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Autore: Xenelle    15/07/2015    1 recensioni
Mi teneva in questo filo sottile tra l’ovvietà e il fraintendimento, in questo purgatorio di frasi a metà e sguardi bugiardi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lara si svegliò quella mattina e una sensazione di profonda rabbia l’avvolse.
Come tutte le mattine scese giù dal letto, si chiuse in bagno e trascorse una buona mezzora sotto il getto dell’acqua gelata: adorava il contrasto delle lacrime calde sul suo viso.
Come tutte le mattine preparò la borsa per andare a lavoro, scese in cucina senza dire una parola, mangiò il latte con i cereali, vecchia abitudine d’infanzia, poi si sedette in macchina.
Come tutte le mattine accese il portatile e aprì una foto: stazionava sul desktop del suo pc da mesi e tutte le mattine la fissava per qualche minuto prima di iniziare la giornata; raffigurava un uomo ed una donna che si baciavano delicatamente sulle labbra.
 
“Buongiorno ragazzi, ho preparato due tracce per il tema di oggi. La prima traccia è un saggio breve sulla pena di morte, avete in questi due fogli che vi sto distribuendo gli articoli su cui basarvi; la seconda traccia, come potete leggere, è un tema sui compromessi: tutti quei compromessi che si fanno nella vita di tutti i giorni per integrarsi nella società, per il quieto vivere familiare, per tenersi stretto un lavoro; la traccia che vi ho scritto è solo un’indicazione, potete spaziare quanto più ne sentite il bisogno, cercando di non uscire fuori tema. Avete due ore, buon lavoro.”
Quel mattino non aveva voglia di parlare, proprio lei che era sempre stata un’oratrice, e spiegare brevemente quel compito l’aveva spossata.
Si sedette dietro la cattedra e guardò fuori dalla finestra: il cielo era di un azzurro profondo e il Sole illuminava l’aula. Aveva ottenuto quella supplenza come insegnante di italiano e latino in un liceo scientifico grazie alla gravidanza della professoressa di ruolo ma la precarietà non la preoccupava più di tanto, era molto giovane e aveva davanti ancora tutta la vita per trovare un posto stabile; tutto sommato si sentiva ottimista, lo era sempre stata.
Prese “A Woman of No Importancedi Oscar Wilde dalla borsa e leggendo il nome dell’autore le venne in mente una sua citazione:
“I dolori superficiali e gli amori mediocri vivono a lungo. I grandi amori e i grandi dolori sono distrutti dalla loro stessa pienezza.”
Scacciò via quel pensiero e cominciò a leggere.
Persa nella lettura le due ore passarono in fretta, ritirò i compiti e uscì dall’aula.
Aveva due ore buche prima della prossima lezione, così pensò di chiudersi in aula professori a correggere qualche compito, per avere più tempo libero dopo; “per farne cosa?” si chiese, ma non si rispose e iniziò la lettura.
Si chiese se a lungo andare correggere tutti quegli scritti pieni degli stessi errori elementari, ripetuti alla nausea, non l’avrebbe stufata. Lesse un paio di saggi brevi: uno era ben strutturato ma del tutto privo di originalità, l’altro era l’originalità immersa nel caos: era difficile dare giudizi, come si poteva dare un voto ad una personalità?
Il terzo compito lo colpì per la scrittura minuta ed elegante, lesse il nome: Melissa De Rossi.
Doveva essere quella ragazza minuta del terzo banco, era l’unica di cui ricordava il nome, probabilmente perché vestiva di mille colori e portava treccine colorate attaccate ai capelli, e poi le regalava sempre, tutti i giorni, un sorriso. Anche quel mattino, quando consegnò il compito, le sorrise. Lara non aveva voglia di sorridere ma si sentì costretta a ricambiare, e sorridere, anche se forzatamente, l’aveva fatta stare meglio.
Era curiosa di sapere cosa avrebbe scritto in quel compito che già dall’inizio si mostrò un po’ fuori dagli schemi.
 
Non ho mai capito perché tutte le volte che devo fare un compito di italiano si ripresenta sempre una delle due situazioni: le due tracce fanno entrambe schifo e non ho voglia di sprecare il mio tempo a scrivere di qualcosa di cui non ho nulla di interessante da dire; le due tracce sono entrambe belle e maledico il professore perché non voglio rinunciare a nessuna delle due ma non ho il tempo materiale per svolgerli entrambi bene. Oggi si presenta quest’ultimo caso, ma d’altra parte lo avevo capito già il primo giorno di supplenza che lei non era una persona banale; mi sono detta di rilassarmi e nel dubbio scegliere il tema, perché nel tema si è più liberi e la libertà è ciò che più mi preme avere.
Tuttavia adesso ho il cuore a pezzi, perché devo rinunciare ad uno degli argomenti di attualità che più mi sta a cuore.
Ma la rinuncia è una forma di libertà.
 
Quello che andrò a scrivere comunque non sarà un tema; so che lei non capisce cosa io stia combinando e so anche che nessuna cifra superiore al 3 verrà impressa alla fine delle mie parole ma la verità è che questo non ha importanza; quello che ha veramente importanza è riuscire in qualche modo a dire quello che si ha dentro, trasmettere qualcosa, qualsiasi cosa.
Nella traccia lei parla di compromessi, gli infiniti compromessi che ognuno di noi deve fare per stare al mondo. So di cosa stiamo parlando, ne ho fatti tanti.
Il primo compromesso risale al mio concepimento: sarei voluta essere un uomo e invece eccomi qua in tutta la mia fragile delicatezza femminile: un metro e quarantatré per 40 kg scarsi di peso; sono nata donna e da donna ho vissuto i miei 18 anni di vita, con la grinta di una donna e le lacrime di una donna. Cos’altro avrei potuto fare, d’altra parte?
Il secondo compromesso lo accettai quando all’età di 11 anni i miei genitori si separarono: volevo andare a vivere con mio padre ma mi assegnarono a mia madre; così, più o meno come si assegna una cattedra a voi professori, no? Chissenefrega se quello è un bravo professore, quell’altro ha i requisiti giusti. Ho capito che i requisiti giusti ce li hanno sempre le persone sbagliate.
Infiniti compromessi li accettai durante il periodo delle scuole medie: rinunciare alla mia personalità perché il mio modo di vestire non piaceva a nessuno, rinunciare alle mie idee perché non le condivideva nessuno, rinunciare ai miei valori perché non interessavano a nessuno. Rinunciare un po’ a tutto, solo per tentare in qualche modo di trovare il mio posto nel mondo.
Non lo trovai.
Il fatto è che una mattina mi svegliai con una grande rabbia dentro, mi dissi che c’era del ridicolo nei compromessi e che io non volevo più essere ridicola.
Il risultato che ottenni fu esattamente il contrario, ovvero apparire ridicola a tutto il mondo ma, stavolta, non a me stessa.
Ripescai i miei vestiti, le mie idee, i miei valori e trovai il mio posto nel mondo: la mia testa. È inutile cercare di entrare a fatica in un incastro tondo, se si è quadrati; io, poi, credo di essere ottagonale.
Riesce ad immaginare che cosa significò, per me, trovare l’amore?
Immagino di sì, perché significa per tutti più o meno la stessa cosa: un rifugio, un ristoro, un emolliente per il cuore.
Da questo momento, qualsiasi cosa io scriva, la prego, non mi creda.
Lui era bellissimo, aveva degli occhi scuri profondissimi e un sorriso dolce; ma non mi innamorai dei suoi occhi né del suo sorriso, mi innamorai di quello di cui ci si innamora davvero: delle attenzioni.
Qualcuno per la prima volta si accorgeva di me e sembrava apprezzarmi per quello che ero davvero, per quello che ero dopo aver rinunciato a tanti dei miei compromessi.
Chi lo avrebbe mai detto che proprio lui sarebbe diventato il mio più grande compromesso?
Era misero e misera ancor di più ero io.
Era falso e false le sue parole, e falsi ancora i suoi gesti e tutto quello che voleva far credere. Era falso con la sua ragazza ed era falso con me, e con tutte le altre perché, vede, che non ero la prima era un dato di fatto e che non sarei stata l’ultima era ancor più certo.
Avrei voluto non provare quello che provavo, ma non ci riuscivo.
E allora avrei voluto lasciarmi andare a quel sentimento sbagliato per una persona sbagliata e fregarmene di me, della mia dignità, della mia morale, di tutto quello che avevo sempre ritenuto giusto o sbagliato; e giocare con lui, o forse sarebbe meglio dire lasciare che lui giocasse con me.
Ma mi teneva in questo filo sottile tra l’ovvietà e il fraintendimento, in questo purgatorio di frasi a metà e sguardi bugiardi. E io avrei potuto accettare tutto, avrei potuto accettare anche la banalità e il degrado di una passione priva di sentimento, ma non potevo accettare questo limbo.
E non accettandolo, distrussi quel compromesso che aveva riesumato e inglobato in sé tutti quei compromessi che avevo con fatica eliminato dalla mia vita.
E guardandomi intorno realizzai che il più grande compromesso della vita è l’amore.
Ma io non cedo più ai compromessi.
 
Lara rimase a fissare quell’ultima frase per cinque minuti, riflettendo su tutto tranne che sul voto da darle. Poi si alzò e fece una passeggiata fuori dalla scuola.
Prese un caffè al bar e quando si avvicinò alla cassa per pagare, dal portafoglio le scivolò una foto.
Era una fototessera che raffigurava un uomo e una donna con delle facce buffe, gli stessi della foto della mattina. La donna era lei.
Una lacrima le scivolò sul viso, girò la foto e lesse quelle parole che conosceva ormai a memoria:
 
21/12/2012
Gli anni passano ma noi siamo i soliti scemi, e lo resteremo per sempre.
Ti amo.
Tuo, Luca.


 
Per sempre, purtroppo non è sinonimo di eternità.
Lara lo sapeva bene.
 
La sera, a casa, prese quel compito che tanto l’aveva colpita. Non le serviva guardare la scheda di valutazione per sapere che quello che aveva davanti, per quanto bello e intenso, non era un tema. Forse più che altro un miscuglio strano tra lettera e pagina di diario.
Accartocciò la scheda di valutazione, e scrisse la sua valutazione:
 
 
Questo compito è totalmente sbagliato
e totalmente sbagliata sarà anche la mia valutazione.
L’amore, quello vero, è l’unico compromesso
che valga la pena fare.
 
 9,5
 
 
 
 

 
   
 
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