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Autore: Lizhp    15/07/2015    4 recensioni
A proposito di fingere di essere qualcuno di diverso, i suoi occhi si posarono su una testolina bionda che in quel momento era appoggiata sulla mano sinistra di un ragazzo seduto nella fila centrale di banchi, più avanti rispetto a lui. Dalla sua postazione nell’angolo destro dell’aula, Mika riusciva a vedere quel volto di profilo: capelli lisci e biondi facevano da contorno a dei lineamenti fini e risaltavano due occhi azzurri e profondi. La mano destra scorreva veloce sul foglio che il biondo aveva davanti, probabilmente prendendo appunti sulla lezione.
Così passava le sue mattinate a scuola Mika: qualche volta con gli occhi fissi al di fuori della finestra, perso nei suoi pensieri, qualche volta con lo sguardo rivolto verso quel ragazzo, di cui l’unica cosa che sapeva era il suo nome: Andreas. Anche lui non doveva essere inglese, dal nome, ma non aveva mai rivolto la parola a quel ragazzo, così come a tutti gli altri suoi compagni di classe.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buooooonasera!
Okay, parliamo un po’, voi e io, prima che leggiate questo mio ultimo schizzo di pazzia. Voglio dirvi un po’ qualcosa di questa storia prima di lasciarvi alla lettura, per evitare che iniziate a leggere e non capiate nulla.
Qualche sera fa parlavo con marauder_ (la stessa che a volte mi aiuta con You Made Me, se l’avete letta, altrimenti non importa) e ad un certo punto ci siamo chieste “Chissà se quando dice che sono insieme da 8 anni comprende anche il periodo di rottura oppure no”
SBAM.
La mia mente si è attorcigliata su se stessa, di nuovo.
E allora mi sono distaccata dal primo incontro che io ho immaginato nella mia long e mi sono detta okay, torniamo un po’ indietro nel tempo e spostiamo questo primo incontro ad un po’ di anni prima di Relax, Grace Kelly e tutto ciò che ne è conseguito.
Contemporaneamente, l’intervista a Le Divan (che se non l’avete vista vi manca una parte di vita, quindi andatevela a vedere che è una delle migliori interviste in assoluto) mi frulla nella testa da settimane e settimane, così ho preso alcuni dettagli anche da lì e dall’infanzia di Mika, nonostante questa one shot non si concentri su questo. Mi rifaccio anche ad un’altra intervista, ora non chiedetemi quale che non me lo ricordo, in cui ha detto cose simili a Le Divan riguardo la sua omosessualità: sempre da giovane era convinto che essere gay fosse sbagliato (salvavo queste frasi senza segnare l'intervista da cui le prendevo, smetterò di farlo, prometto)
In più, riflettendo su tutte queste cose, mi è venuta in mente una canzone di Mika, che avrete capito dal titolo.
Insomma, c’è un po’ di tutto qui dentro. Mi piace però l’idea di riportarvi qui i passaggi a cui mi sono ispirata, presi dall’intervista a Le Divan. Non so perché, ma questa volta trovo più giusto che vadano prima, quindi eccoli qui. 
Buona lettura, alla prossima :)

- “In effetti quel giorno, quando ho dimenticato il mio zaino, mia sorella è venuta a portarmi il mio zaino e la professoressa ha cominciato a fare quello che faceva tutti i giorni. L’ha fatto con lo stesso rigore con cui mi umiliava tutti i giorni, ma davanti a mia sorella Paloma. Lei è scappata dalla scuola, senza chiedere il permesso ed è andata da mia mamma. Mia mamma ha chiamato mio padre, che era in ufficio. Mio padre è venuto a cercarmi e ha ripetuto, nel cortile in cui era venuto a cercarmi, davanti a tutti i genitori e alla professoressa quello che Paloma aveva sentito. Venti minuti dopo il preside della scuola mi espelle […]
Siamo rientrati, io mio padre e mia sorella, a piedi e abbiamo la canzone del Mago di Oz. E io gridavo, urlavo, perché non dovevo più tornare a scuola […]
Loro mi hanno espulso ma di fatto mi hanno liberato”

- “Mia madre ha detto –E’ finita, per te non è la scuola, tu vai al parco-“

- “la musica ti ha salvato?"
"No, il parco. Il parco, veramente. C’è un parco vicino a casa mia: era il mio preferito perché c’era un grande lago pieno di anatre. E’ Kensington Gardens. E è buffo perché tutti i migliori ricordi migliori di Londra si trovano in quel parco. Ero contento e quando ero contento potevo fare la musica". 

- “In una famiglia orientale come la tua è stato difficile parlare della tua omosessualità o per niente?"
"E’ stato difficile? Sì, certamente”

-“Vi do la prospettiva di un ragazzo di 13 anni, o 15 anni che nella sua testa pensa che deve costruire un’altra vita per essere accettato, per avere le stesse possibilità e per non avere problemi nella sua vita. E allora lui deve fingere di essere qualcun altro.
"E questo eri tu, Mika?"
"Sì certamente! Quando ero giovane mi dicevo -mai, mai lo dirò. Mai, che vergogna! Mai, è orribile!- E questo può provocare una sorta di atteggiamento distruttivo che può far male a tutti"

-"Per cui tu hai tentato di nascondere per un certo periodo…"
"Sì, ma come quasi tutti i giovani"
"Tutti in un momento della loro vita hanno finto di essere qualcun altro”


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Avere il permesso di entrare in ritardo a scuola aveva i suoi pro e i suoi contro.
In questo modo, Mika evitava tutte quelle persone che avevano come uno scopo nella loro vita, chissà per quale motivo, quello di prenderlo in giro. Tuttavia entrare in classe quando le lezioni erano già iniziate significava avere, per qualche secondo, tutti gli occhi dei suoi compagni di classe puntati su di lui.
Come ogni mattina, Mika si fermò per qualche secondo di fronte alla porta chiusa dell’aula, con una mano sulla maniglia.
Fece un sospiro: un’altra giornata infernale stava per cominciare.
Si fece coraggio ed entrò in classe: i professori, ormai abituati, non lo degnavano più nemmeno di uno sguardo. Gli occhi del ragazzo erano fissi sul pavimento mentre raggiungeva, il più velocemente possibile, il suo banco in fondo all’aula. Si sedette, cercando di scacciare quella lieve sensazione di calore sulle guance che sicuramente le aveva colorate, come sempre, di una leggera sfumatura di rosso.
Tolse dallo zaino un quaderno e l’astuccio, appoggiò una matita sul foglio e si estraniò dalla lezione.
Che senso aveva ascoltare il professore che parlava di letteratura inglese? La scuola per lui non era altro che un’enorme gabbia in cui doveva fingere di essere ciò che non era.
A proposito di fingere di essere qualcuno di diverso, i suoi occhi si posarono su una testolina bionda che in quel momento era appoggiata sulla mano sinistra di un ragazzo seduto nella fila centrale di banchi, più avanti rispetto a lui. Dalla sua postazione nell’angolo destro dell’aula, Mika riusciva a vedere quel volto di profilo: capelli lisci e biondi facevano da contorno a dei lineamenti fini e risaltavano due occhi azzurri e profondi. La mano destra scorreva veloce sul foglio che il biondo aveva davanti, probabilmente prendendo appunti sulla lezione.
Così passava le sue mattinate a scuola Mika: qualche volta con gli occhi fissi al di fuori della finestra, perso nei suoi pensieri, qualche volta con lo sguardo rivolto verso quel ragazzo, di cui l’unica cosa che sapeva era il suo nome: Andreas. Anche lui non doveva essere inglese, dal nome, ma non aveva mai rivolto la parola a quel ragazzo, così come a tutti gli altri suoi compagni di classe.
A volte anche la matita di Mika iniziava a lasciare tracce sul foglio, ma non per prendere appunti delle lezioni: annotava frasi sparse che, col tempo, avrebbero preso la forma di canzoni e che poi a casa prendevano vita direttamente dalla sua voce accompagnata dal suono delicato del pianoforte.
La mattina passava lenta, come sempre. Ogni tanto, mentre si fermava ad osservare di nascosto quel ragazzo, Andreas si voltava verso di lui; a quel punto Mika abbassava velocemente gli occhi sul foglio, arrossendo.
Non aveva mai permesso ad Andreas, più che ad ogni altro, di avvicinarsi a lui. Non perché il biondo rientrasse in quel gruppetto di ragazzi che si divertivano a maltrattarlo, ma semplicemente perché non voleva rischiare che, conoscendolo, quella sorta di interesse che provava per lui aumentasse.
Era sbagliato, era tutto quanto sbagliato.
Questa era una cosa che nascondeva anche a casa; era come se avesse una vita che mostrava alle persone intorno a lui e poi un’altra vita, segreta, accuratamente tenuta nascosta. Peccato solo che il vero se stesso fosse quello della vita nascosta.
Era gay.
Lo sapeva già da un po’ di tempo, ma aveva preso questo aspetto di se stesso e l’aveva accuratamente riposto nella sua vita invisibile agli altri. La trovava una cosa orribile, una cosa che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire; una cosa sbagliata, che non avrebbe fatto altro che unirsi al suo isolarsi e al suo modo particolare di vestirsi per contribuire a renderlo così diverso dagli altri; sarebbe stato un motivo in più per malmenarlo.
Per questo ogni volta che Andreas provava ad avvicinarsi a lui, si dava alla fuga.
Durante la ricreazione usciva talmente velocemente dall’aula per ripararsi nel retro della scuola, senza dare il tempo a qualcuno di seguirlo. La mattina entrava tardi, alla fine della scuola usciva dopo tutti e quando aveva visto che Andreas aveva tentato di fermarsi per parlare con lui, era uscito velocemente dall’aula, affrontando così i suoi compagni di scuola che, stupiti da questa cosa, non avevano certo esitato ad approfittare della situazione per riservargli qualche spinta e un paio di insulti. Ci aveva tentato solo una volta di parlare con lui alla fine delle lezioni, poi non l’aveva più fatto, per fortuna.
La campanella che segnava la fine delle lezioni era la sua ancora di salvezza. Mika mise il quaderno e la matita nello zaino, ma aspettò ad alzarsi.
Era una routine a cui ormai era abituato.
Quando tutti i suoi compagni lasciarono l’aula, Mika osservò il piccolo orologio digitale colorato che teneva al polso: ancora dieci minuti, per dare a tutti il tempo di uscire dall’edificio e poi anche lui si sarebbe avviato verso casa.
Dieci minuti esatti dopo, si alzò dal suo banco e si avviò per i corridoi quasi deserti della scuola iniziando a camminare verso casa.
Restò in casa solo per pranzare, poi prese il suo quaderno, la sua matita e si avviò verso Kensington Gardens. Era un parco meraviglioso che si trovava proprio vicino a casa sua: Mika adorava sedersi nell’erba, vicino al grande lago popolato da moltissime anatre, e lasciare che la creatività facesse il suo dovere.
Quando era bambino, quel parco l’aveva salvato; ricordava il giorno in cui era stato espulso dalla sua vecchia scuola, un liceo francese a Londra. Era accaduto anni prima, ma scordarlo era impossibile, così come era impossibile dimenticare il motivo per cui era stato espulso. Ricordava l’imponente figura di suo padre nel cortile della scuola che cercava proprio lui, seguito da Paloma. Mika non aveva capito subito quello che stava succedendo, ricordava solo che suo padre lo aveva preso per mano e l’aveva portato via da quel posto, non prima di aver ripetuto alla sua insegnante, che ogni giorno lo umiliava sistematicamente, e agli altri genitori quello che la donna diceva a Mika e ad una sua compagna di classe, quello che li obbligava a fare con l’unico scopo di distruggerli emotivamente.
Venti minuti dopo, era stato espulso; o meglio, era stato liberato. Uno dei migliori ricordi della sua infanzia era il viaggio di ritorno verso casa, quel giorno. Camminavano, mentre cantavano tutti e tre insieme.
“Hey, hey, the witch is dead
The wicked witch is dead”
Non aveva mai urlato tanto di felicità come quel giorno: non avrebbe più dovuto vedere quella donna, non avrebbe più dovuto parlare in piedi ad una sedia, nessuno avrebbe più potuto recitare filastrocche offensive su di lui.
Sua madre gli aveva permesso di non tornare subito in un’altra scuola e lo aveva portato in quel parco. Da quel giorno, Kensington Gardens era stato la sua salvezza, sempre. Da piccolo andava lì e giocava. Adesso, si sedeva a bordo del lago e scriveva su quel quaderno che conteneva la sua vita narrata attraverso le canzoni.
Seduto sull’erba, prese la matita e puntò gli occhi sul foglio, pronto a lasciarsi trasportare ovunque la musica avesse voluto condurlo.
Si estraniò completamente dal mondo reale per raggiungere quel luogo immaginario in cui le parole prendevano vita da sole. Riusciva ad isolarsi, escludendo i rumori delle persone intorno a lui, viaggiando con la mente lontano da quel parco, per raggiungere posti che solo lui poteva visitare.
-Michael, giusto?-
Una voce maschile interruppe bruscamente il suo viaggio, riportandolo brutalmente alla realtà. Quando si rese conto di conoscere quella voce, già sentita in classe durante le interrogazioni, il suo cuore si raggelò.
Ormai si era rivolto a lui,  non poteva fare come sempre e scappare prima che avesse il tempo di dire anche solo una parola.
Ma che ci faceva in quel parco? Dalla finestra della sua classe, a fine lezioni, Mika lo vedeva sempre avviarsi verso la metro, non doveva abitare in quella zona.
Distolse gli occhi dal foglio e li puntò sul ragazzo che era in piedi da parte a lui e lo stava osservando.
-Mika- lo corresse immediatamente il riccio, senza quasi rendersene conto. Nessuno lo chiamava col suo nome completo, nemmeno sua madre. Lui era Mika, lo era sempre stato, sentirsi chiamare Michael era troppo strano.
-Andy- rispose il biondo, rivolgendogli un sorriso.
Mika iniziò a pensare a tutte le scuse che avrebbe potuto usare per andarsene da quel posto, mentre i suoi occhi furono catturati dalla bocca distesa in un bellissimo sorriso di Andreas; o Andy, come il ragazzo gli aveva appena detto.
Si sedette sull’erba accanto a lui e Mika chiuse immediatamente il quaderno con i testi delle canzoni: non voleva che Andy leggesse quello che c’era scritto e poi si vergognava a mostrare a qualcuno cose scritte a mano da lui. La dislessia spesso faceva sì che commettesse molti errori ortografici.
-Scusa, ma devo andare- disse il riccio, alzandosi.
Andy lo guardò con sguardo indecifrabile, che Mika si curò bene di ignorare: quella vicinanza lo faceva sentire… strano. Tutti i pensieri che faceva su di lui mentre lo osservava in classe ora che si stava rivolgendo a lui sembravano amplificati e questo non andava affatto bene.
-Perché mi eviti?- il tono dispiaciuto di Andy costrinse Mika ad interrompere la sua fuga e a voltarsi verso di lui.
-Non ti evito, devo andare- e fece per voltarsi ma poco dopo si ritrovò il biondo davanti.
-Non sono stupido- dichiarò Andy –Perché mi eviti?- e puntò i suoi occhi color del cielo direttamente in quelli scuri di Mika, che sentì un leggero calore colpirgli le guance.
Anche il suo corpo dimostrava, contro la sua volontà, il motivo per cui cercava di tenere quel ragazzo il più lontano possibile.
Mika non sapeva cosa rispondere.
Perché mi piaci?
Perché sono gay, ma ho paura di dirlo perfino alla mia famiglia?
Perché la trovo una cosa orribile?
-Evito tutti a scuola- disse infine, cercando di andare, ma il ragazzo lo bloccò, mettendogli una mano sul braccio.
Ma che stava facendo? Non si rendeva conto che non faceva altro che peggiorare la sua situazione già instabile?
-Non è una risposta-
-Sì, lo è. Non devi farne un fatto personale-
Era un pessimo bugiardo, così puntò gli occhi a terra, cercando si sfuggire a quelli di Andy che ancora gli teneva il braccio ben stretto, impedendogli qualsiasi possibilità di fuga.
-Ma che ti ho fatto? Nemmeno mi conosci- gli fece notare Andy, confuso.
Un’altra domanda plausibile ma a cui Mika non poteva dare una vera risposta.
-Non mi hai fatto niente- rispose, scuotendo la testa.
-Ma allora…-
-E’ complicato-
Andy alzò un sopracciglio.
-E’ complicato andare a prenderci un gelato a quel baldacchino e scambiare due chiacchiere tra compagni di classe mentre passeggiamo in un parco insieme alle anatre?- e con il pollice indicò gli animali che, poco lontano, si godevano il clima piacevole della giornata in acqua oppure a bordo del lago.
Il riferimento alle anatre fece sorridere Mika. Andy non avrebbe mai capito che sì, anche una cosa del genere per lui era complicata.
Ma cosa poteva fare? Rispondergli in malo modo e andarsene, trattando male l’unica persona che in quella scuola avesse mai cercato di avvicinarlo per motivi diversi da strattoni e insulti?
-Okay- disse quindi infine, accettando la proposta del ragazzo.
Andy gli lasciò allora il braccio e, con un altro sorriso, lo invitò a seguirlo. Presero il gelato e poi iniziarono a camminare per il parco.
Mika scoprì che Andy in realtà era nato in Grecia e che si era poi trasferito a Londra; aveva la forte ossessione di voler riprendere qualsiasi cosa, anche se spesso doveva trattenersi. Tuttavia, portava sempre con sé la sua piccola videocamera, spiegando a Mika che non si poteva mai sapere quello che la giornata gli avrebbe riservato, quindi era meglio essere pronti. Come il riccio aveva sospettato, Andy non abitava in quella zona di Londra, ma quel pomeriggio si era dovuto trattenere alle segreterie della scuola per alcune questioni burocratiche e poi aveva deciso di non rientrare subito a casa, vista la scarsa voglia di studiare per il test di matematica del giorno successivo, e aveva pensato di fare un giro nel parco.
Anche Andy fece qualche domanda a Mika e il ragazzo gli disse di essere nato in Libano e di essersi trasferito prima a Parigi e poi a Londra. Gli rivelò di avere una grande passione per la musica e di suonare il piano, ma non gli disse che scriveva anche canzoni: non voleva correre il rischio che Andy gli chiedesse di fargliene ascoltare qualcuna. Non gli disse della dislessia, non gli disse di non sapere leggere la musica, o un orologio. Non era ancora il momento di svelare quella parte di sé. Tuttavia quando Andy gli chiese l’età fu costretto a spiegare che per un anno, quando era più piccolo, non era andato a scuola e che, quando aveva ripreso, aveva avuto un piccolo incidente di percorso, motivo per cui era due anni più grande di lui. Non spiegò le motivazioni e Andy, molto discretamente, non gliele chiese.
Passarono in quel modo due piacevoli ore, in cui Mika scordò tutte le sue paure e tutte le sue convinzioni. Era stato un po’ più se stesso, anche se non del tutto: infatti non aveva dato accesso ad Andy a quella vita segreta che custodiva così attentamente. In fondo, conosceva poco quel ragazzo e non si poteva mai sapere.
-Devo proprio rientrare ora- disse il biondo, lanciando uno sguardo all’orologio.
-Va bene-
-Ci vediamo domani a scuola allora-
Mika si limitò ad annuire e a salutare il ragazzo con una mano, per poi dirigersi verso casa.
Quella sera, dopo cena, si sentì più confuso che mai: da un lato, i ricordi piacevoli che quel pomeriggio gli aveva lasciato, dall’altro la convinzione che tutto quello che provava per Andy fosse sbagliato.
Come trovare una soluzione?
Come conciliare quello che lui era, quello che sentiva e sapeva di provare per Andy, con quello che credeva fosse giusto?
Non era amore, no. Non lo conosceva così bene.
Eppure, era ben consapevole di provare un certo interesse nei suoi confronti, ben diverso da quello che si prova per un amico.
Era… attrazione? Non lo sapeva e non voleva scoprirlo, era comunque tutto così sbagliato.
Chiuse gli occhi e si addormentò con la convinzione che, comunque, Andy non avrebbe più avuto occasione di parlare con lui. Domani, tutto sarebbe tornato ad essere come sempre: sarebbe arrivato in ritardo a scuola e a ricreazione si sarebbe nascosto nel solito posto.
Sarebbe tornato ad essere il ragazzo isolato dell’ultima fila e, di quel pomeriggio, avrebbe conservato solamente un bellissimo ricordo.
 
Quanto si era sbagliato la sera precedente: niente sarebbe stato come prima.
Quando, dopo il solito attimo di esitazione, aprì la porta dell’aula e si diresse con gli occhi puntati a terra verso il suo banco, notò che la sedia accanto alla sua era occupata… da Andy.
Lo fissò con gli occhi sbarrati, senza dire una parola, senza sedersi.
-Penniman, ha intenzione di starsene lì in piedi ancora per molto?-
Mika tolse gli occhi dal volto di Andy per osservare il professore.
-No- disse, prendendo posto al suo banco mentre gli occhi di tutti, ovviamente, erano di nuovo puntati su di lui e qualche risatina divertita giunse alle sue orecchie.
Andy lo osservò, serio.
-Sai che non dovresti farlo arrabbiare, è uno dei peggiori professori che abbiamo- sussurrò il biondo, facendo correre gli occhi all’insegnante.
Mika lo ignorò.
-C-cosa… cosa ci fai seduto qui?- mormorò, cercando di parlare il più a bassa voce possibile.
-Non potevo?- e gli rivolse un mezzo sorriso che fece cadere qualsiasi difesa di Mika.
Era nei guai, guai seri.
-Sì, certo- disse solamente, non avendo il coraggio di cacciarlo.
-Laggiù in fondo, vi devo separare?- la voce del professore arrivò di nuovo alle orecchie di Mika e, di nuovo, tutti si voltarono verso di lui… e verso Andy.
-No, ci scusi- rispose il biondo, per poi guardare con insistenza tutta la gente che si era voltata verso di loro fino a che tutte le teste non tornarono a fissare la lavagna.
Riservò un ultimo sguardo divertito a Mika e poi tornò a far scorrere la matita sul suo foglio. Il riccio tolse quaderno e matita dal suo zaino e, come sempre, li appoggiò sul banco.
Cosa avrebbe fatto in quella mattinata?
Di solito pensava e scriveva canzoni, ma Andy avrebbe potuto leggerle.
Di solito osservava di nascosto Andy, ma il ragazzo ora se ne sarebbe accorto. Non che non se ne fosse mai reso conto, anche lui a volte si voltava, ma non poteva mettersi a guardarlo proprio in quel momento.
Puntò allora i suoi occhi fuori dalla finestra e non li spostò fino a quando non sentì la campanella della ricreazione.
A quel punto fece quello che faceva di solito: scattò in piedi e raggiunse, prima che Andy avesse il tempo di rendersi conto di qualsiasi cosa, i corridoi della scuola e poi il suo posto nascosto nel cortile.
Si aspettò quasi di essere seguito da Andy, ma il biondo non lo raggiunse, per fortuna.
O purtroppo, non aveva ancora deciso.
Rientrò in aula dietro al professore dell’ora successiva e quando si avvicinò al banco vide che Nick, uno dei ragazzi che aveva preso di mira Mika, stava parlando con Andy.
-Davvero non riesco a capire perché, Andreas-
-Non mi aspetto che tu capisca, infatti-
Mika percepì solo questo della conversazione, poi Nick si voltò verso di lui. Gli rivolse lo stesso sguardo di sempre, un misto di odio e disprezzo, contornato da un sorrisetto strafottente.
-Torna pure a sederti vicino al tuo amichetto. Sai solo scappare da quella porta, sei un vigliacco-
Mika, come al solito, non rispose alle provocazione, ma si limitò ad abbassare lo sguardo.
-Torna a sederti, Nick- intervenne quindi Andy, con un tono di voce secco e freddo, portandosi di fronte al ragazzo.
-Non ti immischiare in cose che non…-
Ma in quel momento, fortunatamente, il professore richiamò la classe all’ordine. Gli occhi di Nick erano pieni di sfida, quelli di Andy di rabbia.
Nick tornò al suo posto e Andy si sedette ancora in parte a lui, senza smettere di osservare Nick pieno di disprezzo.
-Dove sei andato?- gli chiese poi in un sussurro.
-Dove vado sempre- rispose Mika, ma il professore si schiarì la voce, così Andy prese un foglio e ci scrisse sopra qualcosa.
“Non dovresti andartene, davvero. Cosi vincono loro” e passò matita e foglio a Mika, perché potesse rispondere.
 -Vincono loro in ogni caso- la risposta di Mika fu poco più di un sussurro: non voleva scrivere, rischiando di commettere troppi errori che lo avrebbero solo messo in imbarazzo. Così dicendo, restituì foglio e matita a Andy. Il biondo lo osservò e si limitò a scuotere la testa, deciso.
Non sapeva perché Mika avesse voluto parlare, rischiando di farsi riprendere di nuovo, piuttosto che scrivere, ma non continuò comunque quella conversazione.
Quando l’ultima campanella suonò, fu Andy a parlare, riprendendo il discorso interrotto prima.
-Non possono vincere sempre loro, una soluzione ci deve essere-
Mika scosse la testa: non aveva nessuna intenzione di iniziare quel discorso con Andy. Quel discorso e tanti altri discorsi. Si rendeva conto che, più gli parlava, più piano piano conosceva il suo carattere più, quella cosa che lui era convinto fosse sbagliata cresceva in lui. Non poteva sopportarlo.
-Non hai fatto un grande affare a sederti accanto a me- gli disse solo, mettendo via quaderno e astuccio.
-Ho fatto la cosa giusta- rispose Andy, convinto, cercando di catturare i suoi occhi, che però erano rivolti altrove.
Mika assimilò quella frase, sommata al modo in cui Andy lo aveva difeso da Nick: non poteva fare a meno di fargli piacere. Arrossì leggermente.
-Non credo- rispose solamente, in un sussurro.
-Beh, io invece credo di sì- replicò il biondo, per poi riuscire finalmente a guardarlo negli occhi –Ti va di fare un giro con me oggi pomeriggio sul tardi?- chiese poi Andy e Mika lo fissò, stupito.
Non poteva e non avrebbe mai potuto.
-E’ meglio di no, scusami- gli disse quindi, tentando di uscire dall’aula anche se non erano passati i soliti dieci minuti.
Una mano però si posò sulla sua, bloccandolo. Mika fissò Andy che, per la seconda volta in due giorni lo stava trattenendo: questa volta lo aveva addirittura preso per mano e Mika si sentì andare a fuoco.
Era sicuro che Andy lo avesse notato: perché non riusciva a controllare le sue emozioni?
-E’ meglio per chi?- gli chiese il biondo, scrutandolo attentamente.
-Per entrambi- rispose Mika a bassa voce, cercando di voltarsi, ma Andy aumentò la pressione sulla sua mano. Mika voleva, allo stesso tempo, che Andy non lasciasse la sua mano per nulla al mondo, ma desiderava anche che la allontanasse il prima possibile: si rese conto che stringerla gli piaceva.
Scacciò subito questi pensieri: era sbagliato, tutto era sbagliato.
-Mi odi?-
Mika rimase davvero sorpreso da quella domanda.
-No, non ti odio- rispose, abbassando nuovamente lo sguardo. Come avrebbe mai potuto?
-Allora non è meglio per nessuno- concluse Andy con un lieve sorriso –Facciamoci un giro, dai-
Mika era in completa confusione: parte della sua mente era concentrata sulla mano di Andy, un’altra parte su quanto avesse voluto accettare l’invito e infine un’ultima parte che riusciva solo a pensare quello che pensava sempre: era sbagliato.
-Va bene- disse alla fine, incapace di trovare delle scuse per rifiutare.
Cosa avrebbe potuto dirgli?
Anche perché Andy gli rivolse un sorriso che sembrava davvero sincero.
-Kensington Gardens alle cinque e mezza?- propose quindi il biondo.
Mika si limitò ad annuire.
-Ci vediamo dopo- Andy gli lasciò la mano e si avviò verso la porta.
 
Divenne un’abitudine.
Sempre più spesso Mika e Andy si vedevano al di fuori dalla scuola, sempre nel parco vicino a casa di Mika.
Quando nel pomeriggio avevano troppo da studiare, si incontravano dopo cena.
Mika pensava sempre le stesse cose e, la cosa che davvero lo spaventava, era che ormai non aveva più dubbi: si stava innamorando, piano piano, di quel ragazzo e le sue crisi interiori crescevano sempre di più. Il suo se stesso che mostrava agli altri e il suo vero se stesso lottavano sempre più spesso.
Mika stava bene in compagnia di Andy, erano i momenti migliori della giornata, ma appena si ritrovava a casa tutti i suoi dubbi e tutte le sue paure tornavano ad opprimerlo.
Era una sera particolarmente calda di inizio giugno quando Mika diede accesso ad Andy ad una piccola parte della sua vita nascosta.
A causa del caldo Andy aveva deciso di immergere piedi e mani nel lago del parco, invitando Mika a fare lo stesso.
-Sto bene qui- gli rispose il riccio, sedendosi poco distante e osservando il suo volto illuminato dalla luce argentea della luna.
Era bello.
Spesso si ritrovava a pensarlo in sua compagnia, spesso scacciava quei pensieri etichettandoli come sbagliati. Tuttavia Andy non sembrava prendere certe distanze da lui, anzi. Mika, ad un certo punto, si era anche posto il dubbio che Andy provasse le stesse cose che provava lui, ma lo aveva scacciato subito: erano amici e amici sarebbero dovuti restare.
-Che ore sono?- chiese Andy ad un certo punto, mentre ancora si godeva il fresco dell’acqua.
-Non lo so- rispose Mika, che aveva scordato a casa il suo orologio.
-Ho lasciato l’orologio lì a terra- gli disse Andy, indicando un punto nell’erba vicino a Mika. Il riccio portò gli occhi all’oggetto e sospirò.
Lo prese tra le mani e guardò il quadrante: era un orologio a lancette, incomprensibile. Mika lo osservò per qualche secondo, sforzandosi di capire il significato della posizione delle lancette nel quadrante, ma nulla.
-Non so che ore sono, Andy, mi dispiace. Guarda tu- e si alzò dall’erba per portare l’orologio al ragazzo.
Andy però non guardò il quadrante ma tenne i suoi occhi puntati in quelli di Mika. Il riccio sospirò di nuovo e si sedette accanto a lui.
-Non posso capire questi orologi- gli spiegò a bassa voce –E’ la dislessia. Anche se continuo a guardarlo, non capisco che ore sono-
Il biondo prese l’orologio dalle mani di Mika, di modo che il riccio non continuasse a guardarlo e a sforzarsi di leggerlo.
-E’ anche per questo che qualche settimana fa non hai voluto scrivere le risposte su quel foglio?- chiese Andy, osservandolo attentamente.
-Sì- rispose Mika –Spesso mi capita di fare degli errori mentre scrivo. E non so leggere la musica- aggiunse infine, portando gli occhi sul lago di fronte a loro.
-Ma mi hai detto di suonare il piano-
-Lo suono infatti-
-Senza riuscire a leggere la musica? Fai tutto ad orecchio?-
Mika annuì, per poi spiegare.
-Quando sento una melodia, o immagino una melodia, sono in grado di riprodurla al piano-
-Immagini?- chiese Andy, uscendo dall’acqua e mettendosi più vicino a lui, fino a che le loro braccia non si sfiorarono e un brivido percorse il corpo di Mika.
-Scrivi anche canzoni?-
Mika esitò un attimo: le sue canzoni parlavano della sua vita, parlavano di lui. Erano la cosa più preziosa che aveva. Ascoltarle significava avere accesso a quella parte di lui che nascondeva con cura da tempo.
-S-sì- rispose comunque, iniziando a tormentarsi le mani.
-Non me l’avevi mai detto- constatò Andy, ma non sembrava offeso. Sembrava solo curioso. Entrambi avevano iniziato a sussurrare, non più a parlare con un tono di voce normale.
-Non me l’avevi mai chiesto- sussurrò Mika, mentre ormai i suoi occhi sembravano incatenati a quelli azzurri del ragazzo.
-Perché non me l’hai detto?- chiese Andy, avvicinandosi ancora di più a lui e allungando una mano per separare quelle di Mika, che si stavano torturando a vicenda. Il problema fu che poi, dopo averle allontanate, non ritirò la sua mano, lasciandola appoggiata sopra la destra di Mika.
Il riccio fu pervaso da quella solita sensazione di confusione e da quel leggero calore sulle guance.
-Ci sono cose che non dico- cercò di concentrarsi sulla risposta, mentre gli occhi di Andy erano puntati nei suoi e su quella leggera sfumatura di rosso che aveva colorato le guance del riccio.
-Per esempio?- sussurrò Andy.
Erano sempre più vicini. Mika deglutì.
-Appunto, questa… della musica- mormorò, mentre il suo cuore batteva all’impazzata.
Nemmeno lui sapeva come ci erano arrivati ma i loro volti ormai si stavano sfiorando. Mika sentiva un mix di emozioni contrastanti.
-E cos’altro nascondi?- sussurrò ancora Andy e questa volta Mika non rispose.
Si limitò ad osservarlo, senza allontanarsi.
Come faceva davvero a dirgli quello che nascondeva?
Mika scoprì ben presto che le parole non erano necessarie.
Andy chiuse gli occhi e annullò la breve distanza che ormai separava le loro labbra, intrecciando nel frattempo le dita della mano, che teneva appoggiata su quella di Mika, con le dita del ragazzo.
Mika rimase fermo per qualche secondo, lasciandosi sopraffare solo dal suo istinto, che in quel momento gli stava urlando di ricambiare quel bacio che, lo sapeva bene, era quello che aspettava da settimane. Poi la paura ebbe la meglio.
-N-no- mormorò sulle labbra di Andy, allontanando il volto dal suo.
Il biondo riaprì lentamente gli occhi, rafforzando la presa sulla mano di Mika.
-Perché?- chiese solo, in un sussurro, riavvicinandosi a lui.
Le loro labbra stavano di nuovo per sfiorarsi, quando Mika si allontanò.
-Non posso- disse il ragazzo, alzandosi e allontanandosi da Andy.
Sentiva il cuore uscirgli dal petto: quel bacio gli era piaciuto, quanto gli era piaciuto.
Ma… c’era sempre un “ma” che gli impediva in tutto e per tutto di essere se stesso, di portare alla luce quel mondo privato che, fino a quella sera, aveva sempre tenuto per sé.
Andy continuò a fissarlo, alzandosi anche lui in piedi.
-“Non posso” o “non voglio”?- gli domandò, facendo un passo verso di lui.
Mika ignorò quella domanda, stava pensando a ben altro.
Andy era gay.
Andy lo aveva appena baciato.
Andy provava le stesse cose che provava lui… solo che, a differenza sua, aveva appena avuto il coraggio di provare a viverle.
-Perché… perché l’hai fatto?- gli chiese il riccio, mentre ancora il cuore batteva all’impazzata.
Andy alzò un sopracciglio, portando una mano tra i suoi capelli biondi.
-Non è chiaro?- gli disse solamente e Mika si sentì sprofondare –Ma non hai risposto alla mia domanda-
Mika sospirò.
-Non è che non voglio, non posso- confermò di nuovo –Mi… mi dispiace-
Quel “non è che non voglio” diede la forza ad Andy per insistere probabilmente, perché il biondo si fece più determinato.
-Ma cosa vuol dire? C’è qualcuno che te lo impedisce?-
-No-
-Ma allora…-
-Andy, ti prego… non è così semplice, non puoi capire-
-Aiutami a capire allora- gli rispose il biondo, avvicinandosi di nuovo a lui.
-Non posso-
-Smettila di ripetere questa frase, non ha un senso!-
-Ce l’ha invece-
-Spiegamelo allora!-
I toni si stavano alzando, da parte di entrambi.
-Dannazione, Andy!- esplose Mika –Perché credi che io ti abbia tenuto lontano fino a qualche settimana fa?-
Sapere che Andy provava quello che provava lui gli diede la spinta giusta per non provare imbarazzo nel pronunciare quelle parole.
-Me ne stavo nel mio angolino, seduto in fondo all’aula e a volte ti guardavo. Sempre, dal primo giorno in cui sono entrato in quella maledetta scuola…- Mika tornò ad abbassare il tono di voce e a puntare gli occhi sul pavimento.
-C-come…- iniziò a dire Andy –Mika, come mai non ti sei avvicinato a me prima?-
-Non volevo rischiare che tutto aumentasse, conoscendoti- ammise Mika, a bassa voce, non riuscendo però a guardarlo negli occhi –Anche tu però hai provato solo una volta a parlarmi a fine lezioni-
Andy sospirò.
-Ho visto che pur di fuggire da me sei uscito, nonostante Nick e gli altri non se ne fossero ancora andati. Non volevo che ricapitasse- ammise il biondo e Mika sentì una strana fitta allo stomaco: l’aveva fatto per lui.
-Perché non volevi rischiare di conoscermi?- chiese poi Andy, che non riusciva a capire.
-Perché…- Mika si grattò la testa, non sapendo come esprimere tutto quello che aveva dentro –Perché penso sempre che sia sbagliato-
Andy non rispose e per qualche secondo stette immobile, mentre rifletteva sulle parole del ragazzo.
-Sbagliato perché siamo due ragazzi?- chiese infine, catturando nuovamente le sue iridi castane.
Mika si limitò ad annuire, voltando le spalle ad Andy e mettendosi ad osservare il lago.
-Ma, Mika… come può essere sbagliato?-
Il riccio si voltò per guardarlo di nuovo: capiva quello che intendeva dirgli Andy. Spesso si ritrovava a pensarlo anche lui. Come poteva essere sbagliato se era una cosa che lo faceva sentire così bene?
Eppure, la vita fino a quel momento gli aveva insegnato che la diversità su di lui portava sempre a cattive conseguenze.
-E’ da tanto che so di essere come sono e me lo porto dentro da anni. È quello che nascondo, è come sono io. Non lo dirò mai, non riuscirò mai a dirlo-
-Ma…-
-No, Andy. Non c’è nessun ma, è così. Essere me stesso significa essere diverso, essere diverso non è mai andato bene-
Andy si portò di nuovo davanti a lui.
-Fingere di essere chi non si è, questo non va bene-
Mika sbuffò scuotendo la testa.
-La fai troppo semplice-
-E’ semplice- gli disse Andy, prendendo il suo volto tra le mani –Lasciati andare, sii te stesso- sussurrò, prima di tentare nuovamente di raggiungere le sue labbra.
Mika però questa volta si tirò indietro prima che fossero troppo vicini.
-No- gli disse, prendendolo per le braccia e allontanandolo.
La delusione negli occhi del biondo era evidente: lo osservò per qualche secondo, poi si piegò per raccogliere le sue cose e metterle nello zaino.
Mika sospirò.
-Andy…-
-Ho capito. Non c’è bisogno di ripetermi che sia sbagliato una volta di più, grazie-
Era arrabbiato, cosa che ferì ancora di più di Mika. Tutto quel casino che stava succedendo era solo colpa sua.
-Ma quello che davvero non capisco è come tu faccia a pensare che sia sbagliato. È quello che sei, è quello che senti… cosa c’è di male?-
La risposta di Mika fu un sospiro. Come avrebbe potuto far capire ad Andy quello che sentiva in sua compagnia? Tutta quella confusione che si creava nella sua mente e nel suo cuore non poteva essere spiegata a semplici parole.
-Non è sbagliato- continuò Andy, deciso –E te lo dimostrerò- e con quest’ultima frase gli voltò le spalle, avviandosi verso l’uscita del parco.
Mika non riuscì a fare altro se non rimanere immobile sulle sue gambe e prendersi il viso tra le mani. Tutto quello che aveva allo stesso tempo temuto e sperato era appena successo; in più era ben consapevole che quel bacio non lo avrebbe mai dimenticato, anche se gli causava emozioni cosi contrastanti, anche se era ancora lì, a continuare a fingere di essere chi non era, a cercare di capire perché pensava fosse sbagliato.
 
Il giorno seguente, a scuola, Mika si aspettava di trovare Andy nuovamente seduto nelle prime file. Invece il ragazzo aveva preso posto accanto al suo banco e così aveva fatto anche per i giorni successivi, rivolgendosi a Mika come se niente fosse successo. A volte si avvicinava di più a lui, anche in classe, fregandosene di tutta la gente che lo vedeva e ogni volta Mika faceva un passo indietro.
Mika aveva imparato a non scappare più durante la ricreazione: non sapeva cosa fosse successo tra Andy e Nick, ma quest’ultimo non si era più avvicinato a lui nella pausa tra le lezioni. Tuttavia continuava ad entrare in ritardo e ad uscire dieci minuti dopo il suono della campanella, anche se alla fine delle lezioni il biondo ora lo aspettava.
L’ultimo giorno di scuola, però, Andy gli chiese di mostrargli il posto in cui si nascondeva sempre durante l’intervallo. Al suono della campanella, Mika lo condusse nel cortile sul retro della scuola, fino all’angolo in cui si nascondeva sempre: probabilmente solo lui ne conosceva l’esistenza… e ora anche Andy.
-Capisco perché venivi qui- disse il biondo –Non ci sono possibilità che qualcuno ti veda. È perfetto, come pensavo-
-Perfetto per cosa?- domandò Mika, confuso.
Andy sospirò.
-Hai pensato a quello che è successo un paio di settimane fa?-
Mika puntò gli occhi al pavimento: aveva temuto il momento in cui ne avrebbero parlato di nuovo. Non si era illuso che tutto fosse finito a quella sera, Andy gli aveva detto “te lo dimostrerò”.
Ci aveva pensato? Eccome.
Era riuscito a districarsi da quella lotta interiore tra ciò che era davvero e ciò che pensava fosse giusto? Per niente.
-Certo che ci ho pensato- rispose il riccio, leggermente in imbarazzo –Ma la mia idea non cambia- alzò lo sguardo sul ragazzo che gli stava seduto accanto giusto in tempo per vedere quello sguardo deluso delinearsi sul suo volto.
Gli dispiaceva così tanto essere la causa di quello sguardo ma allo stesso tempo non riusciva a comportarsi diversamente: si sentiva in trappola e si sentiva uno stupido.
-Oggi finisce la scuola- constatò Andy, sempre con lo stesso sguardo e con un tono di voce basso –Ci vedremo ancora?-
Mika esitò un attimo a rispondere.
-Non lo so- sussurrò infine, ma questa volta non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia. Lo sentì alzarsi però.
-Sai una cosa?- esclamò Andy, all’improvviso deciso –Se non sapessi che tu provi quello che provo io, non insisterei così tanto. Non finirà tutto con la scuola. Non posso permetterlo-
-Ti farai solo del male- rispose Mika, scuotendo la testa.
-Me ne farei di più arrendendomi-
Furono interrotti dal suono della campanella che segnava l’inizio delle ultime lezioni. I due ragazzi si fissarono per qualche istante poi, senza dire una parola, tornarono in aula.
 
La fine della scuola venne accolta da Mika con grande felicità: per tre mesi non avrebbe più dovuto vedere Nick e tutti gli altri ragazzi.
Andy mantenne la sua parola e non si arrese. Tuttavia Mika era stanco di trovarsi in quella situazione di precario equilibrio e iniziò a declinare i suoi inviti, inventando ogni genere di scusa che gli venisse in mente.
Circa un mese dopo la fine della scuola, Mika aveva visto Andy solo una volta, anche se il ragazzo continuava a scrivergli per invitarlo ad uscire.
Quella sera Mika si sarebbe dovuto recare nella zona di Londra in cui abitava Andy per incontrare una persona che sembrava essere interessata alla sua musica: certo, alla fine il riccio era convinto che sarebbe stato un no, come sempre. Ma doveva almeno provarci. Tuttavia, sapeva che Andy si rintanava spesso in un locale tranquillo vicino al luogo dell’appuntamento di Mika e temeva di incontrarlo.
Non poteva però rinunciare a parlare con quella persona. Così, dopo essersi preparato, si diresse verso la metro.
L’incontro sembrò andare bene, l’uomo gli aveva detto che lo avrebbe richiamato, anche se Mika sapeva benissimo che c’era anche la possibilità che tutta quella storia morisse in un interminabile silenzio.
Si incamminò nuovamente verso la metro, ma ad un certo punto lo vide dall’altro lato della strada e si bloccò. Anche Andy sbarrò gli occhi verso di lui: salutò le persone con cui era seduto in quel locale e lo raggiunse.
Mika si aspettava una sfuriata sui continui rifiuti e sui messaggi e chiamate senza risposta, invece Andy lo prese per mano.
-Vieni con me- gli disse solo e non era una domanda, perché lo trascinò per le vie ormai buie e silenziose di Londra prima che Mika avesse il tempo di ribattere.
Si fermarono davanti ad una casa: Andy inserì le chiavi nella serratura della porta ed entrarono.
-Andy, dove…-
-Shh- gli disse il biondo, portando un dito sulle sue labbra, facendo rabbrividire Mika dalla testa ai piedi –I miei stanno dormendo-
Casa sua.
Il biondo lo trascinò su per le scale e poi dentro una stanza che Mika riconobbe immediatamente come la camera di Andy.
-Andy, perché mi hai portato qui?- sussurrò il riccio, osservandolo.
Andy lo afferrò per le braccia e lo spinse contro il muro.
-Sono stanco delle tue scuse per non vedermi e sono stanco del fatto che tu rinunci ad essere quello che sei per paura-
Mika provò a parare ma Andy non gliene diede il tempo.
-Non c’è nessuno qui, ci siamo solo io e te- continuò il biondo –Non c’è nessuno a dirti che è sbagliato, nessuno qui pensa che sia orribile. Non sei diverso qui. Sei uguale a me… a me e ad altre milioni di persone che si sono innamorate di qualcuno-
Gli aveva appena detto di essere innamorato di lui?
Mika non riusciva a spiccicare parola: era in trappola tra il muro ed Andy, terribilmente vicino a lui. In una dolce trappola, alla fine.
Andy si avvicinò col volto, appoggiando la fronte alla sua; Mika sentì chiaramente il suo cuore accelerare i battiti.
-Giurami che il vero te stesso, quello che tu sei davvero, quello che nascondi… giurami che non vuole tutto questo e ti lascerò in pace per sempre-
Le mani di Andy si posarono sui suoi fianchi e, con un gesto automatico che sorprese anche se stesso, le mani di Mika si spostarono sul viso di Andy.
Era la prima volta che Mika faceva un piccolo passo verso di lui.
La voglia di essere se stesso per una notte premeva dentro di lui sempre di più. Andy aveva ragione: erano uguali e in quella stanza non c’era nessun altro. Aveva così voglia di raggiungere le labbra di Andy, di stringerlo tra le sue braccia, di sentire di nuovo il suo profumo, il suo sapore…
Lasciò da parte tutto quanto.
Era sbagliato?
Come avrebbe affrontato questa cosa?
Ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze?
Chissenefrega.
Solo questo riuscì a pensare in quel momento.
In quella stanza era Mika, il vero Mika.
-Non posso giurarlo- sussurrò infine il riccio –Mentirei e basta- e prima che Andy avesse il tempo di realizzare quelle parole, Mika annullò la distanza tra le loro labbra, sempre tenendo il suo volto tra le mani.
Si sentì bene, eccome se si sentì bene.
Fu un bacio ben diverso da quello esitante che Andy gli aveva dato a Kensington Gardens. Il riccio si mosse con decisione e Andy ci mise pochi secondi per riprendersi dallo stupore iniziale, ricambiando poi il bacio con la stessa passione di Mika.
Sentiva le mani di Andy sfiorare il suo viso, i suoi capelli, il suo collo, il suo petto e la sua schiena ed ogni volta era un fitta allo stomaco. Le loro lingue si sfiorarono, mentre Andy allontanò Mika dal muro, fino a spingerlo sul letto, posandosi poi su di lui.
Si allontanarono di pochi millimetri per riprendere fiato e, mentre si guardavano negli occhi, le labbra di Andy si curvarono in un sorriso che Mika non mancò di ricambiare.
Era invaso da milioni di emozioni, solo piacevoli in quel caso. Le labbra di Andy si posarono di nuovo sulle sue in un bacio leggero, per poi seguire i lineamenti del suo viso spostandosi sulla guancia e infine sul collo.
Sentiva le labbra del ragazzo posarsi con delicatezza su ogni lembo di pelle libera e non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un piccolo gemito di piacere.
Andy ritornò alle labbra di Mika, lasciandogli un altro bacio: era bellissimo. Solo questo riusciva a pensare il riccio.
Portò le sue mani al di sotto della maglietta di Andy, avvertendo il calore del suo corpo e sentendolo rabbrividire: gli causava le stesse reazioni che il biondo provocava in lui e questo, in quel momento, gli fece immensamente piacere.
Riuscì solo a pensare che si sentiva a casa; casa inteso come un posto in cui poteva essere chi voleva davvero essere senza preoccuparsi delle conseguenze, senza preoccuparsi di essere giudicato. Solo Andy avrebbe potuto fargli sentire tutto questo.
Pensava solo a questo, a quanto in quel momento si sentisse fortunato
Però, dal momento in cui Andy afferrò i lembi della sua maglietta e gliela sfilò, Mika non riuscì più a pensare a nulla.
 
Quando Mika riaprì gli occhi, illuminò lo schermo del cellulare: le tre di notte e cinque messaggi di sua madre.
Era nei guai.
Rispose a sua madre dicendo che l’incontro era finito tardi e che ormai non c’erano più metro per tornare, così si era fermato a dormire da un amico.
Appoggiò il telefono sul comodino e si girò a guardare Andy: dormiva ancora profondamente, respirando piano. I capelli biondi gli ricadevano disordinati sulla fronte, rendendolo ancora più bello.
Mika si prese il volto tra le mani: che cosa aveva fatto?
Era stata di sicuro la notte più incredibile della sua vita, ma si maledisse, ritrovandosi a pensare ancora la solita frase.
“E’ sbagliato”.
Aveva ceduto, per una sera si era lasciato andare, aveva consegnato nelle mani di Andy la sua vita segreta. Ma adesso? Adesso che tutto era finito, cosa avrebbe fatto?
Si alzò dal letto cercando di fare il più piano possibile. Con l’aiuto della luce del display del cellulare recuperò tutti i suoi vestiti da terra e li indossò di nuovo.
Sempre facendo piano, aprì a porta e scese le scale, per poi uscire anche da quella casa. Si mise a correre, il più velocemente possibile, tentando di allontanarsi da quella casa, da quella stanza, da quel ragazzo che, ne era sicuro, gli aveva cambiato la vita.
Gli sarebbe piaciuto poter fuggire così facilmente anche dai suoi pensieri e dalla confusione che si era creata nella sua testa, ma sapeva che era impossibile.
 
Mika passò i giorni seguenti a riflettere.
Non andò più nemmeno a Kensington Gardens, rimase a casa, nella sua stanza, cosa che sua madre non mancò di notare. Più di una volta gli chiese se andasse tutto bene e Mika si ostinava a rispondere di sì, non convincendo però nemmeno se stesso.
Il suo cellulare ormai era sempre sul silenzioso e Mika aveva ignorato tutte le chiamate e i messaggi di Andy. Dopo una settimana però, sembrò che il biondo si fosse arreso: non arrivarono più chiamate, non arrivarono più messaggi che lo pregavano di richiamarlo o di rispondergli, di farsi sentire in qualche modo.
Era strano, molto strano.
Tuttavia, Mika non poteva pretendere più di tanto: era colpa sua, tutta colpa sua. Si stava comportando come un idiota.
Aveva dato ad Andy la falsa speranza di poter stare insieme e poi era fuggito, come faceva sempre. Incolpava solo se stesso per quella situazione, anche per il fatto che Andy fosse sparito.
Eppure, come sempre, non riusciva a sbloccarsi.
Così se ne stava fermo, sdraiato nella sua stanza, a soffrire per qualcosa di cui lui era l’unica causa.
 
Agosto passò nel silenzio: Andy non si era più fatto sentire, non aveva più cercato di contattarlo e Mika aveva fatto lo stesso anche se ogni giorno pensava a lui, ai suoi baci, a quella notte in cui avevano fatto l’amore.
Settembre invece portò con sé l’inizio del nuovo anno scolastico.
La mattina del primo giorno di scuola Mika valutò l’idea di fingersi malato. Alla fine però si disse che, almeno per una volta, doveva farsi coraggio e affrontare le conseguenze delle sue azioni.
Si ritrovò di fronte alla porta della sua classe, come sempre in ritardo. La aprì e ad occhi bassi raggiunse il suo posto, cercando di ignorare gli sguardi puntati su di lui.
Il banco accanto al suo era vuoto.
Mika fece correre gli occhi per l’aula e vide che Andy era tornato a sedersi nei banchi davanti. Rivederlo fu un colpo al cuore, soprattutto rivederlo lontano da lui.
La consapevolezza di averlo perso lo colpì come non l’aveva mai colpito prima. Era stato uno stupido a non considerare il fatto che anche Andy, dopo i suoi numerosi rifiuti, aveva il diritto di lasciarlo perdere.
Mika si sentì male come mai in vita in vita sua, soprattutto quando durante la ricreazione vide il biondo allontanarsi con un altro ragazzo, parlando con il volto vicino al suo.
Fu troppo.
Mika prese tutte le sue cose e corse fuori da quella scuola, tornando a casa.
-Non mi sento tanto bene- disse solo a sua mamma, come spiegazione, e poi si chiuse nella sua stanza.
Affondò la testa nel cuscino e, per la prima volta, pianse per Andy.
La cosa che più lo faceva stare male era che fosse tutta colpa sua, non poteva riversare la colpa su qualcun altro.  Lui era la causa di quel suo sentirsi distrutto, inadeguato, abbandonato.
Arrivò la sera e poi la notte e Mika non si spostò da quella stanza nemmeno per mangiare.
Possibile che avesse capito tutto quello solo nel momento in cui Andy lo aveva lasciato perdere per dedicarsi a qualcun altro? Era solo uno stupido.
Ma come era possibile che dopo tutto quello che Andy gli aveva detto, dopo tutto il tempo che aveva passato ad insistere, ora si fosse dimenticato di lui?
Mai Mika lo avrebbe scordato e sapeva che Andy provava le stesse cose.
 
You're trying to replace
A feeling without a name
With somebody else's face 
In your head

 
Erano parole di una possibile canzone? Spesso gli capitava che gli saltassero alla mente così, senza preavviso, ma in quel momento non aveva tempo per pensarci. Decise di buttarsi, di rischiare.
Prese il cellulare e fece il numero di Andy. Seguì l’istinto, senza lasciare che la sua parte razionale lo fermasse.
Il ragazzo non rispose: certo, probabilmente stava dormendo.
Partì però la segreteria telefonica.
-Andy, sono… sono Mika. Lo so che è strano che io stia cercando adesso. Io… io non so davvero perché lo sto facendo, ma…-
Ma che stava facendo? Che messaggio era? Cosa sperava di dirgli, cosa sperava di fargli capire? Nemmeno lui aveva bene in mente quello che voleva fare, quello che voleva essere, come pretendeva di farlo capire a Andy?
-Niente, lasciami perdere- e chiuse la chiamata, prendendosi il volto tra le mani.
Stava per impazzire.
Ripensò alle parole che gli erano venute in mente poco prima: forse gettarsi nella musica poteva essere la soluzione.
Avrebbe tanto avuto voglia di correre al pianoforte, ma ormai in casa sua stavano tutti dormendo. Così prese il suo quaderno e una matita, immaginando la melodia nella sua mente.
Si appuntò la frase che aveva scritto poco prima e ripensò a quello che aveva appena fatto.
Cancellare tutto, questo avrebbe voluto. Tutto, dal primo momento in cui si era lasciato frenare dalle sue paure e dalle sue convinzioni fino ad arrivare a quell’ultimo messaggio che aveva lasciato nella sua segreteria.
 
I shouldn’t have called so late last night
Unsecure, out of my mind
I shouldn’t have left that message on your phone
 
Aveva detto così tante cose ad Andy: affermando che fosse sbagliato, aveva in un certo senso detto che anche lui fosse sbagliato. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Era già stato strano che il biondo non lo avesse allontanato per sempre dopo quel primo bacio.
Perché doveva essere così difficile?
Portava a questo amare qualcuno, a quella confusione, a quella distruzione?
Ripensò poi al messaggio che gli aveva appena lasciato, la cosa più inutile che avesse mai potuto fare.
 
I shouldn’t have said the things I said
Looking for love we left for dead
In a grave without a stone
As soon as you hear my voice
Don’t hesitate
Put your finger on the button
 
Non riusciva, e non era mai riuscito, a togliersi dalla testa la mano di Andy che si posava sulla sua per poi intrecciare le dita, mentre il biondo si avvicinava a lui e gli lasciava quel primo timido bacio in riva al lago del Kensington Gardens. Non riusciva a scordare le mani di Andy sul suo viso e sul suo corpo quella notte nella sua stanza. I sorrisi che gli aveva rivolto mentre facevano l’amore, il petto caldo su cui si era addormentato poco dopo. I suoi occhi, che lo avevano guardato con dolcezza per tutta la sera.
Era sicuro di aver letto negli occhi di Andy tutto quello che sentiva anche lui.
Non poteva essersene dimenticato, Mika ne era sicuro.
Si ritrovò di nuovo a pensare che avrebbe  voluto cancellare tutte le stupidaggini che gli aveva detto.
 
Erase,
my love
I bet you can’t erase my touch
 
Intorno a lui tutto sembrava procedere come sempre, tutto sembrava nella normalità. Dentro di lui invece si era scatenata la tempesta, una continua lotta tra i ricordi di quella stanza e di quel letto su cui era stato se stesso e le sue paure, i suoi timori, il suo fingere di essere qualcun altro.
Tutto questo gli aveva causato solo dolore ed era stanco di lasciarsi intrappolare, soprattutto perché era un dolore che non lo lasciava mai, di cui non riusciva a liberarsi.
Era forse arrivato il momento di reagire?
 
Everything’s cool
The rent is paid
The house is clean
Your bed is made
But it’s a ghost town in your mind
We’d never had time to go to sleep
We’d make up tangled in the sheets
On a bed thath we called home
When the pain won’t go away
You might as well
Put your finger on the trigger
 
Quando scrisse quell’ultima frase si accorse che ormai era mattina presto. Tutto il suo dolore era stato riversato in quella canzone e, come spesso accadeva, Mika riuscì a sentirsi più libero.
Ora doveva fare solo un’ultima cosa: si era reso conto di aver agito nel peggiore dei modi. Ora non voleva, per un secondo di più, che le sue paure lo bloccassero e gli impedissero di essere davvero felice.
Tutti, almeno una volta nella vita, fingono di essere qualcun altro, nascondendo una parte di sé al mondo. L’aveva fatto anche lui, ma ora era arrivato il momento di smettere.
Aprì la porta e salutò sua madre, che stava già preparando la colazione, dicendole che sarebbe dovuto andare a scuola prima per recuperare ciò che si era perso il giorno precedente.
Se si fosse sbrigato, avrebbe anticipato Andy. Si posizionò dietro un albero vicino all’uscita della fermata della metro, aspettando solo di veder comparire una chioma bionda.
E finalmente eccolo: indossava una maglietta a maniche corte bianca con delle scritte e un paio di jeans. Teneva le cuffie nelle orecchie e camminava con sguardo basso.
Uscì dal suo nascondiglio e lo raggiunse.
Andy, nel vederlo, strabuzzò gli occhi e cercò di allontanarsi; questa volta però, fu Mika a prenderlo per mano e a trascinarlo lontano dall’ingresso della scuola.
Ignorando le lamentele del biondo lo trascinò a Kensington Gardens, non troppo distante dall’edificio scolastico.
-Mika, che stai facendo?- Andy sembrava arrabbiato e aveva ragione. Ma Mika doveva tentare: Andy aveva lottato tanto per loro, adesso anche lui doveva farlo.
-Sono stato un idiota- iniziò il riccio e vide che Andy fece per aprire bocca, ma non glielo permise –Lasciami parlare, ti prego. Lasciami dire tutto quello che devo dire, poi potrai anche tirarmi un pugno-
Andy si appoggiò all’albero che stava li vicino, continuando a fissarlo, aspettando che proseguisse.
-E’ stata tutta colpa mia. Ti ho detto delle cose orribili, mi sono comportato nel peggiore dei modi con te, nonostante tutto quello che volessi era starti accanto. Mi sono lasciato prendere dalle mie paure, dalle mie angosce, dalla paura di aggiungere ancora più umiliazioni da parte della gente a scuola. E non mi rendevo che mi stavo facendo solo del male. Me ne sono reso conto ieri, quando ti ho visto con… con…-
Fece dei gesti frenetici con la mano, non riuscendo a dire il nome del ragazzo che stava con Andy il giorno prima. Il biondo si staccò dall’albero e si avvicinò a lui, scrutandolo con gli occhi ridotti a due fessure, come per capire se fosse sincero oppure no.
-Fingiamo tutti di essere qualcun altro, prima o poi, nella vita. Ma prima o poi bisogna anche avere il coraggio di mostrarsi per quello che si è. Non so se sono ancora pronto a dirlo a tutti o alla mia famiglia. Ma so che… so che voglio vivere tutto questo. Voglio stare con te, voglio essere felice. E tu hai tutto il diritto di dirmi no ora, dopo tutto quello che ti ho fatto passare… io avevo solo il bisogno di dirtelo. E di farti sapere che come tu hai lottato tanto per noi in passato, anche io intendo farlo-
Mika smise di parlare, anche perché aveva detto tutte quelle parole una di fila all’altra, velocemente, e ora aveva bisogno di riprendere fiato.
Andy lo osservava, gli occhi inesorabilmente incatenati ai suoi.
-Non è sbagliato tutto questo?- gli chiese solo Andy, impaziente di sentire la risposta di Mika.
Quello era stato il problema fin dall’inizio, il fatto che Mika pensasse che fosse sbagliato, che fosse orribile. Andy ora voleva solo la conferma che il riccio non pensasse più una cosa simile.
Mika scosse la testa, deciso.
-Una persona mi ha insegnato che siamo tutti uguali quando ci innamoriamo di qualcuno- rispose, citando le parole che Andy stesso gli aveva detto mesi prima.
Il volto di Andy si aprì in un sorriso e Mika si rese conto che essere la causa di quel sorriso era la cosa che più avrebbe potuto renderlo felice.
Successe in un attimo e si ritrovò, di nuovo, a baciare le labbra di Andy, questa volta con dolcezza, lentamente, senza paura. Lo strinse tra le braccia, respirando il suo profumo, facendo combaciare i loro corpi.
-Finalmente- riuscì solo a sussurrare Andy nel suo orecchio quando, dopo il bacio, ricambiò il forte abbraccio in cui Mika lo stava stringendo.
Il riccio, con un sorriso, si ritrovò a pensare solo ad una cosa: non era sbagliato, era la cosa più giusta che ci potesse essere al mondo e finalmente ne era convinto.
 
 
   
 
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