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Autore: waterdrop    14/07/2015    10 recensioni
È appena cominciato l'autunno quando la terapista di Darcy propone a sua madre di farla tornare all'ospedale psichiatrico di Sidney. Darcy non ha scelta, se non quella di andare. Come se le cose non potessero andare peggio, appena arrivata le comunicano che a causa di problemi di spazio verrà collocata nel dormitorio maschile. A Darcy cadono le braccia: non potrebbe andare peggio. Ma le cose cambieranno in fretta.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La cosa più fottutamente inquietante degli ospedali psichiatrici sono le fottutissime urla. Non ti puoi abituare: gridare è la cosa più selvaggia che il nostro misero corpo riesce a fare. Forse, se fossero una costante presenza, la mia testa sarebbe anche capace di trasformarla in una tranquilla ninnananna. Ma le urla ti prendono all’improvviso: ti gelano il sangue prima ancora che ti ritorni al cuore. La prima cosa che sento quando varco l’ingresso è proprio un urlo straziante. 
L’infermiera sorride nervosamente, mia madre si blocca fra le porte automatiche che cominciano ad aprirsi e chiudersi ritmicamente. Ci siamo già salutate prima, quindi mi dirigo da sola verso la segreteria. La donna che c’era qui l’ultima volta non c’è più: al suo posto c’è un ragazzo con gli occhiali tondi e un’aria profondamente turbata. Quando mi vede arrivare, alza la testa in fretta e tira in avanti il petto. “Buong... buonasera” dice tirando su gli occhiali con l’indice e incrociando le dita subito dopo. “Sono Darcy Moonacre” sorrido appena. “Ho richiesto una stanza qualche sera fa” riesco a dire prima che arrivi l’infermiera. “Dammi le chiavi per la 612 B” chiede lei al ragazzo, che ci fissa entrambe prima di aprire un cassetto alle sue spalle.
“Ma... È nel dormitorio maschile” dice mentre tira fuori una chiave e una cartellina.
“Quello femminile è strapieno” risponde lei alzando le spalle. “Avrai una compagna di stanza però” mi dice sorridente.
Deglutisco una bestemmia. “Sei fuori dalla tua cazzo di testa?”
Non voglio dormire con i ragazzi. Il dormitorio femminile è pieno di ragazzine che si imbottiscono di pasticche e che non mangiano niente, ergo sono completamente innocue. Ma quello maschile mi fa fottutamente paura. I ragazzi mi sono così terribilmente oscuri. Sono più che sicura che fra quelle stanze ci sono persone che non si farebbero problemi ad approfittarsene di me. Sono sicura che cercheranno di guardarci dal buco della serratura e non ci faranno fare più di un passo fuori dalla stanza.
Mi giro verso l’infermiera boccheggiando. Il sangue mi defluisce dalle mani, mentre la solita sensazione di miliardi di piccole spine mi avvolge la pancia, il petto, mi soffoca il respiro. È un attacco di panico. So che respirare allo stesso tempo mi farà stare meglio e peggio: nel dubbio, cerco di trattenere il fiato. Fallisco, esplodendo in un singhiozzo.
Il segretario si alza all’improvviso, mentre l’infermiera mi prende i polsi. "Respira pian piano" mi chiede gentilmente.
"Vaffanculo" dico stringendo i denti.
Ho mandato tutto a puttane come al solito: sono tornata qua dentro. Solo che a quanto pare questa volta sarò circondata proprio dagli psicopatici?
Cerco pian piano di riprendere fiato. Mi dico che andrà tutto bene, perché ho un tipo di prescrizione che sicuramente non mi farà finire in corridoio con nessuno di completamente andato di testa. Fisso l’infermiera con occhi vuoti: possibile che ogni volta, debba essere io a calmare me stessa? Non sono in un posto dove mi dovrebbero aiutare gli altri?
"Voglio tornare a casa" piagnucolo.
Prima che mi venisse assegnata una stanza, ho dovuto aspettare qualche giorno. Ho fatto ogni tipo di esame medico, ho parlato con almeno dieci terapisti diversi e mi sono state date così tante pillole per compensare questi giorni estenuanti che adesso tutto quello che penso si deve muovere in una pesante foschia.
La cosa che odio di più di questo posto sono le medicine, subito dopo le infermiere.
Quella che ho davanti, che si presenta come Nicky, mi fa togliere i vestiti e mi consegna una busta piena di quelli che invece potrò indossare qui: alcuni sono miei, e sono ancora nel mio zaino mentre gli altri sono magliette grigio morto dell’ospedale stesso.
Mi legge un breve elenco che nel mio tempo libero qui ho già imparato:
“Sono severamente vietati
indumenti con cappuccio
indumenti con stringhe
oggetti appuntiti
oggetti affilati
gioielli di qualsiasi tipo
telefoni cellulari
cuffie
computer
oggetti di cartoleria
i capelli devono essere più corti delle spalle”
Per arrivare qui ho scelto i miei vestiti migliori, ergo i jeans che mi stanno più stretti e una maglietta degli Iron Maiden, che non ascolto neanche. La maglietta non è neanche mia. Mi si spezza il cuore quando li devo consegnare all'infermiera. Qualcuno mi ispeziona lo zaino, e dopo essermi rivestita da capo a piedi di grigio mi danno il permesso di uscire e andare in camera. A quanto pare non saremo solo io e la mia sfortunata compagna di stanza, nel corridoio dei ragazzi, perché vedo più di una ragazza sfrecciare verso le loro stanze appena Nicky apre la porta.
«Questa è la tua stanza» dice con un sorriso, prima di uscire.
Sul letto a sinistra c’è una ragazza, seduta a gambe incrociate sul bordo del letto. Ha i capelli biondi perfettamente tagliati fino alle spalle, fatta eccezione per una ciocca irregolare che le arriva all’orecchio. Noto subito che a differenza mia gli abiti smunti che indossa le stanno divinamente. In più c’è qualcosa in lei, di profondamente sbagliato. Ha nello sguardo qualcosa che qua non si vede mai: superbia.
Lancio lo zaino sopra il letto e mi siedo poco elegantemente.
«Sono Ginevra» mi dice la ragazza, dopo essersi alzata e avermi porto una mano. Inarco le sopracciglia e le stringo la mano energicamente.
«Io, uhm, Darcy»
Mi alzo e mi guardo intorno. Non sono mai stata in una stanza maschile prima d’ora: è praticamente uguale alle altre in cui sono già stata, fatta eccezione delle piastrelle del bagno che sono azzurre. Ci sono due letti, una grande finestra (con le sbarre) davanti alla porta, due scrivanie e un armadietto. Tutti i mobili sono di un legno chiaro, e le pareti e il pavimento dello stesso bianco latte del resto dell’ospedale. Nei bagni non ci sono le docce, che si fanno in quello comune, e nei piani più alti non hanno neanche lo specchio. Qua funziona che ogni piano del dormitorio ha una lettera (A, B, C, D e F): partendo dalla A che ospita persone completamente innocue, si arriva alla F dove ci sono le celle di massima sicurezza.
«Quanti anni hai te?» mi chiede.
«Quindici» dico dopo un attimo di esitazione.
«Sembri più piccola risponde lei. «Io ne ho sedici, comunque" dice arricciando il naso e guardandomi storto.
Annuisco, inspirando piano. Senza parlare, svuoto la mia borsa e conservo le cose. Quando ho finito, Ginevra mi sta ancora fissando.
Non mi piace molto parlare con le persone: dopotutto c'è un motivo se mi hanno chiuso qua dentro. Mi sento molto a disagio, così la guardo cercando di forzare le mie sopracciglia in un uno sguardo contrariato.
"Se sei la mia compagna di stanza, vuol dire che non sei più pazza di me, vero?" chiede dopo un po'.
"In teoria. Credo di si. È la tua prima volta, qui?" le chiedo sedendomi sconfitta sul letto.
Alza le spalle.
"In realtà io non dovrei esserci proprio, qui" dice in un tono di voce scocciato.
"Certo. È quello che dicono tutti" le rispondo sarcasticamente.
"Sono seria" aggrotta la fronte.
Scuoto la testa, ruotando gli occhi verso il cielo.
"Vado a fare un giro" le dico prendendo la mia tessera e appuntandola alla maglietta.
"Vengo con te"
Si alza subito, si aggiusta i capelli già perfetti passandosi le dita fra le ciocche bionde e poi infila le ciabatte di plastica.
"Ti faccio conoscere qualcuno" sorride, prima di aprire la porta. Il dormitorio è stranamente vuoto: evidentemente non tutti hanno il pass per uscire come noi due. Ginevra cammina con passi estremamente sicuri, fermandosi dove le porte sono aperte, salutando qualcuno e dicendomi qualche nome che dimentico subito dopo. A circa metà strada, bussa a una porta. Apre una ragazza con i capelli rossi e un botto di lentiggini sul viso e sulle mani. Addosso ha una tuta bianca di Snoopy, ed è scalza. Appena vede me, apre la bocca visibilmente stupita, prima di girarsi verso Ginevra. "Darcy, Lily. Lily, Darcy" ci presenta. Annuisco e la guardo mentre apre completamente la porta. Ginevra entra nella stanza, mentre Lily si fa da parte e mi fa cenno di entrare anche a me. Seduta su uno dei letti c'è un'altra ragazza. Ha gli occhi blu, i capelli ricci e neri, e le labbra piccole e rosse. "Darcy, lei è Nerissa. Nerissa non parla, quindi non le fare domande" dice Ginevra frettolosamente.
"Andiamo dai ragazzi?" chiede dopo, rivolta a Lily. Lei annuisce, andando a recuperare le ciabatte. Nerissa fa una smorfia di disappunto, ma Ginevra le prende un braccio e la trascina fuori insieme a me.
È il primo anno che vedo tutti questi ragazzi della mia età, se devo essere sincera. L'anno scorso la mia compagna di stanza era molto più grande, incredibilmente ostile e non mi parlava neanche, mentre quest'anno Ginevra parla anche più del dovuto.
Siamo appena arrivati all'inizio del corridoio, (la nostra stanza è alla fine) quando lei si gira verso una porta e bussa delicatamente.
"È Ginevra" dice una voce maschile. I muri qua sono sfortunatamente di carta velina, e non importa se vuoi o meno, devi ascoltare le voci di tutti. 
"Apro?" chiede di nuovo la voce.
"Fai quello che vuoi" dice un'altra.
La maniglia si gira, e un ragazzo con i capelli di un nero quasi innaturale, e gli occhi verdi, ci fissa per un po'. "Sei nuova?" mi chiede alzando un sopracciglio. Annuisco, aspettando che Ginevra mi presenti.
"Darcy, Michael. Michael, Darcy" le sento infatti dire alle mie spalle. "Questa non è la tua stanza, Clifford. È vietato chiudere la porta dei dormitori che non ci appartengono" cinguetta mentre gli mette una mano sul petto e lo spinge da parte.
Senza cerimonie, Ginevra entra nella stanza. Michael mi stringe la mano, mentre ci guardiamo la tessera a vicenda. Lui è una A, di conseguenza posso anche considerarlo sano di mente. Io sono una B, invece, come del resto tutti su questo piano. Tranne Ginevra, che sulla spilla ha semplicemente una X: vuol dire che non è qui perché è pazza, ma perché nessuno la vuole da nessun'altra parte. Aveva ragione quando diceva di non doversi trovare qui.
"Questo non è il tuo piano, neanche" gli dico mentre lui fa qualche passo indietro per farci entrare nella sua stanza.
"No. In effetti no. Non so neanche cosa ci faccio con voi pazzi" mi dice sarcasticamente. Si sente che sta scherzando, ma lo guardo lo stesso male, prima che Ginevra tiri fuori un braccio e mi trascini dentro con lei.
In piedi, appoggiato alla finestra, le braccia conserte e la testa bionda che guarda verso terra, c'è un ragazzo.
"Darcy, Luke. Luke, Darcy" le sento dire, prima che lui alzi la testa e proietti uno sguardo di ghiaccio verso di me.
Le vene mi si gelano per un secondo.
Ehilà, sono Reb. Spero che la storia vi sia piaciuta! In realtà è solo un esperimento, ma se vi piace posso anche continuare. Grazie mille per aver letto :3
a 5 recensioni continuo, credo
  
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