Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: JessL_    14/07/2015    6 recensioni
È facile perdere di vista i propri obiettivi, ed è ancora più difficile rialzarsi una volta che si cade.
Bella ha ventisei anni, una volta finito il college è rimasta a vivere a Chicago, ha trovato lavoro ed è piuttosto soddisfatta della sua vita... almeno finché non viene licenziata e si ritrova senza pensarci a Forks, di fronte alla casa che l'ha vista crescere.
Tratto dal prologo:
"Avete presente quella sensazione stupenda del sentirsi finalmente a casa? Ecco, è esattamente quello che sto provando di fronte alla villetta di mio padre.
Questa casa, queste semplici mura, racchiudono un’infinità di ricordi. Questa casa mi ha visto crescere. Su quel portico, una volta, ci ho rimesso quasi la pelle all'età di tre anni a causa di un’asse che ha ceduto; su quel dondolo ho letto una miriade di libri e soprattutto in giardino mi sono gustata un sacco di grigliate con amici.
Non accade spesso, purtroppo, che io torni a casa a trovare mio padre, il lavoro negli ultimi tre anni mi ha letteralmente succhiato la vita, e trovarmi qui, ora, ha un sapore dolce amaro."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 1

~ Casa dolce casa.

____________________________________

 

Avete presente quella sensazione stupenda del sentirsi finalmente a casa? Ecco, è esattamente quello che sto provando di fronte alla villetta di mio padre.
Questa casa, queste semplici mura, racchiudono un’infinità di ricordi. Questa casa mi ha visto crescere. Su quel portico, una volta, ci ho rimesso quasi la pelle all’età di tre anni a causa di un’asse che ha ceduto; su quel dondolo ho letto una miriade di libri e soprattutto in giardino mi sono gustata un sacco di grigliate con amici.
Non accade spesso, purtroppo, che io torni a casa a trovare mio padre, il lavoro negli ultimi tre anni mi ha letteralmente succhiato la vita, e trovarmi qui, ora, ha un sapore dolce amaro.
La crisi c’è  e si fa sentire, è un fatto risaputo e ovviamente milioni di persone hanno perso il lavoro. Ecco, io oramai faccio parte di quella percentuale di cui si parla tanto.
Dire che mi sento malissimo è riduttivo. Facevo un lavoro che mi piaceva, non propriamente quello per cui ho studiato per anni ma lo trovavo soddisfacente. A fine giornata per quanto mi sentissi stanchissima, non avevo voglia di mollare. Non penso di averlo mai pensato.
La batosta più tosta da digerire, è stato lasciare il mio appartamento a Chicago. Era carino, non enorme ma confortevole. Lo sentivo un posto sicuro. Ma senza un lavoro è stata la prima cosa a cui ho dovuto rinunciare. Ecco perché sono qui, all’età di ventisei anni.
L’arrivo di mio padre, che esce da casa con una faccia stupita, mi riporta al presente e gli sorrido, peccato che non sia del tutto un sorriso di gioia.
«Non sapevo dove altro andare.» Ammetto abbassando lo sguardo sulle tre valige ai miei piedi e agli scatoloni nel furgone parcheggiato a bordo strada.
Mio padre sospira e mi si avvicina con le braccia aperte. Nonostante io non sia più una bambina, mi ci butto e mi lascio stringere con forza.
«Mi casa es tu casa, figlia mia.»
«Scusa se non ti ho avvisato.» Trattengo un sorriso quando sento Charlie sbuffare.
«Prima o poi lo capirai che non hai bisogno di un invito o di avvisare? Questa è casa tua. Sei mia figlia, la mia unica e incredibile bambina. Smettila di preoccuparti... piuttosto entriamo e raccontami che diamine è successo.» Ai suoi ordini, sceriffo!
 
«E questo è tutto. Come ti avevo preannunciato, non serviva molto tempo per riassumerti il tutto. Non è uscito nemmeno il caffè nel frattempo.»
«Non sdrammatizzare – hai preso da tua madre in questo – si vede che la cosa ti agita. Perché hanno dovuto licenziarti?» Alzo le spalle.
«In pratica non volevano licenziarmi ma hanno fatto fuori il mio capo, di conseguenza tutti i suoi sottoposti – me compresa.» Annuisce assorto, non allontanando lo sguardo dal mio. Stessi occhi, stesso taglio. Non mi ero mai veramente resa conto di assomigliargli così tanto.
«E in tre mesi, a Chicago, non hai trovato altro? Nessuno che ti assumesse anche solo per... non so, per poco tempo? Sei laureata, figlia mia! In lettere!»
«Appunto, papà, sono laureata in lettere, mica in giurisprudenza!»
«Potresti fare l’insegnante... o comunque tante cose. Abbiamo faticato entrambi per farti arrivare al traguardo e mi stai dicendo che nessun coglione ha capito quanto vali?» Gli occhi mi si fanno lucidi, un po’ per l’emozione di sentire mio padre così orgoglioso di me e un po’ perché in effetti mi sono fatta anch’io la stessa domanda.
«Sai benissimo che non aspiro a diventare un’insegnante.»
«Lo so, tesoro, lo so benissimo. Ma pensi veramente di riuscire a trovare qualcosa qui, a Forks?» Scrollo le spalle.
«No, non lo so. Ma non sapevo dove altro andare. Poi questa è casa.» Charlie mi afferra la mano e mi sorride... per poi sgranare gli occhi e correre alla cucina per spegnere il caffè. Mi mordo il labbro inferiore: mi sa che il caffè andrò a prenderlo in un bar.
 
Può sembrare stupido, ma diamine, mi è mancata persino quella panchina sempre all’ombra di fronte al negozietto di antiquariato. Mi è mancato tutto di questa cittadina minuscola. Mi è mancato persino andare in giro col sorriso stampato perché ogni due passi che fai trovi qualcuno che ti conosce e ti saluta. Sì, avevo decisamente bisogno di tornare a casa.
Alla fine il caffè ho deciso veramente di andarmelo a prendere in un bar, e ho anche fatto bene, contando che mio padre era già in ritardo per vedersi con la sua attuale compagna: Sue. So benissimo che una volta che tornerò a casa avrò il camion da svuotare e mettere le scatole nel garage di mio padre. O comunque affittare un posto dove depositarli ma al momento non voglio pensarci. Voglio solo godermi questa giornata stranamente soleggiata di luglio.
«Bella Swan?» Aggrotto la fronte e mi volto, non riconoscendo la voce che mi ha chiamata.
 «Jasper Hale?» Chiedo stupita, non vedendo questo ragazzo biondo, rasato e con un filo di barba che mi viene incontro. Quasi scoppio a ridere con lui quando ci guardiamo.
«Quanto tempo è passato?» Mi chiede dopo che ci siamo seduti su una panchina lì vicino. Adoro Forks, ci sono panchine ovunque!
«Ben sette anni. Dopo la consegna dei diplomi non ci siamo più visti.» Annuisce assorto.
«Eh sì, hai ragione. Tu sei volata a Chicago, io in California.»
«Alla fine hai scelto Berkeley?» Gli chiedo curiosa. Io e Jasper avevamo legato subito.
Mi ero iscritta al primo anno, a novembre – dopo che mia madre mi comunicò di volersi trasferire con il suo nuovo marito a Phoenix, per lavoro. Non ho praticamente mai vissuto con mia madre, giusto per un paio d’anni. Due anni fantastici, pieni di avventure, non facevamo altro che viaggiare visto che Renee non riusciva a trovare un lavoro che la tenesse per più di quattro mesi ma avevo bisogno di stabilità, ne avevo sempre avuto bisogno, perciò quando decise di seguire il suo compagno, non mi fu affatto difficile dirle che tornavo da papà e nella sua cittadina sperduta e piovosa.
Jasper mi salvò in calcio d’angolo da un compagno marpione, ero timida e impacciata a quattordici anni, non che non sapessi parlare o avere a che fare con l’altro sesso ma ero l’ultima arrivata e mi sentivo come un fenomeno da baraccone, nonostante fino a due anni prima abitassi e fossi nata in questa città. In pratica divenne il mio angelo custode, e con i capelli biondi, per aria, lo sembrava pure.
«Ebbene sì... sono certa che ti stai chiedendo che cosa ci faccia qui, vero? Suvvia, uno che si è laureato in un’università così prestigiosa cosa ci potrebbe mai fare qui?» Ridendo mi ritrovo ad annuire.
«In effetti...»
«Come sai mio padre ha uno studio legale abbastanza noto e non lontano da qui, questo posto è casa e dopo che mi sono fatto un po’ le ossa in California ho deciso di tornare a casa. Mio padre non stava bene, questo posto mi mancava e diciamo che ho preso due piccioni con una fava. Nonostante sia oramai un anno che sono tornato, non c’è stato un giorno che io me ne sia pentito.» Lo ascolto rapita, un po’ perché spero di avere la sua fortuna, un po’ perché lo capisco pienamente.
«Wow! La tua sì che è una storia interessante.» Lo dico divertita ma un po’ amareggiata.
«A Chicago non hai sfondato?» Scuoto il capo.
«Non so perché ti stupisci... ho lavorato per tre anni in una casa discografica. Non proprio il mio sogno o il mio ambiente ma il mio capo si è messo nei casini e ci siamo capitati anche noi che gli stavamo appresso o che comunque dipendevamo da lui. Quindi, adesso, sono una venticinquenne disoccupata, tornata a casa e senza praticamente più un centesimo. Sono tornata oggi e devo ammettere che non riesco a vedere del tutto il bicchiere mezzo pieno, nonostante mi mancasse tutto di queste parti.» Mi appoggia una mano sulla spalla e mi sorride.
«Se può consolarti, dopo il college molti nostri coetanei sono tornati o comunque non se ne sono mai andati per rimanere vicino casa. E se questo non ti consola, nel nostro studio stiamo assumendo. Stiamo cercando delle segretarie; so che non è sicuramente il lavoro dei tuoi sogni ma se vuoi posso fissarti un colloquio.» Mi copro la bocca con una mano e quasi gli salto addosso per l’entusiasmo.
«Dici davvero? Dio, Jasper! Dopo tutti questi anni non puoi ancora impersonare il ruolo del mio angelo custode!» Scoppia a ridere e scuote il capo.
«Lo faccio volentieri... almeno se dovessi essere assunta non ti avrò sulla coscienza e soprattutto potremmo rivederci, mi sei mancata.» Lo abbraccio e concordo con lui.
So che potrebbe essere fraintendibile come cosa ma... ehi, siamo sempre stati amici nonostante lui non sia certo da buttare, e il fatto che subito dopo inizia a parlare della sua fidanzata, mi fa tirare un respiro di sollievo. Sì, casa mi è decisamente mancata e anche i suoi abitanti.
 
È passata una settimana da quando sono tornata. I risultati?
Ho fatto il colloquio per lo studio di Jasper: sono stata presa. Iniziate pure i canti da stadio. Io li ho fatti, e poco ci è mancato che li facessi nello studio, di fronte alla povera signorina che mi ha comunicato la notizia.
Ho affittato un deposito per mettere i duemila scatoloni che mi sono portata dietro da Chicago. Dire che sono stata veloce ed efficiente è poco.
Cucino regolarmente a mio padre e mi occupo della casa, quindi sono anche una brava figlia. In pratica ho tolto un peso a mio padre, prima o poi si sarebbe avvelenato a furia di provare a cucinare, non fa proprio per lui.
Ho visto vecchi amici e sto cercando di avere una routine o comunque di uscire e divertirmi. Sto facendo progressi, non è proprio facile non cadere nel baratro del “sono tornata a casa e mi sembra di avere quattordici anni” ma piano piano sto dimostrando che anche se esco con le persone con cui andavo in giro anni addietro, sono cambiata. Almeno spero di starci riuscendo.
Altro? No, direi di no... direi che in una settimana sono successe fin troppe cose.
Ah, no! Cosa più importante, stasera cenerò con dei vecchi amici e finalmente conoscerò la famosa fidanzata di Jasper. L’ho visto spesso in questi giorni, mi ha aiutato molto e si è sempre dimostrato disponibile, di conseguenza mi ha parlato fino alla nausea di questa lei ma adesso che ci penso... non mi ha mai detto come si chiama.
«Bella, ti cercano!» Mi osservo allo specchio e sorrido. Ok, sono pronta ad andare.
Ovviamente per girare in Forks non ci sarebbe propriamente bisogno di una macchina. Mezzo che non ho, ancora non posso permettermelo e di certo non ho intenzione di andare in giro con l’auto della polizia. Mio padre andrà in pensione quest’anno, quindi anche lui dovrà iniziare a guardarsi attorno e pensare di comprare un’auto normale. Io sto semplicemente aspettando di riuscire a mettere da parte qualche soldo; ma per stasera non voglio pensarci, voglio solo godermi una serata con i miei amici a Port Angeles.
Esco da casa e mi avvicino all’auto parcheggiata davanti al vialetto, Jasper è venuto a prendermi e in macchina, noto, che non è da solo. Sorrido quando la portiera dell’accompagnatore si apre e scende una ragazza minuta, con i capelli lunghi e neri. La ragazza appoggia le mani sui suoi esili fianchi, mi fermo interdetta e cerco di focalizzarla bene. Ha un viso famigliare.
«Non dirmi che non mi hai riconosciuta!» Esclama divertita per poi ridere e la sua risata... Dio, la sua risata la riconoscerei ovunque e mi è persino mancata un casino.
«Alice Cullen?» Ok, dire che sono basita è poco. «Sei tu la fidanzata di Jasper?» Sicuramente vi starete chiedendo perché io non riesca a crederci o comunque perché per me ci sia dell’incredibile. Beh, semplice: al liceo non facevano altro che battibeccare. Sarà anche vero che chi disprezza compra... ma non avrei mai puntato su loro due.
«Mi sa che dobbiamo raccontarcene di cose.» Eh, mi sa anche a me.
 
Non saprei spiegare come mi sento e non penso sia colpa dell’alcol che non stiamo facendo altro che ingurgitare. Mi sento una sedicenne. Serate del genere le facevamo spesso all’epoca e mi mancavano. Ammetto che non pensavo mi mancassero ma è proprio così. Siamo una decina di persone. Abbiamo passato anni delle nostre vite a vederci tutti i giorni, anche dopo la scuola, dopo cena, durante le feste ma una volta finito il liceo ognuno ha preso la sua strada e dopo sette anni e dopo tre giri di drink, inizio a pensare che avessimo tutti bisogno di una serata del genere. Si potrebbe definire un salto nel passato. Certo, un salto con qualche cambiamento. Oltre ad Alice e Jasper, anche Emmett (il cugino di Alice) e Rosalie si sono fidanzati e sono prossimi alle nozze; Angela e Ben stanno ancora assieme e aspettano un figlio... e non parliamo di Mike e Jessica! Quei due continuano a fare tira e molla come al liceo. Sono tutti tornati a casa dopo aver vissuto le loro avventure ma a quanto pare tutti avevamo bisogno di tornare a casa e nessuno se ne è pentito. Cosa assai strana, ma Forks è famosa anche per questo: lasciate ogni speranza di normalità voi che entrate.
Le risate non mancano, anzi, la fanno da padrona. È bello risentire la risata di Alice, le battute scandalose ma troppo spassose di Emmett, mi è mancato persino notare gli occhi di ghiaccio di Rosalie ma è bello notare che è sempre la stessa. Passavamo interi pomeriggi assieme, a fare le sceme, a fare shopping a fare stupidi test su dei giornaletti... io, lei ed Alice eravamo inseparabili, sempre insieme e sempre a fare le sceme e a ridere. Certo, non avrei mai immaginato che sarebbe finita col cugino della nostra amica ma vederli insieme è un piacere per gli occhi. Oltre al fatto che sono fantastici insieme.
«Oddio mio, non ci credo!» Alice si alza in piedi e inizia a sbracciarsi mentre ride. Sta cercando di attirare l’attenzione di qualcuno ma poiché le sono di fronte, non vedo a chi stia cercando di farsi notare ma sento nitidamente due mani che si posano sullo schienale della mia sedia e decisamente noto lo sguardo che mi lancia Alice mentre si siede.
Ok, perché mi ha attraversato un brivido? Evito di voltarmi ma una volta che la voce dello sconosciuto mi giunge, non ho più nessun dubbio.
«Vedo che la festa è iniziata anche senza di me.» Edward. Edward Cullen, per l’esattezza. Mi sento una statua di cera. Non fraintendetemi, non sono completamente fuori di testa ma questo ragazzo – che poi sarebbe il fratello gemello di Alice – ha sempre provocato una strana reazione al mio corpo. Non so spiegarlo ma quando era nelle vicinanze, io lo sapevo. Le mie conversazioni più scabrose con Rosalie, quando eravamo delle ragazzine con gli ormoni a mille, erano proprio su di lui.
Sicuramente ora penserete: facci indovinare, era il più figo della scuola? Era il capitano della squadra di basket e aveva tutte le ragazze ai suoi piedi? Beh, più o meno. Per essere un bel ragazzo, lo era, per essere popolare, lo era ma abitavamo a Forks, tutti conoscevano tutti; aveva tutte le ragazze ai suoi piedi? Le ragazze non gli mancavano ma non era un playboy né tantomeno uno che lo regalava in giro. Era, diciamo, un bravo ragazzo. Buoni voti, buona condotta e soprattutto pareva amico di tutti. Non che fosse amico mio, ma degli altri sì. Non siamo mai riusciti ad essere amici e non perché fondamentalmente frequentassimo persone diverse, bensì a causa mia. Ricordate la statua di cera? Ecco.
Inutile dire che Alice, all’epoca, si faceva dei castelli per aria. Per dirne una, una notte s’immaginò il nostro matrimonio. Sì, mio e di suo fratello. Il fatto che in anni che ci conoscevamo avessimo sì e no scambiato una ventina di parole per lei era un dettaglio. Non avevo una cotta da perdere la testa, qualche fidanzatino al liceo l’ho avuto. Mi piacevano i ragazzi, mi piaceva provare sensazioni nuove e sconosciute ma per quanto ritenessi Edward un bel ragazzo e per quanto in sua presenza diventassi praticamente muta... non so, non avevo fantasie, né mi facevo castelli per aria. Probabilmente lo vedevo irraggiungibile o semplicemente non mi ritenevo alla sua altezza. E poi è il fratello della mia amica.
«Smettila di fare lo stoccafisso, prendi una sedia e inizia a bere! Devi metterti in pari.» Rido alla frase di Emmett e scuoto il capo, non cambierà mai. Edward, però, fa come gli dice e si mette praticamente accanto a lui. E Dio mio... fatemelo dire... se prima era bello, adesso non penso esista un termine per definirlo.
Quando i nostri occhi s’incrociano, sorride e mi punta con un dito.
«Io ti conosco!» Vorrei dirgli “Ma dai?!” ma evito e annuisco trattenendo un sorriso.
«Vorrei ben vedere, passavo quasi tutti i pomeriggi a casa tua.» Schiude la bocca e osserva sua sorella, come se gli stesse ponendo una domanda mentale, tanto che lei annuisce.
«Bella?» Lo chiede ma continua a guardare Alice. Io mi mordo il labbro inferiore e incrocio gli occhi di Rosalie. Sta cercando di non ridere e io di non arrossire. Solo io e lei possiamo sapere cosa partorivano le nostre menti malati.
«In carne ed ossa.» Ride e si scompiglia i capelli mentre quasi si stravacca sulla sedia.
«E hai anche imparato a parlare!» Alzo gli occhi al cielo divertita. Al tavolo scoppiano tutti a ridere, era risaputo che Edward mi facesse uno strano effetto ma nessuno mi aveva mai chiesto nulla, penso si siano sempre risposti da soli. Forse lo aveva fatto anche lui.
«Un motivo in più per ringraziare l’Università di Chicago.» Alzo a mo di brindisi il mio drink e lui sorride divertito.
«Direi che Chicago ti ha fatto proprio bene.» Non lo ha detto ad alta voce ma l’ho sentito, avendocelo praticamente di fronte. Faccio finta di niente e bevo un sorso, ignorando anche le mie guance che si colorano.
Perché nessuno mi ha avvisato della sua presenza?
 
----
Il mio ultimo aggiornamento su EFP riporta la data di un anno e mezzo fa.
Non posso spiegarvi l'emozione e l'agitazione che sto provando. Iniziare una nuova storia è sempre un cataclisma, almeno per me ma è come essere tornata a casa. Spero apprezziate la storia e magari anche me, col mio ritorno.
Al prossimo capitolo ;)
 
*Piccola precisazione, mi sto portando avanti con la stesura della storia, tempo permettendo, non dovrei aggiornare tra una vita.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: JessL_