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Autore: Momo Entertainment    15/07/2015    2 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerà la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
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ESGOTH 5



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
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Early Summer Girls

Capitolo 8

Fare la cosa giusta

 


«Buongiorno!»
Disse Iris sorridendo.

Si era presentata puntualissima, e già indossava il costume: non si era posta troppi problemi nella scelta di quest'ultimo, non aveva alcuna intenzione di attirare l'attenzione sul suo corpo: avrebbe fallito miseramente contro le sue compagne e le loro curve prosperose e sensuali.
Inoltre rabbrividiva al pensiero che qualche ragazzo menzionasse il suo corpo senza badare al suo carattere, come se lei fosse solo un oggetto.

«Buongiorno.» Le risposero in coro Anemone, Camelia e Camilla.

Le loro voci erano rilassate e serene, come la sua.
Finalmente era arrivato. Un vero e proprio "giorno d'estate".

«Catlina?» Domandò la ragazzina, sedendosi a fare colazione con loro.

«Aspettiamola cinque minuti. Non è abituata a svegliarsi presto. In realtà non lo è mai stata.»
Le rispose Camilla.

«Perché?» Iris si incuriosì leggermente.

«Catlina viene da una delle famiglie più abbienti di Sinnoh, gli Hāto.
Sono un clan aristocratico molto antico con un vasto impero finanziario alle spalle, e lei quindi non ha mai avuto necessità di svolgere altri lavori oltre a quello di Allenatrice.»
Le spiegò la giovane Campionessa.

«Una principessa viziata che non ha mai alzato un dito, in poche parole.»
Puntualizzò Anemone, con una certa stizza nella voce. Avrebbe preferito non sapere quel dettaglio su Catlina.

Nonostante tutto, con il sole alto, l'acqua cristallina e cinque bellissimi corpi in costume da bagno, quella sembrava essere una bella giornata.

Le restanti ragazze stavano per andarsi a cambiare finché non bastò un suono a spezzare quella felicità.

La suoneria di un cellulare. Iris riconosceva il ritornello della canzone pop-rock.

«È il mio.» Camelia aveva già allungato la mano per rispondere; esitò un attimo però.

La ragazzina dai capelli viola aveva capito che della vita privata della ragazza mora non doveva impicciarsi. Non le aveva neppure chiesto perché quel giorno l'avesse aggredita con parole così violente e perché poi fosse scoppiata a piangere.

Era leggermente curiosa di sapere le sue ansie e preoccupazioni in modo da poterla capire meglio e perfino consolare, ma invadere la sua privacy significava entrare in un luogo che Iris temeva di più dell'inferno dantesco: il mondo degli adulti.

Quella diciassettenne modella doveva essere cresciuta troppo in fretta, si disse.

«Si? Dimmi...»
Da fuori si sentiva parlare una voce maschile, le parole non erano chiare.

Iris, Anemone e perfino Camilla stavano cercando di origliare almeno il nocciolo di quella chiamata, anche se ascoltare solamente la parte del destinatario in una conversazione non era per nulla utile.

Tutte cercavano di sembrare disinteressate, tendendo l'orecchio spinte dalla curiosità, fingendo che le relazioni della ragazza non interessassero loro.

«Corrado... Aspetta...»

Ad un certo punto però Iris vide Camelia dilatare i suoi occhi azzurri, esibendo un'espressione mista fra lo stupore e la delusione. Si preoccupò allora per la ragazza.

La mora si alzò, e cominciò ad allontanarsi dal resto del gruppo, in modo che non sentissero il contenuto di quella conversazione: aveva tenuto il cellulare spento per quasi tre giorni, non aveva controllato alcun sito per vedere se era ancora popolare e neppure aggiornato il suo stato sui social network.

Era certa che prima o poi la sua negligenza verso il suo lavoro e lo stile di vita eccentrico e maturo che aveva scelto sarebbe emersa a galla.

«Sono sola, dimmi.»
Disse, con un accenno di ansia.

«Ti ho chiamato almeno dieci volte in questi tre giorni, lo senti il telefono o sei diventata troppo figa persino per rispondere?»
La stessa voce maschile, profonda e attraente.

«Scusami amore, ho spento il cellulare e...»
Venne troncata lei, mentre spiegava le sue ragioni nella maniera più sincera.

«Smettila con queste scemenze, devi aver bevuto forte in questi giorni. Vuoi che ti creda?»
Le veniva risposto, con tono sempre più annoiato ed acido.

«Dovresti, sei il mio ragazzo. Poi sai che l'alcool non lo sopporto.»
Ammise Camelia, stroncando l'ingiustizia ricevuta. Desiderava chiudere quella chiamata in fretta.

La modella aveva bevuto solamente una volta, ad una festa, sotto costrizione del suo stesso fidanzato e delle sue stesse amiche. Era la prima volta, non conosceva il suo limite e per questo aveva esagerato: ricordava solo un caldo pazzesco, gente che rideva, la sua testa che pensava a mille cose in un secondo e il suo corpo che cedeva lentamente, l'aria, dal soffocante odore di vomito, alcool e sudore.

Da quel giorno non aveva più bevuto una singola goccia di birra o vino, guadagnandosi addirittura fama (e altrettanto scherno) per la sua sobrietà.

Ora che si sentiva una ragazza libera parlare così con il suo fidanzato le faceva ripensare a tutte quelle loro conversazioni, tutte avevano lo stesso suono: scambi di risposte sarcastiche, battute sporche, freddure anche offensive finivano sempre con il ribadirle la ragione per cui era disposta a sopportare tutto quel dolore: l'amore.

«Perché mi hai chiamato?» Gli disse, dopo un paio di insulti reciproci.

Voleva andare dritta al punto.

Corrado respirò, focalizzandosi sull'obiettivo di quella chiamata, ben più importante di quei litigi. Neppure lui li sopportava, ma assecondare la sua ragazza gli sembrava umiliante.

«Ho sentito che sei libera tutta oggi...»

No. Non era vero.

Camelia quel giorno voleva passarlo con le stesse ragazze che non l'avevano derisa quando potevano.

Per lei, quelle quattro, rappresentavano un genere di persona davvero raro, quasi paranormale: ridevano se si doveva ridere, piangevano se si dovesse piangere: mai il contrario.

E a tutta la sua diffidenza si era sostituita la voglia di amarle come vere amiche e di vedere i loro sorrisi, molto più dolci e gradevoli di quelli che era costretta a mostrare lei per avere in grazia l'odio degli altri.

Quel giorno doveva essere perfetto, sia per lei, sia per chi lei amava.
In quel momento però amava più loro che Corrado.

«Quindi?» Camelia fece finta di non capire.

«Sei stata dolce a darmi buca, due settimane fa. Non me ne frega di cosa avessi combinato per farti "punire", ma da quel giorno hai preferito nasconderti che chiedermi una seconda occasione.»

«Te l'avrei chiesta se l'avessi voluta, ma come vedi non sento ancora l'astinenza.»
Formulo ciò come risposta nella sua testa, sorridendo al suo stesso sarcasmo.

Non gli rispose così, però.

«Allora te la dovrei concedere...?» Socchiuse gli occhi.

«Hai capito, allora. Vieni con me oggi. Ho bisogno di stare con te; ho bisogno di farlo con te.»

Camelia a quel punto si accorse che i suoi occhi azzurri diventarono lucidi, nel suo cuore non riusciva a fermare le lacrime.

Fu il suo inconscio a parlare, con voce soffocata ed insicura.
«Anche io.»

«Vediamoci oggi che sei libera. - prima di chiudere la chiamata, Corrado aggiunse soddisfatto della sua ingannevole persuasione - ti amo.»

La giovane dai capelli mori respirò piano, attraverso le labbra dolci leggermente socchiuse. In mano le rimaneva il cellulare, nella sua mente nulla.

Non era riuscita ad esprimere ciò che voleva, la sua volontà si era piagata al peso delle sue ultime parole: ti amo.

Come poteva essere sarcastica, se per una volta qualcuno la apprezzava?

Camelia non avrebbe gettato via il suo amore: lo necessitava.
E l'amore le chiedeva di rinunciare ai suoi principi di verità, di lasciarsi sedurre da carezze e lusinghe, di mettere in secondo piano i suoi desideri egoisti.

Perché in quei giorni avesse deciso di farne a meno, si chiedeva. 

Perché sentiva il dolore di dover dare buca alle sue compagne, anche se quel dolore poteva essere anche il rimpianto di non poter andare con loro in spiaggia.

Amicizia o amore? Si chiese inutilmente lei. La risposta l'aveva già data.

«Se non mi amasse... Ma per fortuna mi ama. Ed io amo Corrado?
I giornali parlano così bene di noi...
Se mi lasciasse... Sarei ancora sola.»

Camelia si scostò subito da quell'orribile pensiero.
Finché avrebbe continuato ad assecondarlo, sia di fronte alla gente sia a letto, lui non si sarebbe stancato di lei, giusto?

Le ragazze chiedono amore in cambio di sesso, i ragazzi vogliono sesso ed in cambio danno amore.
I maschi per quella ragazza avevano tutti la stessa psicologia.

Si mise tanto trucco, quel giorno.

«Iris, ragazze, scusatemi, oggi non posso venire con voi... Esco con il mio ragazzo.»

E a quelle parole il sorriso di tutte si smorzò. Iris si morse il labbro, abbassando gli occhi come una bimba delusa. Ci restò davvero male.

Camelia evitò i suoi occhi tristi, la facevano sentire una patetica egoista, e morse anche il lucidalabbra amaro insieme al suo labbro.

Chissà cosa stessero pensando Camilla ed Anemone...
Un'approfittatrice, una leccapiedi, una doppiogiochista, una top model sesso-dipendente.

Eppure lei non poteva odiarle per averle rinfacciato la verità.

Lei le desiderava come amiche, e sarebbe andata in spiaggia con loro se non si fosse fatta sottomettere dal sentimento di appartenenza totale al suo fidanzato.

La giovane si sfilò l'intimo di fronte allo specchio, per indossarne uno che attirasse di più  l'attenzione di lui: con le dita sfiorò il corpo diafano della bellissima fanciulla riflessa; d'improvviso il suo polso si irrigidì: le venne voglia di prenderla a schiaffi.

«Sei una falsa schifosa. Se non sei sincera neanche con te stessa come pretendi che qualcuno sia sincero con te?!»

 

Iris si guardò le mani in silenzio: forse non era intenzione di Camelia ferirla, forse era il suo carattere permaloso ed infantile a farla sentire così. 

Si convinse infine a lasciar perdere.

Lei non aveva mai avuto un ragazzo, non poteva capire cosa significasse “fare qualsiasi cosa per amore”.
Si sentiva comunque scaricata. Immaginò che parole avrebbe usato lei per lasciare il suo futuro fidanzato senza ferirlo (nel caso non fosse il vero amore), ma non ci riuscì.

«Uh?! Un altro cellulare che suona?»

Iris si era già accorta che il cellulare di Anemone stesse suonando, non appena riconobbe la canzone che con lei ascoltava sempre.

La password la conosceva, ma chiese alla sua coscienza se fosse giusto rispondere in sua assenza.

Magari era urgente... Magari aveva tutte le possibilità di non esserlo.

Anemone non era popolare come Camelia, non aveva un ragazzo ed era stata la prima a confermare: non poteva darle buca in nessuna maniera.

Con una certa leggerezza, Iris rispose al telefono, mentre l'amica si stava cambiando.

«Pronto?»

Una voce maschile, di uomo anziano le rispose senza pensare che non si trattasse della rossa.
«Anemone, non capisco questo tuo comportamento: ho chiamato tre o quattro volte questa mattina, cosa ti è preso?»
Le disse, con tono calmo, ma molto intimidatorio.

«Eh...» Iris si stupì che non avesse riconosciuto che a parlare non fosse chi si aspettava.

«Lascia perdere, faremo i conti dopo. Nardo me lo ha riferito che oggi non ti devi allenare - Iris fu presa da un terribile presentimento. Sperò solo che si accorgesse che non stava parlando con Anemone - sei di turno oggi. Anche se oggi sei in vacanza abbiamo bisogno di uno stipendio per tirare avanti fino a fine mese, e non puoi permetterti di saltare nemmeno un giorno lavorativo o se ti licenzieranno ci ritroveremo a vivere per strada.»

Alla ragazzina dai capelli viola tornò in mente, come in un'illuminazione, il proposito per cui la dolce e amorevole pilota dai capelli scarlatto fosse con lei in competizione: vincere (nella possibilità che aveva nel riuscirci) non per lei, ma per la sua famiglia.

E lo stomaco di Iris si contorceva atrocemente, se doveva immaginare la sua amica più cara ridotta sul lastrico.

Trovava in un certo senso ingiusto che suo nonno la caricasse così severamente di lavoro per racimolare un magro stipendio a soli diciassette anni, quando alla sua età si vorrebbe pensare alle lotte, ai festival, ad uscire nei giorni di sole e leggere in quelli di pioggia, ai ragazzi...

«Ah, giusto. Ad Anemone non interessano i ragazzi...» Puntualizzò.

Si ricordò poi di avvisare l'anziano signore, anche se costui aveva ripreso ad ammonirla.

«Il tuo turno dura tutta la giornata, non distrarti mentre sei in volo...»

«Scusi, non sta parlando con sua nipote. Sono un'amica di Anemone, gliela passo immediatamente.» Lo interruppe lei, con tutto il suo coraggio.

Le avevano insegnato a rispettare gli anziani: è uno dei principi base per l'educazione dei giovani.

Si staccò il telefono dall'orecchio.

Avrebbe aspettato che la sua compagna finisse di cambiarsi, ma Anemone si era già precipitata giù. Era ancora in costume, e teneva i lacci del pezzo superiore con la mano; era corsa appena aveva sentito il cellulare suonare, ma doveva almeno coprirsi minimamente per riprenderselo.

«Iris, non rispondere, per favore!»

Era troppo tardi per augurarsi che lei la assecondasse. I piani della rossa andarono in fumo. Non aveva certamente predetto quella chiamata improvvisa, ma si era talmente convinta che non sarebbe avvenuta che al bruciarsi delle sue speranze le ribollì il sangue nelle vene.

Iris le consegnò il cellulare, e desiderò che le mani le venissero immediatamente mozzate.

Si sentì la colpevole di quel misfatto anche se non ne aveva alcun motivo. Cercò di capire se il suo danno fosse davvero così grande.

Quella conversazione era più semplice da capire di quella avvenuta poco prima da Camelia e il suo ragazzo: suo nonno le doveva star ripetendo ciò che aveva detto a lei.

«Si, capisco. Io però avevo altri impegni oggi.» Ammise Anemone con una certa frustrazione.

Iris fu rincuorata dal fatto che perlomeno si lamentasse con lui e non fosse accondiscendente e menefreghista come Camelia.

Purtroppo alla ragazzina non era noto che anche quest'ultima preferiva la loro compagnia a quella del suo superficiale fidanzato.

La ragazza rossa richiuse la chiamata. Dal suo sguardo Iris capì che ora erano in due a darle buca. Finse di non saperne nulla, però.

«Iris... - abbassò gli occhi, e cercò di smorzare un sorriso - oggi io non posso venire, devo lavorare, hanno bisogno di me. Mi ha chiamato mio nonno d'improvviso, scusami davvero tanto. Non ti dico di non restarci male, ma solo di capire che non è colpa mia.»
Il suo tono era rilassato, ma triste e flebile. Il suo cuore desiderava gridare, invece.

Ascoltò Iris risponderle con la voce più calma che aveva.
«Lo so. Voi ragazze avete le vostre responsabilità.»

Anemone sospirò. Questa frase le martellò il cervello e le graffiò il cuore.

Non lo faceva certo con piacere, di dover abbandonare il resto del gruppo, rinunciare a divertirsi solo perché glielo imponeva suo nonno. E la sua condizione economica. E la sua coscienza.

Anemone sentiva, giorno per giorno, che il peso delle sue responsabilità cresceva, e si ritrovava sempre più sola nell'affrontarle: spesso si domandava se valesse davvero la pena di dedicare sempre tutti i suoi sforzi al prossimo e non guadagnare assolutamente nulla per se stessa; non si consolava più neanche nel vedere il sorriso degli altri, le procurava un invidia tale da farle desiderare in un secondo di diventare egoista.

Poi il senso di colpa la divorava, e il baratro di frustrazione, rabbia e tristezza diventava sempre più profondo. E lei precipitava in esso all'infinito.

La nostra povera Anemone somiglia quasi ad un uccellino, che per la penuria di procurare il cibo per il suo nido si sporca le piume e si lacera il becco, rovinando il suo fulgido piumaggio.

Quando l'uccellino vede infine i suoi piccoli gioire alla vista del pasto, desidera in cuor suo che un cacciatore gli spari alle ali e smetta così di farlo soffrire e faticare solo per il vantaggio altrui. Poi però si rimette subito in volo, o i rapaci lo scoveranno di notte.

Erano già trascorsi diciassette anni della sua vita, eppure nulla era cambiato, nessuno sembrava davvero tenerci alla sua felicità...

Non si potevano dedurre quei pensieri da lei, dato che il dolce sorriso di Anemone nascondeva brillantemente tutta la frustrazione per il divertimento negato e l'indifferenza di chi la circondava.

Ogni giorno, ogni volta che il sole sorgeva il suo subconscio le sussurrava "oggi non vivrai per te stessa, ma per qualcun altro".

«Quanto odio la mia vita...» Mormorò la sfortunata.

In un attacco di cieca rabbia, Anemone scagliò con forza il suo cellulare per terra, sperando di distruggere tutto quel cosmo di soffocanti responsabilità insieme all'aggeggio.

Il telefono emise un tonfo sordo, e lo schermo si crepò, frammentandosi in mille pezzi di frustrazione accumulata nel tempo.
Le parve di sentire in gola un grido soffocato, poi lasciò la casa di Nardo il più in fretta possibile.

Testimone di ormai troppa rabbia, troppa tristezza e troppe, davvero troppe ingiustificate lacrime, Iris raccolse il cellulare della rossa.

«Ma come farà a comprarsi un cellulare nuovo?» Si chiese.


Ora che Camelia ed Anemone non sarebbero venute, ad Iris sembrò superfluo disturbare Catlina e supplicarla.
Rinunciò al suo piano di poter passare una giornata in spiaggia con le sue compagne in modo abbastanza maturo, ripetendosi un "almeno questa volta non è colpa tua".

La prese alla leggera.
Ma solo perché si era presa un altro impegno nel frattempo.

Un misto fra il destino, la sua inventiva e la collaborazione forzata di una cara amica.

«Camilla, io esco. Vado a fare shopping con un'amica.» Annunciò.
Le pareva quasi stano indossare dei vestiti casual dopo aver portato per quasi un mese quel kimono di colore viola.

«Davvero? Vai ai Magazzini Nove?» Le domandò la giovane.
Iris annuì.

Davvero sbalorditivo: Camilla conosceva a menadito ogni città e angolo di Unima, pur essendo originaria di un'altra regione. Si ricordò inoltre che Camilla era l'unica e sola a non averle dato buca all'ultimo minuto, sperò che in qualche modo anche lei trovasse altro da fare quel pomeriggio.

«Stai tranquilla, rimarrò qui con Catlina. Non voglio che passi tutta la giornata a dormire.»

Si congedò infine, contraccambiando gentilmente il sorriso che la Campionessa le dedicava sempre.

Quel giorno di vacanza, per la ragazzina si era trasformato in una specie di "missione".

«Oggi voglio restituire il sorriso a tutte... Le mie compagne. No, le mie amiche.»

E per cominciare al meglio le sue labbra ne esibirono uno per prime.

 

«Velia ti adoro! Sono così felice che tu sia venuta che ti abbraccerei!»

Esultò Iris, aggregandosi alla ragazza della sua stessa età, dai capelli argento platino e l'abbigliamento punk-rock che aveva cominciato ad indossare per rispecchiare il suo carattere ribelle e perennemente disinteressato alla banalità della loro generazione.

«Iris, da quando tu fai shopping? Preferiresti tagliarti i capelli piuttosto che venire qui, che cosa cavolo ti è passato per la testa?»
Le domandò Velia acida.

«Ho detto che ti avrei abbracciata, non che ti avrei dato spiegazioni... chi sei, mio nonno?»
Le rispose la ragazzina, per sbarazzarsi dei suoi commenti pesanti ed inutili.

«Almeno dimmi a che ti servo io, altrimenti potevi portarti una delle tue compagne maggiorate.»
La persuase a darle un indizio Velia.

Sapeva che la sua amica difendeva le sue idee ad ogni costo, per quanto assurde fossero.
La ammirava per quello.

Dopo essersi astutamente guadagnata la sua curiosità, Iris illustrò il suo piano a Velia, mettendoci tutto l'entusiasmo che aveva.

«Non siamo qui per fare shopping, ma mi sento in dovere di comprare dei piccoli regali per le mie quattro compagne. Alcune di loro stanno attraversando un brutto periodo... - ripensò in un secondo al cellulare di Anemone, agli occhi spenti e vuoti di Catlina che la portarono a ricordare come Camelia fosse scoppiata a piangere in sua presenza, finendo con le ferite che Camilla portava sul petto, come testimoni di quella lotta mortale - e vorrei tirarle su, nel mio piccolo...» 

Velia le sorrise. Le due quindicenni cominciarono ad avviarsi attraverso l'ampio e luminoso centro commerciale.

«Ma sei sicura che le tue compagne non abbiano semplicemente il ciclo?"
Le domandò Velia sarcasticamente.

Iris le aveva parlato di quell'esperienza che stava vivendo per diventare Campionessa e in cuor suo sperava davvero che la ragazzina dai capelli viola vincesse, anche se la divertiva assai prendere in giro il suo entusiasmo.

«Non dire scemenze!»
Iris non voleva permetterle di scherzare su di loro, per qualche ragione.

«Solo perché ci troviamo nel mondo dei Pokémon non significa che ne siano esonerate.» Le ribatté secca.

«Cambiando argomento, come sta andando?» Domandò Iris, salendo le scale mobili.

«Che cosa?» Le rispose l'altra, cercando di nascondere un velato imbarazzo guardando altrove.

«Il tuo singolo. Avevi detto che quest'estate tu e la tua band avreste debuttato nella scena musicale di Unima con la canzone che hai scritto. Allora?» Insistette.

«Ci sto lavorando, cara. - La giovane Velia aveva il talento per le lotte, ma anche per la musica - Però, ultimamente la musica rap sta diventando sempre più popolare qui ad Unima. Penso che il mio stile indie-rock-idol avrebbe comunque poco successo.»

«Non ho la minima idea di cosa siano quelle tre parole inglesi in mezzo alla frase, ma dovresti smetterla di trovare sempre tutte queste scuse.

È un po' di tempo che rimandi il tuo progetto. Comincio ad essere stanca di aspettare.»

Già da tenera età aveva imparato a cantare e suonare il basso e da un anno era la leader del suo gruppo. Per quanto negligente e ribelle potesse sembrare, Velia era una ragazza determinata e concentrata nel suo lavoro.

Purtroppo, a causa di incidenti, aveva perso la madre qualche mese prima.

Iris ne era a conoscenza, ovviamente.

«Ci lavori da troppo. Io voglio sentirla quella canzone...» Cercò di incitarla.
Non voleva che il dolore imperversasse sui suoi sogni, come era successo a lei più volte.

Quella tenerezza in effetti toccò la giovane ribelle.
«Se riuscissi a farla diventare un CD, la compreresti?»
La sottopose ad una prova di amicizia.

«Certo che no. Tanto io posso averlo gratis, in edizione limitata e anche con autografo!»
Ed Iris la abbracciò, anche se l'amica cercava di scacciarla agitando le spalle.

«Sbaglio o sei davvero diventata brava a ribattere?»

«Non ti sbagli, mi sono allenata con Camelia Taylor.»

«La modella? Sei seria?!»

«No, guarda, la mia fidanzata...»

«Iris, piantala, ero ironica, non sei divertente e nemmeno brava con il sarcasmo.»

«Ma perché non posso avere almeno un giorno di pausa da insulti e commenti acidi quest'estate?!»

 

In effetti lo shopping di quel giorno d'estate stava piacendo alle due ragazze: di solito avevano sempre avuto di meglio da fare che sprecare tempo e denaro, ma girare per negozi senza alcuna preoccupazione dava loro uno strano senso di libertà e di autostima.

Era forte fingere di essere adulte solo perché potevano davvero spendere soldi a loro piacimento, anche se Iris aveva dovuto ripetere a Velia almeno un centinaio di volte che erano lì per la sua "missione".

Dopo aver camminato a lungo, per negozi dal buon profumo, giardini interni e corridoi illuminati dalla luce del sole, Iris decise che ormai era ora di rivelare a Velia che sapeva benissimo cosa comprare, smettendo di perdere tempo.

In realtà, la ragazzina dai capelli viola aveva in mente il regalo per le sue compagne già prima di proferire l'idea concreta di comprarlo, ma l'aveva gelosamente tenuta per sé in modo da dare una sfumatura di casualità e gentilezza ad un pensiero che sembrava altrimenti troppo calcolato ed elaborato.

Cosa si macchinasse nel cervello di quella ragazza è davvero un enigma, specie se si trattava di come attuare le sue idee nel modo più indiretto (ma perfetto) possibile.

«Andiamo.» Incitò Velia con tono rilassato.

Iris conosceva quel negozio, c'era entrata abbastanza volte per rifornirsi durante il suo precedente viaggio, e sapeva ancora meglio che quello era il negozio più apprezzato dagli Allenatori per articoli riguardanti gli strumenti di lotta.

Esattamente. Sebbene Camelia, Anemone, Catlina e Camilla fossero completamente diverse sotto qualsiasi punto di vista, convergevano tutte in un unica caratteristica inevitabilmente comune (ad eccezione dell'avere un seno particolarmente pronunciato): erano Allenatrici.

Non importa se fossero qualificate, o avessero una loro Palestra o se addirittura occupassero un posto alla Lega: tutte loro erano accomunate dalla passione per le lotte Pokémon, una passione che aveva permesso che il gruppo evolvesse dal suo stadio di freddezza e diffidenza originale.

Una risposta elementare alla domanda iniziale era "uno strumento per la lotta".

«Guarda.» Le mostrò Iris.

Prese sulla mano quattro piccole pietre, grandi quanto una noce: i piccoli cristalli emanavano sottili ed eleganti fasci di luce che striavano di quattro colori la mano della ragazzina: giallo, azzurro, rosa e blu; Iris non li aveva scelti a caso.

«Sono rispettivamente un Bijou Elettro, Volante, Psico e Drago» Le illustrò, facendo riferimento ai tipi favoriti delle compagne.

«Aumentano al massimo la potenza di una mossa del rispettivo tipo un'unica ed indimenticabile volta... - Velia ne conosceva l'uso. Sorrise, compiaciuta dell'originalità dell'amica - bell'idea. Te ne saranno grate. Attenta però che non le usino contro di te.»

Iris provò una felicità davvero piacevole, come se già vedesse i loro sorrisi aprirsi e percepisse sulle guance baci e carezze.

Regalare le dava più felicità del ricevere e se la ricompensa per il suo altruismo era amore senza alcun imbroglio non avrebbe esitato a far loro altri pensierini, a dedicar loro più tempo e impegno.

Persa nelle sue fantasie, Velia dovette riportarla nella realtà. Ciò non le fece affatto piacere.

«Iris, guarda il prezzo: se uno viene 15 Pokédollari e te ne servono quattro, fai il conto...»

«Io ne ho 50, e sono tutti; se mi anticipi qualcosa ti restituisco tutto...» La supplicò.

«Ne ho solo 10 e non ci stiamo comunque: te ne vengono 3 però.»

O tutte o nessuna. Iris si era prefissata quello e non riteneva che nessuna di loro meritasse di essere esclusa da una tale gentilezza in modo così cattivo.

Quelle erano ragazze particolarmente sensibili.

«Mi arrendo. Andiamo, allora.»
Iris lo disse piano, e pensava di lamentarsi lungo tutta la strada di quanto i prezzi fossero pensati solo per gli Allenatori abbienti e fortunati, come se le lotte Pokémon se le potessero permettere solo i ricchi.

La vita costa troppo certe volte.

Mentre ogni passo si faceva più pesante e strascicato, una mano toccò leggermente ma con insistenza la spalla della ragazza, ed un sibilo le giunse all'orecchio, come un "hey" appena pronunciato. 

Alla sua attenzione non restò che farsi catturare.

«Sono bellissimi, vero? Ma mi sembra di aver capito che i soldi non ti bastino...»

Quell'ombra aveva l'aspetto di una ragazza giovane, probabilmente della sua stessa età, con i capelli color fucsia acceso tagliati non troppo corti, davvero alla moda.
Anche i vestiti erano quelli di una ragazza perbene, anche se il fatto che le sussurrasse all'orecchio senza nemmeno conoscerla rendeva Iris nervosa.

Uno strano presagio erano i suoi due occhi azzurro chiarissimo, lo stesso colore del ghiaccio riflesso al sole.

«Questi prezzi sono davvero esagerati... Ho sentito che queste pietre sono un regalo per delle persone a te speciali... Che sfortuna.
Non le potrai vedere sorridere neanche questa volta...»
Concluse la misteriosa giovane, con tono falsamente dispiaciuto.

Il fatto che costei "avesse sentito" troppe cose dava alla ragazzina dai capelli viola un grande fastidio: una maniera davvero maleducata di prenderla in giro. Iris avrebbe voluto assestarle uno schiaffo sonoro per aver origliato gli affari suoi (sopratutto la parte in cui nominava le sue compagne come persone speciali: era davvero capace di intendere che ci fosse qualcosa sotto?).

Si trattenne dal picchiarla. Non voleva sconvolgere la quiete pubblica, ma neppure perdere contro quella mocciosa viziata.

«La vita è così, non si può avere tutto.» Le rispose pacatamente.

Iris stava per alzare i tacchi definitivamente, quando la giovane le afferrò il collo della maglia di prepotenza: sentì come se la stessero strangolando unito ciò ad una rabbia crescente.

«Senti, mi sei simpatica, ho un piano per te.»
La ragazza dai capelli fucsia e gli occhi freddi come il ghiaccio sorrise in modo sinistro.

Traendola a sé, le indicò con il dito una giovane dai capelli marroni, con un elaborato vestito bianco, con degli occhiali da sole scurissimi.
Quest'ultima li abbassò sul naso, contraccambiano con un sorriso di complicità quello della ragazza misteriosa.

«Vedi quella con il vestito bianco? È una mia compagna.
Ha appena disattivato il sistema di sicurezza e l'anti-taccheggio... Una cosa semplice.

Ci basterà distrarre i presenti, ma a questo ci penso io: un rumore forte li sconvolgerà per un attimo, tanto per stare sicure. Poi è il tuo turno - e la ragazza fissò Iris con quegli occhi taglienti come una bufera di ghiaccio - di giocare sporco. Infila velocemente le quattro pietre da qualche parte, non importa dove, l'importante è che non si vedano ed esci subito.
Non sono ammessi errori.» 

Sottolineò in modo tremendamente serio.
Poi le fece l'occhiolino e si allontanò, come se Iris avesse acconsentito di sua spontanea volontà.

Ci pensò un attimo la nostra eroina, non si sarebbe data ad un furto così inconsciamente.

La giustizia era ciò che le stava a cuore, e per quanto rubare in un negozio sembrasse una sciocchezza dettata dall'adolescenza non le andava di violare l'ideale con cui suo nonno l'aveva fatta crescere.
Immaginò che sopportare il peso di un crimine non sia una cosa semplice; solo le persone spietate ci riescono senza rimorsi.

Tutto quel ragionamento fu vano: subito un forte boato riecheggiò per tutta l'area e, come aveva previsto la ragazza dai capelli fucsia tutti i presenti, clienti e commessi, si erano distratti in preda alla confusione.

«Lo faccio per le mie amiche...» Si rassegnò Iris.

Infilò velocemente i quattro bijou nella scollatura della maglia e li spinse fin dentro il reggiseno, in modo che non si vedessero (a mali estremi, estremi rimedi). Senza pensare uscì dal negozio, ora che la sua prima missione da ladra era stata completata magnificamente.

Ora aveva qualcosa su cui riflettere a lungo.

 

«Ottimo lavoro!» Si sentì applaudire con voce compiaciuta.

Era ancora la giovane dagli occhi di ghiaccio e i capelli corti fucsia acceso, che continuava a sorridere con falsa innocenza.

Accanto a lei c'era anche Velia, uscita prima di lei. Iris sperò con tutto il cuore che la vipera non le avesse rivelato nulla: quell'accusa sarebbe stata perfetta in qualsiasi litigio o disaccordo per sbatterla in prigione, portarla dalla parte del torto o ricattarla.
Però aveva seri dubbi che Velia se ne sarebbe mai servita.

«Incredibile, sei riuscita a convincerli a scontartele? Iris, sei un mostro di persuasione, ti userò come negoziatrice d'ora in poi!» La lodò questa.
Velia non ne sa nulla, allora.

Iris lanciò un'occhiata stupita alla giovane misteriosa: quindi si era inventata una scusa al posto suo per coprirla da un crimine, che non era un crimine perché era compiuto a fin di bene?
Iris doveva assecondare la sua montatura, per dimostrarle riconoscenza.

«È stata questa ragazza a convincermi a contrattare con i commessi, altrimenti sarei a mani vuote ora - e sfilò il bottino del furto con delicatezza dal suo minuto seno - grazie.»

«Di nulla.» La giovane era sempre rilassata, aveva ormai disteso la tensione iniziale. Poi aggiunse.

«Se è per qualcosa o qualcuno che ti sta a cuore bisogna sempre osare, non importa cosa comporti o se sia un bene o un male.»

Dopo quella frase calò un leggero silenzio fra le tre.

«Mi piace come pensi.» Ammise Iris.

Era davvero colpita da quella filosofia di vita: se hai la motivazione per fare qualsiasi cosa, buona o cattiva che sia, non potrai mai fallire. Il ragionamento non faceva una piega ed in più, come sappiamo, la ragazza dai capelli viola detestava perdere.

«Sembra il modo di pensare di una vincente.» Aggiunse Velia.

«Ma sai, non ci vuole molto ad applicarlo... Per esempio, - prese le mani di Velia, inquietandola leggermente - se non temi di ferire alcun Pokémon in lotta potresti arrivare a diventare qualcuno, tipo una Capopalestra.»
Quella ragazza era sicuramente ispirata.

«Io?! Una Capopalestra? Pensi in grande, sicuramente.» Ammise Velia in modo sarcastico.
Questa affermazione non sembra del tutto impossibile: quella ragazza ribelle ha talento per le lotte, ricordiamolo.

«O una Superquattro della Lega, o perfino il Campione della regione, che ne so...» Si ripeté costei.

«Perfino... il Campione?!» Quelle parole toccarono Iris.

Le diedero altro su cui riflettere.

Le tre ragazze chiacchierarono un pochino, ma Iris si astenne dal nominare la competizione alla quale aveva preso parte: non voleva tradire gli ideali di quella ragazza determinata e carismatica dagli occhi di ghiaccio.

Ecco, quella giovane dai capelli e l'aspetto alla moda vedeva bene come Campione.

«Allora, andiamo?»

Era giunto ormai un tramonto color arancio, che colorava il luogo con un gioco di luce che solo quell'estate sembrava aver mai regalato agli occhi delle tre.

Mentre le ragazze si separavano, alla giovane sorse un ultimo dubbio, da colmare all'ultimo momento.
Non era un dubbio però, era semplicemente una conferma.

«Scusa, non mi hai ancora detto il tuo nome!»
Le gridò, e la sua voce riecheggiò attraverso l'atrio semivuoto del centro commerciale.

«Eh?! Il mio nome? Calfuray Iris! - Cercò di enfatizzarlo, in modo che quella capisse - E il tuo?»

La ragazza misteriosa ora, potrà essere finalmente nominata.

«Georgia. Georgia Lang

 

 

«Perché hai deciso tutto di un tratto di farle commettere un furto?
Dovevamo solo raccogliere le informazioni mancanti, non farci amicizia!»

«Jasmine, zitta. Prendi carta e penna, piuttosto.
Calfuray Iris. Quindici anni, come me. Nata il 4 marzo. Provenienza: Villaggio dei Draghi...»

«Dove?!»

«Un misero paese al confine di Unima, ma è legalmente adottata a Boreduopoli.
...Petto: settantatre centimetri. Busto: cinquantadue centimetri. Vita: settanta centimetri. 
Comparate con quelle delle altre... Mi viene da ridere.»

«Già, ti divertirai molto nel farla fuori. È proprio vero che non significa nulla.
A proposito, non dirmi che ti ci è voluto un pomeriggio intero solo per ricavare queste quattro informazioni...»

«C-Certo che no, ho avuto anche altro da fare, ovviamente. Impegni da leader, cose del genere...»

«Ah sì, e cosa avresti scoperto? Un cavolo, penso.»

«Beh, non posso dire di non aver fatto nulla; noi tre siamo andate al karaoke, e devo ammettere che la ragazzina se la cavi bene con le parti rap nelle canzoni anche se i suoi acuti sono insopportabili, è del tutto negata con i giochi spara-a-tutto ma spacca di brutto in quelli ritmici, (ha fatto un nuovo record al primo tentativo) e mi ha stracciata due o tre volte, poi... Ah, il suo gusto preferito di gelato è alla frutta e...»

«...Ti diverte prendermi in giro, vero?»

«Mi dispiace, ma voglio vivere la mia vita prima di diventare come i cattivi dei manga, non so tu.»

 

Behind the Summery Scenery #8

1. Per quanto possa sembrare così, questo capitolo non è il frutto della cancellazione all'ultimo momento di un ipotetico capitolo in cui le ragazze sarebbero dovute andare in spiaggia per fare fanservice gratuito, avevo già pensato a questo sviluppo della trama ancora verso i primi capitoli della storia

2. Un particolare che pare stupidissimo e su cui invece mi sono ritrovata a ripensare molte volte è l'ambiguità che il mondo Pokémon serba nei confronti del reparto telefonia: nei videogiochi si usano i Pokédex o altri aggeggi strani per comunicare a distanza, ma ogni tanto nell'anime sbuca fuori qualche cellulare selvatico. Non ho mai capito come mai il perché.

Quindi ho scelto di rendere il tutto più realistico divulgando l'uso dei telefoni portatili per un semplice motivo: questa storia parla di adolescenti (più o meno), inutile mentirsi non ammettendo che il telefonino è parte integrante della gioventù di oggi.

3. In tutta la long le ragazze usano ed useranno molto, moltissimo i telefonini, per ragioni dell'intreccio, più che altro. Dunque, per far sì che voi lettori entriate al massimo nel vivo della vicenda, ecco che sono felicissima di annunciarvi che modello di cellulare hanno le diverse ragazze e qualche particolare IC riguardo l'utilizzo di esso:

- Iris possiede un Samsung Galaxy 4 Mini nero, rivestito da una cover rigida viola con il simbolo dell'infinito. Il suo sfondo è un collage di foto dei suoi Pokémon. Anche la tastiera e le icone del menù principale sono di colori sui toni del viola per abbinarsi alla cover. Siccome ha corta memoria, sua password è la sua data di nascita. Ciò permette a chiunque (soprattutto alle sue compagne e soprattutto a Camelia) di spiarne facilmente il contenuto.

- Camelia ha un iPhone 5s nero come la cover, che ha in aggiunta delle paillette dorate che formano un tuono. Da quando ha cominciato a lavorare come modella, scarica ogni giorno nuovi brani nel lettore musicale dimenticando però di cancellare quelli vecchi: le sue playlist prendono il nome dell'umore che ha quando le ascolta.

- Viste le sue modiche risorse economiche, il cellulare di Anemone è un apri-e-chiudi LG. Ciò non la fa sentire in imbarazzo con le amiche tanto quanto la rattrista il non poter andare su internet o scaricare applicazioni per fare i selfie. Sta comunque risparmiando per comprarsene uno nuovo entro la fine dell'estate.

- Il cellulare di Catlina è un Samsung Galaxy S6, con una cover gommosa rosa e dei brillantini bianchi. Cambia spesso telefonino visto che i suoi genitori gliene comprano uno ogni volta che esce un nuovo modello. Tuttavia lei lo tiene sempre in modalità silenziosa e non è raro che debba utilizzare tutto il suo credito telefonico per richiamare le persone a cui non ha risposto.

- Infine, Camilla ha ancora il suo iPhone 4s, sebbene lo schermo sia pieno di graffi e di crepe e non abbia ancora cambiato lo sfondo pre-impostato. Le capita spesso questa stressante situazione: scrivere messaggi chilometrici rifiutandosi categoricamente di utilizzare le abbreviazioni e ricevere risposte a monosillabi. È inoltre una maniaca delle visualizzazioni e dell'ultimo accesso.

4. Mi era passata per la testa la mezza idea di inserire anche Velia fra le protagoniste assegnandole il colore fucsia, ma avevamo già la ragazza con le tette piccole nel gruppo. Comunque sappiate che la adoro, e la shippo con la protagonista di Pokémon Nero2/Bianco2 (Mei o Rosa o Rina) per colpa della doujinshi "Sweet Collapse".

5. Allo stesso modo ho amato Georgia nell'anime, a mio parere la rivale delle compagne di Ash meglio riuscita, avrei sperato in un approfondimento migliore su di lei, ma pazienza. Mi piace di lei quella determinazione che mantiene anche sapendo che ciò che andrà a fare è qualcosa di scorretto, seppur necessario.

Ma chi voglio prendere in giro. Sbatte del character developement. A me piacciono le stronze e basta.
​Se le stronze hanno le tette poi, meglio ancora.

6.  Okay. Sicome Unima è basata sull'America e in America si usano i dollari, evitiamo ulteriori casini e non utilizziamo il sistema dei giochi: ora i soldi funzionano come gli $$$, boyz.

MONEY MONEY MONEYYYYY okay Army adesso mi volete bene, no? 

  
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