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Autore: Soleil Jones    13/07/2015    1 recensioni
【 ‪A T T E N Z I O N E — Yaoi | Twincest | Hikaru x Kaoru | don't like, don't read.. 】
{ dal testo . . . }
[...] Sguardi.
Il loro peccato più grande era fatto di quello: di un paio di occhi dello stesso colore, solcati da diverse sfumature, che si scrutavano con talmente tanto trasporto da trasmettere parole, pensieri, verità non dette.
Era sbagliato, Kaoru per primo lo sapeva; era il più piccolo tra i due, ma pareva essere più sicuro di Hikaru su certi concetti. [...]
—————— hope you'll enjoy it, Soleil.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hikaru Hitachiin, Kaoru Hitachiin
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incest
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Sguardi.
Il loro peccato più grande era fatto di quello: di un paio di occhi dello stesso colore, solcati da diverse sfumature, che si scrutavano con talmente tanto trasporto da trasmettere parole, pensieri, verità non dette.
Era sbagliato, Kaoru per primo lo sapeva; era il più piccolo tra i due, ma pareva essere più sicuro di Hikaru su certi concetti.
E il concetto era che non sarebbe stato giusto incatenare ulteriormente a sé il fratello per mezzo di un sentimento così sporco, seppur così dannatamente vero e puro. Meritava di uscire dal loro piccolo mondo, Hikaru, meritava la possibilità di attraversare lo squarcio creato tempo prima da Tamaki e di allontanarsi da lui, se il cuore gliel’avesse suggerito.
Chi era, lui, per impedirlo? — Kaoru, l’altra metà della mela, un ragazzo indifferente alle opinioni che la gente avrebbe avuto di lui e che quasi si odiava solo perché amava a tal punto suo fratello da volere che fosse felice anche se lontano da lui.
Era buono, Kaoru; era dolce, empatico e intelligente, se preso da parte, se scorto senza quel suo lato scherzoso, strafottente, furbo, un po’ malevolo e dispettoso.
E capiva benissimo suo fratello — oh, se l’aveva sempre capito!
Ma non abbastanza – notò Hikaru stesso; perché Kaoru non arrivava a capire che lui non aveva la minima intenzione di allontanarsi.
Inconsciamente, il maggiore dei gemelli Hitachiin notò – una mattina – di come il fratello spesso si allontanasse alla prima occasione, lasciandolo solo con Haruhi. Quasi non se ne accorgeva, solitamente, ma col tempo aveva iniziato a rivolgere al più piccolo sguardi accigliati e perplessi domandandosi: perché?
Perché non poteva percepire il calore che Kaoru sentiva invadergli il petto ogni volta che parlavano – probabilmente.
Perché non poteva sentire il nervosismo crescente in Kaoru quando, davanti alle clienti dell’Host Club, lui inscenava uno dei loro soliti sketch improvvisati – forse.
Perché non poteva carpire ciò che lo sguardo spesso assorto di Kaoru occultava – di certo.
Ma erano pur sempre due facce della stessa medaglia, loro, e in quanto tali non avevano segreti l’uno per l’altro.
Hikaru non era un ragazzo particolarmente accorto, era impaziente e impacciato nelle faccende sentimentali, ma aveva fiducia in Kaoru e se avesse avuto un qualsiasi problema, il suo fratellino, era certo che glielo avrebbe detto, prima o dopo.
Ed era disposto ad aspettare; alla meglio non si trattava che di una situazione temporanea.
«Kaoru—» con la voce roca, un giorno, Hikaru attirò a sé il gemello mentre questi lo aiutava a servire dei pasticcini a un paio di giovani, all’Host Club. Era parte del loro personale servizio, dopotutto, inscenare atti più o meno ambigui – le espressioni estasiate con cui li guardavano le due clienti ne erano la prova inconfutabile. «—non hai un bigné anche per me?»
Lesto, Hikaru prese tra le dita della crema e fece pressione sulle labbra del gemello, con espressione assorta e provocatoria.
«Sai quanto sono goloso.» aggiunse poi.
Le iridi di Kaoru si dilatarono; Hikaru lo sentì tremare appena sotto il suo tocco e notò le sue guance diventare leggermente più rosee del normale. Se da una parte questa reazione ridusse le due clienti che stavano servendo in brodo di giuggiole, dall’altra scombussolò Hikaru stesso.
Perché, diamine, in quel momento dentro di lui qualcosa si smosse e un improvviso senso di disagio gli impose di allentare la presa sul gemello — disagio dovuto al fugace pensiero che gli attraversò la mente, troppo spinto e troppo intenso per poter essere descritto.
E lo guardò, Hikaru; guardò Kaoru in cerca di un appiglio, sperando di vedersi riflesso nei suoi occhi e di vedere, in quell’immagine, che la sua era solo immaginazione.
Ma gli occhi di Kaoru non furono lì per lui, quella volta, poiché il ragazzo si scostò con finta nonchalance, mormorando un teatrale: «Lo so, ma non devi essere così ingordo, Hikaru.» con un sorriso così sfuggente che il rosso l’avrebbe preso a sberle.
Perché, Kaoru? — domandò una vocetta nella mente di Hikaru, mentre questi fissava imbambolato il fratello ridere e scherzare con le due clienti; in un qualche modo fu geloso di non essere il destinatario di quelle tanto allettanti quanto innocenti attenzioni.
Non parlarono più dell’accaduto, finché sulla via del ritorno, in macchina, Kaoru notò il gemello concentrato a fissare un qualcosa di indefinito fuori dal finestrino.
«Hikaru, tutto bene?» domandò accigliato il ragazzo.
Quando l’interpellato si voltò a guardarlo, trafiggendolo da parte a parte con il suo migliore sguardo corrucciato e scocciato, Kaoru sentì qualcosa dentro di lui andare in frantumi.
«Tutto bene, Kaoru, e tu?» rispose in tono annoiato.
L’auto iniziò a rallentare e svoltare: mancava poco all’arrivo.
Kaoru annuì appena «Sì, sì.» distogliendo dunque la sua attenzione dal fratello; anche se guardava con finto interesse fuori dal finestrino poteva sentire lo sguardo di Hikaru puntato tra le sue scapole
«Non ci credo.»
«Come?»
«Non ci credo, Kaoru.» ripeté con vigore Hikaru; Kaoru rise lievemente e ciò lo irritò maggiormente. «Cosa c’è da ridere?»
«Be’… tu, fratellino.» disse Kaoru, stringendosi nelle spalle, un residuo della sua risata presente sull’angolo destro delle sue labbra lievemente incurvato all’insù. «Se ti dico che va tutto bene, allora va tutto bene, no?»
Hikaru sbuffò e, in un impeto, si avvicinò al gemello, tenendosi comunque a distanza nel tentativo di fronteggiare quel fastidioso mostriciattolo piromane accampato nel suo stomaco che accendeva le micce alla prima occasione fornita dalla vicinanza di Kaoru.
«È difficile—» bofonchiò, puntellando la fronte del gemello con l’indice. «—mentirsi tra gemelli, lo sai, vero?»
Kaoru quasi si spiaccicò contro la portiera nell’indietreggiare e poi, dopo un attimo di sgomento, si fece avanti e puntò a sua volta l’indice contro il gemello – contro il suo petto – rispondendogli a tono: «Lo so, Hikaru, e tu?»
Quest’ultimo sgranò gli occhi e si allontanò come scottato — Kaoru non fu sicuro di sapere perché.
L’automobile frenò e il motore venne spento e, prim’ancora che l’autista potesse aprire la portiera ai due ragazzi, Kaoru scese dalla vettura.
Hikaru stette a fissare la sua figura slanciata oltrepassare la porta, senza muoversi; qualcosa, dentro di lui, si mosse. Ma non era il solito mostriciattolo inopportuno, ma una creaturina stridente che gli mise a soqquadro lo stomaco.
E poi un “crack” — qualcosa si era rotto.
Nonostante Kaoru finse, dopo, che non fosse successo nulla, nessuno dei due riusciva a ignorare l’altro.
Non se ad ogni angolo, ad ogni specchio si incontravano.
«Tesoro, ciao!»
«Ciao, mamma — sono Hikaru.» rispose atono il ragazzo, entrando nel salone e andandosi a sedere su un sofà di fronte a quello su cui sua madre, con fare febbrile e circondata da una montagna di fogli, lavorava.
Aiko Hitachiin era una donna giovane dentro; il suo aspetto era molto curato per appartenere ad una donna che aveva superato i vent’anni da un bel pezzo. Il che era anche normale, dato che faceva la stilista.
Era bella, indubbiamente; non solo per via dei capelli rossi lunghi e ondulati o per la sua pelle nivea, ma anche per lo sguardo tagliente e vispo contornato da lunghe ciglia scure.
Aveva personalità, immaginazione, buon gusto ed eccentricità, la madre dei gemelli Hitachiin e sebbene non fosse mai stata particolarmente presente nelle loro vite era l’unica figura costante che Kaoru e Hikaru avevano mai avuto intorno.
Indubbiamente i gemelli avevano preso molto da lei.
Specificarle con chi stesse parlando era una delle poche forme di cortesia – e affetto, in un certo qual modo – con cui i gemelli Hitachiin avrebbero mai potuti essere visti.
«Hai visto Kaoru?» le domandò, sporgendosi appena verso di lei e gettando l’occhio sui fogli poggiati sul tavolino di cristallo che divideva i due sofà.
La donna scosse il capo, «Potrei aver visto te e non averti riconosciuto, caro.» ridacchiò. «Tutto bene, spero.»
«Nessun problema.»
Hikaru fece per alzarsi quando sua madre, rivolgendogli uno sguardo, lo richiamò: «Hikaru, dammi un parere sincero: ti piace?»
Gli mostrò un’immagine e, sperando che non progettasse di conciare lui e Kaoru come quando, da bambini, aveva infilato loro delle parrucche ricciolute e lunghe assieme a degli abiti lunghi e sontuosi – perfetti per due bomboniere –, la guardò.
Gli abiti che indossavano i due ragazzi della foto erano davvero spettacolari, ovviamente frutto della mente tanto eccentrica quanto geniale di sua madre, ma il tutto era un po’… equivoco.
Era un insolito quadretto, ecco.
Inarcò un sopracciglio, Hikaru, le mani affondate nelle tasche dell’uniforme scolastica ancora indosso. «Sai che fai sempre un buon lavoro, mamma.»
«Modestamente lo so, certo!» rispose ridacchiando la signora Hitachiin. «Parlavo del complesso.»
«Mmh…» Hikaru inclinò il capo e assottigliò lo sguardo con fare concentrato, storcendo lievemente la bocca in una smorfia attonita. Poi, con tutta la nonchalance del mondo e sogghignando, esordì: «Quei due sono gay.»
La signora Hitachiin batté le palpebre un paio di volte, fissando prima il figlio e poi l’immagine, per poi scoppiare a ridere di gusto.
«Molto diretto quanto fine, tesoro!»
«Mi hai chiesto un’opinione, no? Io te l’ho data.» Fece spallucce il rosso. «Credevo avessi orizzonti più ristretti su certe cose.»
«Oh, e perché?» domandò la signora Hitachiin, accavallando le gambe e riprendendo il mano la matita. «L’amore è sempre amore, dicono. È questione di interpretazione.»
Quella frase lasciò spiazzato Hikaru. Perché — uno: non avrebbe mai creduto di sentire sua madre proferire la parola “amore”. Due: il mostriciattolo strombettante farfalle si rifece vivo nel momento in cui notò che i due modelli avevano entrambi i capelli rossi.
Palesemente tinti, certo, ma rossi.
Che poi, perché?
Lui era davvero capace di riferirsi a qualcuno con simili termini nonostante fosse tanto giovane?
Perché no? — si rispose automaticamente, mentre si fermava davanti alla porta socchiusa della stanza sua e di Kaoru e notava, con la coda dell’occhio, quest’ultimo intento a cambiarsi.
L’ora di andare a letto giunse presto; solitamente i gemelli dormivano insieme, mai era capitato loro di andare a letto separati. Si era tentato, in passato, ma entrambi i gemelli avevano sofferto per la separazione: Hikaru dimenandosi nel sonno come un forsennato e cadendo dal letto, Kaoru non dormendo affatto e sgattaiolando dal gemello senza pensarci due volte.
Da allora si erano rassegnati tutti quanti in quella casa a vedere Hikaru e Kaoru sempre insieme, fianco a fianco, come una sola persona.
Anche se a conti fatti non lo erano. E se n’erano accorti già da tempo, oramai.
I gemelli – dicevano alcune scritture – erano le due metà separate di una sola anima racchiuse in due corpi distinti e in quanto affini sarebbero sempre state destinate a cercarsi e a ritrovarsi, senza “se” e senza “ma”.
Se il non potersi immaginare senza Kaoru fosse dovuto a ciò o meno, a Hikaru non importava: non c’entrava la fratellanza, lì, c’era di più.
C’era qualcosa noto anche al più giovane dei gemelli; un sentimento magnetico e moralmente sbagliato, ma forte.
Hikaru si spogliò, tenendo solo i boxer, e quando la porta della stanza si aprì rivelando Kaoru si voltò a guardarlo. Era arrossito, anche se lievemente, ed ora non lo guardava più e si passava una mano sul retro della nuca — gesto che presagiva il suo nervosismo.
«Hikaru, forse. . . »
«Cosa?»
«Forse dovremmo ripensarci.»
Hikaru, senza battere ciglio, chiese: «A cosa?»
«All’andare a dormire separati.»
Era costato molto dirlo, a Kaoru; conosceva suo fratello e si aspettava come minimo un pugno dritto sul naso.
Ma non avvenne.
Hikaru, in poche falcate, lo raggiunse e lo spintonò contro la porta, facendola chiudere in un tonfo.
Il viso a pochi centimetri dal suo orecchio, una mano vicino alla sua nuca e l’altra a chiudere il resto del mondo fuori a chiave.
«Smettila, Kaoru.» Gli intimò Hikaru in un sussurro, allontanandosi solo per guardarlo negli occhi. C’era anche lì qualcosa di rotto; Kaoru, dunque, sapeva cosa si sentiva.
Ma non lo realizzava davvero.
In uno strattone, complice lo sbigottimento, il minore si ritrovò steso sulle morbide lenzuola del loro letto a due piazze con le mani di Hikaru a fare da sostegno a quest’ultimo, piantate nel materasso ai lati della sua nuca.
«Hikaru—!»
Gli occhi sgranati, la bocca dischiusa, il viso pallido, nelle orecchie solo il rimbombo del suo cuore impazzito.
Hikaru gli fermò la mano prima che Kaoru potesse tentare di spingerlo via e la condusse al suo petto; lo sguardo torvo, imbarazzato, offuscato da un sentimento prorompente e dall’irrequietezza.
«Lo senti anche tu, Kaoru, lo so.» Sibilò. «Quindi piantala di mentirmi.»
Batteva davvero forte, il cuore di Hikaru – notò Kaoru; ed anche il suo non scherzava.
«Sì, lo sento, d’accordo.» ammise il minore, sospirando e voltando il capo con rassegnazione. «Ma so che non è giusto.» aggiunse, odiando come anche la verità suonasse come la peggiore delle menzogne, se pronunciata da lui.
Hikaru si abbassò su di lui e gli catturò il mento tra l’indice e il pollice, costringendo Kaoru a tornare a guardarlo; mai avrebbero potuto credere, entrambi, che uno sguardo valesse così tanto.
«Ah, sì? E chi lo dice?» domandò Hikaru con fare sbeffeggiante a un respiro dal volto del gemello. Quest’ultimo, gli occhi socchiusi, al sentirsi così inebriato da quella sensazione di completezza non ci pensò oltre: fece leva sui gomiti per alzare il busto e l’ultima cosa che avvertì prima del paradiso fu la calda e umida sensazione delle labbra di Hikaru premute sulle sue.
E sebbene all’inizio come bacio non fu che casto, dopo che Hikaru vi rispose, lasciandosi andare e spingendo il proprio corpo ancor di più contro quello del fratello, divenne più intenso.
Sempre di più; perché Kaoru aveva davvero un sapore troppo buono per poterne fare a meno, perché la sua bocca così come ogni centimetro della sua pelle era perfetta per essere sfiorata, baciata, assaporata, accarezzata solo da lui.
Respirarsi fu così naturale, a un certo punto, che lo divennero anche le mani avide di Hikaru insinuate sotto la maglia di Kaoru. Quest’ultimo, di riflesso, emise un gemito misto di sorpresa e apprezzamento e lasciò via libera al suo istinto.
Non appena Hikaru sentì il tocco bollente del gemello percorrere la sua clavicola e sfiorare la pelle sotto l’elastico dei boxer, appena sopra le natiche, gli morse il labbro inferiore. Ansimò appagato, socchiudendo gli occhi per guardare Kaoru; gote arrossate, occhi lucidi, capelli scomposti, il fiato corto e il petto ansante sotto la stoffa sgualcita della maglietta.
La mano di Hikaru non impegnata a contemplare le forme del torace del più piccolo andò ad accarezzargli una gota; Kaoru ben presto si ritrovò ad osservare il soffitto e ad avvertire la fronte e i ciuffi del fratello contro lo scollo della sua maglia.
E dunque anche una sua mano andò a cercare il viso del gemello. Hikaru sollevò il capo e andò ad appoggiare la sua fronte contro quella di Kaoru; con gli occhi socchiusi, gli sorrise. E gli baciò l’angolo della bocca, mormorandoci sopra: «Tu sei mio.»
Avvertì, sotto le sue labbra, quelle del fratello incurvarsi prima di ricatturare le gemelle con ardore.
«E tu mio.» soffiò Kaoru contro la bocca di Hikaru.
«Sempre.»
Non era sbagliato, quello: non poteva esserlo.
Il corpo di Kaoru pareva essere fatto per incastrarsi con quello di Hikaru — la bocca di Hikaru pareva essere fatta per assaporare la sua gemella e sussurrare il nome di Kaoru — i loro respiri parevano esserci solo per fondersi.
Il risultato era sempre uguale: vita.
Perché era così che si sentivano Hikaru e Kaoru se erano l’uno affianco all’altro: vivi.
Senza “se” e senza “ma”; ogni ragione, ogni criterio, ogni tutto erano andati in pezzi da tempo, oramai — con un “crack”.
E se quello era peccato — pensarono Kaoru e Hikaru per il resto della vita — l’inferno non sarebbe stato poi così male.
Non con quell’angelo tentatore, non con quel demone capace di amare.
 
 
 


Writer’s corner
Ow, ma buonasera a tutti voi, gentili lettori&lettrici!
È la mia prima fanfiction in questo fandom — lo conosco da molto e l’ho rivoltato come un calzino per leggere quante più storie sui gemelli (e non solo) possibili.
È anche la prima volta che tratto il twincest e, Déi miei(?), mi sono sciolta scrivendo! *^*
Fa strano, eh, perché è la prima volta e. . . è strano e basta/?/, ma date le mie – non ampie, di più! – vedute sull’argomento non ho resistito.
Ammetto che adoro vedere Kaoru e Hikaru anche al di fuori di questo particolare contesto, perché il loro è amore fraterno etc., ma davvero: questa fanfiction si è scritta da sola, praticamente!
Seriously.
Inizialmente avevo iniziato a stenderne una – sempre su di loro – che voleva essere un mezzo–barra–accennato Crossover con Harry Potter, / ma / poi la mia manina ha aperto un nuovo documento e il mio cervello, guidato da “Romeo & Cinderella” e “Adolescence” dei gemelli Kagamine si è attivato.
E quando ciò avviene, poveri noi!
Comunque, nulla, spero che come esperimento sia venuto bene; ci ho messo anima e corpo, davvero.
Desidero solo precisarvi Aiko Hitachiin: ecco, nell’Anime ricordo che viene accennato alla madre dei gemelli come ad una stilista, ma non ricordando altro (quindi nemmeno il nome, ammesso che ce l’abbia; mi pare di no – se poi sbaglio, per favore, fatemelo notare) ho fatto che crearla io.
Anche perché, andiamo, dovranno pur vivere con almeno un genitore, quei due!
Mi sono divertita un sacco a immaginare Aiko — nome dato a random perché boh, mi ispirava(?) — ; devo dire che nella mia mente somiglia (non interamente, per carità) a Catherine Smith (la mamma di Sana nell’Anime “Rossana2, avete presente? È troppo forte quella donna! xD).
MA SON DETTAGLI.
Volevo solo precisarvelo.
E nulla, detto ciò mi defilo e spero di non avervi annoiati a morte.
 
See you soon,
Soleil 

 
  
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