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Autore: Locked    13/07/2015    3 recensioni
Crossover: Glee/Colpa delle Stelle. AU!Klaine.
Dal testo:
Ci sono storie d’amore che iniziano al contrario.
Storie d’amore che non hanno senso, ma forse la verità è che ne hanno troppo.
Storie d’amore che valgono la pena di essere raccontate anche se fa male, anche se frantumano il cuore e lo calpestano fin quando non c’è più niente.
Questa è la storia di Kurt e Blaine – la storia di un amore avversato dalle stelle, che forse è solo una favola con un lieto fine diverso.
*
“Perché mi fissi così?”
“Perché sei bellissimo.” Blaine spalanca gli occhi e si ritrova a perdersi nel sorriso sbilenco di Kurt e nelle mille lentiggini sparse sulle sue guance come stelle in una galassia. “E perché se c’è una cosa che questo stupido cancro mi ha insegnato è godermi i piaceri della vita, e guardare le persone belle rientra tra questi.”
“Non sono –“
“Lascia decidere a me per cosa vale la pena perdere la testa, okay?”
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Santana Lopez, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Grazie a tutti coloro che hanno recensito e che continuano a seguire questa storia con una dolcezza incomprensibile.
Grazie.

 
Capitolo 19
 
 
A Cory Allan Michael Monteith,
grazie, per tutto.



Blaine ha un’immediata e malsana voglia di piangere. Perché stanno per seppellire Kurt, per esempio. Perché non c’è un essere umano che detesta più di Peter Van Houten e non sa cos’ha fatto di male per ritrovarselo davanti in quel momento, forse. O forse è solo un insieme di tante cose messe tutte insieme, pressate dentro di lui, che occupano troppo spazio e premono contro i suoi occhi, e in quel momento non riesce a far altro che assecondare quella voglia e lasciare che le ultime lacrime che ha scivolino lentamente dai suoi occhi arrossati alle sue labbra, tracciando percorsi irregolari lungo la curva degli zigomi e delle guance.
Van Houten gli si avvicina, una fiaschetta contenente dio solo sa cosa in mano e la pancia da alcolizzato che ondeggia ad ogni passo, e a Blaine fa così schifo che forse ci ha appena ripensato, non ha solo voglia di piangere, ha voglia di vomitare.
“Salve ragazzo,” esclama, e Blaine sta per prenderlo a pugni, davvero. Non fa in tempo a rispondergli, che l’uomo gli ha messo in mano un pezzetto di carta sgualcito e Blaine non sa cosa si aspetta che se ne faccia, onestamente ha ancora voglia di piangere e vomitare e prenderlo a pugni, ma poi intravede una frase scritta al suo interno con un inchiostro blu e lo apre lentamente.
Omnis cellula e cellula.
Altrettanto onestamente, Blaine non ha voglia di giocare, né di stupidi indovinelli. “Cosa vuole da me, signor Van Houten?” Peter lo osserva stranito, come se la risposta a quella domanda fosse lampante, e Blaine è così, così stanco di tutto questo. Sbuffa.
“Si ricorda la sua ossessione per il mio libro, non è vero? Ecco. Il suo ragazzo, a sua insaputa a quanto vedo, ha continuato a scrivermi dopo il vostro viaggio ad Amsterdam, implorandomi di scrivere un qualche seguito per lei. Questo è il seguito di Un’Imperiale Afflizione. Omnis cellula e cellula. Tutte le cellule vengono dalle cellule, che vengono dalle cellule che vengono dalle cellule, in un ciclo continuo.” Sembra particolarmente fiero della sua spiegazione. Blaine lo guarda per un attimo, gli occhi vacui, annuisce e si ficca in tasca il foglietto, prima di voltarsi e tornare dalla sua famiglia e da Santana, che sono rimasti qualche passo più indietro a fissarli curiosi.
 
“Non vuole una spiegazione?” chiede Van Houten, allarmato. Blaine scatta, voltandosi per quella che giura essere l’ultima volta.
“Cosa ci fa qui, Van Houten? Cosa, tra tutte le ragioni del mondo, l’ha spinto a venire fin qui, in questa città dimenticata da dio, per poi neanche assistere al funerale di un ragazzo che ha visto un’unica volta in vita sua?” Blaine è arrabbiato, è furioso, perché Kurt non c’è più e da qualche parte l’unica flebile voce razionale che è rimasta nel suo cervello prova a sussurrare che non è colpa di Van Houten, ma Blaine non ha voglia di essere razionale. L’uomo fa un passo indietro, colpito dalla veemenza delle sue parole, e Blaine riafferra il carrellino e si spinge in avanti, verso le braccia aperte di sua madre, che lo accoglie dolcemente, accarezzandogli i capelli mori con le dita in un modo che gli ricorda così dolorosamente i tocchi di Kurt.
 
*
 
Blaine non avrebbe voluto accompagnare Burt e Carole e Finn e tutti gli altri a seppellire Kurt; non avrebbe voluto continuare a piangere, esausto; non avrebbe voluto essere costretto a lanciare un mucchietto di terra sulla sua bara; non avrebbe voluto fare nessuna di queste cose.
(Avrebbe voluto prendere l’auto, tornare a casa e trovare Kurt ad accoglierlo, gli occhi azzurri e le labbra al sapore di caffè.)
Ma le fa, tutte.
Poi torna a casa davvero, e piange un altro po’, perché di Kurt non gli sono rimasti che i ricordi.
 
*
 
Il giorno dopo Santana va a trovarlo e Blaine gliene è sinceramente e profondamente grato, perché fissare il soffitto dal letto con gli occhi vacui sta diventando la sua attività principale e sì, forse non cambia poi così tanto, ma farlo con qualcuno al suo fianco lo fa sentire meno peggio.
“Dove pensi che sia, adesso?” gli chiede lei, il corpo snello, racchiuso in un paio di pantaloncini e una canotta, è accartocciato accanto al suo sul materasso. La sua testa e appoggiata al torace di Blaine, e lui riesce a vedere solo le sue spalle color caffelatte e una distesa di capelli corvini che le nasconde in parte e in parte gli ricopre il petto. “Voglio dire –“ continua lei, non dandogli il modo di rispondere, “Non ci credevo nemmeno io al Paradiso e a tutta quella roba là, ma adesso – adesso è tutto diverso, capisci? Non è possibile che di lui non sia rimasto nient’altro che un corpo freddo e un mucchio di ricordi.” Blaine sospira.
“Non lo so, San,” sussurra, cingendole le spalle con un braccio e stropicciandosi gli occhi col palmo dell’altra. “Credo che nessuno sia effettivamente in grado di saperlo. Ma – ho sempre pensato che ci fosse qualcosa, sai? Quando ero più piccolo avevo questa fantasia: che quando me ne sarei andato avrei aspettato la mia famiglia, anni e anni e decenni, tutto il tempo necessario, e poi quando tutte le persone a me più care mi avrebbero raggiunto saremmo rimasti insieme per sempre. Era – infantile, credo. Ma avevo bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi.” Respira profondamente dal naso, aggiustandosi velocemente la cannula. “Nessuno sa con precisione ciò che ci aspetta, dopo. Puoi scegliere di credere in quello che vuoi; io scelsi di credere in questo e ora – semplicemente so che Kurt non se ne andrà mai del tutto. Finché vivrò io, finché vivrai tu, finché vivranno i suoi genitori e suo fratello e i suoi amici – tutti noi ne conserveremo il ricordo.” Santana resta in silenzio per un attimo, prima di tremare un po’.
“Vaffanculo, Anderson; avevo appena smesso di piangere.”
 
*
 
Blaine la accompagna alla porta, i calzoncini dismessi della tuta che gli abbracciano morbidi la vita e le braccia incrociate sul petto mentre la guarda allontanarsi sottobraccio a sua madre, e non ha la forza di pensare a nulla – non ne vede il motivo. Un movimento brusco proveniente da un angolo della siepe del loro giardino lo distrae e per poco non spalanca la bocca quando vede Peter Van Houten alzarsi e barcollare verso di lui con la solita fiaschetta di alcool in mano.
“Che diavolo ci fa qui?” grida, e grazie a dio la casa è vuota e Santana e sua madre sono troppo lontane per sentirlo, perché non ha assolutamente voglia di spiegare perché uno scrittore mezzo olandese e mezzo americano e mezzo collassato nel giardino di casa sua gli si stia avvicinando ondeggiando. “Ha dormito qui? Lei è fuori di testa, ora chiamo la polizia –“
“Blaine –“ E’ la prima volta che lo sente pronunciare il suo nome. “Non sono ubriaco.” Blaine continua a fissarlo. Van Houten sbuffa. “Voglio dire, lo ero, ma non lo sono più; io – voglio solo parlarti, un attimo, e darti una cosa –“
“Se è uno di quegli stupidi bigliettini come quello che mi ha dato ieri può anche tornarsene da dove è venuto perché –“
“No!” lo interrompe, “No, davvero, ascoltami un attimo. Per favore.” Blaine continua a credere che sia ubriaco almeno parzialmente, perché andiamo, gli sta dando del tu e sta barcollando,ma annuisce, incerto.
“Kurt –“ Blaine si irrigidisce. E’ automatico ormai, non può farci assolutamente nulla. “Kurt ha continuato a scrivermi, dopo il vostro viaggio ad Amsterdam. E’ vero, lui voleva che scrivessi un seguito, che rispondessi alle tue domande, ma lo voleva così tanto che aveva scritto appunti, creato scene e collezionato idee che voleva che rendessi mie e rielaborassi fino a scriverci una storia e io non potevo, capisci? Non potevo perché quella storia è mia.”
Ed è quello, il momento in cui Blaine realizza. “Anna,” sussurra, e gli sembra di riemergere da sott’acqua dopo un’apnea eterna, “la protagonista – il motivo per cui il libro non finisce è che Anna muore. Anna – era sua figlia.” Van Houten lo guarda, gli occhi stanchi e cerchiati di nero, gonfi, il completo che indossa stropicciato un po’ ovunque, e sembra così miserabile, così impotente. Annuisce una volta sola.
Peter Van Houten aveva una figlia che è morta di cancro. Improvvisamente tutto torna, il suo conoscere così bene la malattia, il suo scriverne come se l’avesse vissuta sulla propria pelle, il suo odio nei confronti di lui e Kurt, che erano stati così in salute da poter sostenere un viaggio oltreoceano, il suo dispiacere così spaventosamente autentico per la morte di Kurt.
“Peter, lei è una bella persona, lo sa? Io credo che sia davvero una bella persona, anche se sotto l’effetto dell’alcool diventa uno stronzo.” Un sorriso tiepido si apre sulle labbra di entrambi. “Torni a casa. Si disintossichi, vada a cercare Lidevij, scriva, faccia ciò che le riesce meglio, si rifaccia una vita.” Van Houten resta a guardarlo per un attimo, poi fa per girarsi ed andare via davvero ma all’ultimo secondo si ferma, di spalle, si infila una mano in tasca e ne cava un foglio stropicciato piegato a metà. Torna indietro il tempo necessario per porgerlo a Blaine ed aspettare che lo afferri con una punta di stupore, poi dice “Arrivederci, Blaine”, e lui lo saluta con una mano, osservandolo mentre si allontana.
 
Poi spiega il foglio attentamente, e il suo cuore precipita.
 
*
 
E’ di Kurt. E’ la calligrafia di Kurt. KurtKurtKurt.
Gli si riempiono automaticamente gli occhi di lacrime e cerca di scacciarle via il più velocemente possibile perché – Kurt.
Non si rende neanche conto di aver chiuso la porta di casa e di star arrancando verso il divano, su cui si siede con un tonfo, perché ha tra le mani una lettera di Kurt, una parte di Kurt, e le mani gli tremano incontrollabili.
 
Gentile signor Van Houten,
(Non so neanche per quale motivo l’ho appena definita gentile, dato che lei, con me e Blaine, non lo è mai stato. Ma sa, siamo così schiavi delle consuetudini – e delle contraddizioni.)
Spero che lei abbia ricevuto la mia e-mail con gli appunti per il suo seguito. Sa, io non sono mai stato bravo a scrivere; quando ci provo, le parole vengono fuori tutte in una volta e non riesco a stargli dietro, è come se mancasse sempre qualcosa. Blaine, lui è bravo con le parole. Non importa quante volte provi a negarlo, a dire che non ha mai scritto niente di serio – si capisce da come parla. Ha sempre l’aggettivo giusto, lui, la frase perfetta al momento perfetto e onestamente, com’è possibile anche solo pensare il contrario, se lui stesso è perfetto?
E perché sto scrivendo tutto questo ad un alcolizzato che in tutta probabilità nemmeno si prenderà la briga di capire ciò che sta leggendo – che forse nemmeno leggerà questa lettera? E perché sto scrivendo una lettera e non un’e-mail?
Perché, Van Houten, certe cose sono troppo autentiche per racchiuderle in sequenze fredde di zero e uno sullo schermo di un computer.
Se non vuole scrivere questo seguito per me, lo faccia per Blaine. Se tutto continua ad andare come sta andando, tra un mese o forse ancora meno sarò in una bara sottoterra, e non avrò niente da lasciare a Blaine, niente che valga la pena di essere ricordato, niente. E io lo amo, Van Houten, lo amo così tanto che questa consapevolezza mi uccide.
So che lei sa cosa significa restare solo. Trasuda da ogni parola del suo libro, la sua solitudine. E io non voglio che Blaine si senta così, mai, perciò la prego. Lo faccia per lui. So che non sarà un miracolo, che non gli impedirà di soffrire e di restarne ferito – ma sa, Van Houten, nella vita non esiste la possibilità di non ferirsi.
Esiste, però, una vaga possibilità di scegliere da chi farsi ferire. Io ho scelto Blaine,e sono felice di averlo fatto.
Spero che lui non si penta delle sue scelte.
 
E Blaine si ritrova a sorridere, tra le lacrime.
Non me ne pento, Kurt. Non potrei mai pentirmene.











Non avevo voglia di aggiornare, oggi. Non ho voglia di far nulla da stamattina, in realtà; semplicemente perché il tredici luglio è una data, per me, impossibile da ricordare senza sprofondare nella tristezza.
Poi però mi sono detta che non ho niente da poter dare a Cory - o a Lea, o a chiunque gli era vicino - se non il mio affetto e la mia tristezza. E non so, postare questo capitolo e dedicarlo a lui mi sembrava giusto.
Forse perché se non ci fosse stato lui, questo capitolo, questa storia, Glee, la me di adesso - non ci sarebbe stato niente.

E quindi nulla, alla prossima settimana con l'epilogo.
Un abbraccio,

Elena.

(Rest in peace, angel.)






 
   
 
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