Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: VeronicaFranco    14/07/2015    22 recensioni
14 luglio 1789. Oscar François de Jarjayes chiude gli occhi da eroina su questo mondo, l'immagine del suo André nello spirito. E' la fine... o piuttosto l'inizio di qualcosa di molto più grande della Morte?
Storia immaginata nell'ambito del giorno celebrativo "Love Day", 14 luglio 2015, ideato da un gruppetto di donnine innamorate di Oscar e André!
Genere: Romantico, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


1. Mondi paralleli



– Non posso morire adesso… proprio non posso.


L’uomo si aggirava per i prati con espressione smarrita.
L’aria di primavera depositava al suolo soffi di zefiro, con l’ordinata sequenza del tempo.
Ma per quanto tutto, intorno, sussurrasse pace e riposo, la mente dell’uomo era inquieta, e il cuore peggio, gli batteva forte come mai.

Si toccò il petto una, due volte, proprio sul cuore. Era integro… e scoperto, come le braccia e il torso intero. Una cintura di morbido cuoio gli tratteneva sulla vita l’unico indumento che indossava: un lembo di lino che gli cingeva i lombi e ricadeva morbido sui fianchi.
Ancora zefiro, e caldi soffi di fiori gli accarezzarono i piedi nudi e le narici, le gambe scoperte fino a metà coscia.
Prese una lunga sorsata d’aria.
Era un luogo meraviglioso. Ma dove si trovava esattamente? Non ricordava di averlo mai visto, prima di allora.


Image and video hosting by TinyPic
(Dale Terbush, Ritorno all'Eden)


– Ekèi! – sentì qualcuno gridare alle sue spalle. – Autòs estì!
Laggiù! È lui!
Era la voce di una fanciulla. L’uomo si voltò, incerto. Non c’era dubbio: la ragazza puntava proprio lui. Era mora, giovane, leggera, e la sua corsa rapidissima. In men che non si dica, se la trovò di fronte. Un altro istante ancora, e fu attorniato da fanciulle simili. Un gruppetto ridente e affiatato, che lo osservava con molti occhi.
– Èfughes – disse la brunetta che aveva lanciato il primo grido, con aria di velato rimprovero – all’hemèis uk eteleutèsamen.
Sei scappato, ma noi non abbiamo finito.
Le altre si mossero immediatamente. L’uomo si trovò in imbarazzo di fronte all’assalto gentile di tante mani che provvedevano a più dettagli. Una delle fanciulle si industriò a riordinargli la stoffa di lino sul petto: fermò il chitone sulla spalla destra, tramite una fibula dorata. Una seconda si avvicinò al fianco opposto, pronta a fare lo stesso, ma poi ci ripensò, e si accontentò di disporgli la stoffa addosso in modo che cadesse bene, trasversale sul petto. Altre due si chinarono per afferrargli ciascuna una caviglia (e poco mancò che lui cadesse, in tanto zelo), e dopo una prima resistenza lo convinsero ad ammorbidire le tensioni e lasciarsi calzare i piedi di sandali di soffice cuoio, comodi al punto che egli dimenticò presto di averli.
Finiti quei compiti, le quattro fanciulle si allontanarono. Ultima, proprio la brunetta si alzò in punta di piedi davanti a lui, e prese a fissargli il viso con aria molto seria. Alzò una mano delicata (com’erano rosee, le sue dita!, com’erano morbide!) e prese a scostargli le ciocche che gli coprivano l’occhio sinistro.
– U dèi. – disse lei, con una sorta di materna indulgenza.
Non serve.
L’uomo sentì l’aria calda del giorno spirare anche su quella parte del viso che, fino a un attimo prima, versava in un’ombra volontaria. Aprì, cauto, l’occhio che aveva tenuto, fino a quel momento, ostinatamente chiuso. Il mondo si spalancò, il cielo pure. I colori diventarono più brillanti, come se a recuperare tutta la vista egli potesse, più che riassumere il senso dello spazio e della profondità, ritrovare la recondita gioia che esisteva nei fiori, nei prati e nelle nuvole. Una gioia che si palpava con mani nascoste nello sguardo, invisibili, e con nessun altro senso.
Poi, la ragazza sollevò l’altra mano. In essa recava un sottile diadema dorato. Fece presa leggera sul mento di lui, provò ad abbassargli il capo, fece per incoronarlo…
L’uomo si mosse, allora. Le fermò la mano, le afferrò il polso. Ritrovò la parola per imitazione, anche se non ricordava d’aver mai parlato nell’idioma di lei; eppure la comprendeva, e anche lei, sebbene esterrefatta dal suo slancio, ascoltò con pazienza, come se non vi fossero differenze.
– Una Rosa… bianca. Devo… trovarla. – disse, con qualche fatica.
La ragazza non gli rispose. Si limitò a indicargli, scuotendo il capo, un punto alla fine del prato, a ridosso di un bosco e dei primi edifici.
Lui la lasciò andare subito, allora. Senza attardarsi oltre, rinunciò alla piccola corona e alle spiegazioni in altre lingue, e corse fino all’affanno.

Il giardino si apriva al limitare del prato. Era denso del candore delle rose.
L’uomo si chinò sul loro profumo, ma strinse i pugni. Non era questo ciò che aveva chiesto. Non tante rose, Una; e di nuovo il petto gli bruciò, sotto il lino fresco, di un vuoto implacabile, che tutto lo divorava dall’interno. Nel luogo di tanta pace, non avrebbe trovato la sua propria pace finché non avesse dato corpo a ciò che cercava.
Andò a rifugiarsi tra le rovine circolari. Era un piccolo tempio, la base era scolpita a tre gradini. Le colonne, disposte in cerchio intorno al centro, culminavano in capitelli contesi tra spirali di marmo; essi reggevano un soffitto invisibile, sovrastato dall’ombra austera di querce e cipressi.
All’interno di quello spazio, trovò dell’acqua. Raccolta in un recipiente d’argento, invitava a saziare la sete e addolcire l’arsura del sole meridiano. L’uomo appoggiò le mani sui bordi e immerse il capo di getto, in un piccolo tuffo contornato di zampilli. Quando riemerse, ansimando forte, si osservò nell’acqua turbata per lunghi istanti. Occhi verdi come le fronde degli abeti, capelli scuri e ribelli, un’espressione sperduta.

Un nome affiorò alle sue labbra. Lo sussurrò sfiorando l’acqua per berla, ed ecco, la superficie delle piccole onde s’increspò fino a formare un’immagine. Egli contemplò, come da un’altissima rupe, piccolissimi edifici al di sotto; poi gli edifici si avvicinarono, egli distinse una fortezza che si ergeva crudele tra povere case; poi si avvicinò la piazza, invasa da fumo e corpi che parevano formiche. Poi la vista si fece ancora più acuta. Tra i corpi ne vide uno,  accasciato al suolo e in ginocchio: era una donna dai biondi capelli di seta.

L’uomo gridò. La donna della visione si riscosse, cercò intorno a sé: per un attimo, l’uomo sentì lo sguardo di lei su di sé.
Lasciò subito il bordo del catino, pronto a correre dov’erano le fanciulle, a sbraitare per sapere come raggiungerla. Ma non ve ne fu bisogno. La brunetta si era fermata alle sue spalle, giunta in silenzio, e gli stava sorridendo.

– Mene.
Aspetta.
– Lei è laggiù. – disse l’uomo, a denti stretti. – Devo andare da lei.
– Hautè elèuse.
Sarà lei stessa a venire.
– Non posso lasciarla sola! – implorò, roso dall’angoscia.
– Ouk èpraxas.
Non l’hai fatto.
Il tono carezzevole della fanciulla bruna istillò una nuova calma nell’animo di lui. Da come lei lo guardava, in modo simile a come si fa con i pazzi, o con i bambini troppo vivaci, sentì d’essere fuori luogo; anche la sua angoscia doveva essere fuori luogo. Poteva fidarsi? Qualcosa gli diceva di sì. Ma come ignorare la spina che in quel momento stava lacerando il suo cuore a sangue, mentre intuiva ciò che stava accadendo in quel mondo lontano, attraverso i riflessi dell’acqua viva?
– Che cosa le succederà… – mormorò, con un filo di voce.
– Tarsyne. Aièi polytlas estha.
Abbi coraggio. Sei sempre stato paziente.
La fanciulla appoggiò la mano sulla spalla dell’uomo, sul punto che poco prima le sue compagne avevano rivestito finemente. Chiuse gli occhi, mentre lui tremava sensibilmente, e respirava spezzato, e forse, forse un poco piangeva, e gemeva a fiotti amari; finché tutto smise, e una nuova calma pervase il corpo del nuovo Beato. Egli sembrò rassegnarsi a osservare, in un lento e velenoso stillicidio, gli ultimi battiti del cuore mortale della donna bionda attraverso lo specchio d’acqua.

Nell’immagine animata, la scena procedette ignara. Avevano adagiato al suolo la donna bionda, coprendola con panni rimediati chissà dove. Una ragazza le stava asciugando il viso. Intorno a lei, uomini armati osservavano la scena con occhi sbarrati, immobilizzati dal dolore e da un’angoscia vicina a quella dello spettatore lontano.

L’uomo gemette di nuovo. Le sue mani accarezzarono il bordo del catino con tocco leggero: la sua bocca si mosse in un sussurro impercettibile.

Nell’immagine riflessa, la donna bionda fissò di nuovo un punto lontano sopra di sé. Di nuovo, a lui parve di diventare, da osservatore che era, osservato; e lo sorprese la placida quiete di quegli occhi azzurri, tesi a seguire il volo di una colomba verso l’alto. Se pianse, allora, fu per la tenerezza. Allungò una mano a sfiorare il viso diafano e pallido di lei, così come l’acqua glielo offriva; ottenne di sbiadire, nelle increspature dell’acqua, i lineamenti della donna, e così si trattenne, con i polpastrelli bagnati, da altri movimenti inconsulti.

Cercò di farsi bastare lo sguardo di lei, vivo e pulsante attraverso la barriera tra i Mondi, un attimo prima che sparisse tra le ciglia, e un lontano

– Addio…

echeggiasse attraverso l’aria, l’acqua viva e la sua carne di uomo nuovo.
Pietra avvinse le sue membra, pietra i suoi occhi, la sua bocca pietra e sale amaro,
e aguzza crudeltà di spina avvolse il suo cuore, implacabile come i rovi fioriti.
Non si accorse di lacrimare come un rivolo di montagna.
Né di biascicare parole nella sua lingua originaria, il cui suono predominante era una m imprigionata tra le labbra tremanti.

La fanciulla dalle dita rosate era ancora lì con lui. Osservò le sue lacrime immote con aria di rassegnata indulgenza. Gli parlò con calore, incoraggiante.
– Èrchetai eis se.
Sta arrivando da te.
L’uomo si sciolse in amore, a quelle parole. Guardò la fanciulla che lo scortava, con occhi sbarrati e un sorriso vivo, prima timido, poi forsennato.
– A… adesso?
– Ede en odò esti.
È già in cammino.
– Dove la troverò? – chiese l’uomo, le parole più rapide del pensiero, in linea col trepidare del corpo e delle emozioni.
La brunetta indicò la via con la mano libera, l’indice e il medio uniti in direzione di una collina e di un tempio poco lontano, che emergeva bianco nel verde scuro di un piccolo nemus, il boschetto sacro che custodisce la casa di ogni dio.

L’uomo partì come una saetta. Percorse a ritroso il giardino e il prato brillanti, lasciò le rovine circolari e i cipressi verde spento. Correva come un mortale, buffo a vedersi, trottando come un bimbo che, pur non sapendo camminare ancora, già voglia superare il vento. La fanciulla lo scortò con un sorriso, e chissà come, senza sforzo era sempre accanto a lui. Ella sapeva che in breve avrebbe imparato anche lui il passo dei Beati, era questione di tempo; la coscienza dell’umanità passata l’avrebbe pervaso ancora per poco, come la luce possiede l’orizzonte nell’istante del tramonto.



2. Lucciole dell’Aldilà


La donna si svegliò su un giaciglio di petali e di foglie fresche. Imbruniva, quando lei aprì gli occhi sulle stelle dell’Altrove.
Cercò subito di alzarsi. Non trovò difficoltà nei movimenti; eppure, avrebbe giurato d’essere tutta intorpidita e rigida, percorsa nelle carni da fitte innumerevoli. Niente di tutto questo: il suo corpo era leggero, anche se, una volta in piedi, ebbe un piccolo capogiro, come capita a chi passeggia in montagna verso l’aria più rada.
Scostò i fitti riccioli biondi che dalle spalle le coprivano il petto, scendendo fino al grembo. Si scoprì nuda.

Era un angolo riparato tra colonne antiche e vividi cespugli punteggiati di fiori rossi e bianchi. I primi bracieri della notte elisia attiravano le falene immortali e le lucciole. Una di essere ronzò pigramente davanti al volto della donna, che la contemplò rapita e perplessa… e con uno scatto la ingabbiò nel proprio palmo, afferrando l’aria e la malcapitata.
Tenendo il pugno chiuso in modo tale da non schiacciarla, ma fittamente, per non liberarla, la donna spiò la lucciola con un occhio.
In quel momento, la stanza a cielo aperto in cui si trovava si popolò di voci e movimento. Dalle colonne emersero, festose, alcune fanciulle d’età molto giovane; i venti della primavera danzavano con loro, e anche se la sera si avvicinava, la donna si accorse di non sentire affatto freddo. C’era un tempo sereno, in quel luogo, sospeso e amabile.
Alcune delle fanciulle portavano tessuti e ornamenti. Una le offrì la mano e l’aiutò ad alzarsi.
La donna accettò il contatto, riluttante, ma dimenticò di liberare la lucciola imprigionata nel palmo della sinistra.
Le fanciulle presero a danzarle intorno, zelanti.
Senza chiedere nulla, presero a cospargere i suoi capelli e la sua pelle di olii profumati, con gesti sapienti e accorti, gentili, certo, ma terribilmente invadenti. La donna provò imbarazzo a esser maneggiata in modo così disinvolto, e fu più forte di lei ribellarsi. Si lamentò, si agitò e cercò di liberarsi senza far male a nessuno, respingendo con una mano le ragazze e cercando di scavalcare quelle che le stavano preparando un catino accanto ai piedi, per immergerveli. Le altre la trattennero per le spalle, niente affatto offese, semmai divertite; e questo alimentò la stizza di lei, che lanciò un richiamo perentorio, non necessariamente sensato in qualche lingua. Ma quelle, ridendo ancora, mostrarono di non preoccuparsi della sua contrarietà.

Mentre cercava disperatamente una via d’uscita, lo sguardo della donna corse alle colonne, dopo le quali si aprivano prati e porzioni di bosco, aria! Ed ecco, d’un tratto nella sua visuale s’impiantò, stabile, la figura di un uomo che pure la stava guardando, spiandola da dietro una colonna striata d’edera verde.

La donna dai capelli d’oro spalancò le labbra, presa da uno stupore violento. Inavvertitamente, schiuse anche la mano sinistra: la lucciola si liberò con sollievo, e volò davanti al viso della sua carceriera per un istante.



3. Vero-Uomo e Spada-di-Dio


– Quanta impazienza, Vero-Uomo, – lo canzonò Eos, la fanciulla bruna, comparendo alle sue spalle. Ad André parve di capirla meglio: ormai quasi non sentiva il sovrapporsi di forma e senso nella sua mente, e il linguaggio della fanciulla arrivava a lui, esotico e antico, nel suo significato reale, senza bisogno d’indugi e sforzi di comprensione. – Vedi bene che dobbiamo preparare anche Spada-di-Dio, prima di consegnartela.
André restò ancorato a osservare la donna bionda che le ninfe stavano preparando, come diceva Eos. – Spada-di-Dio… ? – le chiese, esitando.
– È così che è stata chiamata in terra mortale, anche se avete troppe strane lingue, voi uomini, da quando avete deciso di coltivare la superbia verso l’Alto. Probabilmente in una di quelle lingue il nome suonava diversamente, ma io preferisco la mia.
– Oscar…
– Sì, esatto. Spada-di-Dio viene detta Oscar, nella vostra realtà d’origine.

Frattanto le ancelle, approfittando dell’esitazione che aveva divorato Oscar all’arrivo di André, ripresero alacri il loro lavoro preferito, quello di produrre Bellezza.
L’intruso non fu nemmeno preso in considerazione, da loro. Che sbirciasse pure, se la Signora Eos era con lui; loro avrebbero continuato l’opera indisturbate.
Con tenere, gentili carezze finirono di bagnare la nuova arrivata di acqua profumata. Fecero scorrere l’unguento sul collo e tra i seni; da lì, un rigagnolo preciso come fil di piombo andò a segnare la scia verso l’ombelico di lei, per poi diffondersi sotterraneo nel giardino del suo corpo, e stillare lentissimo nella sua verità di donna.
Due fanciulle bagnarono e lavarono la sua schiena; per farlo, scostarono il peso leggiadro dei suoi capelli, ai quali le altre due presero a intrecciare serti di gigli e campanule e narcisi. La regina dei fiori, scelta bianca per l’occasione, fu il coronamento di tanti ornamenti, e fu incastrata con attenzione a un ricciolo che scendeva da dietro l’orecchio sinistro, per trattenere parte della chioma d’oro e disciplinarla dall’altra parte del collo, a destra.
Oscar chinò il capo, lasciando che le attenzioni delle ancelle intorno al suo corpo la rubassero allo sguardo sgranato di André.
Dolce, la confusione dei suoi pensieri; i ricordi iniziavano a muoversi un poco, anche se erano lontani dalla chiarezza. Lei sapeva soltanto che, nell’attimo in cui gli occhi di lui avevano raggiunto i suoi, il cuore le si era fermato, e un sentore di profonda appartenenza l’aveva attirata ai lineamenti nobili del volto di quell’uomo. Celò lo sguardo per felicità, non per pudore; o forse anche per quello, chi può dire cosa muove i gesti timidi di un’amante; ma quando rialzò il viso, e lo cercò, André si era voltato, e si era celato dietro una colonna. Stava parlando con un’altra fanciulla dai capelli castani, e Oscar, deviando lo sguardo piena di dubbio, lasciò ancora che le mani sapienti delle ancelle posassero fili d’oro su fili d’oro, fiori su pelle bianca e tessuto pregiato ai suoi piedi.

– Vero-Uomo. Hai così fretta di ricordare… – disse Eos, con tono rassegnato. André si era appoggiato alla colonna. – Potresti anche non farlo mai, non è obbligatorio.
– Dove siamo? – chiese André, stringendo a un tempo i denti e i pugni.
Eos sospirò. – Dove vanno tutti coloro che l’hanno meritato nel loro cammino mortale.
– … sono morto.
– Siete morti. Entrambi. – disse Eos, ancora con il tono paziente di chi ha visto la stessa scena migliaia di volte.
– … Dio, perché anche lei… – disse André, e batté un pugno contro una colonna, così forte che, in altre spoglie, si sarebbe di certo ferito.
Eos si stupì molto di quel gesto e di quelle parole.
– Cosa ti prende, Vero-Uomo?
– Preferirei essere morto io due volte… che sapere lei… – non concluse la frase. Sputò un rantolo di rabbia e di dolore.
Eos si fece pensierosa. – Perfino quaggiù, tra i tanti Beati giunti ai Campi Elisi… un sentimento come questo è raro. – e d’un colpo la fanciulla sorrise, molto lieta. – Ora capisco perché vi è stato fatto dono di ricongiungervi così presto.
André le rivolse uno sguardo incerto, perfino rancoroso. Ai suoi occhi, quella ragazza non capiva. Il suo strano accento, i suoi abiti antichi e quella sorta di onniscienza non giocavano alcun ruolo, nel dargli sollievo. Tutto quello che riusciva a vedere era che…
– Siamo stati strappati alla Vita. Lei non è più viva. Cosa accadrà, adesso?
– Ah! È vero… voi chiamate vita l’inarrestabile corsa verso il Passaggio. – e rise, divertita.
André subì quella risata, senza capire ancora. Lei riprese, placida:
– Se ti dicessi, Vero-Uomo, che era Vita anche il respiro sfuggito per l’ultima volta alle labbra tue e della tua amata, ti arrabbieresti ancora…
In quel momento, furono interrotti da una delle ancelle.
– Signora Eos. Spada-di-Dio è pronta.
– Molto bene, Galatea. – Eos si rischiarò tutta in viso. – Portate l’occorrente per il rito.
– Rito? – chiese André, mentre la fanciulla chiamata Galatea correva a informare le altre.
Eos gli fece un altro sorriso, scuotendo il capo. – Hai compiuto lo sforzo di ricordare, cedi all’istinto di imprecare al destino, eppure non hai richiamato alla mente il tuo ultimo desiderio?



4. Doni celesti


Image and video hosting by TinyPic

Le misero indosso una veste di bisso prezioso. Era d’oro come l’intreccio delle spighe nei campi floridi di maggio. Fu fatta scorrere sulla sua pelle come un’altra pelle; la stoffa preziosa toccò le punte dei seni, suggerì su di essi un tintinnio invisibile, e Oscar rammentò l’abbraccio di André sull’erba soffice, quando sotto le sue mani quegli stessi piccoli seni avevano tremato come vivi frutti.
Quando tutto il lungo peplo dorato l’avvolse nella sua figura, le fanciulle le chiusero una cintura intorno alla vita, e lei ritornò all’attimo in cui la sua era stata sciolta per sempre, in una promessa infinita. Le mani erano state di lui, André; avevano scorso i suoi fianchi e accarezzato le sue dolcezze mentre lunghi baci stillavano da bocca a bocca.
Mal interpretando l’arsura di un suo sospiro, che era nato solo per pronunciare il nome adorato,
– André...
le fanciulle le fecero bere del nettare. Questo inumidì le sue labbra e vi rimase impresso con tutto il suo sapore. Oscar si asciugò con un leggero tocco di lingua, poi con la punta delle dita. Chiuse gli occhi, coprendosi la bocca. Si baciò il palmo in modo lievissimo, e sospirò ancora.
A limare la sua impazienza fu solo la confusione di tante sensazioni in una volta, aggressive per il suo spirito
come un gioioso battaglione di formiche
pascenti su un torsolo di mela
abbandonato sulla via estiva.

E non fu solo l’ardente pensiero di André ad addolcirla. Mentre le ancelle l’adornavano, ebbe il tempo di ricordare anche altro, e di tornare per un poco agli attimi dell’Addio. Tutto si rifece vivo nei suoi pensieri: ciò che un tempo l’aveva scossa, turbata ed emozionata, era fresco e tiepido in quel momento, dolce, pieno di quella tenera tristezza che accompagna le cose finite. Padre, Madre, Nonna, Regina. Amici, Soldati, amati e odiati. Un flusso d’anime che sentiva lontane ormai dalla sua, ma disposte in affresco davanti ai suoi occhi di stelle. Stupita, si perse nel regno dei ricordi con un sospiro vago e tremante. Andò col pensiero ai sogni di gloria, ai piccoli grandi piaceri che avevano costellato i suoi giorni, brevi come petali di rosa.
Quei ricordi le donarono identità, malinconia, ma non rimorsi; forgiarono il suo spirito in forma di freccia, e quella freccia puntò ancora André, inevitabilmente.
Oscar si lasciò colpire dalla grandine del languore, dal sentimento vastissimo che nella sua breve ingenua vita aveva lasciato a riposare sotto la coltre della cenere. Lei, che bambina aveva amato, e goduto del fuoco dell’affetto e dell’amore, da adulta aveva venduto il proprio corpo al dovere; asciutta e salda era stata nella sua aridità, lei che tanta sete aveva avuto, sete d’amore purissimo.
– La pioggia mi ha bagnata, ma non mi sono dissetata alla sua fonte… se non una volta. – disse, mentre un’altra lucciola danzò accanto al suo viso, rischiarando a un tempo la sua esitazione e i suoi occhi chiari, la sua bocca tremante.

Proprio in quel momento, le ninfe si disposero attorno a lei, soddisfatte dell’opera ben fatta. Fatta sfavillare come una dea, più della stessa Eos che tutto aveva diretto, Oscar era pronta.
Ella aveva
il sorriso fragile dell’attesa, della sposa che viene ornata per il giorno della consacrazione;
la riservatezza di un pensiero felice e schivo, intimo come la nudità avvolta nelle vesti, pronta a svelarsi ancora a mani calde d’amante;
una commossa dolcezza.
Cercò così André, lì dove l’aveva lasciato con gli occhi: ma non lo trovò.  

In silenzio, Eos le si fece vicina.
– Spada-di-Dio, egli ti attende nel vostro giardino di rose. Ma prima, concedimi di consegnarti ciò che ti spetta, a nome dei Celesti che ci guardano adesso.

Detto questo, Eos si inginocchiò. Sollevò verso l’alto un involto di cotone dipinto di porpora.
Oscar la osservò, contemplò l’involto e annuì, con stupita solennità.
Eos alzò il capo, e disse:
– Hai calcato la terra cruenta in gloria. Hai preceduto i tempi dell’Elisio vestita degli ideali della Battaglia, della Giustizia e della Libertà: non c’è stato uomo, al tuo confronto, tanto grande in queste cose.
Oscar ascoltò quelle parole senza replicare. Chiuse gli occhi, nella posa consueta che faceva di lei un enigma anche in vita mortale.  
– Questo è il dono che ti viene fatto, perché tu diventi Simbolo. Che tu sia, ora e per sempre, signora di Vittoria e di Coraggio, figlia di Marte e del fuoco della Guerra. Non come mortale, che calpesta la terra come tutti gli altri; ma come immortale, astro perenne che dal Cielo ispirerà chiunque aneli alla Libertà.
Oscar annuì lievemente; accolse il dono rendendo grazie col capo, muovendosi lenta sul confine tra umiltà e coscienza. Sapeva di che dono si trattava. Lo estrasse, e non si era sbagliata. Era una spada sottile e scintillante, tale e quale a quella che aveva brandito nel suo cammino di Comandante, di Soldato, di Rivoluzionario.
Eos si alzò in quel momento.

– La Rivoluzione… continuerà? – chiese Oscar, lieve.
– Continuerà sempre, per gli uomini di buona volontà.
– Mi sarà concesso combattere ancora?
– Celata in ogni animo ribelle e appassionato, sì, combatterai… e molto.
Oscar annuì ancora, vaga.
Soave come l’acqua che disseta sotto il sole,
gli occhi stretti in limpido chiarore,
la bocca aspersa del languore d’un bacio rimandato,
ella sospirò di passione nella notte elisia, verso i bracieri che accendevano l’aria e le stelle lontane e sapienti, dimora degli Dèi suoi benefattori.



5. Alma Venus


Io sono Venere.
Ti ho strappato il cuore e l’ho lanciato nelle fiamme quand’eri vivo.
Ho fatto in modo che tu affiancassi una donna votata alle armi, e sono stata sempre io a farla bella.
Io ho deciso che su quella bellezza tu perdessi gli occhi, e l’ho fatto, povero caro, per ripicca al mio divino amante: egli credeva, sciocco, di poter giocare con una donna a far la guerra e nient’altro. Marte, dico: era convinto che Spada-di-Dio fosse sua, e l’aveva creata per dimostrarmi quanto fosse forte rispetto al mio potere.
Nacque tutto da una scommessa. "Ti forgerò una donna-soldato perfetta, che non conoscerà altro che la guerra, e vedrai cosa ne sarà dell’amore che comandi".
Poteva renderla splendente nelle armi, bene, l’ha fatto. Non era cosa di mia competenza. Ma il suo aspetto, oh, lì ho potuto intervenire.
Ingenuo, il mio Marte. Non ricordava, forse, che la mia prima arma, quella con cui indirizzo all’Amore, è la Bellezza. Esteriore, certamente, superficiale; quante vittime fa!

Ho contato il numero degli uomini e delle donne conquistati da un solo sguardo di quella creatura che tu chiamasti Oscar. Marte non mi volle riconoscere il primato, non volle dire che Oscar ha fatto innamorare di sé più di quanto abbia ucciso.
Pazienza. Ho vinto comunque, perché io conosco il cuore degli uomini meglio di lui.

L’Amore si fa anche nella Guerra e nell’Odio; l’Amore che salva si nasconde nella mano che regge l’elsa della spada.
Io ho sciolto le mani di lei da quell’elsa, perché cadessero sul tuo petto in carezze ardite.
Io ho lottato con te in silenzio, nell’ombra, affinché tu testimoniassi il mio potere infinito e spezzassi la lancia di Marte.
Io ho fatto di te il mio strumento, Vero-Uomo.
Ti ho reso bello come la frescura dell’estate, dolce come l’ambrosia di Quassù.
Io ti ho tolto la luce perché contemplassi prima del tempo la luce di Quassù. Ti ho insegnato l’eroismo.
Nobile come lei, una nobiltà di cuor gentile; coraggioso come lei, d’un coraggio diverso.

Il coraggio di Marte è irruento, quanto rumore fa. Grida tra i cannoni e mette paura. Scioglie le ginocchia col terrore di un ruggito.
Io faccio perdere i sensi con un bacio.
Uno schiaffo ferisce, una carezza annienta.

Quando lei ti ha colpito nella notte,
cos’hai risposto tu? Un bacio.

Quando lei ha gridato,
cos’hai versato tu sulla ferita?
Sale
di lacrime!

Chi osa ancora credere che l’Amore perde
contro la Guerra,
l’Odio
e la Morte

venga a osservarvi adesso, mio caro protetto, chiamato André dagli uomini.
Venga, chi non crede all’Amore,
e sia testimone.

Ecco, lei ti stringe,
lei ti bacia,
lei freme quando tu la tocchi;
sul suo collo brucia il respiro e l’eternità.
Lei ti sussurra,
ha dimenticato le grida furiose;
lei ha trasformato
l’assalto in passione.
Sono fiera di te, Uomo-Vero,
che dell’Amore hai fatto sacrario.
Sii bello come un dio, d’ora in poi.
Vivi nell’ombra e nella sofferenza
di chi d’amore vorrebbe nutrirsi, e non sa
come far breccia nei cuori ostili.
Fai del tuo sorriso sapiente
il loro sorriso;
fai della loro paura la tua paura
d’essere abbandonato.
Grida la tua solitudine al mondo,
eco del grido di molte persone.
Fatti spazio
per una stanza grande il Cielo,
dove chi soffre per amore
trovi nell’Amore la risposta.
Bravo, mio protetto, bravo coi tuoi baci,
bravo con i tuoi abbracci
che hanno rispettato ogni suo no,
bravo con i tuoi sguardi attenti
e la potenza infinita del tuo essere
roccia.
Roccia!
L’Amore ti ha reso montagna!
Il Cielo e l’Aria ti accolgono ossequiosi!

Il tuo premio è lei.
Da una nuvola ti osservo consumare
la sacra notte del vostro matrimonio,
come una madre, sai,
come tu fossi
il fratello di Enea
e un po’ meglio di lui,
ché nessuna Didone hai strappato,
al contrario,
mio caro, al contrario.
La tua Didone grazie a te è risorta.

Marte è qui con me. Osserva sua figlia
sciolta tra le tue braccia
e scuote il capo, sconfitto.
Gli prendo la testa tra le mani e l’appoggio sul petto.

Povero Marte, io sola conosco la sua debolezza.
Io sola.


Image and video hosting by TinyPic
(Sandro Botticelli, Venere e Marte, 1482-1483 circa)




6. In aeternum


André aspettava al limitare del giardino, e pareva smarrito. Se anche aveva dismesso gli abiti che aveva avuto all’epoca degli ultimi Lumi, quelli che esplosero in Rivoluzione, faticava ancora a entrare nei panni che gli erano stati infilati dalle ancelle di Eos. E sì che era vissuto a Versailles, sotto i soffitti decorati di divinità… la cosa non aveva importanza. Le vesti del mito non lo entusiasmavano, e certamente non avrebbe saputo accettare la corona della gloria con la sobria noncuranza di Oscar. La sua eternità aveva altre ragioni d’essere, e i suoi meriti splendevano all’ombra di un sentimento che, re di ogni altro, vince meglio se inginocchiato al suolo, come un’umile tamerice.

– Èrchetai!
Arriva!, gridarono le ancelle.
Eccola, lungo il sentiero che costeggiava il boschetto attraverso il colonnato, la donna dal capo di sole. Si affrettava tra i fiori e i cespugli bassi, abbagliante d’oro. Recava alla cintura la spada scintillante del dono divino; il suo incedere pareva brezza.
André si fece piccolo di fronte a lei, anche se era alto e snello e con le spalle poteva cingerla fino a strapparle ogni ombra dall’animo. Proprio lui si sentì piccolo, sì, intimidito da quello splendore che aveva disperato vedere ancora così grande. E intanto Oscar si faceva vicina, e teneva lo sguardo basso.
Lui rimirò intento il candore delle sue braccia, del suo petto, del suo collo. I piedi calzati sparivano nell’erba bassa, ma le sue caviglie erano ugualmente bianche a fronte dell’oro della veste di bisso. E quella stessa veste, lui ricordava come dolcemente aveva sfiorato il corpo tutto della sua donna mentre la vestivano. I fianchi torniti, le gambe snelle; i seni piccoli e irti, fieri come lei. Desiderò spogliarla per il gusto di rivestirla ancora, con le sue proprie mani. Pensieri che, in vita, l’avevano massacrato di dolore, ora martellavano la sua coscienza col piglio gioioso delle campane a festa.

Quando lei si fermò sulla soglia del giardino, lui si sentì ridere dentro come fa il cuore al canto di una farfalla.
Pochi passi per abbracciarla ancora.
La sua mente si fuse ai suoi sensi, il corpo ragionò come se avesse senno.
Il desiderio, mostro dalle teste infinite, si ammansì in un canto segreto.

La voce di Oscar ruppe il silenzio sospeso di André.
Lei parlò piano, senza osare sfidare gli occhi del suo promesso. Liberò di nuovo la sua bella voce profonda e calda, fragile di commozione, di confessioni.

È vero, esistevano altri modi
per chiuderti il mio cuore.
Qualche scheggia di vetro
ci avrebbe potuto aiutare.
Nell'amaro silenzio
ho deciso di perdonare
gli errori che si son potuti fare
amandosi troppo…

André posò la mano sulla guancia di Oscar. La pelle era calda, arrossata. Con il pollice disegnò la linea delle sue labbra, umide d’emozione com’erano umidi e scintillanti i suoi occhi. Lei respirava forte, come se fosse ancora com’era stata una volta, arresa e infiammata tra le sue braccia. Qualunque cosa significasse quel preambolo, André lasciò che Oscar parlasse ancora. Chi poteva sapere quale polvere le era rimasta indosso dal passato di terra e ossa, che rimorsi, che sensi di colpa. Lo spirito degli uomini è solito cantare a voce spiegata i nodi di tutta la vita, per tutta la vita e soprattutto dopo. Quello di Oscar implorava di parlargli così, a fiume, come aveva parlato poche ore prima, su un lettino improvvisato, in una miseranda piazza di Parigi, al tramonto del giorno 13 del settimo mese dell’anno 1789 dell’era cristiana.

È vero, la bambina
che è in me spesso ti reclamava.
Come fossi una madre
tu mi custodivi, mi proteggevi…
Ti ho rubato il sangue
che non avremmo dovuto condividere.
Ma al fondo delle parole, dei sogni
io volevo urlare…

André allargò le braccia, la serrò forte al proprio petto. Oscar stava parlando della morte, della sua morte, quella di André. Le parole successive, le gridò sul suo cuore, e lo strinse forte, ancora più forte.

… Ti amo, ti amo!
Come un folle, come un soldato,
come una stella del firmamento!
Ti amo, ti amo!
Come un lupo, come un re,
come un uomo che non sono,
vedi? Ti amo così!

André lasciò libertà a quel grido accorato. Poi colse ancora il viso cieco di lacrime della sua Oscar, e lei continuò un poco, ancora un poco a cantare, a sussurrare.

È vero, ti ho confidato
tutti i miei sorrisi, tutti i miei segreti.
Anche quelli di cui solo un fratello
è il guardiano sconosciuto
in questa casa di pietra.
Satana ci guardava danzare,
ho voluto così tanto la guerra
di corpi che facessero la pace…

Un bacio. Il primo bacio nell’eternità, colto tra le loro bocche da un attimo impetuoso.

Non potevano essere morti, Eos aveva ragione. Sentirsi tremare in quel modo l’anima è segno di carne viva. Non era perduto nulla, se poteva tenere il viso di Oscar tra le mani come una coppa di cristallo, se poteva bere il suo amore con ogni senso. Se poteva sentire l’ardore del corpo guidarlo nella notte del loro matrimonio celeste. Se poteva con crudezza ripercorrere i propri tormenti e sublimarli in lei…

Fino a fare impallidire tutti i Marchesi de Sade,
fino a fare arrossire tutte le puttane del porto,
fino a far gridare pietà a tutti gli echi,

fino a far tremare le mura di Gerico,
ti amerò.

Ti amo, ti amo!
Come un folle, come un soldato,
come una stella del firmamento!

Fino a far bruciare inferni nei tuoi occhi,
fino a far imprecare tutti i tuoni di Dio,
fino a far drizzare i tuoi seni e tutti i Santi,
fino a far pregare e supplicare le nostre mani,
ti amerò.

Ti amo, ti amo!
Come un lupo, come un re,
come un uomo che non sono!

Ti amerò come nessuno ti ha mai amato,
ti amerò più di quanto i tuoi sogni abbiano mai immaginato.
Io ti amerò. Ti amerò.

Ti amerò come nessuno ha osato amarti,
ti amerò come avrei voluto disperatamente essere amato.
Io ti amerò. Ti amerò.

Negli occhi chiusi si consumavano i ricordi, in quelli aperti il presente spalancato.
Vedi? Ti amo così… – sussurrò Oscar con un filo di voce esausta.
André lasciò che il respiro di entrambi tornasse lieve e scandito, senza sforzi. Sfinito d’amore sul corpo abbandonato di lei, riprese il suo sussurro nella notte ambrosia.

Fino a far invecchiare, imbiancare la notte,
fino a far bruciare la luce al sorgere del sole,
fino alla passione e fino alla follia,
ti amerò, ti amerò d'amore.

La cerimonia nuziale si compì così, nel regno di Venere. E quando davvero albeggiò sul nuovo mondo perenne, André sussurrava ancora sul cuore schiuso di Oscar…

Fino a fermare e chiudere i nostri occhi,
fino a far soffrire e morire i nostri corpi,
fino a far volare le nostre anime al settimo cielo
fino a crederci morti e fare l'amore ancora,
io ti amerò.


***



Image and video hosting by TinyPic
(Riyoko Ikeda, Versailles no Bara, dal Capitolo 8. La strada che va da sé)






_____________________________________________________________________
Note.
- Nata come one shot nell'ambito di una celebrazione collettiva che abbiamo voluto chiamare, insieme alle donnine del gruppo fb "La rosa di Versailles/Lady Oscar e André", "Love-Day" (omaggio all'amore e non alla morte di O&A), questa storia si è messa a camminare da sola dopo le prime battute, moltiplicando i punti di vista. La morte, be', è citata, non ho potuto farne a meno... e anche se si sono formati dei sottocapitoletti, l'ho voluta comunque tenere tutta insieme seguendo il filo comune dell'Apoteosi. Giusto per celebrare, in questo 14 luglio famigerato, quello che per me è il senso reale dell'Amore tra Oscar e André: un Amore eterno, che supera ogni barriera e ostacolo... anche, e soprattutto, la Morte tanto detestata.

- Per l'ambientazione dei Campi Elisi, e in generale per l'idea, uno spunto succulento me l'ha offerto la Ikeda stessa, proprio con immagini come quella che ho postato sopra! Adoro le illustrazioni in cui Oscar e André sono visti in abiti greco-romani, con tutte le allegorie del caso (il figlio di Marte...). Ho cercato di seguire il tracciato ikediano, inZomma!

- Forse qualcuno si è accorto che il linguaggio usato dalle ninfe ed Eos si ispira decisamente al greco antico: non dico che lo sia, dal momento che non ho una scienza così sopraffina!! Inoltre, sarebbe artificiale tentare di considerarlo lingua viva: non conoscendo il greco moderno, mi sono industriata così, con un po' di greco antico maccheronico, visto che il suono mi piaceva comunque tantissimo e dava il tocco grecizzante e mitologico che mi serviva.

- Vero-Uomo e Spada-di-Dio sono due versioni un poco adattate dei significati dei nomi André e Oscar. André, come Andrea, deriva dal greco e significa "coraggio, valore militare, virilità, virtù di uomo". Ho subito pensato a quando, nel salutare Bernard sulla via di Parigi (episodio 27), Oscar definisce André "più uomo del Cavaliere Nero". Avevo pensato alla variante Uomo-Coraggioso, ma non rendeva assolutamente l'idea. Oscar, invece, propriamente dovrebbe significare "Guerriero di Dio", dal germanico. Però nell'anime (non ricordo la puntata precisa, credo la 31), Diane dice a Oscar che suo fratello Alain le ha spiegato che in ebraico (?!) il nome Oscar vuol dire "Spada e Dio" (dettaglio mai tradotto in italiano, adattato in "Mio fratello Alain dice che voi siete il miglior comandante che abbia mai avuto"). Ho fatto 2+2, et voilà!

- Le due voci di Oscar e André che si intrecciano nel capitoletto 6 sono traduzioni mie (con lievissimi adattamenti) di due canzoni francesi che amo moltissimo. Una è Je t'aime di Lara Fabian (https://www.youtube.com/watch?v=bVvkcaY5khc), l'altra Je vai t'aimer di Michel Sardou (https://www.youtube.com/watch?v=nqICiNkgyWo). Entrambe, grazie alla passionalità degli interpreti, rispecchiano profondamente la mia idea dei sentimenti di Oscar e André; e le parole sono perfette, come si può ben vedere, sia per la storia in generale che per questa mia "Apoteosi". Ascoltatele e mi direte!

- Grazie a chi leggerà, ma soprattutto grazie a chi ha scritto come me per questo 14 luglio all'insegna dell'amore e non della morte dei nostri due ama(n)ti. Se passate di qui e masochisticamente siete arrivati fino in fondo, correte come me a farvi una scorpacciata di romanticismo, oggi il fandom BOOOOLLEEEEEEE! *____*
   
 
Leggi le 22 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: VeronicaFranco