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Autore: Teddy_bear    15/07/2015    3 recensioni
Le vene coronarie sono i vasi che raccolgono il sangue venoso refluo dal miocardio, facendolo affluire successivamente nei vasi posti sul retro del collo, per poi portarlo nella direzione celebrale.
Tate Langdon era un ragazzo di vent'otto anni con problemi psicologici, presentatisi fin da quando era un preadolescente. Alto, capelli mossi e biondi, occhi neri ed intensi. Era un maniaco del controllo, tanto da arrivare ad avere nel corso dei suoi giorni certe fantasie preoccupanti, anormali, malate.
Si poteva rimanere intimoriti dal suo modo psicopatico di parlare, dalla sua irrefrenabile voglia di fare del male, di sottomettere, di uccidere. Quando fu accusato di stupro, gli agenti di polizia di Los Angeles lo mandarono in cura dalla migliore psichiatra che conoscevano, tanto giovane quanto imbattibile in casi di stabilità mentale.
“Tate Langdon, giusto?”
“Poesia”.
“Come, scusi?”
“Il modo in cui lei pronuncia il mio nome, dottoressa Harmon. E' poesia”.
Genere: Dark, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tate Langdon, Un po' tutti, Violet Harmon, Violet Harmon
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Prologue}.

 

"Stai sbagliando, se vuoi ucciderti devi tagliare in verticale.
Non si chiuderanno più".


 


Violet stava sorseggiando il suo caffè amaro, quella mattina, mentre i suoi occhi erano immersi nella lettura di decine di fogli bianchi intrisi di parole stampate in carattere minuscolo, una dietro l'altra. Era il mese di novembre, il giorno diciotto. Aveva sospirato circa tre volte leggendo quei vocaboli, leccandosi di tanto in tanto le labbra calde, aventi il sapore del liquido nero che stava bevendo.

“Buongiorno, tesoro”.

Sobbalzò, talmente era presa dalla lettura, quando il suo ragazzo, Andrew, fece ingresso in cucina, dandole un bacio sui suoi capelli castano chiaro -quasi biondi-.

“Buongiorno”. Tentò di ricambiare il saluto, sorridendo forzatamente, mentre il suo caffè non le sembrò più così fluido da mandare giù, a causa della morsa estrema che stava inglobando il suo stomaco tanto da farlo sembrare inesistente.

“Dormito bene?”.

“Sì... solo il lavoro, sai. E' dura”. Spiegò, chiudendo poi il fascicolo, nonostante avesse letto parole più crude di quelle riportate in quella pila di fogli malati.

“Nuovi pazienti?”. Andrew le si sedette accanto, prendendole la mano, carezzandole lievemente con i polpastrelli il dorso. Le dita lunghe -quasi da pianista- di lei andarono ad arricciarsi, per cercare un maggiore contatto con quelle del suo uomo.

“Uno, sì”.

“Mi sembri molto turbata”. Sentenziò l'altro, scrutandole il viso angelico.

“E' lui quello turbato, Andy”.

“E la cosa sembra metterti a disagio, Violet. Ma non capisco il motivo, hai avuto a che fare con così tanti assassini che potresti pure parlare con Jack lo squartatore, a parer mio”.

“Giusto. Ma, sai, l'agente Williams conta molto su di me”.

“Perché sei la più brava. Non dubitare di te stessa”. Le rimproverò, baciandole la spalla coperta dal maglione, di lana cashmire, nero.

“Non lo faccio”.

Si sorrisero a vicenda, mentre Violet sembrava aver ritrovato la sua sicurezza, ringraziando poi il suo compagno.

Andrew Clark era il ragazzo dei suoi sogni. Quando Violet, l'aprile di cinque anni fa lo incontrò, si sentì colpita da quella figura maschile e colta. Era un ragazzo intelligente, istruito, bello e gentile. Per questo, quando capì che i suoi sentimenti erano corrisposti, si fidanzò con lui ed andarono a vivere insieme in un appartamento confortevole. La loro era una meravigliosa storia d'amore. Lui sentiva di amarla sempre di più ogni giorno che passava, tant'è che glielo diceva quotidianamente ogni volta che lei si ricava al suo studio, per lavorare. E lei, puntualmente, rispondeva un “anche io”, arrossendo.

 

“Langdon, il suo avvocato ha chiesto di vederla”.

Tate alzò i suoi occhi neri dalle piastrelle del pavimento consumato che contemplava da un quarto d'ora, immaginandosi una serie di figure tra una crepa e l'altra, sorridendo quasi malignamente quando sentì l'agente Monroe richiamarlo.

“Quale onore”. Squarciò il silenzio, con quel timbro di voce cupo e misterioso, macabro.

“Avanti, girati”. Gli disse, arrotandolo su se stesso, fino ad avere una visuale della sua schiena, per mettergli le manette, non prima di un “senza fare storie, Langdon”, quando lo sentì rigido e teso.

Ghignò il biondo, mordendosi poi il labbro inferiore fino a ferirsi, fino a riconoscere il sapore metallico del sangue.

Passò davanti alle altre celle, strizzando l'occhio quando vide l'inconfondibile Felicity Singer, la rossa accusata di aver dato fuoco all'amante di suo marito, Tate trovava quella donna paricolarmente... attraente. Era il suo modo malato di pensare a farlo sentire coinvolto; nella sua immaginazione aveva anche già fatto sesso con lei. Più volte.

Il poliziotto fece sedere Tate sulla sedia dura di acciaio, informandolo che l'incontro sarebbe durato solo dieci minuti. Il ventottenne annuì, ghignando.

“Di solito duro di più, io”.

Monroe lo guardò, aggrottando le sopracciglia, per poi cercare di lasciar perdere la mente contorta di quel ragazzo: non era affar suo.

“Beh, certo, gli incontri in cui duro di più sono diversi da questo. Non crede anche lei, agente?”

Solo allora l'uomo in divisa capì a cosa si riferisse il carcerato, e gli venne la pelle d'oca a pensare a quella povera donna che quel biondo psicopatico aveva stuprato.

“Deve vergognarsi”. Sputò aspro, seguito da un “Mani sopra il tavolo, Langdon”.

Tate fece come gli era stato detto, notando poi l'arrivo del suo avvocato, vestito elegante come sempre.

“Tate”. Gli disse, a mo' di saluto, per poi sedersi, avvicinando la sedia al tavolo, provocando un rumore sgradevole quando essa graffiò la pavimentazione.

“Non mi faccia perdere tempo. Cosa vuole?”

“Okay, mi stia a sentire, Tate. L'hanno condannato a quindici anni di prigione, ma ho parlato con l'agente Williams e credo che lei sappia bene di chi si tratta”.

Il mosso annuì, sbuffando, in quanto il suo avvocato ci stesse mettendo troppo per arrivare al punto della questione.

“Si può ridurre la pena di cinque anni, o magari anche meno, se lei si sottopone ad una terapia psichiatrica. Gli incontri saranno sorvegliati, naturalmente, ma dall'esterno. Lei avrebbe la massima riservatezza”. Spiegò l'uomo.

“Piuttosto che avere una seduta con uno strizzacervelli preferico la sedia elettrica. Ed ora mi scusi, ma credo che i dieci minuti siano finiti”. Fece per alzarsi, ma qualcosa lo fermò.

“E' una donna”.

“Come?”

“Non è uno strizzacervelli, ma una strizzacervelli”.

“Questo non cambia nulla, avvocato. Non mi interessa sentire le solite cazzate di una cretina che si sente onnipotente solo per la sua laurea di merda, mi capisce, sì?”

“Cinque anni in meno sono tanti, Tate”.

Il giovane ciondolò avanti ed indietro con la schiena, osservando il vuoto, per un tempo che pareva interminabile. L'avvocato capì che stava riflettendo, dal modo in cui i suoi occhi si chiudevano lentamente ed ad intervalli molto distanti l'uno dall'altro.

“Spero per lei che questa donna sia attraente. Sa', avrei bisogno di nuove fantasie per... sfogarmi”. Rise malignamente, accettando poi la proposta, pensando che si sarebbe potuto divertire un po'. Lui amava divertirsi.

L'avvocato ingoiò a vuoto, per poi annuire meccanicamente. Di lì a poco entrò l'agente Monroe, informando il ragazzo prigioniero che i dieci minuti erano finiti.

Tate se ne andò ridendo istericamente, facendo rabbrividire il suo tutore legale.

 

Tate Langdon era pazzo ma, quello che non sapeva, era che da lì a poco stava per diventare pazzo di Violet Harmon.

Angolo autrice:
okay, okay. Questa è una mia storiellina un po'... Diversa, diciamo così. Hahah.
Vorrei sapere cosa ne pensate :) non preoccupatevi, non ho abbandonato le altre.
Comunque, dico davvero, cosa ne dite? Pareri, suggerimenti, consigli?
Personalmente amo la Violete originale, ma questa loro versione mi incuriosice scriverla u.u
La parola a voi, mia care!
Bacioni x.

   
 
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