Fuori c’è un caldo tremendo.
Ho pensato di scrivere questa one
shot leggerissima, che spero vi faccia sorridere e vi distragga dal clima
inclemente.
Naturalmente i personaggi non mi
appartengono, ma sono esclusiva proprietà di Sir Arthur Conan Doyle, Steven
Moffat e Mark Gatiss.
Questa one shot non ha scopo di
lucro.
Se dovesse esserci qualcosa che
ricordi qualche altro racconto, chiedo scusa, ma sarebbe involontario.
Piccolo preambolo: Mary non c’è e
non viene affatto spiegato dove sia.
Questa one shot non è
assolutamente legata a nulla che io abbia già scritto, è una storia
completamente a sé ed autoconclusiva.
Per quanto riguarda Mary, chi
legge è liberissimo di pensare qualsiasi cosa voglia di lei: che sia morta, che
sia fuggita, che sia in galera … ai fini di questo racconto non è importante.
Come pure è lasciata alla piena
fantasia del lettore decidere che tipo di rapporto vi sia fra Sherlock e John,
perché anche questo, per la storia, è irrilevante.
Buona lettura! J
Cercasi tata
John Watson era in taxi e stava
tornando al 221B di Baker Street.
Stava tornando a casa.
Stavolta, però, non era solo.
Sul sedile al suo fianco c’era
una culla con dentro un piccolo essere biondo che stava dormendo profondamente.
Jane Watson avrebbe presto fatto
conoscenza con la strana umanità che frequentava la casa in cui il padre la
stava portando.
Arrivato all’indirizzo, John
scese dal taxi e fissò la porta.
Erano trascorsi anni, da quando
aveva lasciato la casa che aveva condiviso con Sherlock Holmes.
L’aveva abbandonata quasi subito
dopo quello che, ora, sapeva essere il finto suicidio del suo migliore amico,
perché non riusciva a sopportare di vivere in un posto in cui ogni cosa gli
ricordava quello che aveva perso.
Ora stava tornando a casa, carico
di altri pesanti fardelli.
Jane, però, non era uno di
questi.
Jane era la luce dei suoi occhi,
la speranza di un futuro migliore.
John non fece in tempo ad
arrivare alla porta, che venne spalancata da un uomo alto e moro, troppo magro
e decisamente euforico.
Stranamente troppo euforico.
“Siete arrivati, finalmente! –
esclamò Sherlock Holmes andando incontro a John ed afferrando la borsa con le
cose di Jane – Lascia che ti aiuti. Dorme?”
“Sì, dorme.” rispose John,
perplesso.
Non fecero in tempo ad arrivare
agli scalini, che una donna anziana, ma ancora giovanile, si presentò
all’ingresso sorridendo felice:
“Dove è il mio piccolo tesoro?”
“Dorme.” rispose John con un
sorriso.
Chissà se sarebbe riuscito ad
arrivare alla porta senza che si presentasse qualcun altro.
Fortunatamente, il comitato di
accoglienza sembrava essere limitato a Sherlock ed alla signora Hudson.
John portò la bambina nel
salotto.
“È arrivato tutto e l’abbiamo
sistemato nella tua stanza.” sussurrò Sherlock con un gran sorriso.
Era decisamente felice che John
fosse tornato a vivere al 221B di Baker Street, ma il dottore si chiese se
Sherlock avesse una qualche idea di cosa significasse la presenza di una
neonata nella loro casa.
“Grazie. Ora porto Jane a dormire
nel suo lettino.”
Non fece in tempo a prendere la
bambina dalla culla, che Mycroft Holmes entrò nella stanza con un enorme
peluche a forma di coniglio.
John fissò stranito sia Mycroft
che il peluche.
“Cosa è quel coso?” chiese
stupito.
Mycroft si esibì nel sorriso più
grande che John gli avesse mai visto fare:
“È un piccolo pensiero per la
bambina!” esclamò il maggiore degli Holmes in tono gioviale.
Sherlock emise una sorta di verso
di disgusto:
“Non sai quanti acari, microbi e
polvere raccoglierà una cosa come quella? – domandò irritato – Vuoi che la
bambina diventi asmatica?”
Mycroft stava per ribattere, ma
John intervenne con un: “Grazie mille per il pensiero. Vedrai che le piacerà.”
Prima che i due fratelli iniziassero a litigare.
“Io le ho preso questo.” disse
Sherlock con un enorme sorriso stampato in faccia, porgendo a John un pacchetto
ben confezionato.
John, con qualche timore, lo
scartò e si trovò fra le mani la scatola del piccolo chimico.
“Oh, bello. Grazie.” ringraziò
con un certo imbarazzo.
Stavolta il verso di disgusto
provenne da Mycroft:
“Guarda che è una neonata! –
esclamò in tono derisorio – Prima che possa usare il tuo regalo passeranno anni
e diventerà vecchio!”
John lanciò un’occhiataccia a
Mycroft e gratificò Sherlock di un sorriso:
“Glielo terrò da parte e potrete
giocarci insieme, quando raggiungerà la giusta età.”
Sherlock sorrise entusiasta.
John sospirò.
Sperava che tutto quell’interesse
per la bambina da parte dei fratelli Holmes si esaurisse con l’entusiasmo del
suo ritorno a casa o non sarebbe sopravvissuto a lungo.
La signora Hudson si avvicinò
anche lei con una scatola regalo:
“Spero che vada bene.” disse
porgendola a John.
Il dottore scartò anche questo
regalo e si trovò fra le mani una tutina rosa deliziosa.
“Grazie, signora Hudson, è
bellissima.”
La signora Hudson sorrise
compiaciuta:
“Se la taglia non dovesse andare
bene, posso andare a cambiarla.”
“Mi sembra che vada bene. – disse
John con occhio clinico – Gliela proverò quando le farò il bagnetto.”
Dalle scale provenne il suono di
passi che stavano salendo e nella stanza fece la sua apparizione Gregory
Lestrade:
“Allora? – chiese sorridendo – È
arrivata a casa la piccola stella?”
“Si chiama Jane, non stella.” lo
corresse Sherlock, con tono petulante.
“Lo so. – ribatté Lestrade – Si
tratta solo di un nomignolo.”
“E perché devi usare un nomignolo
e non il suo nome?” continuò Sherlock nello stesso tono.
John si passò una mano sul volto.
Ora era certo che non sarebbe
sopravvissuto a lungo:
“Si usa farlo coi bambini,
Sherlock. – intervenne – È normale.”
Sherlock fissò scettico il
dottore, ma decise di non iniziare una discussione con lui sull’utilità di
usare dei nomignoli che avrebbero potuto confondere la bambina.
Decise che, prima, avrebbe fatto
delle ricerche approfondite.
Anche Lestrade aveva un pacchetto
regalo che conteneva un’altra tutina.
John ringraziò di cuore.
La stanza si stava facendo
affollata.
“Porto la bambina a letto.” disse
nuovamente, ma non fece in tempo a prenderla che la piccola iniziò a piangere.
Immediatamente, Sherlock, Mycroft
e Lestrade le si fecero intorno, preoccupati per il pianto della piccola.
John, con un sorriso, la sollevò
dalla culla e la prese fra le braccia.
Con un sonoro sospiro, la piccola
smise di piangere.
“Cosa è questo odore pungente?”
chiese Sherlock, arricciando il naso.
“La piccola è da cambiare. –
rispose John continuando a sorridere alla figlia – Qualcuno vuole aiutarmi?”
“Devo tornare in ufficio.”
rispose velocemente Lestrade.
“Devo andare in Parlamento.”
disse Mycroft.
“Vado a preparare un tea.”
propose la signora Hudson.
“Devo andare al Bart’s a ritirare
della roba.” lo informò Sherlock.
In pochi secondi, la stanza si
svuotò.
“Vedi, Jane. – sussurrò John
divertito – Un tuo pannolino sporco ha fatto scappare via gente abituata a
fronteggiare i peggiori criminali mai apparsi sulla faccia della Terra. Sei
davvero terrorizzante.”
John aveva cambiato la figlia ed
era riuscito a metterla a letto.
Quando tornò nel salotto, la
signora Hudson gli versò una tazza di tea.
“Se la è proprio meritata, caro.
– disse l’anziana donna felice – È una gioia avere qui lei e la bambina.”
John sorseggiò per un attimo il
tea, poi alzò gli occhi sulla signora Hudson:
“Volevo chiederle se può darmi in
affitto il 221C. – disse con una certa circospezione – Vorrei assumere una tata
per Jane, che si occupi della bambina quando io sono al lavoro o in giro con
Sherlock per qualche caso. Pensavo di sistemare il 221C ed arredarlo con il
mobilio che avevo nella mia ultima casa e di offrire anche il vitto. Così spero
di saltarci fuori con il mio stipendio.”
La signora Hudson valutò per un
po’ la proposta:
“Se lei mette a posto
l’appartamento e lo arreda, possiamo accordarci per l’affitto senza alcun
problema. – rispose infine – In fin dei conti, l’ho sempre tenuto sfitto e non
ho bisogno che me lo paghi troppo. Ha già informato Sherlock del fatto che
assumerà una tata?”
John sospirò:
“Ancora no.”
La signora Hudson gli sorrise
solidale:
“Buona fortuna, caro.”
“Grazie. – ribatté John – Mi sa
che ne avrò bisogno.”
La notte trascorse tranquilla.
Jane si svegliò un paio di volte
e John si alzò per darle da mangiare.
Ogni volta si trovò Sherlock
nella stanza che chiedeva cosa potesse fare per aiutare.
Una volta John lasciò che
Sherlock prendesse Jane in braccio e che le desse il biberon.
Sherlock la trattava come un
oggetto fragile, ma alzò su John uno sguardo orgoglioso, quando la piccola gli
prese il mignolo e lo strinse con tutta la forza che aveva.
John sorrise intenerito.
Forse la loro convivenza sarebbe
potuta funzionare.
La mattina seguente, John e
Sherlock erano seduti nelle loro poltrone e stavano leggendo il giornale,
quando si sentì sbattere la porta d’ingresso.
Mentre un arrabbiato Mycroft
faceva irruzione in salotto, Sherlock abbassò il giornale e fissò John:
“Cosa vuole dire questo?”
chiesero i fratelli Holmes all’unisono.
Senza scomporsi, John ripiegò con
calma il giornale che stava leggendo e lo appoggiò al bracciolo della propria
poltrona.
Passò lo sguardo fra i due
fratelli, decisamente irritati, e gli salì un sorriso divertito alle labbra:
“Suppongo che abbiate letto
l’annuncio che ho messo sul giornale per trovare una tata per Jane.”
“Come hai potuto fare una cosa
del genere?” sbottò Mycroft.
“Bastiamo noi per Jane, non c’è
bisogno di introdurre degli estranei in casa!” protestò Sherlock.
“Bastava che avessi chiesto e ti
avrei trovato qualcuno che si prendesse cura della bambina.” continuò Mycroft.
“È solo una questione di
organizzazione.” proseguì Sherlock.
E continuarono così per altri
cinque minuti prima di rendersi conto che John non avesse detto una parola.
Quando i fratelli Holmes si
ammutolirono, John li fissò negli occhi:
“Avete finito? – chiese con calma
– Posso parlare io?”
Dato che nessuno fece obiezioni,
John spiegò:
“Ho bisogno di una tata perché
non potrò stare con Jane ventiquattro ore al giorno. – iniziò – Dalla prossima
settimana tornerò al lavoro e non posso certo lasciare sola Jane con Sherlock o
la signora Hudson.”
“Perché no? – domandò Sherlock,
offeso – Non ti fidi di me?”
“Certo che mi fido. – rispose
John – Però, dimmi, dove metteresti Jane, se ti chiamassero per un caso?”
Sherlock stava per ribattere, ma
John lo prevenne alzando un dito minaccioso:
“E non rispondere che la
porteresti con te sulla scena del crimine, perché non sarebbe la risposta
giusta!”
Sherlock chiuse la bocca di
scatto.
“La signora Hudson è sempre
gentile e disponibile, ma non è più così giovane. – continuò John in tono
pacato – Potrei chiederle di fare da babysitter a Jane per qualche ora, ma non
certo per tutto il giorno. Quindi, ho bisogno di una tata.”
I due fratelli si guardarono
negli occhi e si scambiarono un cenno d’intesa.
Un brivido freddo percorse la schiena
di John: i fratelli Holmes alleati erano una coppia veramente temibile!
“I curriculum che riceverai
dovrai passarli ad Anthea. – disse Mycroft in tono perentorio – Lei farà un
controllo approfondito sulle candidate e fisseremo un appuntamento solo con
quelle che risponderanno a dei requisiti specifici che stabiliremo Sherlock ed
io.”
“Pensate che io non sappia
selezionare una tata per mia figlia?” domandò John in tono offeso, incrociando
le braccia sul petto.
“Tu sei un padre fantastico. –
ribatté Mycroft – Però io posso fare delle indagini approfondite come tu non
puoi. Vuoi sapere a chi metti in mano tua figlia, no?”
John sospirò rassegnato.
“Un’altra cosa. – aggiunse
Sherlock – Noi saremo presenti ai colloqui. Sarà presa solo la persona che
otterrà l’approvazione di tutti e tre.”
John si passò una mano sulla
faccia.
Non aveva scelta.
Forse contro un solo Holmes
avrebbe potuto avere una vaga speranza di fare quello che riteneva giusto.
Contro i due Holmes alleati non
l’avrebbe mai spuntata.
John si presentò a Scotland Yard
con la bambina nel marsupio.
Il suo ingresso non passò
inosservato.
Tutte le donne gli si
avvicinarono per vedere la bambina, con grandi sorrisi e risatine divertite.
Greg gli fece segno di entrare in
ufficio.
John si sedette davanti alla
scrivania.
Greg si alzò e si sedette di
fianco a lui, allungando una mano per accarezzare la testolina di Jane, che
dormiva pacifica con un orecchio appoggiato sul cuore del padre.
“Allora? – chiese Lestrade – Come
vanno le cose a Baker Street?”
John sorrise:
“Non andrebbero male, se i
fratelli Holmes non fossero così … – si fermò un attimo alla ricerca della
parola giusta – invadenti?”
“Invadenti? – ripeté Greg in tono
divertito – Chi? I fratelli Holmes? Ma quando mai!”
I due uomini risero.
“Sto cercando una tata per Jane.
– disse John – E ti lascio immaginare cosa stia succedendo.”
“Vuoi che faccia qualche indagine
sulle persone che si candidano?” si offrì Lestrade.
“Oh, no, per amore del cielo, no!
– sbottò John – Ci sta già pensando Anthea. Probabilmente starà passando al
setaccio le vite di quelle poverette, andando a guardare anche quanti denti
abbiano in bocca. E sto già tremando per quelle che passeranno il vaglio di
Anthea e si presenteranno al colloquio! Mycroft e Sherlock vogliono assolutamente
essere presenti. Ti rendi conto?”
Lestrade rifletté un po’,
osservando la bambina:
“Forse conosco la persona che fa
al caso tuo. – disse infine – È una ex militare, come te. È stata congedata per
essere stata ferita sul campo, ma è una donna veramente in gamba. Sono sicuro
che ti piacerebbe.”
“Dille di mandare il curriculum.
– sospirò John – Se passerà l’esame di Anthea, mi farà piacere conoscerla.”
“Va bene. – sorrise Lestrade –
Glielo dirò. E fatti forza, John. Passerà anche questa.”
“Sicuramente. – borbottò il
dottore – Il fatto è che non so se alla ricerca della tata sopravvivranno i
fratelli Holmes. Pensi che mi condannerebbero a molti anni di carcere se ne
eliminassi uno? Od anche tutti e due?”
Lestrade rise di gusto:
“Tranquillo. – sghignazzò – Ti
darebbero una medaglia!”
E, finalmente, arrivò il giorno
dei colloqui.
Furono quattro le candidate che
si presentarono dopo l’attento esame di Anthea.
Quando entravano nel salotto di
Baker Street, le candidate si dovevano sedere su una sedia posta fra le due
poltrone di Sherlock e John, mentre Mycroft era sul divano alle loro spalle.
John accoglieva le candidate con
un sorriso, ma Sherlock e Mycroft avevano sempre un’espressione degna di un
inquisitore spagnolo a caccia di streghe.
E, sfortunatamente per le povere
donne, erano loro che facevano le domande.
La prima a presentarsi fu Hellen
Miller, una signora di mezza età, vestita in maniera severa con alle spalle
venticinque anni di onorato servizio presso diverse famiglie che le avevano fornito
ottime referenze.
“Nel 1984 è stata fermata per
guida in stato d’ebbrezza. – esordì Mycroft, prima ancora che John potesse
dirle buongiorno – È disposta a sottoporsi a controlli quotidiani per
dimostrare che non ha bevuto?”
“Ma ero una ragazzina! Stavo
tornando da una festa e non è più accaduto.” protestò la donna.
“Non ha risposto alla domanda.”
ribatté Mycroft in tono severo.
“Le dico che non sono
un’alcolizzata!” insisté la donna.
“Ehm, va bene …” tentò di
intervenire John, ma Mycroft lo bloccò immediatamente:
“Se non accetta di sottoporsi
all’alcool test, non sarà assunta.”
La donna si alzò, decisamente
offesa:
“Non sono mai stata trattata in
questo modo! – sbottò fissando lo sguardo su John – Ho alle spalle anni di
onorata carriera come bambinaia in alcune delle famiglie più prestigiose del
paese e non sono mai stata tanto oltraggiata! Addio!”
E se ne andò impettita, senza che
John potesse fare nulla per fermarla.
Lo sguardo infuocato che lanciò a
Mycroft servì veramente a molto poco:
“É lei che ha deciso di
andarsene. – disse il maggiore degli Holmes, facendo spallucce – Non l’ho mica
cacciata io.”
La seconda si chiamava Elisabeth
Sanders, era una ragazza giovane, quasi alla prima esperienza, ma con ottimi
studi alle spalle.
“Cosa farebbe se un uomo armato
si presentasse in casa e volesse portare via la bambina?” chiese Sherlock,
appena la ragazza si fu seduta.
La ragazza lo fissò piuttosto
interdetta.
“Non è adatta. – sentenziò
Sherlock – Ha i riflessi lenti.”
“Sherlock! – protestò John – Non
sono queste le domande da fare.”
“Perché no? – domandò il più giovane
degli Holmes alzando un sopracciglio – Potrebbe accadere. Dobbiamo essere
sicuri che Jane sia in mani affidabili. Sa sparare? Ha nozioni di difesa
personale? Sa usare un coltello per colpire qualcuno? Saprebbe distinguere un
veleno dal latte in polvere?”
La ragazza strabuzzò gli occhi:
“io … io … ecco … – balbettò – io … credo che non sia il lavoro
adatto a me!”
E fuggì fuori dalla stanza prima
che John potesse fermarla.
Anche l’occhiataccia che
indirizzò a Sherlock non sortì l’effetto desiderato:
“Con le nostre indagini
potrebbero cercare di rivalersi sulla bambina. – si difese Sherlock facendo
spallucce – Dobbiamo pur essere sicuri che la bambinaia saprebbe difendere la
nostra piccola Jane, no?”
Cosa poteva fare il povero
dottore se non sospirare?
Il fatto che Sherlock e Mycroft
si preoccupassero per la sicurezza di sua figlia faceva piacere a John.
Ciò non toglieva il fatto, però,
che avrebbe picchiato volentieri entrambi.
La terza candidata aveva un
aspetto fisico mascolino.
Si chiamava Bridget Collins,
aveva circa quarant’anni e aveva lavorato nella scuola pubblica prima di
decidere di fare la bambinaia.
Sembrava non avere difetti.
Non era mai stata né arrestata né
fermata dalla polizia.
Aveva dei fratelli maggiori, per
cui sapeva difendersi.
Sia Mycroft che Sherlock non
erano riusciti a metterla in difficoltà.
John ne era felice e stava per
dirle che le avrebbero fatto sapere, quando Sherlock si alzò di scatto dalla
poltrona e tornò pochi minuti dopo con Jane che dormiva tranquilla fra le sue
braccia.
John era perplesso, ma lasciò che
Sherlock facesse quello che aveva in mente.
“Prenda la bambina in braccio.”
La donna prese la bambina dalle
braccia di Sherlock, le fece un sorriso e stava per cullarla, quando Jane
iniziò a piangere disperatamente.
La donna fece di tutto per
calmarla, ma non ci riuscì in nessun modo.
Sherlock gliela prese dalle
braccia.
Appena fu a contatto con il
consulente investigativo, Jane smise di piangere.
La donna era costernata.
“Lei non piace a Jane. – concluse
Sherlock, gelido – Mi dispiace, ma non possiamo assumere qualcuno che farebbe
piangere la bambina tutto il giorno.”
La donna si alzò avvilita e
lasciò l’appartamento.
Sherlock stava per riportare Jane
a letto, quando John gli chiese di dargliela.
Sherlock tentennò, ma non poté
evitare di passare la piccola alle braccia del padre.
Jane iniziò a piangere
disperatamente.
John la appoggiò alla poltrona e
le tolse la copertina che la avvolgeva.
Nella copertina trovò un piccolo
oggetto un po’ appuntito che infastidiva Jane quando veniva tenuta in braccio
in un certo modo, anche se non la feriva.
John si voltò verso Sherlock
furioso:
“Hai fatto piangere Jane deliberatamente!
– urlò – Cosa ti è venuto in mente!”
Sherlock non fece una piega:
“Tu hai controllato cosa ci fosse
che la facesse piangere, quella donna non ha fatto nulla. – rispose il
consulente investigativo – Davvero volevi mettere la bambina nelle mani di una
persona così incompetente?”
John alzò un dito minaccioso
verso Sherlock:
“Per punizione non le darai il
biberon per tutta la prossima settimana!” sentenziò deciso.
“Ma John …” tentò di protestare
Sherlock.
“Due settimane! – aggiunse
l’infuriato John – E se continui a discutere, non te la farò nemmeno prendere
in braccio! Per mesi!”
Senza considerare l’espressione da
cane bastonato di Sherlock, John tolse l’oggetto dalla copertina e riportò la
figlia in camera.
La quarta ed ultima candidata era
quella raccomandata da Gregory Lestrade.
Si chiamava Alexandra Wilson.
Era una donna dai trentacinque ai
quaranta anni, con i capelli mori tagliati corti.
Gli occhi azzurri sorridevano,
mentre rispondeva alle domande di Mycroft e John.
“Lei è un ex militare, vero?”
chiese Mycroft gentilmente.
“Sì. – rispose la donna – Ho
prestato servizio nell’esercito per otto anni, prima di essere congedata a
causa di una ferita riportata sul campo.”
“Dove era di stanza?” domandò
John.
“Sono stata in diversi posti. –
rispose la donna – L’ultimo era Kandahar.”
“Anche io sono stato di stanza in
Afghanistan! – esclamò John – Come è piccolo il mondo.”
“Già.” sorrise la donna.
“È disposta a venire a vivere
qui?” domandò ancora John.
“Sì, certo. – rispose – Ora vivo
in affitto, saranno soldi risparmiati.”
“Mycroft quanto le ha offerto in
più, rispetto a quello che posso darle io, per accettare il posto?”
Il sorriso divertito di John si
allargò, quando notò che i fratelli Holmes si erano irrigiditi.
La giovane donna, invece, fece un
gran sorriso a John:
“Se volesse, potrebbe anche non
pagarmi, riceverei una paga adeguata lo stesso.”
“Come avrà capito, questa non è
una casa di persone normali. – continuò John – È sicura di voler accettare
questo posto di lavoro?”
“Penso che sarà interessante e
divertente.” rispose la donna.
John si alzò in piedi e le
allungò una mano:
“Benvenuta al 221 di Baker
Street, signorina Wilson. Spero che non se ne pentirà.”
La donna si alzò a sua volta e
strinse la mano di John:
“Grazie, dottor Watson. Sono
sicura che andrà tutto bene. E mi chiami Alex.”
“John. – sorrise il dottore –
Vuole conoscere Jane?”
“Con immenso piacere.” rispose
Alexandra.
La piccola Jane accolse la sua
tata con un sorriso ed un gorgoglio di approvazione.
John poteva tirare un sospiro di
sollievo.
La ricerca era finita.
E John poteva respirare fino al
giorno in cui avrebbe informato i fratelli Holmes che intendeva portare la
piccola Jane all’asilo.
Sapeva che sarebbe stata un’altra
ardua battaglia, ma, intanto, aveva qualche anno per prepararsi.
E chissà che non avrebbe capito
come fare per averla vinta sui terribili fratelli Holmes.
Angolo dell’autrice
Grazie a chiunque sia arrivato
fino alle fine a leggere questo piccolo racconto.
Spero che vi abbia divertito.
Ogni commento che vogliate
lasciare sarà più che ben accettato.
Ciao! J