Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: pozzanghera    12/07/2015    0 recensioni
C’è chi dice che nella vita siamo predestinati, e io mi sento proprio così: predestinata ad essere infelice. La felicità non è qualcosa che mi appartiene, se la vita me l’ha concessa è tornata presto a riprendersela. Ma andrò avanti come ho sempre fatto.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’amore sono io che non riesco a vivere senza te.
In fondo me lo sentivo che sarebbe successo, avevo questa soffocante sensazione che sarebbe finita ma solo non immaginavo quanto potesse far male. Ci sono amori fatti per durare, altri sono solo una primavera della nostra vita, e per quanto si possa mettere un cerotto su un cuore ferito, sanguinerà comunque per molto tempo. 
Mi sento uno schifo, da quando Elena mi ha lasciata desidero solo morire. Eppure mi ripeto ogni mattina che la vita è una lotta continua, che sono viva e che devo godermela…ma puntualmente il giorno lo passo a crogiolarmi nel malessere e nella voglia di averla qui.
Sono ormai tre mesi che mi sembra di vivere solo di ricordi di lei: i suoi sorrisi, le sue parole sussurrate tra le lenzuola al mattino, i suoi ti amo scritti con due cuoricini sui post-it che attaccava ovunque e che mi irritavano anche se infondo mi facevano sentire amata e poi…le sue mani calde che mi accarezzano e che a volte sembro ancora sentire durante il sonno.
No, devo dimenticarla, devo dimenticarla, devo dimenticarla, sono stata una sciocca a mettere la mia vita nelle mani di qualcun altra e a permetterle di distruggere quel poco di buono che ero certa di aver costruito. Non avrei dovuto fidarmi, e certamente mi sono promessa che non lo farò mai più, lo devo a me stessa.  
Eppure ogni volta che mi ricordo di lei non riesco ad impedire ai miei occhi di diventare lucidi. Ho imparato da qualche giorno a non piangere, riesco appena a trattenere le lacrime, mi limito a singhiozzare e a star male. Ho pianto anche troppo, questa casa a volte sembra così vuota…e l'altra parte del letto è così fredda.
Ho provato a reagire cancellando tutto ciò che mi riportava a lei: ho strappato le foto, buttato via le lettere, ho formattato il computer, ho messo via il cellulare, sgozzato tre peluche, buttato nella pattumiera collane e anello, ma dalla mente non so come cancellarla.
A volte ancora mi sembra di vederla in cucina sorridermi mentre tenta di preparare con scarsi risultati un piatto di pasta degno di essere chiamato tale, o che esce dal bagno con indosso il mio accappatoio, in camera a rovistare tra le mie cose per trovare le sue o per il salotto a ripetere la tesi di laurea…queste visioni sembrano quasi aumentare con il passare del tempo. Forse sto impazzendo…
Ora sono qui a fissare il muro bianco in quello spazio che una volta ospitava una foto di me e lei al parco, ce l’aveva scattata un cinese per contraccambiare il piacere di avergli appena fatto una foto a lui e l’accompagnatrice. Non parlava italiano né inglese ma a gesti lei ha sempre detto di essere poliglotta e così fu anche quella volta. Come a volermi riportare al presente, Roger mi lecca la mano. Guardo l’orologio: è l’ora del suo bisognino.
È  adorabile anche se a volte un po’ dispettoso e troppo vivace, il problema è che un cane così grande ha bisogno di grandi spazi non di un appartamentino come il nostro. Ma quando l’ho visto lì, in quella gabbietta così piccola, tutto solo e dall’aria malnutrita non ho potuto fare a meno di volerlo. E poi ha due occhi troppo grandi per appartenere ad un quadrupede. Enrico non era per niente d’accordo, per lui avrei dovuto prendere un chihuahua o un gatto, ma siccome l’idea di prendere un amico a quattro zampe era stata la sua non ho potuto non approfittare della sua bontà, mi ama e ha dovuto accettarlo.
Mi metto la giacca, prendo il guinzaglio e usciamo, odio doverglielo mettere, Roger non è solo tranquillo quando usciamo è anche un abitudinario, nonostante vive con noi da appena un mese, conosce meglio di me il breve percorso che facciamo tre volte al giorno per i bisognini.
La passeggiata è come sempre tranquilla e breve, al mio ritorno trovo Enrico che cucina, deve aver staccato da poco ma il cibo lo appassiona a tal punto da essere anche il suo hobby preferito. Questo per me è rassicurante, ho la certezza che a qualunque ora rientrerò a casa, lui avrà preparato qualcosa da mangiare.
Lo saluto e lui senza alzare lo sguardo dall’impasto molle e scuro che sta lavorando annuncia: “Ti ha cercato Danny…ho detto che l’avresti richiamato”
Mi sento strana, è tantissimo che non lo vedo. Sei mesi fa ho lasciato il Pink Carpet e nonostante amassi quel lavoro, quell’ambiente fatto di lustrini, glitter e tacchi alti, Elena era più importante.
Era diventata troppo gelosa…e poi lavorando lì uscivamo poco insieme, avevamo orari troppo diversi. Ho trovato quasi subito lavoro in un bar poco distante da casa.
Odio quel posto, c’è sempre un’aria tesa, sembrano tutti così infelici e stressati, il proprietario non solo è un gran rompiscatole, è anche un gran tirchio e come se non bastasse è anche un grandissimo omofobo e devo sopportare continue e irritanti battute idiote e poi…odio dovermi alzare alle 6 del mattino per essere al lavoro puntuale.
“Tutto bene? Ti faccio il numero?” mi chiede Enrico pulendosi le mani sotto l’acqua calda e vaporosa.
“No, no...tutto ok” prendo la rubrica del telefono di Enrico “...eccolo, Danny Pink, chiamo”
Dopo appena uno squillo quella voce che conosco fin troppo bene “Pronto?”
“Pronto! Si, ciao sono Andrea...” in realtà non so bene cosa dire, è lui ad avermi cercato.
“Ciao Andrea, che bello sentirti…ecco, so che è un periodaccio per te ma ho urgentissimo bisogno di una mano, vieni stasera, ti prego ho due baristi ammalati” cerco la prima scusa, farfuglio qualcosa ma mi accorgo di non essere per nulla convincente, mentre lui ha carisma da vendere. Prima di rendermene conto, gli ho già promesso di andare entro mezz’ora.
Riattacco e sbuffo, non sono in vena di uscire e soprattutto non sono dell’umore di sopportare tutta l’euforia che circonda i locali durante il weekend. Vado in camera e indosso la mia vecchia e stropicciatissima divisa. Merda! I bottoni sull’ombelico si chiudono a fatica, da quando lei se n’è andata avrò preso una, forse due taglie. Per lei ho lasciato il lavoro, la boxe e a quanto pare anche l’amore verso me stessa, solo credevo ne valesse la pena…
Opto per un’altra camicia, con l’ansia del primo giorno di scuola scendo di corsa nel garage e mi infilo in quel soffocante veicolo che lei ha voluto che prendessi al posto della mia amata Ducati.
Ah, la mia moto quanto mi sentivo libera e forte.
Per te avrei fatto qualunque cosa, non avrei mai pensato finisse così.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: pozzanghera