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Autore: SlenderGirl52    14/07/2015    1 recensioni
Salve a tutti!Spero che leggere e recensirete la storia che sto scrivendo,poiché ci tengo moltissimo;Spero anche di cuore che possa piacervi.
Trama:
Nell'estate del 1922,la giovane violinista francese Angélique De la Croix si trasferisce a New York,per lavorare in uno degli Hotel più eleganti e lussuosi di Long Island.
Lì,avrà luogo un incontro con il proprietario Maxwell Gates,un giovane ricco e bizzarro dalle mille sorprese,in grado di tramutare ogni dettaglio in un capolavoro e di creare nuovi mondi,il cui accesso è solo per Angelique.
Insieme,daranno il via all'estate più bella della loro esistenza,costernata dall'emozioni più profonde provate dall'uomo.
La ragazza stessa,imbattutasi in quell'uomo definisce il tutto un sogno,ma,purtroppo,i sogni non durano in eterno.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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                                                                     Capitolo 1

-“Niente di tutto ciò è reale.”-
-“Chi ha detto che deve esserlo?”-
Erano più o meno queste le discussioni che avevo insieme a lui,in quelle camere sfarzose,con l’odore di alcool e di fumo che s’imprimeva fino alle punte dei miei capelli,dove ogni pensiero era legge e dove ogni parola non aveva un peso.
Il suo sorriso costantemente sbilenco ed il suo sguardo acceso era sempre all’ordine del giorno e guardarlo mi rendeva felice,come mi faceva lo stesso effetto sfiorarlo,con le mani e con le gambe,mentre versavo il the o mentre mi sedevo di fronte a lui;percepire la sua pelle sulla mia;Il suo tocco inibitorio.
Nonostante le finestre fossero aperte,con le tende del bianco più puro che potesse esistere,che volavano come ali d’angelo tra di noi,dividendoci temporaneamente.Nonostante esse,il suo profumo inebriante saliva sù per le mie narici,provocandomi un’estasi fuggente.
Non riuscivo mai a destarmi da quel sogno incantato,chi ci sarebbe riuscito?
La sua compagnia allietava le mie giornate ed io facevo la stessa cosa con lui:passeggiando per immensi roseti,ballando di festa in festa,viaggiando in modi conosciuti solo da noi.
Lui non era un pittore,ma riusciva a dipingere un sorriso sul mio volto e riusciva a disegnare un mondo su misura,dove solo noi due potevamo avere accesso.
Oltre la soia di quel cancello dorato,si racchiudeva tutto ciò che avevo sempre desiderato:lui.
Un uomo come tanti dall’aspetto ma non dalla mente.
Mediamente alto,in forma,con il corpo fasciato da splendidi completi eleganti dalle tonalità oscure,come i meandri del suo cuore.
Possedeva dei capelli dorati,splendenti come il sole;Un volto gentile,in grado di divenire intimidatorio ma mai malinconico;E due occhi di ghiaccio che non mi permettevano di leggere la sua anima.Mai.
Un bell’uomo,certo,ma ciò che lo rendeva unico,era ciò che le faceva mio.
La sua capacità di tramutare ogni istante,ogni dettaglio in un autentico capolavoro;Il potere di poter trasformare ogni cosa a suo piacimento;D’imprimere ogni suo respiro,ogni sua sillaba,ogni movimento nella mia mente;Come  fossero descritti da un inchiostro indelebile.
Il giorno in cui la penna iniziò a scrivere,fu lo stesso in cui misi un piede fuori dall’aereo che mi portò nella città dei miei sogni: New York.
La terra della musica jazz e delle feste sfrenate a cui stavo andando incontro,abbandonando la patria dell’amore e del vino.
Era una giornata particolarmente calda e ricordo perfettamente cosa indossavo:era un abitino leggermente succinto,che dava volume al mio corpo esile con il tulle e l’organza di decorazione,color del cielo,in netto contrasto con la mia chioma color ebano e la mia carnagione più scura a causa del Sole cocente.
La stanchezza del viaggio,non mi aveva donato del tempo per potermi truccare e restai con il mio volto nudo,senza belletti,facendomi sentire qualcosa in meno,rispetto alle donne che mi circondavano,tutte munite di un rossetto cremisi che metteva in risalto i loro denti di perla.
Ad attendermi dopo il viaggio estenuante,vi era lui.
Le sue mani tenevano un cartello color rosa confetto e su di esso vi era scritto il mio nome in una calligrafia affascinante,ricca di ghirigori ed abbellimenti grafici.
Mi avvicinai a passo lento mentre vidi il suo sguardo scivolare su di me,nonostante la folla attorno a noi.
Percepivo il mio respiro più veloce,come i battiti del mio cuore mentre una brezza estiva accarezzava ogni singolo anello della mia colonna vertebrale,lasciandovi brividi.
I miei capelli si piegavano al volere del vento,come spighe di grano,senza opporre resistenza.
-“La signorina De la Croix?”-mi domandò,con una voce profonda ed un netto accento americano.
Annuii,mentre mi accompagnava alla sua auto.
Non riconobbi che modello era,ma capii da subito che doveva essere molto elegante e costosa.
In me si divampava l’adrenalina,ero circondata da palazzi alti e scintillanti che brillavano di luce propria,auto bizzarre e colorate,persone felici e pimpanti ovunque,frenesia e lusso,sembrava di essere entrati in un libro di fiabe,tutti così spensierati.
Non potei fare a meno di sgranare i miei occhi su qualsiasi cosa che mi circondava,in quel paradiso ricco di frastuono.
Fu la sua voce a svegliarmi da quella paralisi temporanea,faceva risuonare le sue parole in modo così dolce.
-“Signorina De la Croix?”-ripeté.
-“Sì,mi perdoni..”-dissi con un fil di voce,per poi accomodarmi in un sedile in pelle,dell’elegante automobile.
La destinazione era Long Island e fremevo all’idea della destinazione che mi attendeva.
Lui non disse una parola,ma vidi che da uno degli specchietti dell’automobile mi fissava ed io feci lo stesso,perdendomi la visione della sfavillante New York in movimento poiché ormai ero persa nei suoi occhi.
Ed è come se stessi annegando in un blu infinito,senza il respiro,andando sempre più a fondo,provavo ciò,quando mi soffermavo a guardarlo negli occhi,così profondi,scudo che celava i suoi mille misteri.
-“Signorina De la Croix,è forse un po’ troppo distratta oggi?”-mi chiese la stessa voce di prima,alla mia destra,mentre attendeva che io scendessi dall’automobile,tenendo la portiera aperta,come solo un gentiluomo avrebbe fatto.
Sorrisi appena,rimanendo un po’ scostante,com’era mio solito fare,per poi aggrapparmi ad una delle sue mani e scendere dalla vettura.
-“Grazie.”-dissi,rivolgendo il mio sguardo al cielo,che non avrebbe mai potuto superare il blu dei suoi occhi.
Gran parte di esso era occupato dai colossi di ferro e calcestruzzo che erano chiamati “grattacieli”,e beh,non vi era un nome più appropriato.
Allungai la mano in alto ed ebbi quasi la sensazione di poter affondare la mia mano in quello squarcio di cielo.
Percepii il suo sguardo ed abbassai il mio,eravamo ormai di fronte all’Hotel e mille valletti in blu,attendevano me..o forse il gentil signore che mi aveva scortata lì?
Egli,si avvicinò a me,spiegandomi in tono pacato e gentile:-“Questo di fronte a lei,è uno dei molti Hotel che posseggo,faccia un buon soggiorno.”-e togliendosi il cappello,sparì all’interno dell’auto color tramonto,schizzando via ad una velocità inaudita,facendo volare la stoffa leggera del mio abito.
Percorsi il tappeto rosso che copriva il freddo asfalto,a poco a poco,entrando nel paese delle meraviglie:
Lampadari di cristallo e mobili d’epoca mi circondavano,eleganti signori che leggevano il giornale su poltrone di raso rosso e splendide signore in gonne lunghe ed eccentriche che passeggiavano per l’atrio principale.
Il soffitto era decorato con splendidi dipinti,antichi ed incredibilmente belli,riprendevano tutti lo stesso tema:il paradiso.
Tappeti e carte da parati dai colori  sgargianti erano in contrasto con l’ambiente,tuttavia rendevano il tutto armonioso.
Di fronte a me avevo una scalinata immensa,in marmo,con statue di piccoli cherubini agli estremi della ringhiera.
Salì uno ad uno,i gradini che mi avrebbero portata in cima a quella montagna al chiuso,dalla vista spettacolare.
Poiché mi resi conto,che anche gli uomini,sono in grado di costruire con le loro mani,veri e proprio panorami al chiuso,e se c’era una persona che ci riusciva alla perfezione,era lui.
L’ultimo gradino,mi portò alla vista di ciò;Da lì scorsi tutti gli altri ospiti dell’hotel,piccoli come formiche ed indifesi,vidi la luce filtrata dai cristalli,anch’essi luminosi,provai la sensazione di dirigere tutto dall’alto e notai che dalla porta principale entrò lui.
Appoggiai i gomiti alla ringhiera e mi soffermai ad osservarlo,ancora con aria sognante.
Lui alzò lo sguardo e ricambiò il mio,per poi sorridermi.
Ogni volta che guardavo il suo sorriso,mi sembrava di volare sulle nuvole del paradiso.
Era come se il tempo si fosse fermato,i presenti apparivano immobili,il ticchettio degli orologi era cessato,udivo solo il palpitare del mio cuore ed il suono dei suoi passi.
Il suo profumo dissolto nell’aria accompagnato al caratteristico odore del legno e della vaniglia proveniente dalle cucine,una combinazione assurdamente perfetta.
Dietro di me,vi era l’uomo che avrebbe cambiato ogni cosa e voltandomi,avrei accettato di donargli le chiavi per farlo.
Lo feci.Mi guardava nello stesso identico modo,in cui avevo sempre sognato di essere guardata,nonostante i suoi occhi fossero ghiaccio puro,quella volta riuscì ad interpretarli.
Mi porse la sua mano,nuovamente,ma questa volta,quella mano pregava di essere  stretta,scongiurava un accordo ed io firmai.
Baciò la mia,non staccando mai i suoi occhi dai miei ed alzandosi,pronunciò il suo nome,scandendo ogni sillaba perché fosse più che chiaro:-“Maxwell Gates.”-
-“Angélique De La Croix”-fu la mia risposta.
E sorrise ancora,come se sapesse,come se fosse a conoscenza dell’effetto nocivo del suo sorriso,come se proprio lui volesse provocarlo.
Come una farfalla nella ragnatela del ragno,mi lasciai intrappolare tra i fili brillanti di rugiada che lui stava tessendo,consenziente.
-“Bellissimo Hotel.”-mi limitai a dire,continuando a guardare dall’alto,l’oggetto della nostra conversazione.
-“Vuole fare un giro completo?”-mi propose con  gli occhi luccicanti,colmi dei riflessi donati dai cristalli tintinnanti sopra di noi.
-“Mi piacerebbe”-risposi,mentre i miei piedi stavano già camminando e la mia mano,nella sua gioiva.
Quell’hotel,possedeva tutto,come il suo proprietario,divertimento e lusso sfrenati,casinò,piscine,piste da ballo,il tutto rinchiuso in una miriade di piani,ognuno di essi caratterizzato da un colore differente.
Salendo l’ultima rampa di scale,decorata da statue di volatili,arrivammo al piano azzurro,il culmine della costruzione,in tutta la sua magnificenza.
Un piano privo da camere da letto,privo di casinò e roulette,composto da una grande porta dorata,con incise le iniziali del suo proprietario.
-“La sua stanza personale?”-chiesi incuriosita.
Scosse la testa,mentre cercava in una delle sue numerose tasche,delle chiavi,anch’esse dorate e dalla forma astratta.
Le tirò fuori,e come una coppa di vittoria le alzò al cielo,fiero.
Me le porse ed io titubante le presi,fissandole per qualche secondo.
-“A lei l’onore.”-m’incitò.
Inserii le chiavi e le immense porte dorate si aprirono,mentre un vento impetuoso arrivò nella nostra direzione accompagnato da un bagliore divino che non immaginavo nemmeno potesse esistere in natura.
Entrai a passo lento,guardandomi intorno,in attesa che il bagliore si distogliesse da me.
La stanza  era completamente vuota,non vi erano pareti,solo immense vetrate da cui proveniva il vento e la luce,decorate con tende di lino bianco,che volavano a causa del vento.
Al centro di essa era posto un sofà,di fronte all’enorme vetrata centrale,dove il sole stava ormai tramontando ed il crepuscolo sorgendo.
Appoggiando una mano sullo schienale dell’unico mobile che ci fosse,mi fermai a godermi quello spettacolo naturale che mi era stato concesso da Mr.Gates.
Era come se qualcuno lo stesse dipingendo:le nuvole si erano tramutate da un bianco perlato ad un rosa tenue,il Sole stava svanendo,lasciando tratti leggeri sul cielo,che rappresentava una tela.
Le rosee nuvole si muovevano lievi,senza peso,donando movimento a quell’opera d’arte.
-“Ora comprendo perché qui non ci sono quadri.”-aggiunsi,sorridendo.
Lui si sedette sul sofà,ammirando ciò che aveva creato,mentre io mi addentravo nella miriade infinita di tende,sfiorata da esse e dalla leggerezza del vento che arieggiava lassù.
I miei occhi erano serrati,così facendo sembrava di camminare nel vuoto,di volare.
Sentirsi un angelo,senza peso,senza pensieri,in quella foresta bianca.
Con le braccia tese e le mie gambe in movimento,mi ci avventurai,con il mio vestito che volava.
Per un fratto di secondo,sentii davvero di star camminando nel vuoto,con il piede destro per precisione,poi lui mi trascinò tra le sue braccia,stringendomi con prepotenza.
-“Dovrebbe stare più attenta,Miss De la Croix.”-mi raccomandò in un velato tono scherzoso.
Aprì i miei occhi e guardai impaurita cosa mi avrebbe attesa se fossi caduta.
-“Mr.Gates,mi ha salvato la vita,la ringrazio di cuore..”-mormorai,con una mano davanti le mie labbra.
Paura mischiata a felicità,adrenalina pura.
Avrei potuto correre su di un grattacielo obliquamente in quello stato.
Avrei potuto sconfiggere i miei incubi e le mie pure,completamente disarmata e tutto questo,grazie a lui.
Mi sollevò il viso,prendendomi dal mento,in modo che potessi guardarlo meglio,o forse il contrario;E dolcemente mi lasciò andare,uscendo dalla stanza del cielo.
Andò via senza dire una parola,dandomi le spalle,mentre un’altra ondata di vento e di bianco m’investiva facendomi rabbrividire.
Quella sera,avrei dovuto lavorare come violinista in uno dei tanti balli organizzati in quell’hotel e dopo quell’episodio,suonai come mai avevo fatto nella mia vita.
Le dita si muovevano incalzanti e morbide,senza pressioni,sulle corde argentate del violino e l’archetto le accarezzava dolcemente,dolce e leggero,come le nuvole che quel pomeriggio,ebbi l’occasione di ammirare.
Il ballo di quella sera fu un vero e proprio Galà,nonostante,secondo le parole degli altri musicisti,solitamente venivano organizzate feste più movimentate.
Suonai per tutta la notte e nel mentre,non vidi Mr.Gates,sembrava essere scomparso nel nulla,come un fantasma.
Quando il ballo terminò,salutai tutti i musicisti ed ebbi l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con una flautista britannica ed il pianista,americano.Codesti,erano fissi,nell’orchestra personale dell’hotel e furono proprio loro a spiegarmi come funzionavano le cose all’interno di quel palazzo dei sogni.
La flautista,si chiamava Catherine Bell,ed era una donna piuttosto in carne e bassa,dalla carnagione diafana,tempestata da mille lentiggini.
Indossava un abito rigorosamente nero e delle perle che si potevano quasi confondere con la sua carnagione e teneva legati in una treccia morbida i suoi lunghi capelli rossi carota.
Il suo modo di parlare e di muoversi,la facevano sembrare goffa,ma socievole ed energica.
Il pianista,invece era un ragazzo alto e magro,quasi scheletrico a causa dello smoking nero,che lo snelliva parecchio.
I suoi capelli corvini erano piuttosto lunghi ed un ciuffo gli ricadeva sull’occhio sinistro,coprendolo del tutto,mentre l’altro occhio grande e di un verde smeraldo accecante faceva apparire il suo viso più piccolo rispetto ad esso,donandogli un’aria spettrale.
Era timido e di poche parole,tuttavia quando parlava si esprimeva in modo strano,freddo e distaccato.
Il suo nome era Christopher Grant ed il pianoforte era tutta la sua vita.
Lo intuii dal modo in cui lo guardava,dal modo in cui poggiava le dita sui tasti freddi dello strumento storico e da come ne traeva beneficio.
Quando suonava,donava tutto se stesso,come si fa quando si è innamorati.
Ho ancora impressi nella mente,tutti i momenti in cui lo vidi suonare;
Faceva l’amore con il piano.
Le sue mani ricercavano un contatto stretto con i tasti,come solo accade,quando si ama.
Non staccava mai le dita,come se farlo gli provocasse dolore,malinconia.
E quando sentiva la melodia fuori uscire,da ciò che più lo appassionava,sorrideva esausto,continuando a tenere le mani fisse sul nero ed il bianco.
Lo ammiravo.
Era la persona che più ho ammirato e in cui riposi tutta la mia stima e fiducia.
Aveva donato la sua anima ed il suo cuore alla musica ed in pochi erano riusciti a mantenere quell’eterna promessa.
-“Oh,quanto vorrei visitare Parigi.Tu sei stata così fortunata da averci vissuto.”-sospirò Catherine,mentre si distendeva esausta sulla coda del pianoforte,beccandosi le occhiatacce di Christopher.
-“Eppure la città dei miei sogni è sempre stata questa.Come vorrei diventare un membro fisso in orchestra.”-dissi,buttandomi sulla sedia dove avevo precedentemente suonato.
-“Miss Bell,può gentilmente scendere dal mio pianoforte?”-domandò ironico,Christopher Grant.
Dovevano essere le tre o le quattro del mattino e fu divertente colloquiare con dei colleghi,nel silenzio parziale dell’Hotel a cui non mancava mai del movimento.
Parlammo fino a mattina,ridendo e scherzando,ripensando ad alcuni errori fatti durante l’esibizione,alle spalle del pubblico.
Quelle risate,furono però interrotte dal suono di passi,sempre più vicini,che rimbombavano sul pavimento della grande sala da ballo.
 
   
 
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