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Autore: Milla Nafira    15/07/2015    2 recensioni
Mi avvicinavo ai diciotto anni e alla maturità e credevo che la mia vita non avrebbe potuto essere più complicata e piena di segreti quando avevo scoperto che il ragazzo con cui avevo perso la verginità era fidanzato con una modella. Be', fino a quel momento non era mai stata così 'segreta', in effetti.
Tutto cambiò con il cappotto giallo dell'elegante professoressa di storia dell'arte. Voglio parlare di questo. Di come ho scoperto di essere attratta dalle donne, di essere attratta da lei e di come anche lei ha iniziato ad essere attratta da me. Della gita scolastica a Parigi in cui ovviamente lei era presente, della mia travagliata quanto appassionata storia d'amore con quella che i miei occhi vedranno sempre come la donna più affascinante del pianeta.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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1. Prologo



-Mentre vi illustro quello che sarà  il programma della gita a Parigi, appoggiate pure le autorizzazioni sulla cattedra- esordì, senza nemmeno salutare, Invernizzi, il mio professore di francese. -Se riusciste ad alzarvi uno alla volta sarebbe perfetto- aggiunse con aria sconsolata di fronte al putiferio di passi e voci che si era creato.

Non era particolarmente affettuoso, Invernizzi, ma voleva bene ai suoi studenti e sapeva farsi amare, forse per l'aria innocua conferitagli da quei capelli grigi sulla testa stempiata e dagli occhiali piccoli portati in punta di naso o forse perché era uno tra i migliori insegnanti nel nostro liceo linguistico. In fondo lui e Cardano, l'insegnante di storia e filosofia, erano stati gli unici professori a prendersi la briga -e l'iniziativa- di portare in gita la nostra classe.

Dopo il turno dei miei compagni -precisamente erano in prevalenza compagne- della prima e seconda fila e dopo aver apposto la mia firma accanto a quella di mia madre, mi alzai anche io, mentre Invernizzi cominciava a parlare.

-Ci sono due novità riguardanti la gita- disse il prof inforcando gli occhiali da vista -La prima è che, a causa di problemi con gli insegnanti accompagnatori, non sarà più la 5^B a venire a Parigi con noi, bensì la 5^A-.

Mi immobilizzai a mezzo metro dalla cattedra, con il foglio ancora in mano. -Qualcosa non va, Giorgia?- mi domandò Invernizzi squadrandomi, gli occhi scuri tagliati dalle lenti a mezzaluna.

-Tutto bene- risposi io sorridendo velocemente prima di far cadere il foglio sulla cattedra e tornare al mio posto tra la finestra e Simona.

-Dicevo- riprese Invernizzi mentre continuava la processione verso il suo tavolo -Che nessuno dei professori della 5^B si è detto disposto a fare da accompagnatore, motivo per cui la 5^A ha sfruttato l'occasione per incastrare le professoresse di francese e arte e prendere il posto dell'altra classe-.

-E chi sarebbe la prof di arte della 5^A?- domandò Tiziano, uno dei quattro ragazzi della nostra classe e certamente il più stupido.

-La professoressa Fusara- rispose sbrigativamente Invernizzi -È arrivata il mese scorso, all'inizio di settembre-.

La seconda novità era qualcosa che concerneva la sistemazione nella stanze, ma io non ascoltai. Non me importava un accidente di quanti saremmo stati per camera così come non me ne importava un accidente della nuova prof di arte, che poi era la mia materia preferita, nonostante la mia insegnante fosse una mezza depressa. Ciò che mi stava seriamente preoccupando era la consapevolezza che la A era la sezione di Jacopo Marzi e quindi, con ogni probabilità, escludendo un incidente che comunque il karma avrebbe potuto provvedere a procurargli, ci sarebbe stato anche lui a Parigi.

Il personaggio in questione era colui con cui avevo incoscientemente deciso di perdere la verginità a giugno e che, dopo un orgasmo che solo lui aveva avuto, mi aveva confessato con innocente naturalezza di essere, da circa due settimane, il ragazzo di Clara Mantegazza, una mia compagna di classe che faceva la modella per Abercrombie. Da allora non avevo più incontrato né sentito Jacopo, riuscendo con innata abilità a evitare di incrociarlo a scuola durante gli intervalli e solo una volta l'avevo intravisto, fuori dalla nostra aula, baciare Clara prima del suono della campanella. Probabilmente aveva più interesse di me a mantenere nascosta la nostra insoddisfacente, per quanto mi riguarda, nottata estiva e dunque mi avrebbe ignorata a sua volta durante la settimana a Parigi, ma dovetti ammettere che la prospettiva mi trasmetteva comunque una certa inquietudine.

Simona mi guardò e alzò un angolo della bocca in un sorriso malizioso: se la cosa la faceva sorridere, significava che non era nulla di grave, mi dissi, di conseguenza non avevo motivo di preoccuparmi. In fondo, era stato solo un incidente. Sì, un incidente accaduto da ormai quattro mesi e, inoltre, la gita sarebbe stata a marzo, dunque avevo altri cinque mesi per rimuovere dalla mia memoria quello spiacevole errore. E per fare del sesso, possibilmente più soddisfacente, con qualcun altro: magari così sarebbe stato più facile non imbambolarmi a fissare Jacopo camminando per Parigi.

Non che mi piacesse, sia chiaro. Era carino, moro, abbronzato, con gli occhi chiari e un fisico decente, sempre ben vestito. Ma era il classico spaccone vanitoso e non capivo proprio cosa una come Clara, desiderata da ogni uomo eterosessuale sulla faccia della Terra, potesse trovare in lui, visto e considerato che, come avevo potuto constatare personalmente, le sue discutibili abilità sessuali non compensavano il suo irritante carattere.

La verità è che io, terminata la quarta superiore, mi ero resa conto che mancavano sei mesi alla mia maggiore età e, chiedendomi se non dovessi iniziare a considerare la mia verginità come un peso, me ne ero alleggerita ancor prima di dare una risposta a questo quesito interiore. Il fatto che fosse successo con Jacopo è stato casuale: una sua compagna di classe aveva invitato tutte le quarte nella sua villa fuori Milano per festeggiare la fine della scuola, lui ci ha provato con me e io l'ho erroneamente giudicato un buon partito per una piacevole prima esperienza. La verità è che quella sera, sul letto matrimoniale di Giulia Motta, ho sentito solo l'alito alcolico di Jacopo e un intenso dolore in mezzo alle gambe prima che lui gemesse sopra di me guardandomi con occhi spalancati da pesce lesso per poi accasciarsi sul materasso.

Quanto a Clara Mantegazza, che quella sera, come avevo saputo dal suo devoto fidanzato, era a casa con la mononucleosi, sono convinta che stesse con lui per senso di solitudine e per una ingiustificata bassa autostima che l'aveva spinta a cercare nel suo partner una personalità estroversa e sicura di sé, l'opposto della sua.

Ovviamente queste erano solo mie supposizioni, ma probabilmente azzeccate. Sono sempre stata brava a interpretare le persone, per questo pensavo di iscrivermi a psicologia dopo la maturità. Psicologia o beni culturali che, se non mi avesse dato da mangiare una volta laureata, avrebbe se non altro appagato il mio amore per la storia dell'arte.

Come ogni giovedì, finite le lezioni, mi aspettava una coda infinita alla piadineria di fronte al liceo se volevo consumare un pranzo rapido prima di rientrare a scuola, ma questa volta per il corso pomeridiano di ginnastica ritmica che da ormai otto anni frequentavo e al quale da quattro si era unita Anna. In effetti, si può dire che avessi scelto quel liceo per essere comoda con il corso di ginnastica piuttosto che il contrario.

-Come ci organizziamo in hotel a Parigi?- domandai con la bocca piena ad Anna mentre a passo svelto ci allontanavamo dal bancone per accaparrarci un tavolo appena liberato.

-Tu, io e Simo saremo nella stessa stanza, ovviamente- replicò Anna.

-Ah, ci sono le stanze da tre? Credevo che avremmo dovuto dividerci in coppie-.

-Le camere sono tutte da quattro- bofonchiò Anna masticando un boccone della sua piadina e guardandomi storto -l'ha detto Invernizzi stamattina, poco dopo che ti sei immobilizzata davanti a lui. A proposito, cosa avevi?-.

-Lascia stare- tagliai corto, sedendomi sulla sedia di ferro e vimini -chi è la nostra numero quattro?-

-Be', siamo in ventitré in classe. Diciannove femmine. Quindi dovrà esserci una stanza con una in meno- calcolò Anna mentre io riflettevo su quanto fosse rilevante la sfumatura semantica nel definirsi 'ragazzi e ragazze', 'bambini e bambine', 'uomini e donne' oppure 'maschi e femmine'. Una volta, alle elementari, una maestra aveva rimproverato un mio compagno per aver utilizzato la parola 'femmine' e l'aveva invitato a sostituire il termine con 'bambine'. Non so se la cosa la turbasse perché non considerava le bambine come effettivamente femmine o se ritenesse la definizione offensiva in quanto non esclusiva della specie umana. Ciò che so è che quell'intervento mi aveva colpito profondamente e che col tempo ero giunta alla conclusione che quello della maestra era, in ogni caso, un ragionamento sbagliato, dato che bambine e bambini non sono esenti, pur nella loro inconsapevolezza, al richiamo sessuale e che noi esseri umani siamo a tutti gli effetti animali. E in ogni occasione in cui ci ho ripensato, da bambina, ragazzina, ragazza e quasi donna, non ho mai trovato nulla di offensivo nell'essere e nel definirmi femmina.

Ero immersa in questo genere di riflessioni quando replicai con un neutro -Ah-. Mi capitava spesso di perdermi nella matassa dei miei pensieri e, naturalmente, di perderne dopo un po' anche il bandolo. Da una parola, un oggetto, un dettaglio mi si apriva un modo. Avevo l'occhio dell'artista, della critica d'arte o perlomeno ne condividevo le velleità.

Anna invece detestava le mie momentanee estraneazioni dalla realtà e in sette anni non ci aveva ancora fatto il callo -A meno che tu non voglia Manzi come quarto-.

Anna ottenne l'effetto desiderato, ovvero riportarmi bruscamente e non tanto gentilmente all'hic et nunc. -Eh?- esclamai sollevando lo sguardo e incontrando il suo sorrisetto di scherno e le sue sopracciglia scure sollevate. Realizzai che queste vocali esclamate erano esattamente i segnali che la mia amica tanto odiava e riparai con un bel -ma che cazzo dici Anna?-.

In quel momento, Clara Mantegazza passò di fianco al nostro tavolo, sola, con una bottiglia d'acqua in mano. La squadrai arrossendo violentemente e mi voltai di nuovo verso Anna con gli occhi sbarrati e le narici dilatate. Non si può certo dire che io non abbia un viso espressivo. Forse avrei dovuto fare recitazione.

Colta di sorpresa più di me, Anna alzò le spalle e scosse la testa, come a scusarsi. -Non credo che abbia sentito- buttò lì con la voce che le tremava dall'imbarazzo -non ci stava neanche guardando-.

-Lo spero per te- sibilai addentando con foga ciò che rimaneva del mio pasto.

Anna mi precedeva di qualche passo mentre uscivamo dal bar. Era bassa, un po' in carne, aveva gli occhi azzurri, i capelli neri e molto corti e l'apparecchio ai denti. Mia madre l'aveva sempre definita 'poco femminile' e io ogni volta mi chiedevo con quale pretesa giudicasse l'identità sessuale di una persona che conosceva così superficialmente.

-Giorgia!-. Lentamente e non senza una certa riluttanza mi voltai verso colei che mi aveva chiamata. Clara e Jacopo erano in piedi uno accanto all'altra, davanti alla vetrina del bar. Bene, mi dissi. Lei ha sentito la nostra conversazione, ha chiesto spiegazioni a lui che le ha confessato tutto e adesso io sono spacciata. E tutto per colpa di quell'idiota di Anna.

Mentre la parte creativa del mio cervello già si dedicava all'abbozzo di scuse elaboratissime, notai che la mia compagna mi stava sorridendo. Mi girai e vidi che Anna proseguiva imperterrita nella sua marcia verso la palestra. Si era almeno accorta che ero rimasta indietro? Così, se Clara avesse voluto ammazzarmi, avrei dovuto vedermela da sola con lei. Non che avesse un aspetto minaccioso, con le gambe lunghissime e magre, gli occhi verdi allungati, i boccoli biondi, il naso alla francese e il sorriso perfetto. Per dirla tutta, questa combinazione perfetta di tratti era considerata minacciosa da molte mie coetanee, ma non nel senso in cui la intendevo io.

Tentai il sorriso più falso che avevo da dedicarle e attesi la mia fine. -Scusa, sei di fretta?- mi chiese Clara gentilmente. Lei era sempre gentile, ma in quel momento il mio istinto suggeriva che fosse solo una tattica per cogliermi di sorpresa nel momento in cui mi avesse azzannata.

-No, no- risposi con voce tremante -dimmi pure-. Qualche passo dietro di lei, con la schiena appoggiata alla vetrina, Jacopo mi guardava sogghignando e fumava una sigaretta aspirando lentamente.

-Allora- iniziò Clara. La sua voce era così languida e il suo fare talmente innocente che stentavo a credere che stesse per compiere un omicidio. -Quando andremo in gita a Parigi, dividerai la stanza con Anna e Simona?-. Annuii, senza capire il punto. -Be', le camere sono da quattro, quindi mi chiedevo...- Clara gesticolava con fare nervoso e il suo viso si profondeva in smorfie nel lasciare in sospeso la frase.

-Ma certo!- esclamai, sentendomi improvvisamente molto più leggera, non appena capii la richiesta. -Puoi stare in camera con noi, sei la benvenuta- aggiunsi con un sorriso un po' più ampio del necessario.

-Se alle altre va bene, naturalmente- disse precipitosamente Clara.

-Ma va benissimo anche per loro- replicai continuando a sorridere come un'ebete. Decisi di strafare -te l'avremmo chiesto noi, ma pensavamo che...- e anche io non terminai la frase, ammiccando in direzione del suo ragazzo.

Clara voltò la testa verso di lui e scoppiò a ridere, tornando a guardare me. -Non si accettano stanze miste- ammiccò e continuò a ridere. Risi anch'io, forzatamente e senza uno straccio di motivo.

La salutai frettolosamente e con un'ottima scusa, visto che mancavano cinque minuti all'inizio della mia lezione, grata per la mia vita salva. In fondo, avrei dovuto immaginarmi una richiesta del genere. Nonostante fosse gentile, Clara non aveva amiche a scuola. Sarà  stato perché era timida, oppure perché in prima superiore aveva declinato l'invito al quattordicesimo compleanno di quella che sarebbe diventata 'miss popolarità' -ma era stata colpa dei suoi genitori, che non volevano mandarla in discoteca-, o più probabilmente perché le ragazze sono educate a odiarsi tra di loro per i motivi più disparati e a competere per l'attenzione maschile e Clara, con il suo fisico da modella e un viso d'angelo, ne attirava parecchia.

Sì, probabilmente psicologia sarebbe stata una decisione accurata.

   
 
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