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Autore: _AnnabeThalia_    13/07/2015    7 recensioni
[Partecipante al contest “Per il potere conferitomi vi dichiaro marito e... indetto da AnnabethJackson]
" Le bastò uno sguardo: un’occhiata per capire che lui era e sarebbe sempre stato l’uomo della sua vita. Perché sì, a volte era dannatamente testardo, e molto spesso anche idiota.
Era il suo migliore amico, il suo compagno d’avventure e talvolta anche il suo studente meno attento, quando doveva dargli ripetizioni e spiegargli nuovamente, una volta a casa, le lezioni del college.
Ma più di tutto, Percy era il suo vero, grande amore. E lo sarebbe stato per sempre. "
E ora, non mi resta che incrociare le dita!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Leo/Calipso, Percy Jackson, Quasi tutti, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore (nick Efp e Forum): _AnnabeThalia_ /_AnnabeThalia_
Titolo: You’re my Sunrise.
Coppia utilizzata: Annabeth/Percy
Rating: Verde
Genere: Romantico, Commedia.
Citazione scelta:
10•  E' difficile dimenticare qualcuno che ti ha dato molto da ricordare. (Città di carta)
Prompt: Alba.
Situazione: Funzione e Cerimonia.
Conteggio parole: 5248 


..You're my Sunrise..

Annabeth amava l’alba: aveva sempre adorato quel meraviglioso gioco di colori, quella fantastica magia che, ogni mattina, consentiva al sole di sorgere, pronto per un nuovo inizio.
Fin da quando era piccola, ammirava affascinata lo strano gioco di luci ed ombre che si creava, in un misterioso intrigo di sogni, che lentamente andavano a svanire, lasciando il posto alla realtà.
Quel giorno, l’alba aveva un significato particolare, per lei, perché proprio il suo più grande sogno di costruirsi una vita insieme al ragazzo che amava si apprestava, finalmente, a divenire realtà.
Di lì a poche ore, avrebbe sposato Percy Jackson.
Lasciò che l’odore di salsedine le invadesse le narici, seduta sulla riva, e che la tiepida acqua mattutina le bagnasse i piedi nudi, portando via da essi anche i più piccoli granelli di sabbia.
Era una sensazione di piacevole calma, quella che provava; sentiva di trovarsi al posto giusto nel momento giusto.
Da quando lei e Percy stavano insieme, aveva imparato ad apprezzare in modo particolare il mare, il fresco venticello mattutino che accompagnava le onde nel loro infrangersi e l’appagante odore dell’oceano; che sapeva di genuino, che sapeva di amore, e che sapeva di Percy.
Era un po’ come sentirsi tra le braccia calde e confortanti del suo ragazzo, la mattina, quando si risvegliava nella Cabina Tre al suo fianco, e non desiderava esser altrove. E, poggiando il volto sul suo petto, poteva sentire il suo cuore battere lentamente, al suono di una dolce musica che avrebbe ascoltato ininterrottamente per giorni, forse mesi, anni. O magari, anche per sempre.
Lo osservava mentre dormiva, sempre rigorosamente a bocca aperta, e ridacchiava rivedendo in lui il bambino che, anni ed anni prima, imboccava in infermeria con nettare ed ambrosia.
Sorrise d’istinto, pensando alla prima cosa che gli aveva detto: «Quando dormi, sbavi ». Non avrebbe potuto trovare parole migliori- pensò, perché effettivamente Percy sbavava come un cammello!  Problemino di salivazione che, neppure dopo così tanto tempo, era passato.
Semplicemente, da un piccolo cammello dodicenne, era divenuto un grande cammello di ventun anni.
Scosse la testa: ne era passato di tempo, da allora! Avevano fatto molta strada, ed il loro legame era cresciuto, proprio come loro; prima lentamente, poi sempre di più, quasi fosse un fiore che sboccia in Primavera.
Socchiuse gli occhi, beandosi del tiepido venticello estivo di prima mattina.
Era Agosto, il diciotto Agosto. Quale giorno migliore?
Spostò l’asciugamano, scoprendo un piccolo dolcetto blu glassato, provvisto di un’unica, storta candelina verde, che vi aleggiava sopra.
Pensava di andare a svegliare Percy, più tardi, e di fargli esprimere un desiderio, prima di tirargli le orecchie come era solita fare tutti gli anni, ogni volta con una tirata in più.
Era sicura che, se mai Piper l’avesse scoperta, si sarebbe arrabbiata come non mai, perché «La tradizione vuole che lo sposo non veda la sposa fino a quando non sono all’altare! », avrebbe dichiarato, con la sua solita voce squillante tipica di quando è emozionata per qualcosa, ma al contempo con un tono rimbrottante ed uno sguardo fiero, il classico che si stampava sul suo volto quando, vanamente, cercava di mostrarsi indispettita nei confronti di Annabeth.
Sorrise, pensando all’amica: ancora non aveva capito che, nella sua vita, nulla era mai consono alle regole ed alla normalità!
Si stiracchiò, sbadigliando rumorosamente. Tese i muscoli all’indietro, e nel momento in cui inarcò la schiena, distendendo le braccia, il suo piccolo pugno colpì qualcosa di… Molle?
«Ahià! » gridò una voce roca, alle sue spalle.
Annabeth saltò sull’asciugamano dallo spavento; si voltò, con una mano sul cuore ed un’espressione sconvolta.
«Per Zeus! Percy, mi hai fatto prendere un colpo, ma che diamine fai? » esclamò, rivolgendo al suo ragazzo uno sguardo truce.
Egli era piegato in due, con una mano sul dolorante occhio destro e borbottava imprecazioni rivolte pressoché all’intero universo, compreso colui che l’aveva convinto ad alzarsi presto, almeno per il giorno del suo matrimonio: «Forza Sirenetto, alzati da quel  letto, sono già le sei! Voglio vedere quelle chiappette sode rizzarsi in piedi, immediatamente! Altrimenti costruisco seduta stante un lanciafiamme, e ti arrostisco il deretano! » Leo Valdez era entrato, estremamente silenziosamente, nella sua cabina, munito di un megafono fucsia a pois verdi e di tanta, tanta voglia di disturbare i quieti sogni di Percy. «Fai pure » aveva bofonchiato il ragazzo, sprofondando la faccia nel cuscino, ma quando aveva sentito Leo smanettare con la sua cintura magica, aveva deciso di alzarsi, decisamente preoccupato.
«Mi verrà un livido enorme! » mugugnò, sbattendo le palpebre di entrambi gli occhi, e tornando poi a torturarsi quello “ferito”.
«Se fossi sbucato con un minimo di preavviso, magari ti saresti evitato un gancio destro in piena faccia! » esclamò Annabeth, ricoprendo in fretta il piccolo cup-cake azzurro con l’asciugamano: non voleva rovinargli la sorpresa.
«Non pensavo che avresti tentato di uccidermi » controbatté il figlio di Poseidone «Volevo abbracciarti romanticamente da dietro, come fanno nei film. Come si chiama quel film d’amore? Ah sì, come nel Titanic, ecco », continuò, gesticolando impacciatamente.
La bionda alzò gli occhi al cielo, divertita e, allo stesso tempo, esasperata.
«Percy, nel Titanic, lui muore »
«Evidentemente, lui non era super-figo quanto me! » il ragazzo tentò di ammiccare verso Annabeth, con il solo risultato di ottenere uno strano spasmo, anziché un occhiolino. «Mi sta pulsando l’occhio! » si lamentò.
«No, Testa d’Alghe. Sei soltanto talmente impedito, da non riuscire neppure a chiudere un occhio sì ed uno no » ridacchiò la figlia di Atena.
Il ragazzo mise il broncio, poi si lasciò scappare un piccolo sorrisetto.
«Ma mi sposi lo stesso » canzonò, avvicinandosi alla sua ragazza.
«Ma ti sposo lo stesso » confermò lei, sospirando con gli occhi che le brillavano ed appoggiando la testa nell’incavo del collo di Percy. Sapeva di mare e di sale; il suo alito emanava un fresco odore di menta.
Rimasero qualche attimo immobili, osservando i movimenti del mare: esso era calmo e si esibiva in una dolce danza.
«Non sarebbe giusto, a regola » proferì all’improvviso il ragazzo.
«Cosa? » chiese Annabeth, distraendosi dai suoi pensieri.
«Essere qui ora, insieme » spiegò Percy, corrugando la fronte e distendendo le labbra in un caldo sorriso.
«Non so tu, ma io sto fin troppo bene così, in questo momento » ribatté la bionda, guardandolo negli occhi. Alzò la testa dalla sua spalla, per poi voltarsi verso l’asciugamano che, accanto a lei, ricopriva il piccolo capolavoro glassato, forgiato da lei e Tyson in persona, proprio come tanti anni prima, quando si erano scambiati il loro primo-vero-bacio.
Estrasse l’accendino dalla tasca dei pantaloncini in jeans, facendo brillare una piccola fiamma su di esso.
«Annabeth? Come hai quel coso? Fumi? Da quanto? » chiese tutto d’un fiato il ragazzo, che osservava incuriosito i suoi movimenti.
«Sta’ zitto, Testa d’Alghe! » borbottò la figlia di Atena «Non fumo, ed in qualsiasi luogo puoi trovare senza problemi un accendino, se è questo che ti turba » ridacchiò poi, scoprendo il piccolo dolce e prendendolo tra le mani.
Avvicinò con la mano tremolante l’accendino alla candelina, che si illuminò, rendendo il colore che aveva più vivace sotto le danze delle ombre prodotte dal piccolo fuocherello.
«Esprimi un desiderio » incitò, allegra, volgendo il pasticcino verso il suo ragazzo.
«L’hai fatto tu? » chiese egli, sorpreso.
«Mi ha aiutato Tyson  »
Il ciclope era tornato al campo proprio in occasione del matrimonio, facendosi concedere almeno tre giorni di ferie dalle fucine di Efesto, ed era stato ben contento di aiutare Annabeth, proprio come ai vecchi tempi, a creare un piccolo dolcetto per il compleanno di Percy.
«Ecco perché somiglia a un mattone di cioccolato » commentò, con una leggera nota di ironia nella voce «Con il cemento blu, no? » si esibì in un altro disperato tentativo di farle l’occhiolino, ottenendo però, solo l’ilarità della ragazza.
«Hai abbastanza memoria da ricordarti le esatte parole che mi hai detto quando ci siamo messi insieme, ben cinque anni fa, ma non da ricordarti il giorno del mio compleanno? Sei un caso disperato, Jackson » la ragazza sorrise impercettibilmente, osservandolo mentre, ad occhi chiusi, esitava prima di soffiare sulla candelina.
«Io e le date non andiamo d’accordo. Sai che soffro di deficit dell’attenzione e dislessia. Te la prenderesti davvero con un povero ed indifeso ragazzo come me? » controbatté il figlio di Poseidone, con la voce velata da un leggero tono da cane bastonato. Divise in due parti uguali il piccolo dolce, porgendone una ad Annabeth, che sospirò. Si strinse al ragazzo, lasciando scivolare una mano all’interno della tasca della leggera felpa di Percy.
Prese Anaklusmos tra le dita, lasciando delicatamente passare la penna dall’estremità di stoffa.
«Mmh, primo: su quell’ ‘indifeso’ avrei da ridire, non so tu » rise, trasformando la penna in una grande e pesante spada bronzea.  « Secondo: non giocarti la carta del bambino problematico con me, Testa d’Alghe » mutò nuovamente la spada in una semplice penna a sfera e ripose l’oggetto dove l’aveva trovato.
Il ragazzo le rivolse un’occhiata divertita, mentre lei scuoteva la testa, ed addentava il suo pezzo di pasticcino.
«Ci ho provato » Percy alzò le spalle, deglutendo un altro boccone. «Sai, quando eravamo ragazzi ed io ti ho detto che le cose possono sempre migliorare? Ecco, intendevo proprio questo: un futuro insieme a te. Chi mi avrebbe regalato i tuoi stessi splendidi sorrisi, se avessi accettato e fossi diventato un Dio? » disse, con un tono di voce dolce.
«Probabilmente qualche ninfa, o magari un’umana qualsiasi » borbottò Annabeth, sfregandosi le mani e lasciando cadere sulla sabbia piccole briciole blu.
«Non sarebbe stato lo stesso » affermò deciso il figlio di Poseidone.
Le onde si placarono ancora di più, rendendo il mare una tavola piatta.
«E per quale motivo? » chiese la bionda, sorridendo teneramente.
«Semplicemente, loro non sono te »
«Stai ancora cercando di farti perdonare per la storia del mio compleanno? Perché, fattelo dire Testa d’Alghe, potresti fare davvero di meglio » sogghignò lei.
Percy rise, scuotendo la testa. Poi, avvicinò il proprio viso a quello di Annabeth, percependo il respiro della futura sposa sulla sua pelle.
Osservò compiaciuto il lieve sorriso che increspava le sue rosee labbra, screpolate in vari punti a causa dei morsi che, di tanto in tanto, riservava loro, e le sue gote leggermente imporporate. I capelli erano raccolti in una coda disordinata, da cui ricadevano piccole ciocche di riccioli dorati. Grandi occhiaie le contornavano gli occhi ed aveva un piccolo brufolo sulla fronte, probabilmente nato dall’agitazione nell’attesa del fatidico momento.
Aveva osservato mille volte e più quel viso, da riconoscerne ogni piccola rughetta e fattezza anche ad occhi chiusi. Ed ogni volta che lo guardava, si ritrovava a pensare a quanto fosse meravigliosamente semplice, nella sua immensa bellezza.
Dei, quanto amava Annabeth.
Notò il piccolo sorriso svanire dal suo volto, ed i suoi occhi assumere un’espressione amareggiata.
La sua fronte s’increspò in tante piccole pieghe, mentre Percy, preoccupato dal repentino cambio d’umore, chiedeva: «Che succede Annabeth? È tutto okay? »
«Oh sì, stavo solo pensando… Stavo pensando ad una cosa, nulla d’importante » rispose, sospirando pesantemente.
«E a cosa stavi pensando? » incalzò il ragazzo.
«Niente, davvero » controbatté, con la voce ridotta ad un sussurro.
«Sai che puoi dirmi tutto, non capisco cosa sia successo. Un attimo prima eri sorridente e quello dopo…  »       
«Hai ragione, mi dispiace. È solo che adesso è tutto così bello, voglio dire: tra poche ore ci sposeremo ed incominceremo finalmente la nostra vita insieme, nella nostra casa. Ma cosa succederà nel futuro? Sarà veramente tutto tranquillo? In fondo, negli ultimi anni nulla lo è mai stato » disse Annabeth, tenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte.
Percy trasse un sospiro, prima di replicare: «Ce l’abbiamo sempre fatta; supereremo tutte le difficoltà che ci si presenteranno, e lo faremo insieme »
«E se un giorno tu ti svegliassi di nuovo, lontano da me? Se gli dei decidessero di farti un altro scherzetto dei loro e stavolta tu non ti ricordassi più nemmeno il mio nome? » gettò le parole fuori con sofferenza, impaurita da ciò che gli avrebbe riserbato il futuro e, ripensando al periodo passato lontano da Percy, un brivido le attraversò l’intera spina dorsale.
Il ragazzo si avvicinò a lei, cingendole la vita con un braccio e appoggiandole il mento sulla spalla.
«È difficile dimenticare qualcuno che ti ha dato molto da ricordare, Annabeth. E tu ogni giorno, anche solo con un tuo sorriso, mi stai regalando emozioni che, neppure per tutte le profezie di questo mondo, potrò mai scordare » mormorò, soffiando sul suo orecchio.
Avvertì una lacrima calda cadergli lungo la schiena quando la ragazza gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio carico di amore e gratitudine.
La bionda rise in modo cristallino, quando Percy proferì: «Ora sono riuscito a farmi perdonare? »
Annuì, asciugandosi gli occhi con il braccio sinistro ed arricciò il naso nel momento in cui il ragazzo si chinò su di lei, lasciandole un leggero bacio sulla punta.
Si abbassò ancora, desideroso di poggiare le sue labbra su quelle morbide della sua ragazza: avvicinò il volto al suo, socchiudendo gli occhi e fece appena in tempo a sentire la risata di Annabeth, prima di ritrovarsi un indice appoggiato sulla bocca.
«Frena un attimo, Testa d’Alghe. Non si può mica, baciare la sposa prima di aver detto ‘sì, lo voglio!’  » affermò, tirando su con il naso e sorridendo divertita allo sguardo implorante del moro.
«Non si potrebbe fare uno strappo alla regola? » chiese, congiungendo la mani e provocando l’ilarità della ragazza, che gli diede un piccolo buffetto sulla guancia, prima di alzarsi.
«No, Percy. Non si può. Abbiamo già fatto ‘uno strappo alla regola’ stando qua prima del matrimonio. Ora basta fare i ribelli, sono una ragazza per bene io! » esclamò ridacchiando. Non riuscì a trattenersi, sebbene volesse, dal ridere, osservando l’espressione attonita del suo ragazzo che era rimasto immobile, seduto sulla sabbia, con la bocca spalancata e gli occhi velati da un’ombra di insoddisfazione, probabilmente dovuta al bacio mancato. «Adesso vado, prima che Piper si esibisca in una delle sue paternali, trovandomi seduta qui! Ah… Buon anniversario! Ci vediamo sull’altare Testa d’Alghe! »
Alla pronuncia di quelle ultime sette parole, dichiarate con fin troppa enfasi, Percy non poté far a meno di deglutire: era il figlio di Poseidone, aveva sconfitto mostri terribili, Titani desiderosi di potere e persino dee incartapecorite e particolarmente vendicative, ma quelle poche e semplici parole erano state in grado di smuovere in lui un’ansia non indifferente.
In fondo era il suo matrimonio: aveva diritto anche lui di essere un po’ agitato, no?
 
***
 
Annabeth passò le mani tremolanti lungo il vestito, stirandolo febbrilmente: tutta la tranquillità e sicurezza che aveva ostentato qualche ora prima, nel dire a Percy quel «Ci vediamo sull’altare! », pareva fosse, in un attimo, svanita nel nulla.
Erano bastati quattro passi verso la sua Cabina, a farle variare totalmente l’espressione in uno sguardo di puro orrore, ed a far in modo che l’agitazione, fino a quel momento soppressa, si facesse strada in lei, chiudendole lo stomaco in un’agghiacciante stretta.
Come se non bastasse, appena aveva aperto la porta della Cabina, aspettandosi di trovare un Malcom imprigionato poco aggraziatamente nelle coperte, si era dovuta beccare una ‘partaccia’ dalla sua carissima e per nulla emozionata amica Piper che, appena aveva incontrato il suo sguardo di ghiaccio, aveva iniziato a battere il piede a terra, a suon di uno strano ritmo inquietantemente regolare.
Se ne stava appoggiata al letto a castello, con le braccia conserte, i bigodini in testa ed una finta espressione furibonda, tradita dal sorrisetto che le increspava le labbra carnose.
Appena le puntò contro il petto il suo indice magro, la bionda alzò le mani in segno di resa, provocando una sonora risata da parte di Thalia, la quale se ne stava comodamente semi-sdraiata sul suo materasso, lasciando che la cascata di capelli corvini, riempisse il cuscino di Annabeth.
La ragazza si lasciò scappare un sorrisetto, quando l’amica d’infanzia le lanciò un occhiolino, ma ben presto divenne seria: Piper aveva iniziato una delle sue colossali ramanzine senza via di fuga.
Nella seguente mezzora, il monologo della ragazza dagli occhi caleidoscopici era proseguito indisturbato, sovrastando i vari tentativi di scuse di Annabeth ed i mormorii scocciati, ma allo stesso tempo divertiti, di Thalia, che di tanto in tanto borbottava discorsi sconnessi sulla ‘maledetta lingua ammaliatrice dei figli di Afrodite’.
Terminata la paternale (che oramai era di normale amministrazione, per Annabeth), Piper batté le mani eccitata, afferrando una sedia e spingendo la bionda a sedere su di essa; si voltò rapidamente, scorgendo il vestito in pizzo bianco facente capolino dal velo di cellofan da cui era protetto e lanciò un gridolino emozionato, guadagnandosi una cuscinata da una povera figlia di Atena che, alle sue spalle, tentava, vanamente, di dormire.
Piper, per quanto talvolta non lo desse a vedere, era un’inguaribile romantica, e lo era stata da sempre, in fondo; ma, alla fine, era figlia di Afrodite, giusto?
Osservando Annabeth con uno sguardo concentrato, aveva iniziato con destrezza a passarle pennelli sul volto e ad acconciarle delicatamente i capelli. Era incredibile pensare a quanto fosse cresciuta dalla prima volta in cui si erano incontrate: era sempre la stessa ragazza mingherlina e ‘stracciona’ di un tempo, ma con il passare degli anni, il suo carattere era divenuto sempre più forte e autoritario, nonostante talvolta la sua dolcezza e la sua innata bontà sovrastassero anche i più seri tentavi di mostrarsi adirata od offesa.
Aveva legato molto con Thalia ed anche con Calypso, la nuova ‘fiamma’ del suo migliore amico Leo e aveva anche stipulato un tacito accordo con i suoi fratelli/coinquilini della Cabina di Afrodite, trasferendosi da Jason e guadagnandosi il loro silenzio e la loro lealtà.    
Nonostante Piper non fosse la make-up artist più famosa di questo mondo, Annabeth doveva ammettere che la ragazza avesse fatto un gran bel lavoro, sia con il trucco che con l’acconciatura: aveva mantenuto il volto abbastanza naturale, limitandosi ad illuminare gli occhi ed a passare un leggero strato di lucidalabbra sulla bocca. Era stata ben attenta a coprire con i capelli il piccolo brufolo che faceva capolino sulla fronte ed a sistemare con cura il fermaglio di perle bianche tra i suoi riccioli biondi. Una volta finito, aveva osservato compiaciuta il suo lavoro, battendo le mani esaltata ed estraendo un piccolo specchietto dalla tasca posteriore dei suoi jeans malmessi.
Adesso, se ne stava a pochi passi da lei, con i pollici in su ed un’espressione incoraggiante stampata sul volto. Era splendida nel suo corto vestito azzurro, che andava ad abbinarsi perfettamente a quello di Thalia. I suoi morbidi capelli erano raccolti in una treccia laterale adornata di margherite, ed indossava un paio di scarpe alte, laccate bianche.
Annabeth le sorrise, respirando a fondo e si abbandonò ad una risatina nervosa ed esasperata quando suo padre, al suo fianco, le chiese per l’ennesima volta se stesse bene.
«È tutto a posto?»  domandò ancora Frederick.
«Sì papà, va tutto bene » affermò, lasciandosi scappare un sorrisetto divertito: sembrava quasi che quello a sposarsi, tant’era agitato, fosse lui e non sua figlia!
Da quando l’aveva vista, ogni trentacinque secondi circa- cronometrati da Thalia in persona-, Frederick le chiedeva se fosse tutto a posto, annuendo energicamente, quando poi, Annabeth, alzava gli occhi al cielo e, sorridendo, assentiva.
Thalia rise alla sua destra e la ragazza si voltò a guardarla, alla ricerca di uno sguardo rincuorante che non tardò ad arrivare.
Era così bella nel suo lungo vestito blu! Aveva una scollatura a cuore ed il tessuto era di una particolare tonalità scura, che lentamente andava sfumando, divenendo celeste una volta giunta all’orlo. Poco prima del ginocchio, una spaccatura apriva il tessuto del vestito, scoprendo le sue gambe snelle ed i vertiginosi tacchi, anch’essi blu, che indossava.
Annuì serenamente, infondendole coraggio, e le prese la mano; proprio come quando erano bambine e, la sera, per non farla spaventare, le teneva la mano fino a che non si addormentava.
Adesso però, non era più la ragazzina dai capelli corvini e corti che ricordava: con il tempo, la sua chioma era allungata ed il suo sguardo, ora ancora più carico di responsabilità, non era più quello spensierato di una volta.
Luke non c’era più ed era come se, quella parte di lei legata al passato e, in qualche modo, anche a lui fosse scomparsa nel nulla.
Luke… Quanto avrebbe voluto che anche lui fosse lì con lei, in quel giorno.
Spinse indietro le lacrime, respirando profondamente; le tremavano le mani.
Intuendo a cosa stesse pensando, Thalia si rabbuiò, ma strinse ancora più saldamente la presa, facendo dondolare le mani unite avanti ed indietro e sorridendole.
Il peso sul suo cuore divenne un po’ più leggero, quando sul volto di Annabeth si formò un bianco e caldo sorriso, e allora lasciò che le dita fredde dell’amica scivolassero via dalle sue, porgendole delicatamente tra le mani tremolanti il suo bouquet di rose bianche e mughetto.
Le lasciò un leggero bacio sulla guancia e si spostò, dirigendosi al fianco di Piper.
La bionda osservò le due amiche, per poi portare lo sguardo su Reyna e Hazel, e ridacchiò ripensando alla mattina stessa, quando le due si erano precipitate trafelate nella Cabina sei, poiché la sveglia che Nico aveva regalato a sua ‘sorella’- Dio solo sa, quanto ci avessero messo la sera prima, per impostarla nel modo corretto!- non aveva neppure minimamente accennato a suonare.
Ma, nonostante il ritardo di circa un’ora (divenuta poi un’ora e mezza, in seguito all’intervento di Piper), erano comunque riuscite ad assistere, emozionate, al momento in cui la sposa indossava l’abito. La ragazza poteva affermare di aver visto Reyna tirare su con il naso, mentre si teneva le mani davanti alla bocca, commossa. Non male, per essere una figlia di Bellona!
Era stata Hazel a consigliarle quel vestito, quando erano entrate nel negozio: appena l’aveva visto, aveva affermato che fosse quello giusto per Annabeth. La ragazza lo aveva dapprima osservato rapita, poi era diventata un po’ scettica, notando la profonda scollatura sulla schiena.
Aveva però deciso di provarlo, ed era veramente felice di averlo fatto: appena lo aveva indossato, era stata certa che fosse l’abito giusto. Il vestito era molto bello: piuttosto semplice sul davanti, il tessuto bianco e liscio era adornato da un velo di pizzo, la cui fantasia ricordava piccoli fiori. Sul retro, invece, una profonda scollatura si andava a congiungere all’altezza della vita, in una fila ordinata di bottoncini bianchi. La gonna era fatta dello stesso tessuto del corpetto e scendeva morbida, terminando, infine, con un piccolo strascico.
Nel complesso era un abito molto delicato e con i capelli raccolti in quel modo, e le morbide ciocche che ricadevano in riccioli chiari, appena l’aveva vista, Calypso aveva affermato che, tant’era bella, pareva una dea!
Annabeth era arrossita e aveva riso, in imbarazzo. Negli ultimi due anni, aveva imparato ad apprezzare molto la Ninfa, ma forse il pensiero che avesse tentato (involontariamente, certo! E lei lo capiva anche, non doveva essere facile stare secoli e secoli da soli, su un’isola deserta) di portarle via Percy, faceva in modo che, quella piccola puntina di gelosia, la tenesse sempre a debita distanza.
Per carità, era una ragazza semplicemente meravigliosa! Aveva un cuore d’oro, era onesta e leale, ed infatti erano diventate amiche, solo che non riusciva a non essere in imbarazzo, ogni qualvolta Calypso tentava di avvicinarla con complimenti o lusingherie. Ad ogni modo, era felice che in quel momento fosse lì con lei, con il cestino dei petali appoggiato sul braccio, e la coroncina di fiori bianchi in testa. Persino Rachel aveva deciso di abbandonare, in occasione del matrimonio, i suoi pantaloni colorati con i pennarelli, e si era concessa una gonna verde acqua di tulle, perfettamente in tinta con il resto dei vestiti delle damigelle.
Ognuna vestiva diversa dall’altra, ed Annabeth era fiera della sua scelta, poiché ciascuna di loro aveva un carattere ben distinto dalle altre ed era giusto che lo mostrasse.
Partì la musica, e con essa, accelerarono improvvisamente i battiti del suo cuore.
L’Oracolo e la Ninfa partirono, guardandosi complici, e camminarono lentamente lungo il tappeto blu che era stato steso a terra. Le seguirono Reyna e Hazel, imitandole nel gesto di lanciare i fiori a terra.
Quando esse raggiunsero la metà della navata, allora fu il turno delle due ‘cognate’.
Annabeth girò rapidamente lo sguardo verso Piper, che le sorrise rassicurante, per poi squittire: «Sei splendida. Ed è tutto merito mio! », e la fece inevitabilmente ridere, mentre la figlia di Afrodite incominciava a percorrere la navata al fianco di Thalia, e di tanto in tanto gettava petali lungo la strada.
Annabeth deglutì, e per la prima volta, lasciò scorrere lo sguardo davanti a sé.
Riconobbe i volti di numerosi semidei, quelli della sua famiglia, di Chirone, del Signor D., dei suoi amici e, infine, quello di Percy.
Le bastò uno sguardo: un’occhiata per capire che lui era e sarebbe sempre stato l’uomo della sua vita. Perché sì, a volte era dannatamente testardo, e molto spesso anche idiota.
Era il suo migliore amico, il suo compagno d’avventure e talvolta anche il suo studente meno attento, quando doveva dargli ripetizioni e spiegargli nuovamente, una volta a casa, le lezioni del college.
Ma più di tutto, Percy era il suo vero, grande amore. E lo sarebbe stato per sempre.
Si voltò verso suo padre, che annuì, iniziando a camminare al suo fianco. Poteva sentire la sua mano ruvida accarezzarle le dita, e lacrime di commozione pizzicarle gli occhi, desiderose di uscire.
Non poteva capire a fondo cosa provasse il padre, in quel momento. Sapeva che sarebbe stato difficile per lui, lasciarla andare completamente, ma non aveva idea di quello che avrebbe comportato.
Esitò un attimo, rivolgendo di nuovo il suo sguardo verso Percy. Lui era lì, la stava aspettando.
A pochi metri da lei, il ragazzo respirava profondamente, cercando di far fronte alla tensione, e continuava ad infilare le mani nelle tasche, per poi toglierle e congiungerle, e rincominciare da capo.
Sorrise impercettibilmente, iniziando a camminare verso di lui sempre più rapidamente; era emozionata, ma al contempo, certa del passo che stava per compiere: lui era lì, a qualche passo di distanza, e lei non avrebbe voluto essere altrove se non al suo fianco.
Per sempre.
Notò il leggero sorriso che increspava le sue labbra, le sue mani grandi e calde, che in quel momento tremavano, ed infine, non poté non sorridere divertita, osservando le Converse rosse che portava ai piedi.
Era così bello stretto nel suo smoking nero, con la camicia bianca che faceva capolino da sotto la giacca, ed un piccolo papillon rosso, in tinta con le comode scarpe da ginnastica. 
“Qui c’è lo zampino di Valdez” pensò tra sé e sé, ridacchiando.
Ed infatti, lo vide subito, mentre dava una sonora pacca sulla spalla a Percy e gli sorrideva rassicurante, restando accanto a lui.
Indossava un paio di jeans, una camicia bianca ed una giacca nera con scritto “Team Leo” su un braccio, all’altezza del bicipite.
“Anche troppo elegante, per il suo stile” notò la bionda, scuotendo la testa divertita quando il ragazzo le fece l’occhiolino e spintonò il suo futuro sposo.
Girò lo sguardo verso Frederick, notando realmente, forse per la prima volta, nei suoi occhi la commozione di un padre che sta per lasciare andare definitivamente la propria figlia. Egli strinse la sua piccola mano, guardandola negli occhi. Poi, quasi come se le stesse dando il permesso di andare, annuì con un leggero sorriso sulle labbra tremolanti.
Annabeth inclinò la testa, e capì che forse, quello, era il momento giusto per dirgli qualcosa che- pensò- avrebbe dovuto dire tempo prima. Fece, perciò, la prima ed istintiva cosa che le passò per la mente: lo strinse a sé.
Non erano ancora arrivati all’altare, mancava ancora metà navata, ma ne sentiva la necessità. Sapeva che era la cosa giusta da fare.
Lo abbracciò per qualche attimo, guadagnandosi non poche paia di occhi commossi puntati addosso, e prima di staccarsi dalle sue braccia, mormorò all’orecchio del padre una frase, che si era immaginata tante volte di dirgli, senza mai averlo fatto: «Sono fiera di te, e lo sarò sempre; qualunque cosa accada ».
Frederick si asciugò una lacrima, prima di lasciarle la mano e sussurrare: «Vai da lui ».
Sorrise grata al Professore, voltandosi verso la moglie di suo padre ed i suoi due piccoli fratelli.
Poi, incrociando lo sguardo confuso di Percy, aumentò il passo verso di lui,  che le tese la mano. Le loro dita s’incastrarono alla perfezione.
Tutte le preoccupazioni, i timori, l’agitazione parvero scomparire nel nulla, nel momento in cui le loro mani combaciarono. Erano insieme, e questo bastava ad entrambi.
Era come se l’universo non esistesse più: aveva la certezza che Percy sarebbe sempre stato il suo mondo, la sua casa. E a lei bastava questo; le era necessaria solo la sua convinzione. Per lei, da quel momento in poi, Apollo avrebbe anche potuto smettere, ogni giorno, di farsi il suo giretto con il carro; la sua alba era arrivata quella stessa mattina.
Il suo sogno era divenuto realtà.
Non ascoltò neppure una delle parole spese dal Signor D; osservò per tutto il tempo un paio di occhi verdi, il suo paio di occhi verdi, ritrovandosi a vivere in un angolo di felicità. Ed era un piccolo angolo che non desiderava condividere con nessun altro, se non con lui.
Sospirò, udendo le tre fatidiche parole, pronunciate da quella voce calda, che aveva ascoltato tante e tante volte con cura ed attenzione.
E quando fu il suo turno, e percepì le mani grandi e forti del suo ragazzo sulle sue, le parole uscirono da sole:
«Sì, lo voglio »
Fu come se il mondo avesse smesso di girare intorno al sole, come se il tempo avesse smesso di scorrere: c’erano solo loro due e nessun altro. Percepì le sue labbra morbide unirsi, in un attimo, alle sue. Il suo sapore di sale, e di amore.
Il suo cuore si scaldò immediatamente, quando Percy la cinse con le braccia, sorridendo di tanto in tanto sulle sue labbra, ma senza mai accennare a staccarsi.
E quando Annabeth intrecciò le mani dietro al collo di suo marito, egli cambiò rotta, sussurrando al suo orecchio alcune parole, e facendola ridere: «Adesso sei la signora Jackson. Annabeth Jackson, suona bene »
«Benissimo, direi » confermò lei, prendendogli la mano.
Percy scosse la testa, prima di sollevarla da terra e caricarla di peso sulle sue spalle, come un sacco di patate.
«Adesso non iniziare a tirartela, Sapientona. Il figo, nella coppia, rimango sempre io! »
Annabeth rise, picchiando i piccoli pugni sulla schiena del ragazzo e ordinandogli di metterla giù, mentre lo apostrofava con aggettivi poco educativi.
«Chiedo le carte per il divorzio, se non mi metti giù! » esclamò esasperata Annabeth, dopo aver terminato la lista di insulti.
Percy rise, facendola oscillare da una parte all’altra, sulla sua schiena. «Nah, non lo faresti mai. Mi ami troppo » canzonò, il ragazzo.
La bionda scosse la testa, tornando a tempestarlo di piccoli pugni sulla schiena.
«Non immagini quanto, Testa d’Alghe » rispose poi, sospirando.
Il ragazzo si fermò, posandola dolcemente a terra; le lasciò un dolce bacio sulle rosee labbra.
«Ma non montarti la testa, ora! » esclamò Annabeth, quando Percy alzò il volto, tenendo gli occhi puntati nei suoi.
Si tolse velocemente i tacchi e poi afferrò la sua mano, correndo verso la spiaggia.
Il suo giorno era appena cominciato. 
  
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