gli dispiace di non averlo fatto prima, gli dispiace di non essersi impegnato ad arrivarci, gli dispiace perché vorrebbe aiutare ma si sente impotente e lo sa, lo vede nel modo in cui Lucien si è mosso, nel modo strascicato e nella fatica che ci ha messo a pronunciare quelle parole, che non c'è via di uscita, ed ora capisce la paura nella sua spavalderia ed il dolore dietro le sigarette fumate una dopo l’altra.
“Allora dovremmo proprio liberarci di lui”, dice Allen, mentre, sedendosi sul materasso incrocia le gambe e intreccia le mani.
Segue i movimenti di Lucien, il modo in cui respira piano, in cui sbatte le palpebre una, due volte, come se stesse cercando di addormentarsi, osserva i suoi occhi quando si gira verso di lui e lo guarda e non si aspetta di ricevere alcuna risposta.
Allen già lo sa, che di modo per liberarsi di David, non ce n'è.
Allen già lo sa, che Lucien si sente condannato. E forse un po’ lo è per davvero.
“In questo momento, ho solo bisogno che tu scriva qualcosa di bellissimo per noi.”
È tutto quello con cui il biondo controbatte, ha la mente stanca e il corpo non riesce più a reggersi dritto ed è per questo motivo che piano lascia scivolare il peso di esso sul suo fianco, atterrando con la testa sul grembo di Allen, che si scosta velocemente, leggermente all'indietro per evitare di farlo scontrare con le sue braccia.
Lucien, così, è indifeso.
Steso in parte su di lui, con gli occhi serrati e la fronte aggrottata, aggrappato alla stoffa del suo pantalone, perde tutte le maschere che indossa tutto il giorno, tutto il coraggio che cerca di trascinarsi dietro anche quando ha le mani graffiate.
Allen lo guarda, lo guarda spesso da quando è arrivato alla Columbia, lo guarda e non solo perché sia bello, ma perché Lucien ha qualcosa di più.
Qualcosa di più nel modo in cui si muove, in quello in cui tiene la sigaretta stretta tra l’indice ed il medio e in quello in cui aspira il fumo, nel modo in cui ti pronuncia le frasi, in cui ti dice che sei un’oasi in una terra desolata, che la vita è rotonda, che siamo bloccati in una ruota, un cerchio infinito e che tu hai spezzato quel cerchio.
Lucien ti guarda da subito come se fossi già suo e ti tiene intrappolato nella sua bolla ma puoi davvero definire trappola qualcosa che speri di non lasciare mai?
Allen lo guarda spesso quando lui gli è seduto di fianco non dice niente, quando la musica jazz gli arriva dritta alle orecchie in uno di quei locali pieni di gente che vuole solo svagarsi un po', seduta ai tavolini a dimenticare i problemini con l'alcool.
Sorride lui, solo un lato della bocca a scoprire i suoi denti bianchi, lo guarda quando gli chiede se vuole un po’ di liquore, un po’ di fumo, qualche avventura, qualche prima volta.
Lucien è bello ed Allen lo sa. È danneggiato e ferito, e sa anche questo.
Allen a quanto tante cose eppure vorrebbe saperne altre mille, ma per quella sera gli va bene così e si accontenta del respiro leggero di Lucien, ancora leggermente lucido, a muovere piano il tessuto del suo pantalone.
 


Ora come ora, Allen vuole solo sfiorarlo.
Non toccarlo, né violarlo, solo sfiorarlo piano, come si fa con i fiori, quelli così belli che ti fanno male e che vorresti così tanto estirpare dal terreno e portarli con te a casa, metterli nel vaso, quello più bello che hai, quello trasparente che riflette la luce del sole, e rimanere lì a guardarli, sperando che prima o poi si riprenderanno, che troveranno in quella terra la stessa comodità dei prati.
Dentro di te, però, sai che non puoi, sai che non appartengono al tuo mondo e probabilmente non ne faranno mai parte e per quanto ti faccia rimanere con l’amaro in bocca, li lasci lì e ti limiti ad accarezzarli e ad andare via.
Ed è questo, quello che Allen fa.
Con le mani affusolate si avvicina ai capelli di Lucien, li sfiora piano ed apre la sua mano tra di essi, gli solleticano la pelle, ne assapora la delicatezza e lascia che le sue dita si incastrino nei nodi. Li accarezza, ne snoda qualcuno, e fa finta che possa servire a qualcosa, fa finta che in qualche modo un gesto così piccolo, possa alleggerire la sua mente anche solo per qualche attimo.
Prima che Allen possa fare una qualsiasi altra mossa, il viso di Lucien si gira verso di lui, e con la fronte aggrottata incrocia i suoi occhi, li incastra nel suo sguardo e il moro si ferma per qualche secondo, calibra il suo respiro, spera di non sbagliare quando continua a sfiorare con la punta delle dita la pelle del biondo.
Spera di avere il permesso senza averlo neanche chiesto.
Lucien non distoglie neanche per un secondo l’attenzione da Allen, sente il suo tocco sulla sua pelle morbida — Allen la paragona alla seta della vestaglia che ha regalato a sua madre tanto, forse troppo tempo fa — e se ne bea e finge che tutto vada bene che non ci sia nessun problema che la sua mente è libera perché Allen è lì e lo sa che è una stronzata bella e buona, ma un’altra cosa che Lucien sa, è che il primo pensiero è sempre il miglior pensiero.
Ed è questa l’ultima cosa che pensa, prima di sentire le dita del ragazzo vicino alla sua bocca, ed è questa la prima cosa che fa d’istinto dopo tanto tempo, mentre schiude piano le sue labbra e si avvicina al dito di Allen, lo sfiora piano per poi intrappolarlo e stringerlo piano tra i suoi denti, succhiandolo con delicatezza e mantenendo un contatto visivo.
Rimane immobile, sente il calore della lingua di Lucien e la forza dei suoi occhi stanchi, distrutti e più vivi che mai e non dice niente, Allen.
Lo guarda e basta, come fa sempre da ormai settimane a questa parte, mentre sente la bolla in cui il ragazzo lo sta tenendo, diventare un po’ meno fredda e un po’ più casa.
Lucien compie lo stesso movimento per qualche secondo, socchiude lentamente gli occhi, le ciglia ad accarezzargli il nero delle occhiaie, lascia la sua saliva a segnare un tratto, quasi come per marchiare un territorio.
È intimo, quel momento, è speciale. Un segreto.
Poi fa un po' più dolcemente, allegerisce la presa con i denti sul dito e gli tocca il polso, mentre lascia scivolare fuori dalla sua bocca il dito di Allen.
Lucien è stanco, ha il vino — e forse ora, non solo quello — che lo ha mandato in fuoco ma ha il respiro calmo;
Allen non pensa di essere mai stato così sveglio, con il respiro appesantito sente qualcosa smuoversi in sé mentre guarda il ragazzo che ha la testa appoggiata sul suo ventre, lascia scorrere il dito sui nei del suo collo pallido e candido.
Allen sente il sangue ribollire e la sua mente azionarsi.
Scriverà qualcosa di bello, qualcosa di meraviglioso. Lo scriverà per Lucien.
Questo è quello che sa, quando si abbassa di qualche centimetro, giusto il necessario per sentire il respiro del biondo sul suo viso, Allen lo sa che sarebbe il fiore più bello di tutto il giardino, le mani gli fanno male a lasciarlo nella terra più tempestosa che conosca e che finirà per distruggerlo, con la consapevolezza che non riuscirà forse mai a mostrarsi nel suo splendore, ed è per questo che gli accarezza di nuovo il viso e Lucien si abbandona al suo tocco, con la mano ancora stretta al suo polso come se gli stesse chiedendo di portarlo via ma questo, Allen, non può farlo.
“Stai attento — gli sussurra, infatti, il moro — non siamo nel Paese delle Meraviglie” e poi gli posa un bacio sulla sua fronte.
Lucien sente il calore affievolire per qualche secondo il dolore pulsante nelle sue tempie, la paura smetterla di intrecciargli le viscere e i brividi non corrono più sulla sua schiena, perché lo sa lui e lo sanno tutti che il Paese delle Meraviglie per lui non è mai esistito e che lo odierebbe se ci fosse.
Lucien forse continuerà ad illudersi all’idea che il complicato lo ami davvero e che non sia spaventato, mentre si addormenta piano sulle gambe di Allen, che lo guarda rilassarsi e si promette che farà di tutto per far sbocciare Lucien e fargli trovare il luogo in cui l’amore si nasconde.






chilometri.

 
  
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