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Autore: Shin83    14/07/2015    4 recensioni
Nel presente di Steve, torna ad affacciarsi qualcuno del suo passato.
Che aveva amato tanto ma che lo aveva anche molto ferito.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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That I almost believe that the pictures are all I can feel





 


“Steve, sei un cretino.”
Peggy era rimasta in silenzio ad ascoltare il resoconto più o meno dettagliato della sera passata con Tony.
Erano a casa di lei e la stava aiutando a preparare lo spezzatino per la cena di quella sera. A lui era toccato l’ingrato compito di tagliare le cipolle, mentre lei stava accuratamente lavando ed asciugando i tocchetti di carne.
“E cos’avrei dovuto fare? Darglielo subito?” Steve alzò gli occhi al cielo, irritati dai solfuri dell’ortaggio,  strofinandoseli poi col braccio.
“Beh, quello sarebbe stato un bel colpo di grazia.”
Bucky si intromise nella discussione, era seduto sul divano della cucina e in braccio a lui era accomodata la sua fidanzata Natasha.
“Ma siete seri?” Chiese esterrefatto Steve, guardando prima la padrona di casa e poi il suo migliore amico.
“Dovevi almeno baciarlo.” Sentenziò Peggy, sfilandogli dalle mani il tagliere con la cipolla, per metterla a soffriggere nella casseruola.
Steve quindi prese a tagliare le carote. “Certo e dargliela vinta.” Protestò.
“La vendetta migliore sarebbe stata farglielo annusare e poi dargli il due di picche, anche se scopandolo ti saresti tolto lo sfizio.” Continuò Bucky, mentre accarezzava le gambe della fidanzata, Natasha, che assisteva al dibattito in religioso silenzio, ma molto attentamente.
“Ancora non ho capito dove volete andare a parare voi due.” Steve era davvero confuso, pensava di ricevere la più totale approvazione dai suoi amici per come si era comportato con Tony, in fondo loro non l’avevano mai visto di buon occhio.
“Quello che Bucky vuole dire è che avresti dovuto stuzzicarlo in qualche modo; fargli tastare quello che sei diventato, - anche se ancora non ha capito chi sei – e poi mollargli il due di picche, ignorandolo. Almeno anche tu ti saresti sollazzato dopo dieci anni. Ti sei frenato troppo presto.”
“Ecco, ascolta Peggy.” Bucky mimò un applauso in direzione dell’amica.
Steve li guardò basito.
“Ma voi due cos’avete bevuto? Come no, ci andavo a letto, così lui avrebbe raggiunto il suo obiettivo con il minimo dello sforzo e poi tanti saluti. Magari, se davvero ci tiene a me, si sforzerà un po’. Facendo come dite voi, sarebbe stato come dargliela vinta senza neanche provarci.”
Peggy sospirò. “Sì, ma avresti potuto essere tu quello che non lo avrebbe chiamato, dopo. Lui si era già fatto il suo bel film in testa, te lo dico io: scopata, le tue telefonate supplicanti e suoi conseguenti tentativi di ignorarti.”
“Invece tu avresti dovuto accuratamente evitare di chiamarlo, così si sarebbe sicuramente sentito colpito nell’orgoglio.” Concluse Bucky.
Steve si concentrò sul taglio delle verdura, pensando che in fondo il loro ragionamento non era poi del tutto sbagliato, anche se restava convinto che cedere subito equivaleva a darla vinta a Tony. E poi, in fondo, molto in fondo, sperava di aver fatto breccia nel cuore del ragazzo e magari farsi desiderare gli avrebbe giovato, era un test, dopotutto e se fosse andata male, si sarebbe sentito meno ferito a non averci fatto sesso.
“Secondo me ha ragione Steve.” Infine si introdusse nel discorso anche Natasha. “Andarci insieme quella sera stessa era la naturale conclusione per Stark. Il gesto di Steve non se lo sarebbe mai aspettato, i tipi come lui sono abituati ad avere tutto ciò che vogliono e subito. E la non chiamata di Steve gli avrebbe solo semplificato le cose, evitandosi la rottura di filtrare le telefonate o inventarsi qualsiasi scusa per liquidarlo.”
Rogers si sentì sollevato. “Nat ha centrato esattamente il punto della questione.”
Peggy fece spallucce e scosse la testa. “Per me hai fatto una cazzata. Dovevi toglierti lo sfizio e poi fregartene, il mare è pieno di pesci.” Con la coda dell’occhio lo guardò, anche se sapeva benissimo cosa Tony rappresentasse per il suo amico.
Bucky stava per intervenire, quando la fidanzata lo zittì immediatamente, puntandogli il dito contro. “Tu prova a contraddirmi e stanotte vai in bianco come Stark.” Barnes non se lo fece ripetere due volte.


*****


Tony aveva provato a chiamarlo svariate volte dopo la serata passata assieme.
Steve, dopo varie riflessioni, incluse quelle fatte durante la cena con i suoi amici, aveva deciso di lasciar perdere.
Si era detto e ripetuto che Tony non era altro che una parentesi del suo passato e che tale doveva rimanere. Non che ne fosse molto convinto, rivederlo aveva riacceso una fiamma che lo aveva divorato per anni, ma provò a convincersi che quella era la soluzione da applicare.
Quindi quello che ne seguì fu nessuna risposta ad SMS, messaggi vocali e chiamate varie. Era stata dura per lui, ma era sicuro che Tony si sarebbe stancato molto presto.

Infatti, molto profeticamente, i tentativi di contattarlo da parte di Stark cessarono. Si sentì sollevato, non sapeva davvero quanto altro tempo sarebbe riuscito a resistere e ignorarlo. Non era da lui. E poi quello era Tony, non uno qualunque.
Al contempo, però, la cosa lo ferì, seppur superficialmente, si diceva lui. Era la dimostrazione tangibile che non aveva torto. Tony non era cambiato affatto, era il solito ragazzino viziato e abituato ad avere tutto e subito.
Anzi, si era anche un po’ stupito che i tentativi di contattarlo si erano protratti per un paio di giorni, probabilmente con l’età aveva sviluppato il minimo indispensabile di pazienza.


*****


Le giornate, quindi, piano piano stavano riprendendo il loro corso normale, se non con del lavoro in più. Aveva ottenuto un successo strepitoso alla mostra del Metropolitan e le commissioni stavano fioccando oltre ogni sua più rosea aspettativa.
Aveva dunque dei validi motivi per smettere di pensare a Tony e concentrarsi sul suo lavoro.
Tre ritratti da foto e almeno cinque tele con tema a sua scelta, la mole era notevole, considerando che le consegne sarebbero dovute essere da lì ad un paio di mesi.
Ma andava bene così, per lui: la paga era ottima e avrebbe potuto portare tutti e tre i suoi migliori amici a cena fuori e non a mangiare hamburger o cinese da un cartone, e la cosa lo riempiva di soddisfazione.
Poteva addirittura pensare di affittare uno studio tutto per sé, se gli affari continuavano ad andare così bene.
Non che non gli piacesse l’atelier condiviso ad Union Square, era in una posizione molto comoda, era tenuto bene e gli altri ragazzi erano simpatici. Ma avere uno studio tutto suo significava per lui fare un passo avanti, una sorta di emancipazione. Poteva finalmente reggersi sulle proprie gambe, da solo, senza l’aiuto di nessuno. E poi poteva gestirsi il tempo come meglio credeva e soprattutto avrebbe potuto lavorare senza distrazioni, immerso completamente nella sua ispirazione, solo con i suoi colori e le sue tele.


*****


Era un venerdì. Si erano fatte le sei del pomeriggio e anche l’ultimo dei suoi colleghi se n’era andato.
Lui, invece, aveva deciso di rimanere fino all’orario di chiusura dello stabile, era parecchio concentrato sul ritratto che stava facendo e non voleva perdere il flusso. I suoi amici avevano organizzato un’uscita a quattro, visto che Peggy aveva iniziato a frequentare Sam Wilson, e di fare il quinto incomodo non ne aveva affatto voglia. Restare lì e ordinare una pizza o al take away thai era la soluzione migliore per passare un venerdì sera solitario.
Indossava dei jeans strappati e stracciati di colori acrilici e una maglietta bianca consunta. Sotto il suo sgabello aveva sistemato dei fogli di giornale così che potesse ridurre al minimo le inevitabili colate di pittura sul pavimento.
Era completamente immerso nel silenzio e nella concentrazione. I rumori della città che vorticava fuori erano solo un leggero disturbo ovattato, migliaia di vite che gli sfrecciavano a pochi metri ma che in quel momento non potevano essere più lontane da lui.
Si accorse dei passi che rimbombavano nella stanza solo quando erano a poca distanza da lui.
“Signor Johnson, giuro che stasera vado via per le nove, non la farò aspettare un minuto di più.”
L’anziano portiere lo redarguiva spesso, perché venerdì, sabato e domenica il loft veniva chiuso alle nove anziché a mezzanotte come durante il resto della settimana e a Steve capitava spesso di perdere la concezione del tempo e non andar via per l’orario stabilito.
Steve non alzò gli occhi per accertarsi che fosse effettivamente il portiere dello stabile, continuò imperterrito a passare pennellate di rosso carminio sulla tela.
Fu solo quando si rese conto che il rimprovero di Mr. Johnson tardava ad arrivare, che distolse l’attenzione da quello che stava facendo e controllò chi fosse entrato nella stanza.

La prima cosa che vide furono un paio di Vans rosse, la gomma bianca che avvolgeva la tomaia era immacolata, sembravano appena uscite dalla scatola.
Poi vide un paio di jeans, consumati ad arte e bastava una sola occhiata per capire che costavano quanto un mese di affitto della sua parte di studio. Fasciavano un paio di gambe non eccessivamente lunghe, ma ben tornite.
Lo sguardo continuò il suo percorso, incrociando una polo dello stesso rosso delle scarpe, con l’inconfondibile logo di Ralph Lauren.
E poi quel pizzetto. Quello che aveva visto su un sacco di riviste, così curato e cesellato. Quel pizzetto che aveva avuto modo di ammirare quando era ancora acerbo, arrampicato sul mento di un detestabile diciassettenne.
Infine gli occhi. Quegli occhi color nocciola che  avevano tormentato molte delle sue notti da adolescente.

“Il signor Johnson è una persona davvero adorabile, mi domando come uno come te riesca a farlo arrabbiare.” A Tony si stampò un ghignetto quasi irritante in viso, uno di quelli da so cos’hai fatto.
Steve, per lo stupore, non fu in grado di aprire bocca. Come diavolo aveva fatto a scoprire dove lavorava? Non si ricordava di averglielo detto, né tantomeno l’aveva detto a Miss Potts.
Ad ogni modo, Stark non gli avrebbe dato la possibilità di ribattere, visto che stava continuando il suo monologo. “Steve Rogers. Lo dicevo io, che quel nome mi era familiare…”
Tony fece qualche passo avanti, avvicinandosi pericolosamente  a Steve che era riuscito a malapena ad alzarsi dal suo sgabello.
“Perché non mi hai detto subito che eri quello Steve Rogers? Che andavamo a scuola insieme?”
“I-io…”
“Cos’è? Avevi paura che ti prendessi in giro, Stecco Rogers?”
Tony era ormai ad un palmo di naso da Steve e quest’ultimo si lasciò cadere il pennello dalle mani, andando ad imbrattare proprio quei pochi centimetri di pavimento che non erano stati coperti dalla carta di giornale.
Steve sentiva che quel muro di difesa che si era costruito attorno stava crollando, mattone per mattone, inesorabilmente.
“Sono stato proprio uno stupido a non riconoscerti, ho proprio dei grossi problemi con la fisionomia delle persone. Non mi aspettavo proprio di dimenticarmi di te. Anzi no, precisiamo che non è che io ti abbia dimenticato, ecco. E’ che non credevo di ritrovarti più, beh, di certo non così. Le cose sfuggono di mano alle volte e anche uno come me le può perdere di vista… Ti sei nascosto bene in tutti questi anni, te ne do atto.”
Steve raggelò, più di quanto non lo fosse già.
Tony stava dicendo che lo aveva cercato dopo il liceo? Non era possibile, non stava capendo nulla.
“Tony…” Soffiò tra i denti.
Ma quello non gli voleva dare né il tempo né il modo di rispondere o peggio, contraddirlo. Quello che accadde dopo era la sentire dei polpastrelli morbidi sulle sue guance e nebbia fitta nel suo cervello. Tilt. Black out.

Tony era prepotente, anche a baciare. E Steve aveva mandato a farsi benedire qualsivoglia resistenza e forse anche un po’ di dignità. Si lasciò andare, si lasciò toccare il viso, i capelli e altrettanto fece lui, col rischio di sporcare il viso intonso di Stark.
La lingua di quest’ultimo era avida, esplorava la sua bocca, cercando disperatamente la sua che non tardò a farsi trovare.
Steve aveva aspettato quel momento per quattordici lunghi anni, così come poter uscire solo con lui.
Ci aveva fantasticato, sognato, popolava le sue fantasie negli istanti di solitudine, quando la sua mano diventava il surrogato di quel ragazzino sfacciato.
E in quel momento, era diventato tutto vero.

Quando però sentì le mani di Tony insinuarsi sotto la sua maglietta, una scarica elettrica risvegliò il suo cervello offuscato dalla concitazione del momento. Si staccò da lui senza preavviso, distanziandosi di qualche centimetro per guardarlo meglio in volto. Non che quella visione lo aiutasse, le sue labbra rosse e gonfie e i capelli leggermente arruffati gli facevano solamente  aver voglia di continuare.
“Come hai fatto?” Fu la sua domanda, secca, improvvisa.
Tony fece un ghigno, tentando di avvicinarsi di nuovo a lui, allungando la mano verso la sua guancia, ma Steve lo bloccò, afferrandogli il polso a mezz’aria.
Quindi Stark si arrese immediatamente, aveva ancora qualche reminiscenza della cocciutaggine del ragazzo. Si rilassò e si lasciò cadere il braccio lungo i fianchi, così che l’altro mollasse la presa.
“Volevo capire perché avevi deciso di non rispondere alle mie chiamate. Ho provato a googlarti, pensavo di trovare qualche matrimonio o figlio nascosto o qualsiasi altra cosa. Invece ho trovato solo quadri. Dio, non hai neanche un profilo Facebook. E poi, quel nome. Io lo conoscevo uno Steve Rogers. Quindi ho messo da parte Google e ho fatto scendere in campo Pepper, che alla fine risulta sempre il miglior motore di ricerca.”
Tony era un fiume in piena e Steve non aveva alcuna intenzione di interromperlo, voleva capire fino a che punto quello era riuscito a spingersi.
“E’ andata a ritroso. Ovviamente sapeva dove avevi studiato, accedere al tuo file è stato piuttosto semplice. Le scuole d’arte e le accademie sono a corto di soldi e accettano ben volentieri qualche donazione data con discrezione.”
Steve era esterrefatto.
“E’ stato immediato scoprire chi fossi, quando ho potuto visionare la tua scheda. Non credo ci fossero altri Steven Grant Rogers ad essersi diplomati nel 2004 alla Trinity. Infine, un paio di domande qui e là e ho scoperto il tuo studio. Quando Tony Stark vuole qualcosa, la ottiene, dovresti saperlo.”
Steve continuava a non capire. Perché Tony si era sbattuto così tanto a cercarlo?
E soprattutto, perché era andato da lui nonostante avesse scoperto che era lo sfigato della scuola?
“Tony, cosa vuoi da me?”
“Te.”







Non capiva cosa ci trovasse in quel nanetto rachitico. Forse, semplicemente, perché non era come tutti gli altri. E non solo per questioni fisiche o di soldi.
Quello era l’unico in tutta la scuola che non si curava di ciò che pensavano gli altri, lui faceva solo quello che credeva giusto, incurante dei giudizi e delle prese in giro della scuola, mantenendo sempre intatta la sua dignità.
Ma, soprattutto, diversamente da tutti, lui non lo trattava con condiscendenza.
Il mondo si affannava a leccargli il culo, a compiacerlo; lui no. E questo lo intrigava da morire, era una sorta di sfida.
Si era messo in testa che doveva farsi piacere da Rogers in qualsiasi modo e voleva conoscerlo in un modo o nell’altro.
Al di là della competizione che rappresentava quel ragazzetto, lui ci trovava qualcosa di tremendamente affascinante.
Forse non il fisico gracile, ma sicuramente i suoi occhi. Blu da sembrare quasi irreali; così sinceri e fieri. 
C’era qualcosa in lui di delicato, ma allo stesso tempo forte.

Verso la metà del secondo anno era riuscito a scoprire i suoi orari nello studio di arte. Ogni tanto coincidevano coi suoi al laboratorio, ma per lo più erano diversi.
Così, di tanto in tanto, andava a spiarlo.
Cercava con cura di non farsi beccare, né da lui né da nessun altro, non era proprio il caso di mettersi a spiegare a destra e a manca perché spiasse quello sfigato di Rogers nell’aula di arte.
Era davvero straordinario quanto quel ragazzo ci mettesse l’anima nella pittura, sembrava la sua versione speculare di quando stava in laboratorio a trafficare con i suoi aggeggi elettronici.
Lo affascinava particolarmente il modo in cui teneva in mano i pennelli, i carboncini e tutto il resto. Una delicatezza che sprigionava una forza sorprendente.
Quante volte avrebbe voluto rivelarsi andarsi a sedere accanto a lui, ad osservarlo lavorare da vicino, chiedergli perché usasse quella determinata tecnica piuttosto che un’altra. Avrebbe posato per un ritratto, se gliel’avesse chiesto.
Ma il suo spirito di conservazione e l’agio della popolarità erano più forti, si sentiva un codardo quando non trovava la forza di entrare in quell’aula, prendere uno sgabello e sedersi accanto a lui.
Non era solo la paura di farsi scoprire dagli altri a frenarlo, ma anche quella di un rifiuto del ragazzo.
D’altra parte, i suoi metodi per attirare l’attenzione di Rogers non erano tra i più tradizionali.
Lo tartassava costantemente, lo prendeva in giro e ogni tanto dava via libera ai suoi scagnozzi, Rhodey e Clint, di farlo tornare a casa con qualche livido. Alle volte si diceva che era proprio un cretino a trattarlo così, ma non sapeva in che altro modo farsi notare, sperava che quello prima o poi si stancasse delle angherie e andasse a parlarci, ma niente, riceveva solo profonda indifferenza.

Terzo anno.
Steve era parecchio impegnato con la mostra della scuola e Tony aveva visto la dedizione con cui aveva lavorato per quei ritratti.
La signora sembrava essere sua madre, aveva i suoi stessi occhi e il suo identico portamento fiero. Si capiva quanto la amasse solo da quel dipinto.
Poi preparò altri due ritratti: un ragazzo e una ragazza. Non aveva la benché minima idea di chi fossero, ma, con molta probabilità erano dei suoi amici.
Erano entrambi bellissimi e un moto di gelosia lo pervase, dovevano essere importanti come sua madre, se aveva deciso di ritrarli. Chissà se uno di loro due era la persona che gli aveva preso il cuore. Loro potevano parlarci, scherzarci; lui no.
Ma l’ultimo lavoro lo aveva scioccato.
Non era un ritratto, sembravano tante prove anatomiche di mani e occhi.
Dalla distanza dalla quale lo osservava, non riusciva a capire se fossero tutte della stessa persona o meno, quindi la curiosità lo divorò e una sera sgattaiolò nell’aula non appena Steve lasciò la scuola.
Andò a cercare tra i suoi lavori quel particolare disegno. Quando lo trovò, gli si gelò il sangue nelle vene.
Conosceva fin troppo bene quelle mani e quegli occhi. Erano i suoi. Quel disegno doveva sparire, quel disegno doveva vederlo e averlo solo lui.

“Volete divertirvi un po’?” Quando a Clint e Rhodey veniva rivolta questa domanda, Tony aveva in mente qualcosa di losco. Che sicuramente aveva a che fare con Rogers, ormai era diventata una routine tormentarlo.
“Cos’hai in mente, Tony?” Fu Rhodey a prendere parola.
“Questo fine settimana inaugurano la mostra della scuola. Stecco Rogers partecipa, perché non gli facciamo uno scherzone?”
I due ridacchiarono. “Gli buttiamo un po’ di pittura addosso?” Chiese Clint.
“No, meglio. Andiamo giovedì sera nell’aula di arte e gli roviniamo i disegni.” Tony era soddisfatto.
I due ragazzi lo guardarono straniti. Quello era troppo perfino per loro.
“Tony.” Si allarmò Rhodey.
“Che c’è, Jim? Ti dispiace per quello sfigato. Dai, sarà divertente vedere la sua faccia…”
Lo sapeva benissimo che era una cattiveria di basso livello anche per lui, ma doveva avere quel disegno e non poteva semplicemente andare lì e rubarlo, doveva fare qualcos’altro.
Si sentiva uno schifo.
“Ho già studiato tutto, metto fuori uso le telecamere di sicurezza nei corridoi e il gioco è fatto.”
“E’ una cazzata, Stark.” Lo ammonì Barton.
“Fanculo. Fate come volete, me la sbrigo da solo, se voi non avete abbastanza palle per farlo.”
I due amici scossero la testa.
Lui quando voleva una cosa la otteneva sempre. O quasi.






Steve non avrebbe mai potuto immaginare quello che stava per succedere. Anni e anni a sognarlo e anni e anni a provare a dimenticarlo ed eccolo lì a baciare Stark come se fosse l’ultima cosa che stesse facendo.
Quando Tony gli si era rivolto in quel modo, scattò qualcosa nel suo cervello. Tutti i suoi sforzi, tutta la sua razionalità erano evaporati, così come le sue inibizioni. Non riusciva più a ricacciare indietro sentimenti nascosti nelle viscere del suo animo per quattordici anni.
Lo afferrò in viso e le sue labbra andarono alla ricerca spasmodica di quelle del miliardario, una ricerca disperata. La risposta di Tony fu quasi immediata, lì per lì gelò per la reazione di Steve, ma in una frazione di secondo ricambiò quel bacio che aveva bisogno di lui e solo di lui.

Senza neanche accorgersene, Steve si ritrovò a spingere Tony contro il muro più vicino. 
Nel silenzio dello studio si sentivano solo i respiri affannati dei due e lo scontro delle loro bocche.
Andò avanti così per svariati minuti, che a Steve sembrarono interminabili ore.
Bocche che si cercavano e mani che andavano dappertutto, finché l’artista non si staccò perché i polmoni reclamavano ossigeno.
Steve guardò Tony dritto negli occhi. “Ne hai uno?”
“Speravo me lo chiedessi, Rogers.” Gli rispose quello con il ghigno di chi la sapeva lunga.
“Volevi che andasse a finire così, no? Sei venuto preparato.”
Dalla tasca dei jeans Stark sfilò due confezioni metallizzate e il restò venne da sé.
Le mani di Steve scivolarono lungo le cosce di Tony e lo sollevarono con forza, quest’ultimo non fece altro che stringerle attorno alla sua vita.
La stanza ripiombò in un silenzio rotto da gemiti e nomi invocati a mezza voce.
Steve ci aveva fantasticato sopra per anni, quelle immagini erano state il conforto di tante notti solitarie, ma non pensava che potesse essere così bello, non ci avrebbe mai sperato che la realtà potesse superare di gran lunga la fantasia.
Stava assaporando ogni singolo istante, ogni porzione di pelle, ogni goccia di sudore; aveva aspettato così 
tanto e ora non voleva perdersi niente di quello che avrebbe chiamato quasi un miracolo.
Gli sembrava di stare dentro in un sogno, era tutto troppo bello e travolgente.
E quando Tony raggiunse il suo climax riversandosi nella sua mano e invocando il suo nome, voleva darsi un pizzicotto per verificare che tutto quello che stava succedendo fosse reale.
Non passò molto e venne anche lui, stremato ma estremamente appagato.
Restarono ancora in quella posizione per qualche minuto, guardandosi negli occhi, recuperando l’aria e baciandosi quasi castamente di tanto in tanto.

Steve non voleva farlo, ma lo lasciò andare, così che lui si sbarazzasse del preservativo e si rivestissero.
Passò delle salviette a Tony perché si ripulisse un po’ anche lui.
Lo guardò di nuovo in viso, stavolta con un pizzico di sicurezza in meno. “Beh, è stata una cosa un po’ improvvisa.”
Stark si guardò attorno per trovare un bidoncino per sbarazzarsi della salvietta. “Sono Tony Stark, io amo improvvisare.” Sul suo viso si era impressa la sua tipica espressione da sbruffone, soddisfatto, per giunta.
Dopo la foga del momento a Steve iniziarono a sorgere i dubbi se avesse fatto bene meno a cedere, ma scosse la testa per scrollare via i brutti pensieri, in fondo era andato da lui, qualcosa doveva pur contare. E poi era stato tutto magnifico.
“Dovremmo farlo qualche altra volta.” Continuò Tony, mentre si avvicinava a lui.
“C-certo, perché no?” Ecco che i dubbi venivano scavalcati dalle speranze.
“Sei stato fantastico.” Tony lo stava sfiorando con la punta dell’indice sul petto, come a fare disegni immaginari. “Chi l’avrebbe mai detto? Stecco Rogers è diventato un Adone ed è anche bravo a letto.”
Steve raggelò. “Come mi hai chiamato?”
“Dai, ancora te la prendi?” Ridacchiò Tony, completamente rilassato.
“Ti ho chiesto come mi hai chiamato.” Grugnì Steve, afferrandogli il polso con una certa forza.
“Ehi, mollami.” Si lamentò Stark. 
Steve lo lasciò andare, scansandolo da sé. Era un cretino, ci era cascato, si era fatto abbindolare.
“Senti Steve, non te la sarai presa, vero?”
“Sei venuto qui solo per scopare, no? Hai tirato fuori la storia della scuola e ti sei inventato tutta quella cosa che ti sei messo ad indagare solo per fare colpo.” 
“No…” La sicurezza di Tony iniziava a vacillare.
“Sì, invece. Sei sempre il solito Stark, che deve ottenere quello che vuole, che deve soddisfare i suoi capricci. Hai visto che sono cambiato e volevi toglierti lo sfizio, in fondo ero rimasto uno dei pochi della scuola che non ti eri ripassato.” Steve fece un passo indietro, si pentì di quell’ultima affermazione, ma non poteva farci niente, si sentiva ferito, gli aveva voluto credere e invece era rimasto tutto come prima.
Qualcosa nell’espressione di Tony si incrinò. “Steve ti giuro che non è stato un capriccio, tu mi piaci davvero.” 
Steve gli voltò le spalle, non voleva guardarlo in faccia mentre lo prendeva in giro per l’ennesima volta.
“Steve, guardami, ti prego. Tu mi piaci, mi sei sempre piaciuto.”
Non ci voleva credere, non era possibile. “Vattene Tony, sparisci.”
“Steve…”
Ma Steve non rispose, era impegnato a mandar giù la sua cocente delusione, così cocente che gli bruciava la gola.
A Tony non rimase che incassare e andar via.


 
Quando penso a questa storia mi vergogno da matti perché è nata per essere corta, già tutta schematizzata e scalettata e io ci sto mettendo l'infinito ed oltre per metterci il punto. Sì, perché il prossimo capitolo sarà l'ultimo e non voglio neanche pensare a quanto tempo ci metterò a scriverlo e mi odio per questo. T_T

Ad ogni modo, grazie alla Marti per il betaggio e per la sua infinita pazienza e grazie a chi si ferma cinque minuti a leggere e magari anche a lasciare due parole di commento, siete bellissimi. <3

Alla prossima.
  
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