Stai seduta sul divano a leggere. A un tratto arriva una donna con una
notizia. Brutta. Orribile. “Non arriverà a
domani” dice. Allora vai subito da lei per poterla salutare
un’ultima volta. Appena arrivi la vedi lì,
sdraiata sul letto -dove ha passato quasi gli ultimi due anni- con gli
occhi chiusi, la bocca aperta per poter respirare. Ti avvicini. Le
poggi la mano sulla spalla. Niente. Non apre gli occhi. Continua a
respirare profondamente. Nella casa si sente solo lei. Davanti al letto
suo marito, accanto a lei il figlio minore. Alla parete le nipoti.
Tutti che soffrono in silenzio per non farsi sentire da lei. Per non
farsi sentire piangere. Ogni tanto qualche gemito. Ad un tratto
l’intervallo tra un respiro e l’altro dura
più di quelli precedenti. È una frazione di
secondo nella quale te ne rendi conto, trattieni il fiato senza
rendertene conto, ti preoccupi, speri che quell’intervallo
finisca. Un altro respiro. Sollievo. Arriva anche l’altro
figlio. Va da lei. Le parla. Si siede. Scoppia in un pianto silenzioso.
E a questa vista, rinizi anche te a piangere.
Te ne vai. Torni in casa. E pensi che potevi andarla a trovare
più spesso. Saresti dovuta andare da lei ogni giorno. Ma non
lo hai fatto perché non sapevi come comportarti. Non ti
capisci neanche te. Poi pensi che si è appena trasferita
nella nuova casa. Ha deciso i mobili, i colori delle stanze. Tutto.
I tuoi pensieri vengono interrotti dalla vista di tuo cugino che corre
in casa di lei. Allora anche te torni. Raggiungi tua sorella alla
parete lì accanto. Si avvicina al letto per accarezzarla. Ti
avvicini anche te. Ma torni ad appoggiarti alla parete
perché senti che non puoi stare in piedi senza
l’aiuto di qualcosa che ti sostiene.
Torna tua madre. E tuo fratello? “è in
bagno” dice. Pensi a come reagirà. Ha solo 9 anni.
Ha già perso il nonno tre mesi fa. Come la
prenderà? Chiedi se gli ha detto qualcosa e se
verrà anche lui lì, “non
gliel’ho detto.... no resta in casa...”
è la risposta. Tua madre va da lui. Tuo cugino e tuo zio
vanno via. Decidi di restare lì. Ti appoggi alla parete e la
guardi. La ascolti respirare. Di nuovo gemiti. Ancora intervalli
più lunghi degli altri, anche se di poco. Ma lo stomaco ti
si stringe ugualmente.
Infine decidi di andare in casa e stare là con tuo fratello.
Prima di entrare te e tua sorella vi asciugate gli occhi. La porta si
apre. È lui. Lo salutate allegramente. Entrate e torni sul
divano. Lui sta guardando i cartoni. Bene. Almeno è
distratto e non si accorge di voi che gli state intorno.
Non resta che aspettare.
Straziante.
Dopo 30 minuti... Corri da lei. È tutto come prima. No. Le
coperte non si alzano né abbassano. Se
n’è andata. Per sempre. Scoppi a piangere. Fissi
la coperta per vedere anche solo un minimo movimento. Ma niente. Non
succede niente... e così resti lì, appoggiata al
muro a guardare il corpo di tua nonna... vai nell’altra
stanza. Occhi rossi, gonfi. Abbracci. Parole di conforto. Singhiozzi.
... senti una voce che dice “l’ultima cosa che ha
detto è stato il tuo nome: Luca. Nel suo ultimo
respiro”. È tua madre che parla con tuo padre, il
figlio minore, che scoppia a piangere dicendo “non
l’ho sentita...” “sarà stato
quando ti sei allontanato” cerca di rassicurarlo la moglie
asciugandogli una lacrima e abbracciandolo.