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Autore: ellephedre    13/07/2015    7 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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per istinto e pensiero 3

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2

 Si trovavano a ridosso di un campo, su un marciapiede, appoggiati a una ringhiera. Sotto di loro, incastonata nella città, stava una piccola distesa erbosa di rovine, cumuli di pietre consumate che lasciavano intuire la disposizione di edifici andati distrutti nei secoli. Ad Ami l'immagine ricordava un luogo in cui si era trovata: nella battaglia contro Nehellenia, in compagnia della sola Uranus, aveva corso lungo colline disseminate di ruderi arcaici per ricongiungersi alle compagne da cui era stata separata.

Era come se quei resti romani le stessero dicendo che, un tempo, si erano avuti scenari simili sulla Terra, tra persone comuni. «Non può essere.»

«Cosa?»

La domanda di Alexander la risvegliò dai suoi pensieri. Sentì di nuovo il calore del sole sulla pelle.

«Anni fa ho combattuto in un luogo simile a questo, all'interno di un'illusione. Ma la nostra nemica non poteva conoscere l'antico impero romano.» D'altronde, rifletté, non sarebbe stato necessario. «Lo stile di queste rovine ricorda quello delle costruzioni che sorgevano nell'antico Regno della Luna.»

«Eh?»

Era uno dei molti dettagli che non gli aveva rivelato.

«Non era un posto futuristico, sai? L'architettura degli edifici era molto simile a quella che si era espansa nel Mediterraneo un paio di millenni addietro.» Ben oltre, anzi. «In verità, i romani si sono limitati a copiarla dal popolo greco. Furono loro a crearla, anche se...» Il ricordo le causò una smorfia. 

«Cosa c'è?»

«Nemesis. Anche se la parola esiste in inglese, la sua radice è da ricercare nell'antica lingua greca.»

Alexander era attento. «Come lo hai saputo?»

«Hotaru. I servizi segreti americani volevano informazioni da lei. Hotaru ha trovato il modo di ottenerne a sua volta.»

Ne sorrise con lui, poi si fece grave. «Quello stesso giorno Zenas di Nemesis le ha rivelato che una persona del suo popolo era già giunta sulla terra, secoli fa, plasmando la nostra cultura.» 

Lui assorbì l'informazione. «In Grecia» comprese. Come lei, non gradì l'idea. «Non ha mentito. Le probabilità che due lingue appartenenti a mondi diversi abbiano radici simili senza essere mai entrate in contatto tra loro è... nulla.»

Esatto, lei aveva fatto lo stesso ragionamento.

Si chiese fino a che punto i nemesiani li avessero influenzati come popolo terrestre. Era un fatto che quasi li derubava della loro identità.

«Scusa» finì col dire, sospirando.

«Perché?»

«Non volevo parlare ancora dei nemici.»

«Non mi dà fastidio.»

In ogni caso, avevano già passato buona parte della mattina a riflettere su questioni sovrannaturali. Con le loro analisi avevano concluso solamente che, col passare delle ore, l'influenza che il potere di Mamoru aveva avuto su Alexander andava diminuendo. Il mini-computer ora valutava la pericolosità di lui nei confronti del potere di Mercurio al cinquantacinque per cento, da un sessanta per cento rilevato poche ore addietro.

«Per dopodomani sarò tornato normale» aveva detto Alexander. «In questi giorni mi ritengo fortunato a essere vivo. Se per rimanerlo è stato necessario che si modificasse qualcosa in me... Non importa, almeno fino a che il massimo del disagio è aver recuperato la vista e aver assorbito un poco delle tue capacità. Con la sua tecnica di guarigione Mamoru avrà esaltato l'effetto del potere che mi hai passato, no? Non stiamo a preoccuparci.»

In altre circostanze lui avrebbe speso ogni minuto a disposizione a studiare il fenomeno, soprattutto perché era passeggero. Ma aveva ragione: quel giorno stavano vivendo un altro tipo di esperienza straordinaria.

Ami riempì i polmoni dell'aria fredda del mattino. «Mi sto già abituando al fuso orario. Ho fame.»

«O può essere che il tuo corpo ti stia dicendo che è ora di cena.» Sereno, Alexander le chiese la mano. «Ho in mente una buona zona per cercare un ristorante.»

«Hai visto qualcosa di interessante sulla guida della città?»

«Sì. Andiamo alla ricerca di un tipo di intrattenimento... internazionale.»

 

Lo trovarono in una grande libreria, la più fornita della città secondo le indicazioni della guida turistica. Il reparto in lingua inglese non era grande come quello di alcune librerie di Tokyo, ma Ami  trovò ugualmente ciò che cercava. «È uscito il nuovo numero di The Lancet!» Si fiondò sullo scaffale, aprendo la rivista. Da settimane era così occupata che non era riuscita a consultare gli ultimi numeri.

Contento del suo entusiasmo, Alexander le indicò l'angolo opposto del corridoio. «Mi trovi di là.»

Lei annuì, sapendo che si trattava del reparto dedicato alle pubblicazioni scientifiche.

Con del tempo a disposizione, si beò degli articoli sulle ultime scoperte in materie di genetica, sulle nuove tecniche chirugiche sperimentate nel mondo, e sui protocolli di cura che si stavano attuando nei paesi in via di sviluppo. In poche pagine risiedevano tutti i suoi sogni.

Presto avrebbe iniziato l'università, poi sarebbe diventata anche lei, finalmente, un medico.

O no.

Rimase immobile con le mani, la rivista aperta davanti ai suoi occhi.

Continuava a dimenticare la verità della sua situazione: non avrebbe avuto il tempo di laurearsi in medicina.

Cercando di non pensarci, tornò a leggere gli articoli.

«Prendi qualcosa?»

«Sì, The Lancet.»

Ami - notò Alexander - stringeva la rivista al petto come un tesoro.

«C'è un articolo interessante?»

Lei esitò a rispondere. «Ce ne sono molti. Tu cosa prendi?»

«Ho trovato questi nuovi volumi sullo spazio. L'uscita era prevista per questa settimana e si vede che sono riusciti a spedirli nonostante i disastri di questi giorni.» Si rese conto che la sua ironia era fuori luogo.

Ma Ami sorrideva. «Hai deciso, vero? Andrai al MIT a settembre?»

Spiazzato, lui impiegò un momento a rispondere. «Sì.»

Ami fece silenzio mentre si mettevano in coda alla cassa. «Non ti blocca più niente, sai? Io sarò al sicuro in quel periodo, ora è certo.»

Lui ne era consapevole. Tuttavia, il suo desiderio di partire si era molto affievolito nelle ultime settimane.

Ami incrociò il suo sguardo. «Dimentichi che potrò venire a trovarti quando voglio? Non sarà una separazione.»

In lui si accese come un interruttore. «È vero!»

Aveva parlato forte e le persone attorno a loro si voltarono a guardarli.

Ami emise una risatina. «Certo. Ci vedremo anche tutti i giorni, se vorrai.»

Già. Sarebbe stato come studiare in Giappone. Non sarebbe cambiato nulla, non si sarebbe allontanato da lei.

Vedendo la sua felicità, Ami si avvicinò di un passo, prendendogli la mano. Non si sarebbe comportata in quel modo a casa, ma lì, in quel momento, appoggiò la testa contro la sua spalla, chiudendo gli occhi.

 

Era così strano, pensò Ami, sentirsi colmi di un'altra persona.

Quella mattina si era svegliata al caldo, con un braccio sulla schiena e le narici inondate dell'odore confortante di un pigiama. Aveva nascosto il viso contro il petto di Alexander, quasi smettendo di respirare pur di continuare a inebriarsi di lui. Non c'era stato altro posto al mondo in cui avesse desiderato trovarsi. Su quel letto aveva tutto ciò per cui valeva la pena di combattere.

La sua vita non era più un'incertezza: era al sicuro, era amata. Si scioglieva per le carezze al viso, si accendeva per i baci. Voleva passare ogni momento della sua esistenza con la persona che amava, vedendola sempre sorridere - un desiderio che aveva portato fino al punto di pensare che, con l'eccezione delle sue amiche, poteva perdere qualunque altra cosa, ma non lui.

Era vero, ma... Nell'amare così tanto si stava volutamente perdendo, dimenticando buon senso e ragione.

Nell'amore era naturale - positivo se erano in due a sentirsi nello stesso modo - e lei non lo rinnegava. Alexander per primo le offriva tutto se stesso: era lui quello disposto a mettere in secondo piano qualunque desiderio e obiettivo pur di seguirla, per un'infinità di tempo.

Eppure, entrambi avevano delle vite da vivere.

Lei forse non sarebbe diventata medico, ma aveva davanti a sé tre preziosi anni per vivere un sogno che non voleva lasciar andare - studiare medicina, almeno quello. Lui aveva già abbandonato l'idea di dedicarsi alla passione su cui aveva incentrato la sua vita prima di conoscerla: si era rassegnato a studiare astrofisica nel tempo che gli rimaneva e aveva persino contemplato la possibilità di lasciare l'università se loro due, insieme, avessero avuto...

Di mezzo c'era una domanda. Perché lei voleva ancora un bambino?

Aveva desiderato l'idea di Adam perché l'aveva creduta già vera e viva dentro di sé, ma ora che sapeva che era solo una prospettiva futura... perché?

Per una brama di felicità, ovviamente. E sicurezza, anche se era doloroso ammetterlo. 

Lei e Alexander con un figlio sarebbero stati una famiglia. Dentro di sé non avrebbe più temuto di tornare un giorno a essere sola, una persona che desiderava un affetto che rischiava di non ricevere. Alex non l'avrebbe più lasciata, e il loro piccolo... lei sarebbe stata importante per lui, necessaria. Quello era un tipo di amore assoluto che lei voleva vivere.

Ruotava tutto intorno ai suoi desideri, si rese conto. Stava pensando solo a ciò che voleva per se stessa.

... non era una cosa egoista?

«Pensi da tanto. Ora sembri preoccupata.»

Scrollò piano le spalle. Quando lo faceva, Alexander lasciava perdere e fu così anche in quel caso.

Per cercare un contatto lui le prese ugualmente la mano mentre camminavano. Nel ricambiare la presa lei gli strinse forte le dita e... capì.

Ormai lo amava così tanto che non lo avrebbe più lasciato andare.

Ecco cos'era cambiato rispetto a un tempo. Ecco cosa ora la destabilizzava: il bisogno, la necessità.

Non posso più vivere senza di te. Erano pensieri romantici nei momenti di pericolo, ma nella vita di tutti i giorni... L'amore non si esplicava nel lasciare spazio e libertà di scelta? Lei doveva poter esistere senza di lui, così da dargli la possibilità di sceglierla perché lei era la cosa migliore per la sua vita, e per nessun altro motivo. Non certo per soddisfare una dipendenza che lei non riusciva più a controllare.

Gli aveva proposto di andarlo a trovare spesso in America, per farlo felice, ma anche... per non perderlo. Per assicurarsi - ammise con se stessa - che nulla cambiasse nella sua devozione per lei.

Un tempo era stata più distaccata.

Un tempo aveva pensato di più a lui.

Adesso... si era permessa di cambiare perché era stato Alexander a volerlo, no? In libertà lui continuava a dimostrarle che non desiderava altro che stare con lei, sopra tutto e tutti, perciò... non era completamente sbagliato l'atteggiamento che lei stava tenendo. Stava solo... ricambiando.

No?

«Siamo arrivati, guarda.»

Il suo problema più genuino in fondo era sempre lo stesso: i sentimenti, soprattutto quando erano molto forti, la confondevano.

Guardò dove le veniva indicato e fece in tempo a replicare la sorpresa di lui quando Alexander cercò la sua reazione.

La costruzione era imponente.

Sollevò la guida. «Città del Vaticano. Città-stato indipendente sede del Cattolicesimo. È il più piccolo stato indipendente del mondo, con una popolazione di poco più di 800 abitanti.» Continuò a leggere mentre si immettevano nel largo viale che li avrebbe avvicinati all'enorme chiesa.

Alexander la ascoltava. «Si può entrare?»

Lei cercò l'informazione tra le pagine. «Sì, l'ingresso è libero, con alcune limitazioni sugli orari e al di fuori della celebrazione delle funzioni più importanti.»

Lui era particolarmente interessato. Era credente, ma lei non lo aveva mai preso per un tipo religioso, desideroso di trovarsi in un luogo di culto.

Alexander si spiegò prima ancora di sentire la domanda. «Voglio vedere l'interno. Conosci una delle ragioni per cui il cristianesimo si è scisso, qualche secolo fa? Lutero diceva che la Chiesa di Roma era troppo materialista.» Le indicò col mento la cattedrale davanti a loro. «A guardare questo edificio...»

Lei non ne sapeva molto, tuttavia... «Dietro queste dimensioni potrebbe esserci stato anche il desiderio di costruire un segno tangibile della forza della loro fede.» L'essere umano lo faceva, con molti dei propri intenti. Le venne in mente un collegamento e sorrise.

«Cosa?»

«Ecco... il palazzo di cristallo di Crystal Tokyo sarà molto più grande di questa chiesa.» A loro volta avrebbero ostentato il proprio stato - in un certo senso, il loro potere.

Alexander si divertì. «Ti avverto: se Usagi e Mamoru cominciano a credersi divinità, io me ne vado.»

Le uscì una smorfia.

«Cosa c'è?»

«Niente.»

«Ami...»

Lei lo trascinò in avanti per una mano. «Andiamo. Per entrare c'è da fare la coda.»

 

L'interno della cattedrale del Vaticano si rivelò maestoso ai loro occhi. Ami si meravigliò della cura dei dettagli e della grandezza dell'edificio. Per costruire mura tanto alte, immense fatiche erano state fatte, per secoli. Quando l'essere umano lavorava per qualcosa in cui credeva, ergeva templi e piramidi, anche senza l'aiuto di macchine.

Accanto a lei Alexander osservava in silenzio, meravigliato.

«Hai cambiato idea?»

«L'ho ampliata» rimuginò lui. «Questo posto è un inno al materialismo in pompa magna, ma... è intriso di fede. Lo trovo solenne. A loro modo, cercavano solo di costruire qualcosa che fosse degno di Dio.»

Dio... L'idea di un'entità singola che vegliava su tutti le sembrava semplicistica, ma non disdegnava il concetto che vi stava dietro.

Come aveva detto Usagi al mondo, anche Ami era principalmente convinta che vi fosse in tutti una spinta al bene. In molte religioni erano comportamenti che bisognava tenere in nome di un dio, ma nella realtà era semplicemente una pulsione naturale che esisteva in tutti gli uomini che avevano il coraggio di seguirla.

Comunque, non le piaceva pensare che ciò che erano in vita sparisse nel nulla dopo la morte. Sarebbe stata in grado di accettarlo, ma trovava conforto nell'idea lontana che esistesse un sovrannaturale buono, che desiderava il bene di chi era ancora in vita. Avi, parenti morti, persone per cui si era provato affetto... Per lei era più semplice credere in qualcuno che era realmente esistito. Voleva pensare che l'amore che quelle persone avevano provato verso coloro che avevano conosciuto, o che erano legate alla loro famiglia, avesse una forza anche dopo la morte.

Qualcuno veglia su di te.

Era un concetto - non solo cristiano - che la inteneriva, anche se preferiva trovare la forza dentro se stessa e nelle persone vive che aveva accanto. In ciò Alexander era più spirituale di lei, ma di fondo non avevano convinzioni opposte tra loro.

Lui guardava ancora la navata centrale della cattedrale e alcune persone, inginocchiate su delle panche, che pregavano.

«Potrebbero farlo anche fuori di qui» disse. «Ma in questo luogo si estraneano. Si spostano materialmente per darsi il tempo di dedicarsi alla loro fede, in un posto in cui la sentono più vicina.»

Nelle sue parole c'era un pizzico di ammirazione. Ami continuò a parlare a bassa voce. «Vuoi rimanere ad assistere a una celebrazione?»

«No» sorrise quieto lui. «Solo che... finora non mi era accorto dell'importanza che potessero avere.»

Lei non comprese.

«Ha senso ricordarsi dei sacrifici che sono stati fatti, inginocchiarsi e ringraziare. Ciò che abbiamo alla fine è... effimero.»

Lei ne trasse una sensazione di angoscia.

«Non sto pensando alla morte, Ami. Sto pensando alla vita. Finché c'è ed è come la desideriamo, bisogna viverla al massimo.»

... prima che battaglie, incidenti o malattie mortali la portassero via.

Quelle circostanze erano diventate talmente usuali nella sua esistenza che era rapida a superare il trauma quando lo incontrava, per istinto di sopravvivenza. Ma non per tutti era così.

Prese la mano di Alexander, per essere la sua àncora.

Lui abbassò gli occhi. «Parole troppo pesanti, hm?» Si divertì, forse a beneficio suo. «Su, usciamo. Andiamo a vedere i musei di questo posto.»

  

Come aveva già sperimentato, Alexander guardava statue e dipinti con interesse vago, faticando a trovarvi un significato.

«È colpa mia, ma... la metà di queste cose non mi dice niente. Per me sono più aspetto che sostanza.»

Era un giudizio duro, pensò lei. Alcune di quelle opere erano profonde nella loro bellezza. Era evidente quanto l'artista si fosse impegnato per dare vita a un'espressione del volto, o per scegliere il mix di colori giusti che comunicasse l'atmosfera cercata. «C'è molto sforzo dietro.»

«Sì, ma non sempre il risultato mi dice qualcosa.» Alexander scosse la testa. «Non pensare a me, io ascolto la mia musica.» Mise le cuffie. «Ci muoviamo coi tuoi tempi, guarda con calma.»

A lei sembrava quasi oltraggioso non concentrarsi sui contenuti del museo mentre ci si stava dentro, ma la differenza nel loro atteggiamento la rese allegra. Aveva voglia di rimproverare Alexander, come un ragazzino a cui doveva insegnare qualcosa. Quando non erano uguali - si rese conto - erano anche molto diversi. C'erano volte che lui sospirava per atteggiamenti di lei, e a sua volta aveva pazienza.

Il confronto era stimolante per i diversi punti di vista a cui esponevano a vicenda. In quel caso lei riusciva a vedere, attraverso gli occhi di lui, come metà di quelle opere fossero inutili, ma sceglieva di non usare quel tipo di visione, continuando a concentrarsi sulla ricchezza che traeva dalla propria comprensione di ciò che vedeva.

Forse un giorno sarebbe riuscita a trasmetterla ad Alexander, o forse sarebbero rimasti differenti per sempre su quel punto, come su altre cose.

Lui si chinò. «Sono curioso: cosa c'è di divertente in questa statua?»

«Niente. Rido per te.»

«Che ho fatto?»

«La musica e il rifiuto di capire l'arte. Sembri uno studente in gita scolastica. Mi sento una professoressa incompresa.»

Non era male neppure prendersi in giro per le loro diversità.

Lui comprese l'intento. «Una prof? Sei troppo giovane. Devi esserti appena laureata, perciò mi starai dando lezioni private. Mi hai portato fino in Italia, prof? Sicura di non avere secondi fini con me?»

Lei tossicchiò. «Siamo in un museo, davanti a opere secolari.» Ci voleva un po' di contegno. Gli passò la guida. «Tieni e impara, studente.»

Lui fece scorrere velocemente le pagine. «Stanotte ho appreso qualcosa. In albergo, ricordi? Credo che stessi cercando di insegnarmi a dipingere nudi, perché ti sei spogliata e...»

Lei gli infilò in bocca la cuffia che si era tolto.

In silenzio, sorrisero per tutto il percorso fino alla Cappella Sistina.

Nella grande sala, Ami fu conquistata.

Smettendo per un momento di guardare, lesse piano le parole della guida. «Gli affreschi sulla volta sono stati dipinti da Michalengelo Buonarroti, dal 1508 al 1512. Egli ha realizzato anche il Giudizio Universale, che adorna la parete di fondo, sopra l'altare, negli anni dal 1535 al 1541.»

Una vita intera. Erano passati più di vent'anni tra le due realizzazioni, ma quel pittore era tornato al lavoro sul medesimo luogo, creando qualcosa di... immenso. Persino lei - che abitava dall'altra parte del pianeta - conosceva di fama quelle immagini, distanti più di quattro secoli dal tempo in cui era nata.

Alexander guardava il soffitto. «L'ha dipinto una sola persona?» Cercò approfondimenti nella guida, per accertarsene.

«Sì» confermò lei. Era incredibile. «In tre anni.»

Non era lo stesso periodo di tempo che lei aveva da dedicare alla medicina? In seguito la sua vita non sarebbe finita: come quell'uomo, poteva tornare a quella che considerava una missione, lo scopo massimo che esaltava la sua essenza in qualunque momento. Aveva davanti mille anni di vita.

Galvanizzata, prese una decisione.

Iniziò a fare i primi calcoli, ma per essere precisa aveva bisogno dei libri di testo del corso di laurea. Doveva tornare a casa.

No, si ammonì. Era in vacanza. 

Aveva tempo per immergersi nello studio. Vivere quei giorni, come aveva detto Alexander, era altrettanto importante.

La vita, il tempo, scappava.

  

A metà pomeriggio, erano di nuovo distrutti. Dormire un paio d'ore prima di cena parve a entrambi una buona idea.

Ami mise il pigiama per stare più comoda. Si sdraiò sul letto per prima, stiracchiandosi in cerca del sonno.

Unendosi a lei sul materasso, Alexander sbadigliò a bocca aperta, senza coprirsi il volto. «A cosa pensavi oggi?»

«Hm?»

«Un paio di volte hai fatto una faccia strana, stamattina. Eri preoccupata.»

Be'... Erano pensieri che lei doveva ancora elaborare prima di poter spiegare. Dovevano essere completi.

Era vero che cominciava a sentirsi egoista nel desiderio che aveva di riempire ogni momento della vita di lui, tenendolo legato a sé, ma Alexander le aveva dato da pensare.

Era tutto effimero, come aveva detto lui.. La sensazione di perderlo per sempre, o di non essere più viva, era ancora troppo vicina per non darle l'importanza che aveva.

Non si meritevano entrambi un po' di tregua? Le conseguenze erano ancora lontane. 

«Stai pensando invece di parlare.»

Si decise per un'altra verità, non meno crudele. «Voglio studiare.»

Lui non capì. «Da quando non lo vuoi?»

Ora era diverso. «Voglio studiare medicina da subito, come se fossi già all'università. Alla prima sessione di esami voglio essere pronta a sostenere anche quelli del secondo semestre. Cercherò di farmi dare una licenza speciale.»

Alexander la guardava.

Lei annuì. «Voglio fare così anche l'anno prossimo, senza sosta. Io... devo avvicinarmi più che posso a diventare medico. Non voglio cominciare la prossima fase della mia vita senza essermi impegnata al massimo in questi anni. Sono quelli che ho ancora per me. Potrei rilassarmi, ma...»

«Lo so.»

Sì, non era da lei prendersi pause prima di aver lavorato. «Questo non significa che ho rinunciato all'idea di una nostra famiglia.» Al contrario. «Impegnarmi tanto adesso mi darà la sensazione di avere più tempo. Avrò comunque studiato tutto quello che potevo, anche se a un certo punto deciderò di fermarmi.»

Lui rifletteva. «Questo significa che... avrai meno sere libere. Meno weekend.»

Esatto. Era il suo unico rimpianto, e in effetti un sacrificio che gli chiedeva di fare con lei. «Col teletrasporto risparmierò sui tempi di viaggio. Troverò comunque il modo di vederti, anche se...» Era necessario che fosse sincera. «Finché non mi sarò organizzata con lo studio, agli inizi, ti chiederò un po' di tempo per concentrarmi solo sui libri. Una settimana o due.» Notò l'umore di lui. «Cercherò di fare dei break.»

Alexander non parlava. Guardò il soffitto. «Vuoi tornare a casa oggi?»

«No. Questi giorni sono per noi.»

Lui espirò via il risentimento. «Non voglio che non studi, Ami. Ho capito. Solo che, nemmeno due giorni fa... E tu stai già pensando a ricominciare col dovere.»

Mi dispiace. Non era felice per il dolore di lui, ma non era seriamente dispiaciuta. Aver preso quella decisione le stava dando stabilità e uno scopo da seguire, laddove prima si era sentita confusa e frustrata.

«Sei fatta così» dichiarò lui, arrendendosi. «Però almeno per altri due giorni... non pensare a studiare.»

Era una promessa che voleva mantenere. «Non c'entri tu con questo, è... una cosa mia.» In verità, anche in quel desiderio c'erano delle differenze tra loro, che lei faticava a capire. «A te non manca l'idea di non poter studiare quello che sognavi?»

«Lo studierò comunque.»

«Sì, ma non all'università. Se ti metti a lavorare non potrai più dedicarti completamente allo studio.»

«Questo non è più un'ipotesi, ma una certezza. Io lavorerò per mantenermi» le disse. Cercò di capire cosa voleva sentire da lui. «Siamo in fasi diverse della vita, Ami. E... io sono meno concentrato di te. Lo studio è una passione, ma l'ho sempre preferita quando è libera. Avere voti eccellenti agli esami era soddisfacente perché mi faceva sentire bravo, ma se non fosse stato per questo... Avrei studiato con meno criterio, per quanto il mio interesse sia forte. Non soffro all'idea dell'interruzione che subiremo tra qualche anno perché in un modo o nell'altro io continuerò a studiare fisica. Nemmeno una valanga di impegni mi fermerà. In qualunque minuto libero imparerò cose nuove, per saperne sempre di più. Lo sai, anche adesso è così... Ragiono in formule mentre corro, sotto la doccia, persino mentre sto con te a volte. Non riesco a fermarmi.»

Sì, avevano approcci diversi. Quello di lui era affascinante, perché - anche se non ne era cosciente - parlava della fisica come avrebbe fatto un'artista con la propria arte. L'aveva nel sangue, faceva parte della sua natura.

Per lei la medicina era un obiettivo. Un'altra delle differenze tra loro era che lei non sentiva ancora di essersi impossessata degli strumenti di base per comprendere la materia che tanto le interessava. In quel senso era stata pigra negli anni in cui aveva pensato fosse più importante dedicarsi a una formazione di base il più estesa possibile prima di concentrarsi sulla branca della conoscenza umana che la appassionava sul serio.

Alexander la studiava mesto. «Comunque... Per me sarà una sofferenza vederti di meno, ma l'importante è che tu senta di dare al tuo tempo il suo massimo valore.»

C'era un fraintendimento. «Anche quando sono con te il mio tempo non ha un valore maggiore.»

«Ma con me avrai anche gli anni dopo il duemila, giusto?» Il pensiero gli causò un sorriso rassegnato. «Sono in svantaggio rispetto alla medicina, almeno per ora. È inevitabile.»

Lei desiderò che le giornate fossero di quarantotto ore. «Quando sarò con te, mi dedicherò solo a te. Niente studio.»

«Questa è una promessa che ti farò mantenere.»

Lei lo toccò sul braccio, cercando di abbracciarlo. «Alex?»

Lui sollevò le sopracciglia, rimanendo in attesa della domanda.

Come sai che che mi vorrai anche tra tre anni?

Era la più stupida delle domande, nonché una richiesta nascosta e ingiusta: tutto quello che lui sapeva per ora era che la amava. Conosceva il proprio cuore e le proprie intenzioni, ma di ciò che avrebbe provato nel futuro sapeva quanto lei: nulla.

Ami lo baciò. Solo il presente era sicuro, solo nel presente potevano vivere.

Lo strinse con tutta la propria forza e, per qualche minuto, gli chiese in modo assoluto di darle tutto ciò che aveva.

  

Alexander si svegliò un'ora e mezza dopo, alle sei di sera, con una sensazione di incombenza. 

Era iniziata nella tardi mattinata, ma aveva cercato di non badarci.

Dannazione. Non stava andando via, anzi.

Si alzò dal letto, cercando i pantaloni e la felpa del pigiama. Si rivestì, scacciando un brivido di freddo che non riuscì a fermare. Barcollò nell'alzarsi in piedi, ma non si permise di spaventarsi. Si era solo mosso troppo in fretta, non aveva dato al sangue il tempo di tornare alla testa.

Dopo qualche secondo, tornò a muoversi verso la scrivania della stanza. In silenzio, prese in mano il computer di Ami e si diresse in bagno.

Unì l'anta della porta al muro e si sedette sopra la tazza chiusa del water.

Chiese allo strumento di Mercurio di rilevare la sua temperatura corporea.

37.9

Si sentì troppo debole per imprecare.

... doveva svegliare Ami?

Forse la sua era solo una febbre vera, un raffreddore che aveva preso durante la notte e che stava degenerando. Magari non c'entrava nulla con il fenomeno che lo aveva colpito in casa sua, due sere prima.

... Si stava prendendo in giro da solo. Si sentiva esattamente come nel primo giorno dell'anno, con un cerchio alla testa che non aveva mai conosciuto in precedenza.

Studiò la situazione col mini-computer.

Possibilità di pericolo per Sailor Mercury: 90%

La sua era una malattia di potere. Nella teoria che aveva elaborato, era stata l'azione del sovrano nemesiano a far inceppare il meccanismo dell'ykèos dentro di lui.

Se lo avesse detto ad Ami, sapeva già qual era la soluzione che avrebbe proposto lei: stare lontani.

Massaggiò forte la tempia, sentendo a ondate il dolore che si propagava lunga la massa grigia.

Se l'ykèos era una conseguenza di quanto tenevano l'uno all'altra, stare lontani non sarebbe servito a risolvere il problema, bensì solo ad aumentare l'agonia. Ami si sarebbe data la colpa di tutto. Sarebbe tornata a pensare che gli aveva fatto danno standogli vicino, che forse stare con lui non era la cosa giusta.

Che incubo senza fine.

Unì le mani e per la disperazione pregò, la fronte abbandonata sulle nocche.

Voglio stare meglio. Non voleva nessuno stupido potere che cercasse di ucciderlo e... e voleva Ami. Anche se avesse avuto quegli episodi a ripetizione, per il resto della sua vita, voleva stare con lei. Solo questo, al resto sarebbe sopravvissuto.

Sospirò.

Abbattuto, adottò la misura più logica e settò il computer perché gli fosse di soccorso. Di suo non poteva far altro che coprirsi, tornare a dormire e... sperare.

Se la febbre fosse salita a trentanove, aveva ordinato al computer di emettere un suono di allarme, riepilogando la situazione ad Ami in un'unica schermata. 

Lei sarebbe corsa a prendere Mamoru Chiba, lui lo avrebbe guarito di nuovo e poi... avrebbero discusso sul da farsi.

Era un discorso che Alexander sperava di non dover affrontare mai.

Tornò nella stanza da letto e si sdraiò vicino ad Ami. Non la toccò, per non svegliarla e non farle sentire la febbre, ma nella sua testa l'abbracciò con tutta la propria forza. 

Respirando a fatica, crollò dal sonno.

 

«Ehi.»

La voce di lei. Sopra la sua testa, Ami sorrideva.

«Sveglia! Ci siamo addormentati per un'ora in più!»

Alexander sgranò gli occhi. La sua pelle era fresca, come se... 

Aveva sudato. Si tirò su con cautela, tenendo le coperte sopra il corpo, cercando di capire se la felpa era umida. La sentiva fredda al contatto, ma era possibile che non si notasse da fuori.

Non dovette nascondersi da Ami, lei stava andando in bagno. «Mi preparo per andare a cenare, okay?»

Lui annuì vago e appena lei sparì nell'altra stanza, saltò fuori dal letto.

Era pieno di energia! Sorrise levandosi la felpa, sentendosi in forze.

La febbre se n'era andata, era guarito!

... era stata una ricaduta rapida?

Andò al computer. 

Osservò il grafico della sua temperatura durante il sonno e fu percorso da un brivido. Aveva toccato trentotto gradi e nove mezz'ora prima; a quel punto la febbre aveva raggiunto un picco ed era sparita.

Era solo l'effetto del rilascio di sudore? In quanto veniva calcolata ora la sua pericolosità nei confronti di Mercurio?

Trentacinque per cento.

Tirò un sospirò di sollievo.

Il fenomeno si stava davvero attenuando, come aveva detto ad Ami quella mattina, credendoci solo a metà.

Stava guarendo, giusto?

Cancellò il grafico con la rilevazione della febbre. Ami non doveva vederlo. 

Ne avrebbero parlato solo e solamente se il problema si fosse ripresentato, ma...

Fermò le dita sul computer. Tenne fisso il comando che aveva impartito in bagno: se in qualunque momento fosse stato tanto male da avere una febbre superiore ai trentanove gradi, Ami doveva essere avvisata. La paura non poteva superare la prudenza.

Respirò a pieni polmoni.

... nonostante la cautela, si sentiva ottimista.

Il malessere era andato via da solo, non c'era stato bisogno dell'intervento di Chiba.

Forse era una cosa che si poteva curare come un raffreddore vero e proprio, con tè caldo e coperte pesanti sul corpo. Sorrise. «Ho trovato un buon ristorante sulla guida!»

«Ah... okay!» Come la signorina educata che era, Ami non disse altro da dentro il bagno.

Alexander osservò il simbolo sul computer di Mercurio.

Se il problema sei tu, ykèos, non mi batterai.

Lasciò il computer sulla scrivania e andò a vestirsi.

   

3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/2 - FINE

 


NdA: tre capitoli di questa raccolta e ho descritto esattamente tre giorni consecutivi. Mi sento lumaca -_-

Ho questo interesse primario a ricollegarmi allo stato d'animo di Ami che ho descritto in Plenilunio. Il capitolo 6 era ambientato il 13 gennaio 1997, quindi a una decina di giorni da questo momento. Lei e Luna facevano questo discorso:

«Il matrimonio... è un impegno senza fine, che durerà almeno mille anni con persone come noi. A volte mi chiedo... È giusto chiedere una cosa simile a una persona? È possibile ora fare tante promesse per un tempo così lungo?»

Luna aveva quasi timore di chiedere. «Parliamo di promesse di... fedeltà?»

Ami tornò a vederla. «No» sorrise. «Non mi hai mai sfiorato come problema. Pensavo a...» Col petto pesante, espirò. «Il matrimonio è un percorso comune: obiettivi, speranze, scelte. Equivale a prendere decisioni insieme, per sempre, spesso limitandosi. È solo che...» Soffrì. «Alexander è così giovane.»

Oh, no, comprese Luna. «Tu hai due anni meno di lui.»

«Io conosco il mio percorso, mentre lui ha mille possibilità. Come fa a sapere che-»

«Ami, Ami! Ti è venuto in mente leggendo qualche libro? Tu pensi troppo. Persino un racconto è capace di influenzarti.»

Ami glissò sulla domanda. «Questi pensieri che ho non sono un vero problema. È solo una riflessione su quanto sia giusto o meno, da parte mia, aspettarmi che le cose tra noi possano andare... in quel modo. Verso il matrimonio.»

 

Penso che il capitolo 4 della raccolta tratterà dell'ultimo giorno di vacanza in Italia di Ami e Alexander (quindi due giorni a partire da adesso, presumibilmente). Ho in mente il contenuto, dovrebbe essere piuttosto breve e meno didascalico come capitolo.

In effetti Luna ha ragione, Ami sarà stata influenzata da un libro (di narrativa), anche se già aveva iniziato ad avere questo tipo di pensieri. Quello che sto cercando di trasmettere è l'insicurezza di fondo di lei.  Non sarà una cosa che si risolverà a breve, ma - come è normale - Ami non sarà continuamente tormentata da questi pensieri. Per ora sono solo idee che le vengono così, e le danno un po' di fastidio e incertezza. Ci sarà un'escalation, ma in tempi dilatati.

Ma parlando della 'malattia di potere' di Alexander, alla fine ho deciso di riprenderla perché era giusto così, volevo che si capisse che è una cosa importante, anche se si sta attenuando. 

La risposta a questo mistero si avrà in tempi ancora più lunghi rispetto al problema di Ami, ma era un concetto che volevo portare avanti con calma, in maniera naturale lungo la saga.

 

Parlando dei capitoli successivi, finalmente dopo il capitolo finale sulla vacanza italiana, potrò saltare avanti nel tempo e parlare di altri episodi che ho in mente da un po', come Ami e Alexander che giocano ai videogiochi (in casa di Yamato, con lei che è particolarmente forte nei picchiaduro - come dimostrato nell'anime originale), o il trasloco di lui.

Ah, poi in questa raccolta potrò mettere anche l'episodio di San Valentino dedicato a loro due, racchiuso nell'omonima raccolta per ora.

 

Grazie di aver letto i miei sproloqui :)

Spero che la lettura vi abbia donato qualche momento divertente e magari qualche riflessione che mi farebbe piacere sentire.

A presto!

 

Elle

 

P.S. Ho due pagine Facebook: una dedicata a Sailor Moon in generale, dove posto opinioni e immagini (Oltre le stelle saga), e un gruppo in cui parlo esclusivamente delle mie fanfiction con i lettori che mi seguono - Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

   
 
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