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Autore: Atomic Chiken    13/07/2015    4 recensioni
Non esitai nemmeno un secondo e mi misi a correre nella direzione opposta. Non mi sentii in colpa, neanche per un attimo. E fui ancora più felice di essermela data a gambe quando ci fu l'assordante esplosione. Non mi girai a guardare ed evitai in tutti i modi di mettermi a pensare alla fine che avevano fatto gli altri.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero al settimo cielo. La ragazza più felice del mondo, se non addirittura dell'universo. Sentivo le farfalle svolazzare nello stomaco, e se non mi fossi calmata, sono sicura che sarebbero riuscite a scavare un buco e saltare fuori. Il mio sogno si stava realizzando, quel maledetto sogno per cui avevo assillato i miei fino alla nausea. Alla fine avevano ceduto, accontentandomi. Finalmente stavo per andare a vivere da sola, lontana da tutto e tutti. L'unica cosa che mancava era un posto dove stare. 
Iniziai le mie ricerche frenetiche, accompagnate dagli strilli dei miei.
"Costa troppo! No! E' troppo grande per una persona sola...Nicole, ti sembra una casa quella?!".
Dopo tutte le abitazioni scartate, iniziai a temere di non riuscirne a trovare nessuna che accontentasse entrambe le parti.
Ma la trovai eccome. Una casa perfetta sotto ogni punto di vista. Sembrava quasi che stesse aspettando solo il mio arrivo. Parve divina anche ai miei, con quel prezzo "Così ragionevole!", come aveva urlato mia madre.
Eppure non ci credevo ancora. Continuai a temere che fosse tutto frutto della mia immaginazione, uno dei tanti sogni che mi tormentavano da fin troppo.
Continuai a temerlo anche quando vi misi piede. In quel piccolo corridoio che apriva la strada sulle altre stanze. Rimasi ferma lì, a riempirmi le narici con quell'odore di chiuso e vecchio. Avevo battuto sul tempo un'altra famiglia interessata all'acquisto, e la cosa rendeva il mio nido ancor più fantastico. Sì, era fantastico. 
Per il trasloco mi feci aiutare da mezzo mondo. Più in fretta avremmo finito, prima avrei iniziato ad essere indipendente. E finalmente arrivò il momento di salutarli uno ad uno, ringraziandoli di aver dato una mano a realizzare il mio desiderio. Chiusi la porta tirando un sospiro di sollievo. Ero finalmente sola, immersa nel mio nuovo mondo.
Ma non per molto.
Arrivò il giorno del diploma, e non potei non unirmi ai miei compagni per festeggiare. C'era anche Jennie, la stronza degli stronzi che odiavo più del pensiero di vivere con i miei. Ma quel giorno mi costrinsi ad esserle amica. Dopotutto era un momento speciale, no?
E tra una risata e l'altra finii per riempirmi lo stomaco di quella merda chiamata alcool. Finii per sentirmi male, in bagno piegata in due a vomitare l'anima e singhiozzare come una pazza. Finii per litigare con Jennie e gli altri senza motivo, mi ritrovai la testa della stronza tra le mani, e un attimo dopo fuori dal locale, con gente che imprecava alle mie spalle.
Finii su quel maledetto autobus, diretta a casa. Chiusi gli occhi e mi immaginai distesa nel letto, protetta dal caldo delle coperte.
E fu così che non mi accorsi dell'inferno che si scatenò in un attimo. Sentii un colpo deciso alla schiena, poi, in una frazione di secondi, mi ritrovai a volare all'interno del veicolo. Andai a sbattere contro qualcuno, sentii delle grida e dei gemiti, e per dei secondi terribili fui inghiottita dall'oscurità. Quando tornò la luce mi ritrovai davanti una scena degna di un film catastrofico. Le lacrime iniziarono a rigarmi le guance mentre tentavo invano di non ascoltare le grida dei presenti. Alzai lo sguardo e scorsi il braccio di qualcuno penzolare dal finestrino dell'autobus in fiamme. Lo vidi cadere a terra, e con orrore mi resi conto che non era stato seguito da un corpo.
Girai lo sguardo per la strada intasata dai pezzi del veicolo e notai con crescente disgusto la presenza di altri arti. Un timore si fece strada dentro di me. Provai a mettermi in piedi, e con mio stupore non ebbi alcuna difficoltà nel farlo. Osservai quasi estasiata lo scenario accecante. Dovevo andare ad aiutare gli altri? Dovevo cercare dei superstiti? Chiamare aiuto?
Non esitai nemmeno un secondo e mi misi a correre nella direzione opposta. Non mi sentii in colpa, neanche per un attimo. E fui ancora più felice di essermela data a gambe quando ci fu l'assordante esplosione. Non mi girai a guardare ed evitai in tutti i modi di mettermi a pensare alla fine che avevano fatto gli altri.
Continuai a correre, correre e correre. Verso casa.
Non dissi niente a nessuno e nessuno venne a sapere del mio incidente. Non avvisai nemmeno i miei genitori. Ciò che contava era che ne fossi uscita indenne, no? 
Li telefonai il giorno dopo, ma trovai il numero occupato. Provai con quello di Sam, ottenendo lo stesso risultato. Alla fine misi il cuore in pace e cercai di godermi le meritate vacanze.
Fu proprio allora che iniziò il mio incubo. 

"Sei tu...".

Continuai tranquillamente la mia vita, se non fosse stato per il fatto che smisi di frequentare le mie compagnie. Abbandonai tutti i vecchi amici...o perlomeno, furono loro a lasciarmi. Non rispondevano alle mie chiamate, non aprivano quando li andavo a trovare. Anche Sam sembrava essersi dimenticata di me. Tutti. Chiusi in un angolo il senso di abbandono che rischiava di inghiottirmi e iniziai a cercare un lavoro. Avevo bisogno di soldi, ma più d'ogni altra cosa, sentivo la necessità di tenere la testa lontana dai mille pensieri che la affollavano. Ce n'era uno più degli altri che insisteva a riaffiorare in superfice.
Un'esplosione...urla, gemiti di dolore, il senso di colpa...
Non riuscii a trovare lavoro, e il problema dei soldi, per una volta, diventò più spigoloso dell'incidente. Per quanto disperata sembrasse la mia situazione, non dissi niente ai miei. Faceva parte dell'essere indipendenti no?
Ciò che mi portà sul baratro fu il fatto di trovare le agenzie di lavoro sempre chiuse. Provai a chiedere anche ai passanti, ma venni ignorata. Niente, però, fu così spaventoso in confronto a ciò che ebbe inizio di lì a poco.
Ero seduta sul letto con la testa tra le mani quando sentii qualcosa. Alzai la testa di scatto, portando lo sguardo in tutte le direzioni. Trovai il solito nulla a farmi compagnia.
E poi lo sentii di nuovo. Qualcuno. Fu quasi un sussurro, parole incomprensibili provenienti dal vuoto di fronte a me. La giornata fu piena di quei bisbigli, e due volte mi capitò di vedere ombre aggirarsi per gli angoli. Lo presi come un segno, e telefonai i miei per chiedere dei soldi. Avevo un dannato bisogno di fare la spesa e, seppur non ne sentissi davvero il bisogno, mettere qualcosa di decente sotto ai denti. Con mia sorpresa trovai il numero occupato ad ogni tentativo. Fu allora che iniziai a pensare che stesse accadendo qualcosa di...strano.  
Decisi di andare a trovarli. Entrai in macchina e tentai di metterla in moto. Continuai invano e solo dopo quindici minuti optai per l'autobus. Non arrivò mai. Nel piccolo tragitto per tornare a casa non incontrai anima viva. Fui ancora una volta accompagna dal silenzio assoluto. Iniziai ad avere paura. Dov'erano andati tutti? Perché dopo l'incidente nessuno mi aveva contattata? Mi avevano dimenticata? I miei genitori erano così felici di non avermi più fra i piedi da non rispondere alle mie chiamate?
I sussurri divennero sempre più chiari, così come le ombre. Inziai a riconoscere la voce di un bambino e una donna. Afferravo solo qualche parola...sembrava sempre che parlassero tra loro.
I fantasmi di una madre e il figlio?
L'idea divenne certezza il giorno in cui parlò anche un uomo. 
Sembrava davvero essere una famiglia. E allora perché nessuno me ne aveva mai parlato? I miei lo sapevano? Ancora una volta fui tentata di chiamarli, ma ormai avevo perso le speranze. Sembrava proprio che si fossero dimenticati di me. Non mangiavo da due giorni interi. L'acqua sembrava aver perso il suo solito sapore di niente. Era tramutato in...una sensazione di avere qualcosa di indistinto in bocca?
Smisi di uscire di casa. Era diventata più buia...più triste. Iniziai a desiderare di non aver mai voluto trasferirmi. Mi mancava la risata di mio padre, gli abbracci di mia madre...la loro presenza. Le presenze in casa mia invece si fecero più opprimenti. Ero terrificata all'idea di passare le giornate lì dentro. Eppure continuai, seppur sentissi di essere sempre seguita. Non mi rassicurava nemmeno il fatto che fosse un bambino, o la madre.
Da ragazza solare e vivace divenni un corpo depresso e privo di emozioni. Mi sentivo svuotata. E questa sensazione divenne insopportabile la mattina (o era sera? Il cielo sembrava sempre coperto da una fitta nebbiolina) del sette Novembre. Ero distesa sul letto senza nemmeno un pensiero tra la testa quando lo sentii distintamente dopo settimane. Il mio nome.
"Mamma...?" sussurrai con il corpo improvvisamente riacceso dalla speranza.
"Viveva qui?" disse invece un'altra voce familiare. Era la donna.
"Sì" le rispose un uomo. Non sembrava la solita voce.
"Com'è successo?" chiese ancora una volta la donna. Aguzzai le orecchie. Per la prima volta riuscivo a sentire ogni signola parola, come se fossero lì in piedi accanto a me. Il pensiero mi fece venire un nodo allo stomaco.
"Un incidente".
"Nessun sopravvissuto?".
"Apparentemente, no. Nessuno". Ci fu un attimo di silenzio, poi l'uomo parlò di nuovo, e quello che dissero mi fece impallidire più di quanto già non lo fossi.
"Ma non c'è bisogno di preoccuparsi. Fin'ora non ha fatto nulla che possa essere considerato come...cattive intenzioni, o mi sbaglio?".
"Beh...sì, la sentiamo piangere di tanto in tanto, chiamare Malcom e Teresa, ma a parte questo ci lascia in pace".
Mi alzai dal letto e, scalza sia ai piedi che nella testa, uscii di casa. Fui circondata dalla solita nebbiolina e dal silenzio penetrante. Non presi nemmeno la briga di cercare qualcuno. Non c'era nessuno ovunque portassi lo sguardo. Mi sedetti sugli scalini e rimasi lì a fissare i piedi. Sentivo la tempia pulsare violentemente, eppure non provavo dolore. Provai a pizzicarmi il braccio. Niente.
Malcom e Teresa.
 Mamma e papà. Era i loro nomi che ripetevo tra le lacrime ogni notte. C'era una strana consapevolezza in quel pensiero, eppure ero riluttante nel crederci.
Ogni contatto con la realtà si era spezzato dopo l'incidente. Amici, parenti, conoscenti. Tutti mi avevano cancellata. Ma era davvero così? O più qualcosa che era accaduto all'improvviso e nessuno poteva cambiare le cose?
Non mi mossi sperando che tutto finisse, che le cose tornassero com'erano una volta. Che fosse tutto un brutto sogno e presto mi sarei svegliata nel letto con mia madre che mi chiamava per la colazione. Invece a chiamarmi fu qualcos'altro. Il bisogno di sapere.
Mi alzai e iniziai a camminare verso una destinazione imprecisata nella mia testa ma ben salda nelle gambe. Sembravano quasi muoversi da sole.
Lo raggiunsi più in fretta del voluto. Lo osservai dall'esterno con un groppo alla gola. Con decisione oltrepassai la soglia e vi entrai. Presi un gran respiro e iniziai a cercare, sperando di non vederlo mai. Lo trovai dopo cinque minuti.
Lessi più volte, cercai una sbaglio, una lettera diversa, date sbagliate. Una lacrima fredda come il ghiaccio solcò la guancia e si fermò sul labbro. Iniziai a singhiozzare come una bambina, invocando il nome di mia mamma. Mi aveva sempre salvato da tutto, era stata la luce nei miei momenti peggiori. Sapevo che questa volta era diverso, eppure non riuscivo a trattenermi dal sperare che venisse ad aiutarmi.

"Sei tu..." pensai. Guardai un'ultima volta la mia tomba e mi allontanai dal cimitero. Volevo andare il più lontano possibile da quel posto. Il più lontano possibile da tutto.
Mi fermai in mezzo alla strada e guardai la mia casa, poi il resto del paesaggio. Fu allora che vidi una strana luce, l'unico punto dove la nebbia sembrava non essere stata accettata. Senza indugio mi avviai verso essa, sicura che fosse la decisione giusta. Non mi voltai nemmeno una volta. Ebbi un attimo d'indecisione, ma alla fine misi un piede nella luce, poi l'altro...

Svanì in un attimo. La luce, il senso di oppressione. Tutto. Mi ritrovai davanti a casa mia. Non c'era più la nebbia, il sole sembrava essere tornato dopo un lungo periodo di vacanza. Mentre ero intenta a contemplare confusa tutto ciò, sentii dei passi alle mie spalle e una figura fece la sua comparsa alla mia spalla sinistra. 
"Benvenuta" disse. Non lo guardai, non ce ne fu bisogno. Riconobbi la voce come quella di Jeremie. Era mio zio. Era morto cinque anni fa.
"Strano eh?". Annuii mentre lui mi tendeva il braccio. Non avendo altra scelta gli offrii il mio.
"Beh, ci farai l'abitudine, credimi".
"Dove siamo? Cos..." mi rispose ancor prima che potessi finire la domanda.
"Siamo nel mondo dei morti. Suppongo tu sappia di essere morta, Nicole". Proseguì dopo il mio cenno d'assenso.
"Quelli dell'altra parte preferiscono chiamarlo mondo parallelo. Per noi è una cosa sola".
Intorno a me, lentamente, si creò prima una piccola folla, poi divenne enorme. Riconobbi alcuni di quei volti, gente passata dall'altra parte anni prima, anche qualcuno che avevo visto nell'autobus.
Sorridevano tutti quanti. Ricambiai a mia volta. Mi sentivo stranamente in pace con me stessa e quei volti che mi scrutavano.
Jeremie lasciò il mio braccio e con il suo mi indicò prima le persone attorno a noi, poi fece un cerchio con il dito per indicare tutto quello che ci circondava.
"Questo è il nostro mondo, Nicole. Bentornata a casa".
  
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