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Autore: Hikari_F    16/07/2015    5 recensioni
Una giovane Riza Hawkeye, alla prese col nostalgico ricordo della madre scomparsa, si ritrova invano a cercare una musica che possa restituirle la felicità che ha perso assieme alla donna che l'ha messa al mondo. La ricerca non è certamente semplificata nel momento in cui suo padre le proibisce di avvicinarsi al pianoforte, unico legame che lo collega ancora alla persona che ha a lungo amato e perduto. Tutto ciò che Riza possiede è il sentimento di un giovane e impacciatissimo Roy Mustang, di cui è innamorata e corrisposta, con cui ha da poco allacciato una relazione. Sarà lui a comporre la melodia che sta così ardentemente cercando?
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Quei tasti vecchi e polverosi…mi chiesi se suonassero ancora.
Mi chiesi se le mie dita ricordassero ancora il movimento giusto per trasformare una semplice sequenza di note in calda ed avvolgente musica.
Sentii una piccola perla scorrermi lungo la guancia nel momento in cui feci una leggera pressione sul sol…sì, suonava ancora, e anche bene. Quasi d’istinto sedetti davanti al piano e, tenendo gli occhi chiusi, cominciai a suonare quella composizione.
No, non era soltanto musica. Lì dietro c’era altro, c’era qualcosa in più, un ricordo frammentato…sapevo che esistono particolari sensazioni capaci di riportare alla mente memorie quasi perdute, occultate, ma raramente l’avevo sperimentato in prima persona, in maniera così inaspettata.
Prima che potessi rendermene conto, sentii il viso inondato di calde lacrime: avevo capito.
Il suono del pianoforte era un collegamento diretto con l’immagine della mamma. Le mie dita stavano toccando gli stessi tasti che aveva toccato lei…era come accarezzarsi.
Mai avrei sperato in un dono simile quando, in quel piovoso pomeriggio, avevo scelto di rovistare in soffitta e di riportare in vita i cimeli di un passato ormai sepolto.
-Mamma.- dissi a mezza voce, rabbrividendo leggermente al suono di quella parola. Alcune lacrime caddero sul piano, creando chiazze scure sullo spesso strato di polvere che lo ricopriva…mi diede quasi la sensazione di star piangendo sulle sue forti spalle -Mi manchi…mi manchi così tanto. Papà non è più lo stesso da quando non ci sei…e io…io sono così…terribilmente…sola.- Ormai potevo chiaramente udire, assieme alle note che si susseguivano delicate nel buio stanzino, i miei forti e ritmici singhiozzi. Eravamo io e lei…stavamo duettando. Il piano era la sua voce.
 
-Riza.- Un’altra voce, stavolta meno melodiosa, interruppe la magia di quel soave contatto. Mio padre…aveva sentito il suono del piano? Si era emozionato allo stesso modo in cui mi ero emozionata io? Come in un flash immaginai cosa ci saremmo detti: forse avrebbe recuperato l’album con le foto, forse mi avrebbe raccontato storie su di lei. Si sarebbe seduto al mio fianco, avrebbe ascoltato le composizioni al piano, proprio come facevamo con lei, quando ero solo una bambina. Forse avremmo finalmente ripristinato quel rapporto speciale che la scomparsa della mamma ed il tempo aveva logorato, rendendoci quasi due estranei.
-Sono qui.- Risposi a fatica, con voce tremante. Feci in fretta ad asciugarmi le lacrime, davanti a lui dovevo essere forte, sempre.
-Che significa?- Sbraitò, facendo irruzione nella soffitta. Aveva le pupille dilatate, il volto in fiamme…non lo avevo mai visto in questo stato.
-Questo è il pianoforte della…- Azzardai.
-SO BENISSIMO DI CHE SI TRATTA.-
-Io…- Balbettai, incapace di comprendere -Io stavo…-
-Come hai osato?- Sibilò, senza guardarmi negli occhi -Non voglio mai più sentirti suonare questo piano. MAI, per nessun motivo.-
-Ma era…non capisci!- Urlai -Lei avrebbe voluto che lo facessi! Suonando la musica che mi ha insegnato io stavo…-
Fui interrotta da un ceffone in pieno viso: l’impatto mi spinse contro la parete, fu un urto così violento da lasciarmi stordita per alcuni istanti. Soffocai a stento un grido di terrore nel constatare, portandomi una mano sul volto, di star perdendo sangue dal naso e dalla bocca.
-Che ti sia da lezione.- Bofonchiò l’uomo curvo davanti a me, ancora con la mano tesa -Non osare, Riza. Non osare mai più.-
Cos’era stato a spingerlo ad avere una reazione così violenta? Continuai a chiedermelo davanti allo specchio del bagno, mentre ero intenta a ripulire il viso dal sangue…scoprendo, con enorme sollievo, di non aver perso denti. 
Ho il labbro rotto.” Pensai, tamponando rapidamente con quel che riuscii a trovare nell’armadietto dei medicinali -naturalmente tutti scaduti- e continuando a rimuginare sul gesto e sulle parole di mio padre.
C’era un motivo per cui si era comportato in quel modo, era evidente. Avevo fatto qualcosa di sbagliato…di molto sbagliato. Avevo profanato il ricordo della mamma. Avevo maneggiato ed inquinato l’unico oggetto che ancora conservava le sue impronte, l’oggetto che le era più caro…per lui, era come averla vista morire una seconda volta.
Soppressi violentemente le lacrime al pensiero di non poter ascoltare mai più la sua voce, catturata eternamente dalle note del pianoforte, tutto a causa del cuore cieco e ferito dell’uomo che chiamavo padre.
Io l’avevo ritrovata!” Pensai, tremante di rabbia “E sei stato tu…ad ucciderla una seconda volta!” 
Il soffocante suono del martello che inchiodava le assi alla porta della soffitta, sigillandola per sempre, continuava a rimbombare per tutta la casa. Era davvero troppo per me dover sopportare anche quello…non potevo continuare a restare un istante di più.
Non salutai, uscii senza portare nulla con me, nemmeno un ombrello per ripararmi dalla pioggia torrenziale. Giurai fermamente che non sarei mai più ritornata in quella casa.
 
***
 
-No…mi dispiace signor Hawkeye, oggi non l’ho vista. Sì. Le auguro di trovarla presto. Mi tenga informato!- Roy Mustang sospirò nel mettere giù il ricevitore. Era preoccupato, inutile cercare di negarlo. Conosceva bene Riza, sapeva che non era il tipo di persona che si sarebbe messa nei guai, ma la pioggerella pomeridiana era diventata un temporale non appena il sole era tramontato. Ripensando alla sua ragazza, sola e spaventata in mezzo alle intemperie, non potè fare a meno di provare una rabbia incontenibile. Il signor Hawkeye non era stato chiaro, non aveva spiegato il motivo di quell’improvvisa fuga da casa -perché doveva esserci assolutamente un motivo, trattandosi della logica e razionale Riza- né tantomeno pareva avere una minima idea di dove potesse trovarsi sua figlia. Come aveva fatto a non accorgersi di niente? Le persone non si limitano a sparire e basta, in genere come minimo chiudono la porta di casa. E una porta che si chiude fa rumore! Certo, Mustang non poteva assolutamente sapere che il signor Hawkeye era troppo occupato a sigillare la soffitta per sentire qualunque altro suono oltre a quello del martello.
“Sono incazzato nero.” Pensò, versandosi furiosamente un bicchiere di vodka che tuttavia non riuscì a bere; lo posò distrattamente sul tavolo della cucina, indossando rapidamente il primo soprabito che trovò a portata di mano ed il primo ombrello abbandonato nell’ingresso “Non la troverà mai standosene a casa senza far niente!” Si disse, affrontando a fatica la furia del vento e del temporale “Per fortuna forse so dove potrebbe essere…con un tempaccio del genere.
Roy aveva una teoria: ricordava di un posto in cui giocavano assieme da ragazzini, quando lui ancora studiava dal signor Hawkeye. Ogni volta che facevano troppa confusione o si distraeva troppo dallo studio, il suo insegnante (che di certo non brillava in quanto a pazienza e nervi saldi) prendeva a rimproverarli aspramente, spingendoli a cercare rifugio in un luogo in poi poter giocare indisturbati. Era una catapecchia abbandonata ai margini di un boschetto, a circa venti minuti di marcia da casa Hawkeye…cioè quasi quaranta minuti da casa sua. Mai come in quel momento desiderò di aver già l’età per la patente di guida, ma per la sua piccola Riza avrebbe camminato anche di più, anche con un clima persino più ostile di quello. Sapeva già che, una volta chiarita la situazione, sarebbe andato dritto a parlare col suo ex maestro. Gli doveva delle spiegazioni.
 
***
 
Sospirai.
Il labbro mi faceva ancora un male terribile ma, per fortuna, il naso aveva smesso di sanguinare. Mi rannicchiai in un cantuccio, stringendo fortissimo le gambe nel vano tentativo di scaldarmi nonostante i vestiti completamente fradici. Ero consapevole che non sarei potuta restare a lungo in quella casupola abbandonata, con indosso abiti bagnati e senza alcun modo di scaldarmi…ma mi ero già rassegnata a passare la notte lì, col rischio di prendere un malanno.
-Buonanotte, Riza.- Mi sussurrai, socchiudendo a poco a poco gli occhi e lasciandomi andare ad un sonno agitato, tormentato da incubi di ogni sorta.
 
Non seppi dire dove effettivamente mi trovassi quando mi ridestai, asciutta e cullata dal caldo di un piumone. Forse ero a casa, forse avevo semplicemente sognato il litigio di quel pomeriggio con mio padre, lo schiaffo, il pianto dirotto, la porta serrata.
La figura che mi trovai dinanzi, però, sembrava pronta a testimoniare il contrario.
-Roy…- biascicai, con la voce ancora impastata dal sonno -Cosa…-
Mi zittì con un delicato bacio sulle labbra. Le sue braccia mi avvolsero prima che potessi accorgermene, dandomi un senso di sollievo e di sicurezza che tanto disperatamente avevo agognato in quella terribile e gelida nottata.
-Ci sono qua io.- Sussurrò, baciando soavemente i miei capelli -Ci penso io alla mia Riza.-
Il mio cuore tumultò. Ci conoscevamo da una vita, ma eravamo una coppia soltanto da pochi mesi…avevamo entrambi capito che quel legame che ci spingeva a cercare la reciproca compagnia, quei lievi rossori e quegli imbarazzi erano segno di qualcosa di più profondo di una semplice amicizia. Tuttavia non eravamo tipi da manifestazioni esplicite, anzi…la nostra relazione era fatta di piccoli sguardi, rari e delicati baci; di dirsi “ti amo” o di fare l’amore ancora non se n’era mai parlato: due baci, un abbraccio e quel “ci penso io alla mia Riza” furono una sequenza decisamente devastante per me…ma non potevo negare che mi piacesse da morire.
-Come ti senti?- Mi chiese, tastando preoccupato le mie guance roventi. Posò le labbra sulla mia fronte, causandomi un altro piccolo sussulto.
-Sto…bene.- Farfugliai, ed in effetti non era una bugia. Con lui così vicino mi sentivo sicuramente al settimo cielo, nonostante tutto.
-Cazzo, spero che non sia febbre.- Disse, continuando a confrontare la temperatura del suo corpo con la mia -Chissà da quanto tempo eri rannicchiata lì, fradicia. Per fortuna tuo padre mi ha chiamato.-
-Ah.- Dissi freddamente, ripensando improvvisamente a lui e a quello che aveva fatto -Non ci torno lì.- Mi affrettai a dire, mettendo a nudo la mia maturità ancora adolescenziale.
-Te lo ha fatto lui, questo?- Chiese, trattenendo un moto di rabbia, mentre passava dolcemente le dita sul mio labbro tumefatto, ormai secco.
Annuii, non volevo mentire per proteggere mio padre, non dopo quello che aveva fatto.
Decisi di raccontargli tutta la situazione, senza sorvolare sul forte impatto emotivo che aveva avuto su di me il suono del piano, o la voce di mia madre, come mi piaceva chiamarlo…e poi lo scatto d’ira seguito dalla violenza, il tutto perché avevo tentato di dare concretezza al ricordo della donna che avevo perso troppo presto per poter ricordare la sua voce, ma troppo tardi per poter dimenticare le sue carezze.
Non piansi, stavolta. Condividere in due il dolore lo rendeva più sopportabile, quasi lo dissipava. Inoltre, durante il racconto, Roy non aveva smesso un solo istante di tenermi tra le braccia.
-Dimmi soltanto che posso farlo, ed andrò dal tuo vecchio a massacrarlo di botte.- Sbottò una volta che ebbi concluso, per poi tornare a carezzare con le dita la ferita sulle labbra, quasi a volerla guarire col suo tocco.
-Perdermi sarà la punizione più dura.- Mormorai, ripensando a tutti gli anni trascorsi con lui, a tutti i maltrattamenti e le parole dure…quello schiaffo era stata soltanto l’ennesima goccia che fa traboccare il vaso. Non aveva mai tenuto a me come ad una figlia, non mi aveva mai riservato carezze o gentilezze, di alcun tipo. Ero cresciuta sola, senza amici, senza affetto, perché a mia volta non ero capace di donarne…finché, naturalmente, Roy non era entrato nella mia vita, offrendomi sollievo.
-Cosa intendi fare?- Farfugliò, visibilmente preoccupato -Se lo desideri puoi stare da me. Se non…ti imbarazza. Ovviamente.-
Sorrisi davanti al rossore che colorava le sue guance. Era così dolce con quell’inaspettata ed insolita premura…com’era bello sentirsi amata e protetta. Avevo dimenticato cosa significasse.
-Sono felice.- Dissi, con gli occhi lucidi -In due giorni ho ricevuto due splendidi regali.-
-E quali sarebbero?-
-Ho sentito ancora una volta la voce della mamma.- Mormorai -E poi…tu mi hai trattata finalmente come la tua ragazza.-
Arrossimmo violentemente…eravamo ancora ragazzini, nonostante fossimo stati costretti a crescere troppo in fretta. Il Roy Mustang che avevo davanti non era ancora il Colonnello che sarebbe diventato in futuro, io non ero ancora il suo Tenente e tiratore scelto. Eravamo solo due ragazzi che stavano affrontando le gioie e le amarezze della vita e, in contemporanea, il loro primo amore. Non potevamo prevedere che sarebbe stato anche quelli unico e vero, ma in un certo senso potevamo dire di percepirlo.
-Riza…-
-Sì?-
-Vuoi…farlo?-
-Cosa…?-
Distolse lo sguardo, col viso in fiamme. Allora capii.
-Oh.- Mormorai -Be’…io…veramente…-
-So che non lo hai mai fatto prima. E…nemmeno io, però…ho letto qualcosa e visto qualche fotografia.- Tossì, imbarazzato -So anche che aiuta le persone a sentirsi bene e quindi…ecco…-
Deglutii -A me…piacerebbe.- conclusi, prendendo timidamente le sue mani nelle mie -Però prima c’è una cosa che ti vorrei dire.-
-Anche io.- Bofonchiò, trovando il coraggio di guardarmi finalmente negli occhi.
-Allora dillo prima tu.- Lo incoraggiai.
-Assolutamente no…diciamolo…diciamolo insieme.- Replicò.
-Ok. Allora al tuo tre.-
Annuì -Uno…due…e…-
-Ti amo!- Esclamai, col viso incendiato, prima che finisse di contare. Fu come se una forza misteriosa mi avesse costretto a farlo. Come una diga che crolla, dopo che per troppo tempo l’acqua ha continuato a spingerle contro.
Rimasi immobile per alcuni istanti a bearmi della sua reazione. Era paralizzato, anche lui arrossito, preso alla sprovvista.
-Non lo avevi mai detto.- Mormorò infine.
-E adesso invece sì.- Risposi, trovando chissà dove il coraggio di baciarlo dolcemente -E posso ripeterlo, se…-
-Ti amo.- Mi interruppe, sorridendo spontaneamente.
Sentirmelo dire mi causò una specie di fitta alla bocca dello stomaco, una sensazione stranamente simile a quando, in automobile, si viene sballottati attraversando un dosso. Quello che nei libri d’amore chiamano “farfalle nello stomaco.”…mi chiesi se anche lui avesse provato una sensazione simile.
Le sue labbra si posarono sulle mie, finché sentii qualcosa di umido e caldo entrare nella mia bocca. Mi ritirai d’istinto, trattenendo un urlo.
-Scu…scusa!- Balbettò -Pensavo che i baci con la lingua fossero…cioè…-
-No, scusami tu.- Dissi in fretta -Non me l’aspettavo…cioè, nemmeno sapevo.-
-Riproviamo?-
Annuii con convinzione. Ci baciammo, stavolta con un po’ più di sicurezza, lasciando anche che le nostre lingue si accarezzassero.
-Io non ho mai visto un uomo nudo.- Dissi, alla vista delle sue mani che iniziavano a spogliarlo, tremanti ed incerte -E anche se so teoricamente come si fa…io non…insomma…-
-Ne so praticamente quanto te.- Mi rassicurò -Impareremo insieme. Dovrebbe essere una cosa naturale e istintiva, no? Quindi…-
Il mio corpo era tesissimo, ma lottai contro il mio stato d’animo e cercai di rilassarlo. Tutto quello che desideravo, in quel momento, era fare completo il nostro amore, diventare un’unica persona, poter dormire le sere successive col suo profumo ancora su di me.
Una volta che ci fummo spogliati completamente, mi ritrovai ad osservare il suo corpo nudo con un leggero imbarazzo. Aveva un fisico ben fatto, certo un po’ più maturo del mio, che non era ancora completamente da donna fatta. Il mio sguardo cadde involontariamente sul suo membro, al pieno dell’erezione…non avrei mai immaginato che fossero così diversi da quelli disegnati sui testi di anatomia!
-Quel coso dovrebbe…entrarmi dentro?- Sbarrai gli occhi, mi sembrava davvero troppo grande -Ma mi farà male?-
-Forse.- Rispose -Ma io cercherò con tutto me stesso di non farlo.-
-Mi fido di te.- Dissi d’istinto.
-Spero di non combinare disastri.- Mormorò, scivolando piano lungo la mia parte più intima e massaggiandola -Questo l’ho visto fare in un film.-
Spiegò, quasi nel tentativo di rassicurarmi.
-Che…che genere di film hai visto?- Chiesi, con leggero disappunto -Non voglio che tu veda altre donne nude…-
-Non succederà più, perché adesso impareremo sul campo.- Rispose -Non ne avrò più bisogno.-
-Ok.- Mugugnai, scoprendomi immediatamente colta da sensazioni piacevoli scatenate dalle sue dita -Roy, ho paura.-
-Anche io. Tantissima.-
-Di cosa?- Chiesi, sperando che le mie paure fossero le sue, che potessimo superarle insieme.
-Paura di non piacerti, di deluderti. Paura che un giorno ti pentirai di tutto questo, che ti pentirai di me.-
Sorrisi…sì, erano esattamente le stesse paure.
-Comunque vada…ricorda quello che ci siamo detti. Che ci amiamo. A me è sufficiente questo.-
-Allora sarà sufficiente anche per me.- Sussurrò, rincuorato.
Ricominciammo a baciarci, ad indugiare su quella sorta di rudimentale preliminare…finchè capimmo che era arrivato il momento.
-Vado?-
-Sì.- Dissi d’un fiato, tenendo gli occhi chiusi e stringendo forte le lenzuola tra le mani.
Mi trattenni dall’urlare per il dolore…forse era davvero troppo grande per penetrarmi? No, non poteva assolutamente essere così…tuttavia, dopo un primo istante di atroce dolore, cominciò a essere piacevole.
Capii che anche lui si sentiva bene, lo capivo dai suoi spasmi e dai modo in cui respirava irregolarmente, chinandosi ogni tanto a baciarmi e a chiedermi se poteva continuare.
Non fu sicuramente il nostro rapporto sessuale più piacevole, passionale o intenso…ma fu il più tenero e romantico che potessi desiderare. Sepolta tra le sue braccia, avvolti in quelle calde coperte, avevo dimenticato ogni ansia, paura, ogni tristezza era stata spazzata via.
Insieme, con i nostri gemiti ed i nostri respiri, avevamo composto una nuova melodia. Non avevo bisogno di un piano per suonarla: era una melodia che non parlava di malinconia e di morte…parlava di vita, d’amore, parlava di noi.
Quel giorno, Riza Hawkeye era rinata.
Quel giorno, capimmo che saremmo rimasti insieme per tutta la vita.
   
 
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